Fabripullus
Il Pulcino di Girolamo Fabrizi


Parte seconda
La formazione del feto dei pennuti

Capitolo I - Descrizione dell'uovo

L'asterisco * indica che la voce è presente nel lessico

[19] De formatione faetus pennatorum. Ovi historia. CAP. I.

Parte seconda
La formazione del feto dei pennuti.
Capitolo I
 Descrizione dell'uovo.

Pennata, omnia ex ovo gigni omnibus notum: quod et si intra se pariunt, non tamen intra se animal gignunt, sed extra, nimirum foras ovo emisso. Sunt nonnulla, quae tum ova, tum foetum intra se pariunt, unde tum ovipara tum vivipara censentur. Talia sunt inter pisces quae ab Aristotele[1] cartilaginea appellantur, ut squatina[2], raia[3], canis[4], seu galius piscis, vulgo Venetiis asiarius[5]; et inter serpentes vipera. Sed nos prius de pullorum formatione, quae extra corpus fit, dicamus, initio ab ovi historia desumpto: quod non modo pulli uterus, et locus est, sed id etiam a quo tota pulli generatio pendet, quam ovum perficit ut agens, ut materia, ut instrumentum, ut locus, et ut alia, siquae concurrunt.

A tutti è noto che tutti i pennuti vengono generati a partire dall'uovo. Anche se lo formano dentro di loro, tuttavia non generano l'animale dentro di loro, ma all'esterno, cioè, quando l'uovo è stato espulso. Vi sono alcuni animali che partoriscono al loro interno sia le uova sia il feto, per cui vengono catalogati sia ovipari che vivipari. Tali sono, tra i pesci, quelli che da Aristotele vengono detti cartilaginei, come il pesce angelo, la razza, il pescecane o galio, a Venezia detto comunemente asiario, e la vipera fra i serpenti. Ma conviene che prima io parli della formazione dei pulcini che avviene al di fuori del corpo, iniziando dalla descrizione dell'uovo, in quanto esso non solo è l'utero e la dimora del pulcino, ma anche ciò da cui dipende l'intera formazione del pulcino che l'uovo porta a compimento come agente, materia, strumento, dimora e altre cose qualora alcune vi partecipino.

Ovum omnibus notum a graeca voce {ὠον} <ᾠόν / ὠόν> deductum nomen: sed interponitur v litera euphoniae causa; ita dicitur quasi {ιον} <οἶον> .i. solitarium[6], quia singularia pariat. Non enim veluti caeteri uteri intra se plures gignunt faetus, ita ovum, quod pulli uterus, et locus est, plures sed singularem quemque parit intra se pullum. Quod si interdum ovum duos obtinens vitellos intra se pullum cum quatuor cruribus, duobusque capitibus, aut quatuor alis, et id genus monstra pariat; nunquam tamen duo invicem separati, ut duo dici possint, pulli sunt, sed unus duntaxat corporis truncus est, qui duo capita, quatuor crura, et alia istiusmodi habet annexa.

A tutti è noto che l'uovo - ovum - è un vocabolo derivato dalla parola greca øión / øón, ma la lettera v è aggiunta per motivi di eufonia. In questo modo viene quasi pronunciato oîon, cioè, solitario, in quanto partorisce un animale alla volta. Infatti non si comporta come gli altri uteri che generano dentro di loro parecchi feti, per cui l'uovo, che è l'utero e la dimora del pulcino, genera al suo interno molti pulcini, ma uno alla volta. Ma, se talora un uovo con due tuorli genera dentro di sé un pulcino con quattro zampe e due teste, o quattro ali, e siffatti mostri, tuttavia non sono mai due pulcini tra loro separati in modo da poter essere considerati due, ma esiste solamente un tronco del corpo che porta attaccate due teste, quattro zampe e altre cose siffatte.

Ovorum variae enumerantur differentiae ab Arist.[7] Quas antequam recenseo, operae pretium duxi, ut exactior sit ovorum varietatis notitia, a summo quodam principio differentias elicere. Videlicet ovum generaliter bifariam sumi, vel proprie, vel improprie. Ovum proprie dictum appello, cui ovi definitio ab Arist.[8] tradita, competit. Ovum est, ex cuius parte animal gignitur, reliquum cibus ei, quod gignitur, est. Improprie vero dictum ovum appello, quod similiter Arist. eodem loco definivit, ex quo toto animal nascitur, ut sunt ova formicarum, muscarum, aranearum, quorundam papilionum, et alia id genus perpusilla, et minuta admodum ova.

Da Aristotele vengono elencate svariate differenze in seno alle uova. Prima di descriverle ho pensato che vale la pena dedurne le differenze partendo dal principio fondamentale, che i dati relativi alle varietà di uova siano più esatti. È evidente che in generale l'uovo può essere chiamato in due modi, proprio o improprio. Definisco uovo propriamente detto quello al quale si addice la definizione tramandata da Aristotele. È uovo quella parte da cui l'animale viene generato, il resto è cibo per chi viene generato. Invece chiamo impropriamente col nome di uovo, e Aristotele nello stesso passo l'ha definito in modo simile, quello dalla cui totalità nasce un animale, come sono le uova delle formiche, delle mosche, dei ragni, di alcune farfalle e altre uova di questo tipo piccolissime e oltremodo minute.

Haec Arist. fere perpetuo veritus est ovi voce nuncupare; sed vermiculi nomine ipsa donavit loco citato[9]: ubi ovorum divisionem afferens dixit, Animalium alia perficere partum, forasque mittere sibi similem, ut ea, quae animal edunt in Lucem: alia nondum explanatum, suamque formam adeptum parere: quorum sanguinea ovum pariunt, exanguia vero vermen: et loco cit. ubi divisionem foetuum animalium ita tradit, In lucem foetu perfecto, aut animal editur, aut ovum, aut vermis; et afferens differentiam inter ovum, et vermen, dixit; Ovum esse, cuius ex parte animal gignitur, ex parte nutritur: vermen autem, ex quo toto animal gignitur. Quia tamen vulgo ova dicuntur et ad sensum potius ova apparent, quam vermes, propterea Arist. ait[10], Scorpiones terrestres vermiculos ovorum specie parere complures, et eis incubare: et lib. eodem c. 28. ait[11], locustas parere vermiculos ovi speciem gerentes.

Aristotele ha quasi sempre avuto paura di chiamarle col nome di uovo e nel passo citato ha attribuito loro il nome di vermicello, e in questo passo, riferendo la suddivisione delle uova, disse che alcuni animali portano a termine il parto ed emettono un loro simile, come quelli che danno alla luce un animale; altri partoriscono un qualcosa che è ancora indistinto e non ha ancora assunto il loro aspetto, e quelli dotati di circolazione sanguigna partoriscono un uovo, quelli che non ne sono dotati partoriscono un verme. E nel passo citato, dove riferisce la classificazione dei feti nel modo seguente, ha detto: una volta che il feto è stato ultimato, viene dato alla luce o un animale, o un uovo, o un verme. L'uovo è quello da una parte del quale si genera un animale, da un'altra parte viene nutrito, mentre un verme è quello dalla cui totalità un animale viene generato. Tuttavia siccome - i vermi - vengono comunemente detti uova e alla vista sembrano più uova che vermi, allora Aristotele dice che gli scorpioni terrestri partoriscono moltissimi vermicelli con l'aspetto di uova e che li covano. E nello stesso libro - Historia animalium V - al capitolo 28 dice che le locuste partoriscono dei vermicelli simili a un uovo.

Interdum Arist.[12] eiusmodi ova vermes immobiles nuncupavit, ubi distinguens mutuo vermes dixit, aut continuo mobiles esse, aut immobiles: interdum ovi nomini substituit semen cartami, aut milii: ideoque dixit[13] vermen omnia insecta facere, excepto genere quodam papilionum, quod durum quiddam simile cartamo, [20] idest cnici semini producit, sed intus fluidum: et paulo post de generatione papilionum ex erucis ita scribit[14]; Nascuntur papiliones ex erucis, erucae ex virentibus foliis, maximeque ex brassica. Primum minus quid milio consistit in folio; mox vermiculi inde contrahuntur, et accrescunt: tum intra triduum erucae efformantur; inde rupto putamine papiliones exeunt.

Talora Aristotele ha chiamato queste uova vermi immobili, quando, distinguendo i vermi fra loro, disse che sono in continuo movimento oppure immobili. Talora ha sostituito il nome di uovo con seme di cartamo* o di miglio*. Pertanto disse che tutti gli insetti producono un verme, eccetto un tipo di farfalle che produce un qualcosa di duro simile al cartamo, cioè al seme del Carthamus tinctorius, ma che internamente è fluido. E poco dopo, a proposito della generazione delle farfalle dai bruchi, scrive così: le farfalle nascono dai bruchi, i bruchi dalle foglie verdi, soprattutto dal cavolo. Dapprima nella foglia c'è un qualcosa che è più piccolo di un seme di miglio, poi ne vengono fuori dei vermicelli che si accrescono, quindi nel giro di tre giorni si formano i bruchi, quindi, rotto il guscio, escono le farfalle.

Tandem non dubitavit Aristot.[15] istiusmodi etiam ova simpliciter nuncupare, et locustas in rimis sua ova parere dixit: et bruchorum foeturam ova appellat: et rursus ait[16], cicadas foeminas a coitu suaviores maribus esse: quippe quae ova candida gustui habeant grata, at vermes ovum parere unicolor, et cute molli dixit. denique {soepius} <saepius> ita loquutus est Gal. quoque .v. de comp. med. sec. loc.[17] ova araneorum nominat.

Tuttavia Aristotele non ha esitato a chiamare semplicemente uova anche quelle di questo tipo e disse che le locuste depongono le loro uova nelle fessure, e la prole dei bruchi la chiama uova. E aggiunge che le cicale femmine dopo il coito sono più gustose dei maschi, in quanto hanno delle uova candide gradite al palato, mentre disse che i vermi producono un uovo di un solo colore e dall'involucro molle. Infine, più frequentemente si è espresso così anche Galeno in De compositione medicamentorum secundum locos V, quando parla delle uova dei ragni.

Igitur quae improprie ova vulgo dicuntur ab Arist. passim vermiculi appellantur; interdum vermiculi ovi speciem gerentes, interdum vermiculi immobiles, nonnunquam similia cartamo, aut milio, nonnunquam simpliciter ova. Revera autem et ova, et vermes ea possumus nominare: propterea, quod si ova sunt, parum abest, quin vermes sint, cum pauculo spatio vermes evadant: Quod si vermes sint, tamen ova ad sensum videntur, quod membrana obvolvantur, ut ova, cum interea intus vermen habeant, ut dicit Arist. de locustis: quarum vermiculi terra quadam praetenui tanquam membrana ambiuntur; qua dissecta emergunt locustae, et evolant: et paulo post[18]. Hic concoctione peracta exeunt ex illo terreno amiculo parvae locustae.

Pertanto, quelle che comunemente vengono dette impropriamente uova, da Aristotele vengono ovunque dette vermicelli, talora vermicelli che somigliano a un uovo, talora vermicelli immobili, talora simili al cartamo o al miglio, talvolta semplicemente uova. In realtà possiamo chiamarli sia uova che vermi, in quanto, se sono uova, poco manca che siano dei vermi, dal momento che in breve tempo diventano vermi. Ma, se sono dei vermi, tuttavia alla vista sembrano uova, in quanto come le uova sono avvolti da una membrana, mentre nel frattempo all'interno hanno un verme, come dice Aristotele a proposito delle locuste, i cui vermicelli sono avvolti da uno strato di terra assai sottile come se fosse una membrana, tagliata la quale escono le locuste e volano. E poco dopo: allora, terminata la maturazione, escono delle piccole locuste da quel mantello di terra.

Caeterum hoc loco, ut aequivocatio omnis tollatur, illud scire convenit, quod insecta, quae per coitum gignunt, fere omnia ut plurimum ova pariunt, atque haec in nonnullis in toto generationis cursu, et serie unica sunt, ut in muscis, apibus, vespis, formicis: in nonnullis duplicia, ut in erucis, locustis, sericinis animalibus bombicibus, et omnibus, quibus animal non unicam, sed duplam, aut trinam generationem subit, et in aliam speciem mutatur.

Inoltre, a questo punto, affinché ogni equivoco venga eliminato, conviene sapere che quasi tutti gli insetti che generano attraverso il coito, per lo più partoriscono delle uova, e queste in alcuni, durante tutto lo svolgersi della generazione, sono di un solo tipo, come nelle mosche, nelle api, nelle vespe e nelle formiche; in alcuni sono di due tipi, come nei bruchi, nelle locuste, nei bachi da seta e in tutti quelli in cui l'animale va incontro non a una sola, ma a due o a tre generazioni e si trasforma in un altro aspetto.

Nam sericina animalia primum ova sunt, quae mutantur in vermes, inde vermes iustum incrementum assecuti sese in folliculum a se ipsis fabricatum includunt, et evadunt Aureliae {χρυσάλιδες} <χρυσαλλδες> ita ab Arist. dictae[19], quae sunt fere immobiles: et paulo post tertio evadunt papiliones, qui rupto folliculo foras evolant. In iis igitur, quarum trina succedit generatio, bina conspiciuntur ova, videlicet prima, ex quibus primo vermis gignitur; et secunda, in quae postea veluti in folliculos sese includunt.

Infatti i bachi da seta dapprima sono uova che si trasformano in vermi, quindi i vermi, dopo aver acquisito un giusto accrescimento, si rinchiudono in un sacchetto fabbricato da loro stessi e diventano aurelie - dorate, dette da Aristotele chrysallídes crisalidi - dorate, che sono quasi immobili. E poco dopo, come terza tappa, escono delle farfalle che volano fuori dopo aver rotto il bozzolo. Pertanto in essi, la cui generazione si svolge in tre tappe, si vedono due tipi di uova, cioè il primo tipo dalle quali dapprima si genera un verme, e il secondo tipo entro le quali successivamente si rinchiudono come se fosse un sacchetto.

Sunt praeterea nonnulla ova unica quidem, sed tamen quae prima, seu {primogenia} <primigenia> non sunt, hoc est a principio non apparent. sed postea, ut sunt erucae illae, quae sponte naturae oriuntur, quae a principio vermiculi sunt, {possea} <postea> auctae, et erucae factae sese in folliculum includunt, qui ovi speciem refert. Nullum horum proprie ovum appellavit Arist. sed vermem; tamen ab ovi specie ambo ova dixit, hoc est, et unica, et duplicia pluribus in locis. Nam de primo ovo ait[20], quod erucae, et foetus aranearum, et complurium aliorum primordia esse videntur ova, quod propter figurae orbiculatam speciem ova appareant, et locustas in rimis sua ova parere asseruit[21].

Inoltre vi sono alcune uova che sono uniche, ma che tuttavia non sono tali sin dall'inizio o generate come tali, cioè, inizialmente non sembrano uova, ma successivamente, come lo sono quei bruchi che nascono per volere della natura, che inizialmente sono dei vermicelli, successivamente, dopo essersi accresciuti ed essere diventati dei bruchi, si rinchiudono in un sacchetto che sembra un uovo. Aristotele non ha denominato nessuno di questi in modo appropriato col termine di uovo, ma con quello di verme, anche se li ha denominati ambedue uova per il fatto di avere l'aspetto di un uovo, cioè, sia unici che duplici, in parecchi passi. Infatti a proposito del primo uovo dice che i bruchi e i feti dei ragni e gli abbozzi di molti altri animali sembrano essere uova, in quanto, a causa dell'aspetto rotondo, paiono uova, e affermò che le locuste depongono le loro uova nelle fessure.

De secundo autem ovo loco citato de gen. an.[22] paulo infra Arist. dicit, omne hoc vermiculi genus, ubi suae magnitudinis finem receperit, quasi ovum efficitur: indurescit enim putamen eorum, et tantisper immota redduntur{.}<,> quod in vermiculis apum, et vesparum, atque etiam in erucis apertum est.

Circa il secondo uovo, che poco avanti si trova nel passo citato del De generatione animalium, Aristotele dice che tutto questo genere di vermicelli, quando ha raggiunto il massimo delle sue dimensioni, diventa una sorta di uovo: infatti il loro rivestimento si indurisce e nel frattempo diventano immobili, il che è evidente nei vermicelli delle api e delle vespe, come pure nei bruchi.

[21] Quia vero eiusmodi ab Arist. potius vermes, quam ova dicuntur, ideo subiungit causam, cur non ova, sed vermes appellentur: dicens ovum nequaquam figura, aut mollitie, aut duritie definiendum esse. etenim sunt conceptus nonnullorum duri, quamvis, ovo diversi: sed quod totum mutetur, nec ex parte eius animal gignatur, id vermis est, inquit Arist.[23]

Ma siccome siffatte formazioni vengono dette vermi da Aristotele anziché uova, pertanto aggiunge il motivo del perché vengono chiamate non uova, ma vermi, dicendo che un uovo non deve assolutamente essere così definito in base all'aspetto, o alla mollezza, o alla durezza. Infatti i concepimenti di alcuni animali sono duri anche se diversi da un uovo. Ma Aristotele dice che è un verme tutto ciò che cambia completamente e da una sua sezione non è generato un animale.

Et de ovis improprie dictis, videlicet eorumque differentiis hactenus. At ova proprie dicta, quorum ex parte animal gignitur, et ex parte nutritur, de quibus sermo a nobis potissimum instituendus est. Arist. divisit in perfecta, et imperfecta[24]. Perfecta dixit, quae in utero absolvuntur, et consummantur: Imperfecta vero, quae excluduntur debitam magnitudinem minime assecuta, sed extra postea adaugentur, ut piscium ova, et crustatorum, et mollium. Nos in praesentia: aliis posthabitis, de perfectis agemus: quorum differentiae desumuntur a colore, figura, magnitudine, duritie, et mollitie, faecunditate, et id genus aliis.

Fin qui per quanto riguarda le uova impropriamente dette e le loro differenze. Ma dobbiamo soprattutto impostare un discorso a proposito delle uova propriamente dette, da una parte delle quali un animale viene generato e viene nutrito dall'altra parte. Aristotele le ha suddivise in perfette e imperfette. Chiamò perfette quelle che vengono ultimate e portate a termine nell'utero, imperfette quelle che vengono deposte senza aver minimamente raggiunto la dovuta grandezza, ma che successivamente si accrescono all'esterno, come le uova dei pesci, dei crostacei e dei molluschi. Adesso, rimandando le altre cose, mi dedicherò alla trattazione di quelle perfette, le cui differenze si desumono dal colore, dalla forma, dalla grandezza, dalla durezza e dalla morbidezza, dalla fecondità e da altre cose del genere.

A Colore, quia alba sunt, ut bona eorum pars, videlicet columbarum, perdicum, Gallinarum, ut ait Aristo. loco citato[25]: alia alterius coloris, videlicet pallida, ὠχρὰ graece ut palustrium: aut rubicunda ut tinnunculi: et haec vel unius coloris sunt, ut iam proposita: vel maculata, aut punctis {dictincta} <distincta>, ut phasianorum, meleagridum.

Dal colore, in quanto sono bianche, come accade per buona parte di esse, cioè quelle delle colombe, delle pernici, delle galline, come dice Aristotele nel passo citato. Altre sono di un altro colore, cioè giallognole, in greco øchrà - giallo pallido, come quelle degli uccelli palustri, oppure rossastre come quelle del gheppio* - Falco tinnunculus, e queste sono di colore uniforme, come quelle appena citate, oppure macchiettate o punteggiate come quelle dei fagiani* e delle faraone*.

Figura, quia alia ova sunt perfecte rotunda, ut piscium; alia oblonga, quae dupliciter adhuc variant: alia enim ex altero extremo latiora, crassiora, et obtusiora, ex altero acutiora, ut Gallinarum, alia aequalia ex utroque extremo sunt, ut serpentum. Rursus magnitudine quoque variant: quod alia minima, ut piscium, formicarum; alia parva, ut avicularum, et serpentum: alia magna, ut Gallinarum: alia maxima, ut anserum, et pavonum: alia perquam maxima, ut struthiocameli, e quorum putaminibus ferunt Aethyopes casas suas tegere.

Per la forma, in quanto alcune uova sono perfettamente rotonde, come quelle dei pesci, altre sono bislunghe, le quali per giunta hanno due varianti: infatti alcune a un'estremità si presentano più larghe, più spesse e più ottuse, all'altra estremità sono più aguzze, come quelle delle galline; altre sono uguali alle due estremità, come quelle dei serpenti. Inoltre variano anche in grandezza, in quanto alcune sono piccolissime, come quelle dei pesci e delle formiche, altre sono piccole, come quelle degli uccellini e dei serpenti, altre sono grandi, come quelle delle galline, altre sono molto grandi, come quelle delle oche e dei pavoni, altre oltremodo grandi, come quelle dello struzzo, con i cui gusci, dicono, gli Etiopi coprono le loro capanne.

Item differunt ova per mollitiem, et duritiem: appello autem dura ova, quae cortice donantur; mollia, quae eo carent: unde alia sine duro cortice, ut serpentum; alia cum ipso sunt, ut caetera: atque hae differentiae ab exterius positis desumuntur. Rursus ova inter se differunt per ea, quae interius adsunt: qua ratione ait Arist.[26] alia plus lutei, ut palustria, alia minus habent, ut alia. Potissima autem ovorum differentia (ni fallor) desumitur ab ovi foecunditate, secundum quam alia irrita sunt, alia foecunda.

Parimenti, le uova differiscono per la morbidezza e la durezza. Infatti chiamo uova dure quelle che sono dotate di guscio, molli quelle che ne sono sfornite. Per cui alcune sono senza guscio, come quelle dei serpenti, altre lo posseggono, come accade per le altre. Queste differenze a loro volta sono desunte dalle caratteristiche esterne. Inoltre le uova differiscono fra loro per il loro contenuto, motivo per cui Aristotele dice che alcune posseggono una maggiore quantità di tuorlo, come quelle degli uccelli palustri, altre ne hanno di meno come accade per le altre uova. Se non erro, la più importante differenza delle uova si desume dalla fecondità dell'uovo, in base alla quale alcune sono sterili, altre feconde.

Potissimam autem hanc esse differentiam ex eo patet, quod his imprimis sunt nomina propria indita, qualia sunt ova subventanea, Zephyria, canicularia, urina, hypenemia, {synosira} <cynosura>. Ovum subventaneum, et irritum latinis, Aristoteli[27] vero {ἀνεμινῖον} <ἀνεμιαῖον>[28] et {ὑπενέμιον} <ὑπηνμιον>[29], Platoni {ἀνεμίδιον} <ἀνεμιαῖον>[30] et Aphrodiseo ἐξούρισαν ita dicitur, quod vento conceptum sit[31], e quo gigni nihil potest. Antiqui enim opinabantur ovum vento concipi posse, propterea quod tunc ova gignunt pennata, cum singulares quidam venti flant: inter quos Arist. voluit[32], praecipuum esse Zephyrum; unde Zephyria ova appellata quoque sunt: eo quod, ut dicit Arist. verno tempore aves flatus illos foecundos ex Favonio seu Zephyro recipere videantur.

Che questa sia la differenza più importante risulta evidente dal fatto che innanzitutto a quelle del primo tipo sono stati assegnati dei nomi specifici, come quello di uova subventanee, zefirine, canicolari, ventose, piene di vento, della canicola di agosto*. L'uovo ventoso e infruttuoso per i Latini, per Aristotele viene detto anemiaîon e hypënémion, anemiaîon per Platone* e exoúrisan – che ha emesso vento? - per Alessandro di Afrodisia*, in quanto sarebbe concepito dal vento, dal quale nulla può essere generato. Infatti gli antichi pensavano che l'uovo potesse venir concepito dal vento in quanto i pennuti generano delle uova quando soffiano dei venti insoliti, tra i quali Aristotele ha voluto che il principale è Zefiro*, per cui sono anche state chiamate uova zefirine, in quanto, come dice Aristotele, in primavera sembra che gli uccelli ricevano quei soffi fecondi dal Favonio* o Zefiro.

Utrum autem aut per os, aut per vulvam, aut per totius corporis poros, aves favonium recipiant, non ita liquet. Neque mirandum, priscos credidisse, ova a vento quopiam generari, cum quoque in Hispania, hoc est Lusitania ex vento equas concipere, et tres annos tantum vivere Varro testetur 2. de re rustica[33], et {Virg.} <Verg.> 3. Georgicorum[34]. Subdit [22] Arist.[35] idem fieri, hoc est generari ova subventanea, seu Zephyria si digito in genitale palpetur. Ova haec Arist.[36] stericia, et minora, ac minus iucundi saporis, et magis humida, quam ea, quae foecunda gignuntur, sed plura numero esse ait.

Non è così chiaro se gli uccelli ricevano il Favonio attraverso la bocca, o attraverso la vulva, oppure attraverso i pori di tutto il corpo. Né bisogna meravigliarsi se gli antichi hanno creduto che le uova vengono generate da un vento, dal momento che Varrone in Rerum rusticarum II è testimone del fatto che anche in Spagna, più precisamente in Lusitania, le cavalle concepiscono grazie al vento e che - i puledri - vivono solo tre anni, e lo scrive anche Virgilio nelle Georgiche III. Aristotele aggiunge che accade la stessa cosa, cioè, che vengono generate delle uova ventose, o zefirie, se con un dito si palpa l'area genitale. Aristotele dice che queste uova sono sterili, più piccole, di sapore meno gradevole e più umide di quelle che vengono generate feconde, ma dice che sono assai numerose.

Ova quoque graece appellantur αὐτόματα idest spontanea, quod sponte oriantur, idest sine semine, et utero. Ultimo dicuntur ova urina, et {synosira} <cynosura>, quae a grammaticis cum praedictis confunduntur propter etymon, quod uros ventum significet: sed diversa sunt, ut ex Plinio, et Arist. patet, qui ait, esse ova depravata, vitello corrupto, et diffuso, eo modo, quo vinum aestate faece subversa corrumpitur. Plinius[37] autem urina ova dicit esse ex incubatione derelicta, et idem habet Arist. 6. de hist. ani. cap. 4.[38] His de ovorum differentiis ita exploratis iam ovi compositionem aggrediamur.

Le uova in greco sono pure chiamate autómata, cioè spontanee, in quanto nascerebbero spontaneamente, ossia senza seme e utero. Infine, sono dette uova ventose e della canicola di agosto, che dai filologi vengono confuse con le precedenti a causa dell'etimologia, in quanto oûros - in greco - significa vento. Ma esse sono differenti, come risulta chiaramente da Plinio, nonché da Aristotele che dice essere uova guaste, dal tuorlo alterato e disperso, allo stesso modo in cui il vino in estate si rovina quando ne è stata rimescolata la feccia. Ma Plinio dice che le uova ventose sono quelle che provengono da un'incubazione che è stata interrotta e la stessa cosa la riferisce Aristotele in Historia animalium VI,4. Dopo aver così analizzato queste differenze delle uova, adesso dedichiamoci alla composizione dell'uovo.

Componitur ovum ex vitello, albumine, chalazis duabus, tribus membranis, videlicet una vitelli propria, duabus totius ovi communibus, demum cortice: quibus duo addenda sunt, quae vere ovi partibus annumerari non possunt: Alterum est quaedam exigua cavitas in obtusiore ovi parte intus prope putamen efformata; Alterum perexiguum, albumque vestigium quasi rotunda cicatricula[39] vitelli superficiei adnata. Quorum omnium historia exactius nobis afferenda est, ab externis exordientibus.

L'uovo è composto dal tuorlo, dall'albume, da due calaze, da tre membrane, cioè una appartenente al tuorlo e due in comune a tutto l'uovo, infine dal guscio. A queste cose bisogna aggiungerne due, che non possono essere correttamente incluse nelle parti che costituiscono l'uovo: una consiste in una piccola cavità, in corrispondenza della parte ottusa dell'uovo, formatasi all'interno e in vicinanza del guscio, l'altra è una struttura piccolissima e bianca simile a una piccola cicatrice rotonda che si è formata sulla superficie del tuorlo. Di tutte queste strutture debbo dare una descrizione più accurata, a cominciare da quelle esterne.

Ovi exterius operculum, cortex, et Putamen appellatur a Plinio[40]: ovi testa a Quinto Sereno[41]: graece autem pluribus vocatur nominibus ὄστρακον Aristoteli[42] λεπύριον et κέλυφος Hippocrati[43], λέμμα Aristophani[44]; λέπος Anatolio[45]; quae omnia nomina testam duram, et squamosam significant.[46] Est enim exterius ovi integumentum durum, tenue, friabile, porosum, colore vario, nimirum candido, pallido, rubro, maculato, et punctis distincto: videlicet gallinarum, et columbarum candido, palustrium pallido, tinnunculi rubro, ut minium, Phasianorum maculato, punctisque distincto, ut ait Arist.[47]

Il rivestimento più esterno dell'uovo - il guscio - viene detto da Plinio cortex e putamen, ovi testa da Quinto Sereno Sammonico*. In greco viene chiamato con parecchi nomi: óstrakon per Aristotele, lepýrion e kélyphos per Ippocrate*, lémma per Aristofane*, lépos per Vindanio Anatolio*, tutti termini che significano guscio duro e ruvido. Infatti il rivestimento esterno dell'uovo è duro, sottile, friabile, poroso, di colore variabile, cioè, bianco, giallognolo, rosso, macchiettato e punteggiato. Cioè: bianco quello delle galline e delle colombe, giallognolo quello degli uccelli palustri, rossastro come il minio quello del gheppio - Falco tinnunculus*, macchiettato e punteggiato quello dei fagiani*, come dice Aristotele.

Putamen non omnia ova sortita sunt. Etenim serpentium ova eo destituuntur, et gallinae aliquot solent, raro tamen, sine cortice ovum parere: id quod Aristo.[48] vitio quopiam evenire scribit, ova cuncta volucrum duro putamine constare tradidit. Putamen quanquam durum est, non tamen aequaliter in omnibus partibus durum apparet, sed durius ad ovi principium, et superiorem partem est. Appellat autem Arist.[49] superiorem ovi partem, et principium, acutam ovi partem, quae posterius exit. Sed haec sententia evidentibus consentire non videtur, quia pars obtusior, ovi principium est, videlicet pulli principium; nisi forte Arist. ovi principium distinguat a pulli principio, aut codex depravatus sit.

Non tutte le uova sono dotate di guscio. Infatti le uova dei serpenti ne sono sfornite e alcune galline sono solite deporre un uovo senza guscio, anche se raramente. Aristotele scrive che ciò accade per un qualche difetto e ha affermato che tutte le uova degli uccelli sono dotate di un guscio duro. Anche se il guscio è duro, tuttavia non si presenta ugualmente duro in tutti i punti, ma è più duro presso il punto dove l'uovo inizia e nella parte superiore. Aristotele definisce come parte superiore dell'uovo e inizio il polo acuto dell'uovo, che esce per ultimo. Ma questa affermazione non sembra essere suffragata dall'evidenza, in quanto il polo ottuso è il principio dell'uovo, cioè l'origine del pulcino. A meno che per caso Aristotele distingua l'inizio dell'uovo dal punto di origine del pulcino, oppure che il codice sia corrotto.

Sed si dicamus, Arist. errasse, eius error ab eo forte fluxit, quia falso existimavit pro ovi augmento appendiculam quasi umbilicum, acutae ovi parti appensam esse, ex qua augmentum ovo accedit, id quod sensui non consentire supra demonstratum est. Sub putamine duae consistunt membranae totum investientes ovum; quarum prima cortici proxima, firmior, crassior, minusque mollis, quam subiecta liquoribus contigua. Postea albumen, vitellus, et chalazae apparent.

Ma se diciamo che Aristotele ha sbagliato, forse il suo errore è derivato dal fatto di aver erroneamente giudicato che servisse all'accrescimento dell'uovo una piccola appendice, simile a un ombelico, che è appesa alla parte acuta dell'uovo, attraverso la quale giunge l'accrescimento all'uovo, cosa che prima si è dimostrato non corrispondere all'esperienza. Sotto al guscio si trovano due membrane che rivestono completamente l'uovo, la prima delle quali è vicina al guscio, è più robusta, più spessa e meno morbida di quella che sta sotto e che è a contatto coi liquidi. Poi si vedono l'albume, il tuorlo e le calaze.

Albumen, ovi albus liquor Plinio[50], ovi candidum Celso[51], ovi albor Palladio[52]; Item ovi album, et albamentum Apicio[53]. Graece λευκὸν; ab Arist. {ὤου} <ὠοῦ> λεύκωμα; ab Anaxagora[54] ut apud Atheneum[55] ὄρνιθος γάλα .i. lac avium dicitur: quod idem sensit Alcmaeon Crotoniates[56], ut refert Arist.[57] Est ovi liquor frigidus, lentus, albus, varius crassitie. (Nam ad obtusam, [23] acutamque ovi partem liquidius, in aliis partibus crassius visitur:) et copia (copiosior enim est ad obtusam ovi partem, minus ad acutam, et adhuc minus in caetera ovi parte) vitellum undique obtegens, et cingens.

L'albume per Plinio è ovi albus liquor - liquido bianco dell'uovo, ovi candidum per Celso*, ovi albor per Palladio*, inoltre ovi album e albamentum per Apicio*. In greco viene detto leukón; da Aristotele øoû leúkøma - bianco dell'uovo; da Anassagora*, così come presso Ateneo*, è detto órnithos gála - latte di uccello / di gallina, cioè, latte degli uccelli, la stessa cosa che pensava Alcmeone di Crotone*, come riferisce Aristotele. Quello dell'uovo è un liquido freddo, viscoso, bianco, variabile per densità (infatti verso la parte ottusa e acuta dell'uovo appare più liquido, nelle altre parti più denso) e per quantità (infatti è più abbondante verso la parte ottusa dell'uovo, meno verso quella acuta, e ancora meno in tutta l'altra parte dell'uovo) ricopre e circonda il tuorlo da tutte le parti.

Vitellus autem a vita sic dictus est, quod eo vivat pullus: dicitur quoque a colore ovi luteum: graece χρυσὸν Hippocrati[58] χλωρὸν Aristoteli[59] ὠχρὸν, et {λέχυτον} <λέκιθον>: Antiqui (ut Suidas[60] ex {menandro} <Menandro[61])> νεοττν .i. pullum appellarunt: quod existimarent ex ea ovi parte pullum nasci. Est ovi liquor mollissimus, tenuissima membrana obductus: qua abrupta effluit, neque amplius in se constans detinetur; in medio ovi consistens: colore modo luteo, modo inter flavum, et pallidum medio, perfecte rotundus, magnitudine varius, pro pennatorum magnitudinis varietate, palustria enim plus lutei, terrestria plus albi habere scribit Arist.[62] Unicus vitellus in quoque ovo est, raro duo reperiuntur, alter alteri superpositus, ut in maioribus ovis.

Il vitello - o tuorlo - è così denominato dalla vita, in quanto grazie a lui vive il pulcino. Per il colore è anche detto giallo dell'uovo: in greco suona chrysós – oro, per Ippocrate chlørós - verdegiallo, per Aristotele øchrós - giallo - e lékithos - purè di legumi. Gli antichi (come il lessico Suida* che lo trae da Menandro*) lo chiamarono neottós - piccolo di uccello, cioè, pulcino, in quanto pensavano che il pulcino nascesse da quella parte dell'uovo. Il tuorlo è un liquido dell'uovo molto molle avvolto da una membrana assai sottile, rotta la quale, fuoriesce e non rimane più radunato. Si trova al centro dell'uovo, talora è di colore giallo, talora tra il giallognolo e il giallino, perfettamente rotondo, di grandezza variabile a seconda della diversa grandezza dei pennuti. Infatti Aristotele scrive che gli uccelli palustri posseggono più tuorlo, che quelli terresti hanno più albume. In ogni uovo si trova un solo tuorlo, raramente ne vengono trovati due, uno sovrapposto all'altro, come nelle uova più grosse.

Chalazae .i. grando[63], seu grandines. Sic enim appellantur ab Arist.[64] {sunt} <Sunt> uti alias dictum est, duo corpora grandini similia, alba, concreta, nodosa, luciditatis cuiusdam non expertia, ut grando. Haec non in albumine quidem solum degunt, sed vitello magis, quam albumini adhaerescunt, eiusque membranae appenduntur. Longiusculaque sunt, ita ut in decocto ovo ex altero extremo ipsi vitello, ex altero membranae albumini proximae, et superstanti appendantur. Sunt duae chalazae, uti quoque Arist. dicit[65] altera, et minor in acuta ovi parte consistens, altera in latiore, et obtusa, quae maior est[66], et longior ex duobus, aut tribus nodis quasi grandinis granis, globulisque conflatae, ita modico intervallo inter se distantibus{.}<,> ut alter alterum tenui substantia eiusdem generis quasi funiculo coniungat, et copulet.

Le calaze, cioè, grandine o grandini. Infatti sono così chiamate da Aristotele. Come altrove si è detto, sono due formazioni simili alla grandine, bianche, dense, nodose, non prive di una certa lucentezza, come la grandine. Esse non giacciono solamente nell'albume, ma aderiscono più al tuorlo che all'albume e sono attaccate alla membrana del tuorlo. E sono piuttosto lunghe, tant'è che, in un uovo bollito, a un'estremità sono attaccate al tuorlo stesso, all'altra estremità sono attaccate alla membrana posta vicina e sovrastante l'albume. Le calaze sono due, come dice anche Aristotele, una, la più piccola, si trova nel lato acuto dell'uovo, l'altra si trova dal lato più largo e ottuso, ed è la più grande e la più lunga, composte da due o tre strutture nodulari simili a chicchi e a sferette di grandine, distanti così poco fra loro da congiungere e unire i nodi l'uno all'altro con sostanza sottile dello stesso tipo come se fosse una cordicella.

In Indica gallina, et maioribus avibus plures visuntur globuli, et nodi; et propter plures nodos, quasi grandines, quos utraque chalaza obtinet, chalazae in plurali numero, non chalaza in singulari, ab Arist. (uti opinor) dictae sunt[67]. Quod si nos per singularem interdum pronunciamus, causa est, ne aequivocatio cadat, dum alteram alteri comparamus, videlicet eam quae in obtusiore, et eam quae acutiore est ovi parte ut Arist. quoque dixit has duas chalazas, alteram parti superiori vitelli, alteram inferiori iunctam. Hae reperiuntur indifferenter in ovo gallum experto, et non experto: perpetuoque adsunt. Neque enim ego non adesse unquam comperii.

Nella tacchina e negli uccelli più grandi si vede un numero maggiore di sferette e di strutture nodulari; e a causa dei numerosi nodi, simili a chicchi di grandine, che ambedue le calaze posseggono, a mio avviso da Aristotele sono state chiamate calaze al plurale, non calaza al singolare. Ma, se talora lo diciamo al singolare, il motivo è perché non si verifichi un equivoco mentre paragoniamo una all'altra, cioè quella che si trova dalla parte ottusa e quella che si trova dalla parte acuta dell'uovo, come anche Aristotele disse che queste due calaze sono unite una alla parte superiore del tuorlo, l'altra a quella inferiore. Esse si rinvengono indifferentemente in un uovo che ha conosciuto e non ha conosciuto il gallo, e sono sempre presenti. Infatti giammai ho appurato la loro assenza.

Quod si aliquando ovum chalazis destitutum invenias, dicas, id omnino praeter naturam esse, et rarissime contingere, aut analogon quid esse positum, ut in minimis ovis: ego sane, ovo omisso anserino, indico, gallinaceo et nostratis gallinae, in quibus magnitudine effatu dignae {calazae} <chalazae>, inveni insuper manifeste in columbo domestico, nec non turrita adesse {calazas} <chalazas>: quinimo conspectui sese quoque obtulerunt, vel etiam in perquam exiguis passerculorum ovis, in quibus perinde tenuissimus, albusque pilus, aut filum, aut nervulus, oculorum acie fuit cernere, sed id tantummodo in claro sole primaque eius luce a sole proficiscente, nequaquam in secunda; ut ex his concludendum videatur, consentaneum esse omnibus {calazas} <chalazas> adesse ovis, abstinui autem formicarum ova, et alia id genus perquam minima contemplari, ratus oculi hominis aciem illuc non perventuram, sed {calazis} <chalazis> analogon quid in similibus immensae exiguitatis ovis supponendum esse conieci.

Ma se talora si trovasse un uovo privo di calaze, si potrebbe dire che ciò è completamente innaturale e che accade assai raramente, oppure che vi si trova qualcosa di analogo a ciò che è presente nelle uova piccolissime. Io, in verità, tralasciando l'uovo di oca, di tacchina, di gallina e di gallina nostrana, nelle quali le calaze sono degne di essere citate per le loro dimensioni, ho trovato in modo assai chiaro che le calaze sono presenti nel colombo domestico e anche nel torraiolo: che anzi anche queste sono state visibili, persino anche in uova assai piccole di passerotti, nelle quali ugualmente fu possibile vedere, aguzzando la vista, un pelo bianco assai sottile, o un filo, o un filamento, ma solamente con un sole splendente e alla sua prima luce che si irradia dal sole, giammai alla seconda. Benché da queste cose sembri di poter concludere che sia veritiero il fatto che in tutte le uova sono presenti le calaze, però mi astenni dall'osservare le uova delle formiche e le altre di questo tipo estremamente piccole, conscio del fatto che gli occhi dell'essere umano non giungerebbero fino a quel punto di acutezza visiva, ma ho arguito che bisogna presumere che un qualcosa di analogo alle calaze è presente in simili uova estremamente piccole.

Iam igitur omnia corpora ovum [24] componentia descripta, et proposita sunt. Nunc duo alia, quae potius ovi affectiones, quam partes appellare licet, recensenda supersunt. Unum est alba veluti cicatricula perexigua, rotunda, et plana, ut circulus lentis magnitudinem aequans quae cuique vitello impressa, adnataque conspicitur: quam existimavimus esse ipsius pedusculi separationis vestigium. Eam in magno vitello duplicem aliquando observavimus, alteram alteri satis propinquam, et alteram altera minorem{.}<,> quod duplici pediculo fuerit merito donatus, quo firmius magnus vitellus ovario, seu racemo appenderetur: quod ita esse, propinquitas utriusque manifestat.

Pertanto sono state infine descritte ed esposte tutte le parti che compongono l'uovo. Adesso rimangono da esaminare altre due strutture che si possono chiamare patologie dell'uovo anziché componenti. Una somiglia a una piccolissima cicatrice bianca, rotonda e piatta che per dimensioni è pari alla circonferenza di una lenticchia e che si vede incisa e nata sopra a ciascun tuorlo: ho pensato fosse un residuo della separazione del peduncolo. Talora in un tuorlo grande l'abbiamo vista doppia, una abbastanza vicina all'altra e una più piccola dell'altra, in quanto giustamente il tuorlo sarà stato dotato di due peduncoli, affinché un grosso tuorlo rimanesse appeso in modo più saldo all'ovaio o grappolo. Che le cose stessero così lo dimostra la reciproca vicinanza.

Alterum est exigua quaedam cavitas in obtusiore parte intus prope putamen efformata, non exacte in cacumine, sed ad latus, et inferius {quadantenus} <quadamtenus> oblique, procedensque interius e directo subiecta respondet chalazae, quam intueberis ovo adversa luce posito. In gallinis, et aliis plerisque circulum refert: in anate, et ansere cavitas quidem adest perpetuo, sed exacte circulum non refert. Ea si conspiciatur simul, atque ovum editum est, et recentissimum, perexigua apparet, ut perexiguus nummulus vulgo soldino appellatus, fereque minimi digiti unguem non excedit: sensim tamen subinde maior redditur, quo requieta magis ova sunt, ut puta ab ambiente exiccato ea parte paullatim albumine: sed in pullo iam in ovo efformato adhuc amplior efficitur: amplissima autem est, {itaut} <ita ut> propemodum ovi medietatem aequet, et obliqua admodum, cum pullus grandis est, et ad exitum properat.

L'altra struttura è una piccola cavità che si è formata internamente in corrispondenza del polo ottuso a ridosso del guscio, non proprio all'apice, ma lateralmente e un po' obliquamente verso il basso, e spingendosi all'interno si trova in diretta corrispondenza con la calaza, e la vedrai ponendo l'uovo controluce. Nelle galline e nella maggior parte degli altri volatili ha forma circolare. Nell'anatra e nell'oca la cavità è sempre presente, ma non è perfettamente circolare. Se venisse osservata non appena l'uovo è stato deposto ed è freschissimo, appare molto piccola, come una monetina piccolissima detta comunemente soldino, e quasi non supera in grandezza l'unghia del dito mignolo. Tuttavia successivamente diventa pian piano più grande quanto più le uova sono vecchie, cioè, essendosi pian piano essiccato in quel punto l'albume circostante. Ma diventa ancora più grande nel pulcino quando poi si è formato nell'uovo: infatti è grandissima, tanto da uguagliare quasi la metà dell'uovo, ed è molto obliqua quando il pulcino è grande e si affretta a uscire.

Fere semper unica visitur: semel tamen in cocto ovo triplicem inveni, unam alteri contiguam, omnes sane in cacumine positas, duas tamen aequales, tertiam minorem. Hanc cavitatem cupio vos non oscitanter observare propter usus non vulgares, quos praebere suo loco audietis; necessitatem huius cavitatis coniicies ex duobus; primum ex ratione Arist. desumpta a testibus, quod scilicet huius {neccessitatis} <necessitatis> ratio inde habetur, quia omnibus perpetuo inest ovis: Deinde, quia cum ovo descendente per partem obtusam cavitas adest; repleri sane tota obtusa pars deberet ex pondere corporum ovi internorum, natura tamen ne id succedat, et cavitas omnino ea parte paretur, ovi membranam prope corticem ubique positam, inibi circulo circum corticem alligat relicta ea corticis parte sine membrana, ut cavitas memorata insculpta remaneat[68].

Quasi sempre se ne vede una sola, tuttavia una volta sola in un uovo cotto ne ho trovate tre, una vicino all'altra, tutte localizzate proprio a livello dell'apice, tuttavia due erano uguali, la terza era più piccola. Desidero che voi osserviate attentamente questa cavità a causa degli impieghi non comuni che offre, come a suo tempo verrete a sapere. Desumerai la necessità di questa cavità da due cose. In primo luogo dalla argomentazione di Aristotele ricavata dalle prove, che cioè il motivo della sua necessità deriva dal fatto che è sempre presente in tutte le uova; quindi perché, insieme all'uovo che scende per il lato ottuso, è presente una cavità; in effetti tutta la porzione ottusa dovrebbe riempirsi a causa del peso delle strutture interne dell'uovo, ma, affinché ciò non accada, e affinché la cavità venga interamente approntata da quel lato, la natura fa aderire ovunque la membrana vicino al guscio e in quel punto lo fa in modo circolare, lasciando senza membrana quella parte di guscio affinché la suddetta cavità vi rimanga forgiata.

Illam omnino intueberis, si totum ovi corticem dimidiatim dividas, et tum interius tum exterius cortice ea parte abrupto inspicias; interius enim membranae planum circulum: exterius vero nudum et solum corticem conspicies. In tenuiori vero et interna ovi parte ad eius acumen cavitatem eiusmodi conspicies nullam. Hanc cavitatem eam puto esse, quae Plinio[69] dicitur ceu gutta eminens in putamine, quae a cacumine inest. Nam humor mobilis, ut gutta, visitur in anate indica[70], et nonnullis quoque aliis: eaque praeterea pars est, quae etiam ovi umbilicus esse censetur, propterea quod inibi foetus suae generationis initium sumat. Etenim foetus in media hac cavitate palpitare incipit, ubi etiam Chalaza consistit. Plinius autem ab Arist.[71] id totum desumpsit. Et de ovi historia hactenus.

Potrai senz'altro vederla se dividi a metà tutto il guscio dell'uovo e guarderai sia all'interno che all'esterno dopo aver rotto il guscio in quel punto. Infatti all'interno vedrai un cerchio pianeggiante della membrana, invece esternamente solo il guscio nudo. Nella parte più sottile e interna dell'uovo verso il suo polo acuto non vedrai alcuna cavità di questo tipo. Io penso che questa cavità sia quella che da Plinio viene detta essere come una goccia che sporge nel guscio, la quale si trova sopra all'estremità. Infatti un liquido mobile, come una goccia, è visibile nell'anatra indiana e in alcune altre, inoltre è quella parte che viene ritenuta essere l'ombelico dell'uovo, motivo per cui il feto vi inizierebbe la sua generazione. Infatti il feto comincia a palpitare al centro di questa cavità, dove si trova anche la calaza. Ma Plinio ha desunto tutto ciò da Aristotele. Sin qui la descrizione dell'uovo.

[26] Figurarum in quibus ovi compositio demonstratur explicatio.

Spiegazione delle figure nelle quali si descrive la composizione dell'uovo

Primae figurae.
A. Vitellus ovi.
B. Cicatricula rotunda ipsius Vitelli.
CC. Membrana vitelli propria.
D. Maior C<h>alaza.
E. Minor C<h>alaza.
FFF. Albumen.
GGG. Membranae totius ovi.

Figura 1

A – Tuorlo dell'uovo

B – Cicatricola rotonda del tuorlo

CC – Membrana propria del tuorlo

D – Calaza maggiore

E – Calaza minore

FFF – Albume

GGG – Membrane di tutto l'uovo

Secundae figurae.
I.  Cicatricula alba vitelli.

Figura 2

I – Cicatricola bianca del tuorlo

Tertiae figurae.
KK. C<h>alazae ovi columbarum.

Figura 3

KK – Calaze dell'uovo di colombe

Quartae figurae.
L.  Ovum rotundum.

Figura 4

L – Uovo rotondo

Quintae figurae.
M.  Ovum oblungum.

Figura 5

M – Uovo oblungo

Sextae figurae.
N.  Ovum parvum {qaod} <quod> centeninum dicitur.

Figura 6

N – Uovo piccolo detto centenino

Septimae figurae.
O.  Ovum centeninum corticatum.

Figura 7

O – Uovo centenino col guscio

Octavae figurae.
P. Ovum centeninum sine cortice.
Q. Vitellus ex albumine factus.
R. Albumen.
S. 
C<h>alazae.

Figura 8

P – Uovo centenino senza guscio

Q – Tuorlo costituito a partire dall'albume

R – Albume

S - Calaze

 


[1] Aristotele De generatione animalium III 2, 754a 21 sqq. – Historia animalium VI 10, 565b 24 sqq. – I 5, 489a 34 sqq..

[2] Squatina squatina Linnaeus, 1758 è uno squalo della famiglia Squatinidae e dell'ordine Squatiniformes. Comunemente è detto pesce angelo, forse per la particolare ampiezza delle pinne pettorali che gli conferiscono l'aspetto di un volatore.

[3] I Rajiformes sono un ordine della classe dei pesci cartilaginei. Esistono quasi 600 specie di razze, appartenenti a un numero di famiglie che varia da 12 a 18, secondo gli autori.

[4] Selachimorpha è un superordine di pesci cartilaginei predatori, dalle forti mascelle e di dimensioni medio-grandi, comunemente noti con il nome di squalo o pescecane.

[5] Ecco delle notizie che potrebbero essere inesatte: dovrebbe trattarsi del palombo, anch'esso uno squalo, battezzato Mustelus mustelus da Linneo nel 1758, etichettato anche con il sinonimo Squalus mustelus.

[6] In realtà il lat. ovum si fonda sulla radice indoeuropea OWO-/OJWO-, da cui il greco ᾠόν <*οjν per caduta della j semivocalica e del F intervocalico (che consonantizza in latino), dopo la vocalizzazione della j, e l'allungamento di compenso di ο in ω; l'interpretazione 'solitario' è totalmente errata, dato che il greco οἶος (solo) non ha evidentemente la stessa radice di ᾠόν (uovo).

[7] Aristotele Historia animalium I 5, 489b 14 sqq.– De generatione animalium I 8, 718b 6 sqq..

[8] Aristotele Historia animalium I 5, 489b 6 sqq..

[9] Aristotele Historia animalium I 5, 489b 12-13.

[10] Aristotele Historia animalium V 26, 555a 22 sqq..

[11] Aristotele Historia animalium V 28, 555b 18 sqq..

[12] Aristotele Historia animalium V 19, 551a 16 sqq..

[13] Aristotele Historia animalium V 19, 551a 15 sqq. - V 19, 550b 25 sqq..

[14] Aristotele Historia animalium V 19, 551a 13 sqq..

[15] Aristotele Historia animalium V 28, 555b 19 sqq..

[16] Aristotele Historia animalium V 29, 556a 8 sqq. - V 30, 556b 5 sqq..

[17] Galeno De compositione medicamentorum secundum locos libri X, vol. XII, p. 260,9 Kühn (Leipzig 1826): ᾠὰ ἀραχνίων.

[18] Aristotele Historia animalium V 28, 555b 25.

[19] Aristotele Historia animalium V 19, 551a 19.

[20] Aristotele Historia animalium V 27, 555a 29.

[21] Aristotele Historia animalium V 28, 555b 27. - De generatione animalium III 9, 758b 10 sqq..

[22] Aristotele De generatione animalium III 9, 758b 15 sqq..

[23] Aristotele De generatione animalium III 9, 758b 10 sqq..

[24] Aristotele De generatione animalium III 1, 750b 3 sqq. – specialmente 751a 25.

[25] Aristotele De generatione animalium III 1, 749b 13. - Historia animalium VI 1, 559a 24.

[26] Aristotele Historia animalium VI 1, 559a 19 sqq..

[27] Aristotele Historia animalium X 6, 637b 21 - X 7, 638a 23.

[28] L'aggettivo ἀνεμιαῖος non compare in Aristotele.

[29] Per l'aggettivo ὑπηνέμιος cf. ex. gr. Aristotele Historia animalium X 6, 637b 21; X 7, 638a 23.

[30] Platone Theaetetus 219B 9.

[31] L'uovo ventoso... generato: οὔριον ᾠόν in Aristotele nel senso di 'uovo ventoso, sterile', per es. in De generatione animalium III 2,753a 32; Historia animalium VI 2,562b 11; οὔριος ed ἐξούριας (ἐξούρισαν sembra un manifesto errore) non si trovano in Alessandro di Afrodisia.

[32] Aristotele Historia animalium VI 2, 560a 5 sqq..

[33] Varrone Rerum rusticarum II 1,19: In fetura res incredibilis est in Hispania, sed est vera, quod in Lusitania ad oceanum in ea regione, ubi est oppidum Olisipo, monte Tagro quaedam e vento concipiunt certo tempore equae, ut his gallinae quoque solent, quarum ova hypenemia appellant. Sed ex his equis qui nati pulli, non plus triennium vivunt. - Plinio Naturalis historia VIII,166: Constat in Lusitania circa Olisiponem oppidum et Tagum amnem equas favonio flante obversas animalem concipere spiritum, idque partum fieri et gigni pernicissimum ita, sed triennium vitae non excedere.

[34] Virgilio Georgicon III 266 Scilicet ante omnis furor est insignis equarum; | et mentem Venus ipsa dedit, quo tempore Glauci | Potniades malis membra absumpsere quadrigae. | Illas ducit amor trans Gargara transque sonantem | 270  Ascanium; superant montis et flumina tranant. | Continuoque avidis ubi subdita flamma medullis, | vere magis, quia vere calor redit ossibus: illae | ore omnes versae in Zephyrum stant rupibus altis, | exceptantque levis auras et saepe sine ullis | 275 coniugiis vento gravidae, mirabile dictu, [...].

[35] Aristotele Historia animalium VI 12, 560a 9.

[36] Aristotele Historia animalium VI 12, 559b 24 sqq..

[37] Plinio Naturalis historia X 158-160.

[38] Aristotele Historia animalium VI 2, 560a 5 sqq..

[39] La cicatricola o cicatricula è anche detta discoblastula oppure blastoderma. Blastula deriva dal latino scientifico blastula, diminutivo del femminile greco blástë = germoglio, gemma, rampollo, germe, embrione; equivalente è il maschile blastós che ha lo stesso significato. § Cicatricola o cicatricula deriva dal latino tardo cicatricula = piccola cicatrice, diminutivo di cicatrix = cicatrice. Ristretta zona del polo dell'uovo degli uccelli, dove, subito sotto alla membrana vitellina, si trovano il citoplasma e il nucleo. Dalla cicatricola, detta anche discoblastula o disco germinativo, si svilupperà l'embrione.

[40] Plinio Naturalis historia XI 93 (cortex) X 149 (putamen).

[41] Sereno Sammonico Liber medicinalis 25, 477.

[42] Aristotele De generatione animalium III 9, 758b 5.

[43] Ippocrate De semine 13, 4 λεπύριον De mulierum affectibus 110,34 κέλυφος.

[44] Aristofane Aves 674.

[45] λέπος non compare in un autore di nome Vindanio e / oppure Anatolio.

[46] Per ostrakon (στρακον) cf. ex. gr. Aristotele De generatione animalium III 9, 758b 5; per lepyrion (λεπριον) cf. ex. gr. Ippocrate De semine, de natura pueri, de morbis 13,4 (vol. VII Littré); per kelyphos (κέλυφος) cf. ex. gr. Ippocrate De mulierum affectibus I-III 110,34 (vol. VIII Ballière); per lemma (λέμμα) cf. ex. gr. Aristofane Aves 674; il termine lepos (λπος) non compare in un autore di nome (Vindanio?) Anatolio; viene usato da scrittori di medicina come Galeno, Aetius, Oribasio, da Aristofane, Plut. 1093, e così definito nell'Etymologicum Gudianum, κ p. 314,3: κέλυφος τὸ λέπος τοῦ ᾠοῦ.

[47] Aristotele Historia animalium VI 2, 559a 24 sqq..

[48] Aristotele Historia animalium VI 2, 559a 15 sqq..

[49] Aristotele Historia animalium VI 2, 559a 15 sqq. - 559a 26 sqq..

[50] Columella De Agricultura VI 38 ovorum albus liquor – Plinio Naturalis historia XXXVII 190 in ovis liquor.

[51] Celso De medicina V 2 ovi album etc.

[52] Palladio Opus agriculturae XI,14,9: In album colorem vina fusca mutari, si ex faba lomentum factum vino quia adiciat vel ovorum trium lagenae infundat alborem diuque commoveat: sequenti die candidum reperiri.

[53] Apicio De re coquinaria 5, 3, 4.

[54] Anassagora Frammenti 22, 2 D.-K.

[55] Ateneo Deipnosophistaí IX,37,387b.

[56] Alcmeone Frammento 16, 4 Diels-Kranz λευκὸν... γάλα pr. Aristotele De generatione animalium III 2, 752b 22.

[57] Aristotele De generatione animalium III 2, 752b 22.

[58] Ippocrate De semine 30, 57.

[59] Aristotele De generatione animalium III 2, 751b 14. – Historia animalium VI 3, 562a 29.

[60] Suda ·νυ 214.

[61] Menandro Frammento 42.

[62] Aristotele De generatione animalium III 1, 751b 8 sqq..

[63] L'italiano calaza deriva dal greco chálaza, grandine, per l'aspetto particolare dei cordoncini che nell'uovo privato di guscio ricordano due chicchi di grandine; chálaza è derivato a sua volta da una radice indeuropea che significa ghiaccio. Le calaze si dipartono da ciascun polo della cellula uovo e sono dirette secondo l’asse maggiore del guscio. Si tratta di strutture cordoniformi avvolte su se stesse. Verso il polo ottuso si dirige una sola calaza, mentre dall'altro lato ne esistono due tra loro intimamente ritorte. Originano a livello dello strato calazifero e terminano da ciascun lato nella regione dei legamenti dell'albume.

[64] Aristotele Historia animalium VI 3, 560a 28.

[65] Aristotele Historia animalium VI 2, 560a 29: Il bianco e il giallo sono tenuti separati l’uno dall’altro da una membrana. Le calaze che si trovano alle estremità del giallo non contribuiscono per nulla alla generazione, come alcuni suppongono; sono due, una in basso e una in alto. § Quindi Aristotele non specifica affatto le rispettive dimensioni delle calaze.

[66] Madornale errore. La calaza più piccola si trova dal lato del polo ottuso, dove c'è la camera d'aria; la calaza più grande si trova dalla parte del polo acuto. Questo madornale errore è invece assente nell'iconografia di pagina 27 dove nella figura 1 troviamo che con D viene identificata la calaza maggiore che si trova dal lato acuto dell'uovo, mentre con la lettera E viene identificata la calaza minore che è posta di lateralmente ma che appartiene al polo ottuso dell'uovo. Chi è il colpevole di questa smentita? Magari l'iconografista? § Aristotele Historia animalium VI,2: Il bianco e il giallo sono tenuti separati l’uno dall’altro da una membrana. Le calaze che si trovano alle estremità del giallo non contribuiscono per nulla alla generazione, come alcuni suppongono; sono due, una in basso e una in alto. § Quindi Aristotele non specifica affatto le rispettive dimensioni delle calaze.

[67] Aristotele Historia animalium VI 2, 560a 29: Il bianco e il giallo sono tenuti separati l’uno dall’altro da una membrana. Le calaze che si trovano alle estremità del giallo non contribuiscono per nulla alla generazione, come alcuni suppongono; sono due, una in basso e una in alto. § Quindi Aristotele dice chiaramente che le calaze sono due in quanto due sono le estremità del giallo, ovviamente in relazione ai poli dell'uovo.

[68] Errore: la camera d'aria è contenuta tra la membrana testacea esterna e quella interna.

[69] Plinio Naturalis historia X 145: Avium ova ex calore fragilia, serpentium ex frigore lenta, piscium ex liquore mollia. Aquatilium rotunda, reliqua fere fastigio cacuminata. Exeunt a rotundissima sui parte, dum pariuntur, molli putamine, sed protinus durescente quibuscumque emergunt portionibus. Quae oblonga sint ova, gratioris saporis putat Horatius Flaccus. Feminam edunt quae rotundiora gignuntur, reliqua marem. Umbilicus ovis a cacumine inest, ceu gutta eminens in putamine.

[70] Difficile l'esatta identificazione dell'anas indica, dal momento che Ulisse Aldrovandi ne fornisce quattro iconografie diverse.

[71] Aristotele Historia animalium VI 2, 559a 15 sqq. - De generatione animalium III 2, 752a 12 sqq..