Harveypullus
Il Pulcino di William Harvey
5° esercizio - La parte esterna dell'utero della gallina
L'asterisco
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[192]
EXERCITATIO QUINTA. |
5°
esercizio |
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FABRICIUS
descriptionem uteri, post ovarium, prosequitur: adeoque inverso
ordine, partis superioris, productionisve uteri explicationem,
ipsius uteri tractationi praemittit. Nimis etiam praecise sive
determinate tres illi spiras assignat, harumque certas positiones
constituit; quae tamen incertae sunt. Infundibuli quoque ibidem
definitionem praepostere repetit. |
Dopo
l'ovaio, Fabrizi* prosegue nella descrizione dell'utero e a tal
punto con ordine inverso da anteporre alla trattazione dell'utero la
spiegazione della parte superiore o allungata dell'utero. Inoltre in
modo eccessivamente preciso o categorico
gli assegna tre spire e ne stabilisce le esatte posizioni,
che tuttavia sono incerte. Sempre qui ripete in modo confuso la
definizione di infundibulo. |
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Liceat igitur
mihi, hic meam uteri gallinae observationem et historiam (quam,
secundum methodum anatomicam, commodiorem existimo) proponere, et ab
exterioribus partibus introrsum (contra quam fecit Aquapendens)
procedere. |
Mi
sia pertanto concesso di esporre qui la mia osservazione e
descrizione dell'utero della gallina (secondo il metodo anatomico,
che considero più adatto), e di procedere dalle parti esterne verso
l'interno (al contrario di quanto ha fatto Fabrizi). |
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In deplumata
gallina reperire est podicem, non (ut in caeteris animalibus) in
orbem contractum, sed depresso orificio transversim scissum, et
duobus labellis conniventem; quorum superius, alterum inferius intra
se collectum tegit et occulit. Superius istud labrum, seu velabrum,
a radice uropygii oritur; et [193] ut palpebra superior oculum, sic
hoc tria pudendi orificia contegit (nempe ani, uteri, et ureterum);
quae sub hoc velabro, tanquam praeputio, retracta latent:
quemadmodum in mulieris pudendo, intra cunni labra et nymphas,
vulvae, urinaeque foramina absconduntur. Adeo ut, citra sectionem,
aut violentiorem velabri illius in gallina retractionem, nec faecum
ab alvo, nec urinae ex ureteribus, neque ovi ab utero exitus
appareat. Ac propterea duo illa excrementa (urina nempe et stercus)
simul, tanquam e communi cloaca, sursum elevato velabro et nudato
foramine, egeruntur. Similiter in coitu, gallina supervenienti gallo
vulvam detegit et accommodat: ut observavit Fabricius in gallina
Indica gallum appetente. Vidi egomet struthionem foeminam, cum
custos dorsum eius levi manu attrectaret quo libidinem accenderet,
sese humi prosternere, velabrum attollere, vulvamque ostendere et
exporrigere; quam intuitus mas illico oestro venereo percitus
conscendit; alteroque pede in terram defixo, altero dorsum
succubantis premente, penem ingentem vibrans (linguam bubulam
crederes) subagitavit, multo cum utriusque murmure et strepitu,
capitibus saepe protensis et reductis, aliisque gaudii indiciis.
Neque hoc avibus proprium est, sed etiam aliis animalibus commune,
quae caudam submovendo, et genitalia exporrigendo, marium initui
sese adaptant. Eundemque fere usum, quem velabrum in gallina, in
aliis cauda praestat; qua nisi semota vel elevata, nec excrementa
prodire, nec mares foeminas inire queant. |
In
una gallina spiumata è possibile trovare l'orificio cloacale non
contratto in modo circolare (come negli altri animali) ma fissurato
trasversalmente da un orificio infossato e che si chiude con due
piccole labbra, delle quali la superiore ricopre e nasconde quella
inferiore raggomitolata dentro se stessa. Tale labbro superiore, o
tenda, nasce dalla radice dell'uropigio*, e come la palpebra
superiore ricopre l'occhio, così questo labbro ricopre tre orifici
del pudendo (cioè dell'ano, dell'utero e degli ureteri) che
nascosti se ne stanno al riparo sotto questa tenda come se fosse un
prepuzio. Così come nel pudendo della donna, tra le grandi labbra e
le piccole labbra si nascondono le aperture della vulva e
dell'urina. Tant'è che, se nella gallina non si ricorre alla
sezione o a una retrazione piuttosto violenta di quella tenda, non
compare lo sbocco né delle feci dall'apparato digerente, né
dell'urina dagli ureteri, né dell'uovo dall'utero. In quanto quei
due escrementi (cioè l'urina e lo sterco) vengono emessi insieme,
come da una cloaca in comune, dopo aver sollevato la tenda e messo a
nudo l'orificio. Allo stesso modo durante l'accoppiamento la gallina
scopre e adatta la vulva al gallo che sta per salirle sopra, come
Fabrizi osservò in una tacchina desiderosa del maschio. Io stesso
ho visto una femmina di struzzo, mentre il guardiano con mano
delicata accarezzava il suo dorso per stimolare la libidine, che si
stendeva a terra, sollevava la tenda e mostrava e distendeva la
vulva. Il maschio, avendola vista, immediatamente eccitato dal
desiderio sessuale, le salì sopra, e dopo aver piantato nella terra
una zampa e premendo con l'altra il dorso di colei che stava sotto,
facendo vibrare un grosso pene (lo crederesti una lingua di bue) lo
mosse avanti e indietro, con parecchio rumore e strepito di ambedue,
con le teste spesso spinte in avanti e all'indietro, e altri segni
di godimento. Ciò non è di pertinenza solo degli uccelli, ma è
comune anche ad altri animali, i quali, muovendo appena la coda e
facendo sporgere i genitali, si preparano all'accoppiamento con il
maschio. E in altri animali la coda svolge quasi lo stesso ruolo
della tenda nella gallina. Se la coda non è stata allontanata o
alzata, gli escrementi non sarebbero in grado di uscire, né i
maschi potrebbero accoppiarsi con le femmine. |
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In cervis,
damis, et dorcade (ceu animalibus castioribus), tale pudicitiae
tutamen, et velabrum cuticulare, vulvam meatumque urinae in foemina
operit; quod attolli necesse est, priusquam mas penem immittere
possit. |
Nei
cervi, nei daini e nella gazzella (come negli animali più casti)
una siffatta protezione della pudicizia e una tenda di pelle ricopre
nella femmina la vulva e il meato urinario, ed è necessario che
venga sollevata prima che il maschio possa introdurre il pene. |
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In caudatis
etiam animalibus, sine caudae sublevatione, partus non contingit:
imo vero et mulierum quoque partus, coccygem ungendo, eumque manu
retrudendo obstetrices facilitant. |
Inoltre
negli animali dotati di coda il parto non avviene senza il
sollevamento della coda. Per di più, in verità, le ostetriche
facilitano anche i parti delle donne ungendo la regione coccigea e
spingendo il coccige all'indietro con la mano. |
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[194]
Chirurgus quidam, vir probus, mihique familiaris, ex India orientali
redux, bona fide mihi narravit, in insulae Borneae locis a mari
remotioribus et montosis, nasci hodie genus quoddam hominum caudatum[1]
(uti olim alibi accidisse apud Pausaniam legimus), e quibus aegre
captam virginem (sunt enim sylvicolae) ipse vidit, cum cauda
carnosa, crassa, spithamae longitudine intra clunes reflexa, qua
anum et pudenda operiebat. Usque adeo velari ea loca natura
voluit[2]. |
Un
chirurgo, persona affidabile e mio amico, reduce dall'India
Orientale, mi ha narrato in tutta sincerità che in aree dell'isola
del Borneo abbastanza lontane dal mare e montuose, oggi nasce un
tipo di esseri umani dotati di coda (come leggiamo in Pausania* un
tempo essere accaduto da qualche parte), dai quali uomini egli
stesso vide una vergine venire catturata con fatica (infatti abitano
nei boschi), dotata di una coda carnosa, grossa, lunga una spanna,
attorcigliata fra le natiche, con la quale ricopriva l'ano e le
pudenda. Fino a questo punto la natura ha voluto che queste aree
vengano occultate. |
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Velabri
istius fabrica, in gallina, est similis superioris palpebrae: ex
cute nempe, membrana carnosa et musculosa texitur, cum fibris a
circumferentia undique ad centrum ductis: eiusque interior
superficies, ut palpebrae et praeputii, mollis est. Habet etiam in
extremitate sui tarsum[3]
semicircularem, ad modum palpebrae: atque insuper, inter cutem et
membranam carnosam, interstitium cartilaginosum, ab uropygii radice
cum tarso falcato ad angulos rectos copulatum (ut vespertiliones
intra membraneas alas quasi latitantem exiguam caudam habent): qua
fabrica, ceu cauda, velabrum hoc dicta pudendi foramina facilius
detegere et operire possit. |
Nella
gallina la struttura di questa tenda è simile alla palpebra
superiore: cioè è una membrana carnea e muscolare che è
costituita da cute insieme a fibre che da tutta la circonferenza
sono dirette al centro, e la sua superficie interna è molle come
quella della palpebra e del prepuzio. Alla sua estremità possiede
anche un tarso semicircolare come lo ha la palpebra, e
superiormente, tra la cute e la membrana carnea, un interstizio
cartilagineo, connesso ad angoli retti dalla radice dell'uropigio
con il tarso fatto a falce (allo stesso modo in cui i pipistrelli
posseggono all'interno delle ali membranose come una piccola
appendice seminascosta). Affinché con questa struttura, o estremità,
questa tenda possa scoprire e aprire più facilmente i suddetti fori
delle pudenda. |
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Sublato
itaque, et rescisso hoc velabro, foramina aliquot apparent; quorum
alia conspicua, alia obscura sunt. Evidentiora quidem sunt ani, et
vulvae; exitus nempe excrementi, et introitus in uterum. Obscura
autem, tum illud, per quod urina e renibus profluit; tum exiguum
illud a Fabricio inventum, in
quod gallus, ait ille, semen
suum immittit. Quod tamen foramen apud Aldrovandum Antonius
Ulmus, diligens dissector, non agnovit; nec quisquam alius, quod
sciam, praeter Fabricium. |
Pertanto,
dopo aver sollevato e asportato con un taglio questa tenda, appaiono
alcuni fori, dei quali alcuni sono visibili, altri difficili da
identificare. I più evidenti sono quello dell'ano e della vulva,
cioè, la fuoriuscita delle feci e l'ingresso all'utero. Quelli
difficili a vedersi sono sia quello attraverso il quale l'urina
fluisce dai reni, sia quello piccolo scoperto da Fabrizi il quale
dice: «Nel quale il gallo immette il suo seme.» Tuttavia, nel
trattato di Aldrovandi*, Marco Antonio Olmo*, diligente dissettore,
non identificò tale foro, né qualcun altro lo identificò, per
quanto ne so, eccetto Fabrizi. |
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Foramina haec
omnia adeo sibi invicem vicina sunt, ut fere in unam cavitatem
concurrere videantur; quam (utpote stercori et urinae communem)
cloacam liceat appellare: quod in ea, una cum alvi faecibus, urina e
renibus descendens commisceatur, [195] donec simul egerantur. Per
hanc quoque ovum in partu transiens sibi viam parat. |
Tutti
questi fori sono tra loro tanto vicini che quasi sembra vadano a
finire in una sola cavità che si potrebbe chiamare cloaca (essendo
in comune allo sterco e all'urina), in quanto in essa con le feci
dell'intestino si mescolerebbe l'urina che scende dai reni, fino a
quando vengono emesse insieme. Anche l'uovo passando attraverso
questa cloaca al momento della deposizione si prepara il tragitto. |
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Huius
cavitatis ea fabrica est, ac si in vesicam utrumque excrementum
descenderet, et natura urina pro clystere naturali abuteretur.
Ideoque crassior paulo et rugosior, quam intestinum, est: atque in
egestione, et coitu, foras provolvitur (sublato, ut dixi, velabro,
quod ipsam tegit), et, tanquam interior intestini pars prolapsa,
prominet: eodemque tempore omnia foramina distincte apparent, quae
statim in eius reductione, quasi in unam bursam collecta,
reconduntur. |
Tale
è la struttura di questa cavità, per cui, anche se in vescica
scendessero ambedue gli escrementi, la natura si servirebbe
dell'urina come se fosse un clistere naturale. Per cui è un po' più
spessa e rugosa rispetto all'intestino; nell'evacuazione e durante
il coito sguscia fuori (essendosi sollevata la tenda, come ho detto,
che la ricopre), e si fa prominente come se fosse una parte interna
dell'intestino che è scivolata fuori. Nello stesso momento tutti i
fori appaiono distintamente, i quali, mentre si riducono, subito si
nascondono come se si trovassero raccolti in una sola borsa. |
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Foramina
magis conspicua (ani scilicet et vulvae) contrarium situm in
pennatis omnibus, atque in aliis animalibus obtinent. In his enim
pudendum sive genitale foemineum parte anteriore locatur, inter
intestinum rectum et vesicam: in illis autem excrementi exitus
partem anteriorem possidet, atque inter ipsum et uropygium introitus
in matricem deprehenditur. |
I
fori più grandi (cioè dell'ano e dell'utero) in tutti i pennuti
hanno una localizzazione opposta rispetto agli altri animali.
Infatti in questi il pudendo o organo genitale femminile è
localizzato anteriormente, tra l'intestino retto e la vescica
urinaria; invece in quelli - negli uccelli - la fuoriuscita degli
escrementi occupa la parte anteriore e l'accesso all'utero è
visibile tra essa e l'uropigio. |
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Foramen autem,
in quod Fabricius putat gallum semen suum immittere, inter hoc
vulvae ostium et uropygium cernitur. Ego vero talem eius usum non
agnosco: In pullis enim iuvenculis vix reperitur; in adultis autem
promiscue inest, tam gallo, quam gallina[4]. Accedit, quod foramen
valde exiguum et obscurum sit, ut tantae utilitatis non appareat:
vix enim aciculam aut setam admittit, et in cavitatem caecam
terminatur: neque unquam potui humorem seminalem in ea reperire;
quanquam Fabricius asserit semen ibidem, tanquam in bursa, per annum
integrum reservari, omniaque interea ova inde foecundari; ut postea
dicetur. |
Il
foro, nel quale Fabrizi ritiene che il gallo immetta il suo seme, è
visibile tra questa apertura dell'utero e l'uropigio. Io tuttavia
non sono d'accordo circa questo suo uso. Infatti nei pulcini
abbastanza giovani lo si trova a stento, in quelli adulti è
presente senza distinzione tanto nel gallo quanto nella gallina. In
aggiunta, il foro è molto piccolo e difficilmente osservabile,
tanto da non sembrare di eccessiva utilità: infatti a stento lascia
passare un piccolo ago o una setola, e termina in una cavità cieca,
né ho mai potuto trovarvi del liquido seminale, anche se Fabrizi
afferma che proprio lì il seme viene conservato per un anno intero
come in una borsa, e che nel frattempo tutte le uova ne vengono
fecondate, come si dirà successivamente. |
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Insunt
omnibus avibus, serpentibus, quadrupedibus oviparis, atque etiam
piscibus (ut facile in cyprino videre est) renes et ureteres, per
quos urina profluat: quod Aristotelem, aliosque hactenus philosophos
latuit. In avibus autem, et serpentibus, quibus fungosi pulmones
sunt, parva cernitur urinae copia; [196] quod parum admodum et
pitissando[5]
bibant; quare vesica urinaria iis non est opus; sed lotium, ut
diximus, in communem alvum sive cloacam, cum sicco excremento
deponunt. In cyprino tamen, aliisque quibusdam piscibus, vesicam
quoque urinariam deprehendi. |
In
tutti gli uccelli, i serpenti, i quadrupedi ovipari e anche nei
pesci (come è facile vedere nella carpa) sono presenti i reni e gli
ureteri attraverso i quali l'urina possa defluire, il che finora è
rimasto sconosciuto ad Aristotele e agli altri naturalisti. Negli
uccelli e nei serpenti, nei quali ci sono dei polmoni spugnosi, si
vede una scarsa quantità di urina, in quanto bevono molto poco e a
sorsi, per cui essi non hanno bisogno della vescica urinaria, ma,
come ho detto, depongono nell'intestino comune, o cloaca, l'urina
insieme agli escrementi secchi. Tuttavia nella carpa e in alcuni
altri pesci ho trovato anche una vescica urinaria. |
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In gallina,
ureteres a renibus (qui ampli longique in dorsi cavitate locantur)
utrinque descendunt, et in communem cavitatem sive cloacam desinunt.
Exitus autem eorum adeo obscurus est, et in cavitatis ipsius limine
delitescens, ut forinsecus eum invenire, et stilum vel tenuissimum
immittere, plane sit impossibile. Neque equidem mirum; quippe in
omnibus, vel maximis animalibus, insertio ureterum prope vesicae
collum adeo anfractuosa et obscura est, ut (licet urina, et calculi
aliquando per eos in vesicam delabantur) ne flatus quidem per easdem
vias regredi, aut urina vi pelli queat. Contra autem, tum in avibus,
tum in caeteris etiam animalibus, si stilus vel seta deorsum per
ureteres impellatur, facile in communem cavitatem aut vesicam via
aperitur. |
Nella
gallina gli ureteri scendono da ambo i lati dai reni (che larghi e
lunghi sono localizzati in una cavità del dorso), e vanno a finire
in una cavità in comune o cloaca. Il loro punto d'uscita è
talmente incerto e nascosto in corrispondenza dell'ingresso nella
cavità stessa, che riuscire a trovarlo dall'esterno e immettervi
uno stilo, anche se molto piccolo, è del tutto impossibile. Non
bisogna davvero meravigliarsi, in quanto in tutti gli animali, anche
quelli molto grandi, lo sbocco degli ureteri in vicinanza del collo
della vescica è ancora talmente intricato e incerto che (anche se
l'urina e talora i calcoli scendono nella vescica attraverso di
essi) non è possibile che attraverso queste stesse vie dell'aria
possa risalire o dell'urina possa esservi sospinta a forza. Invece
sia negli uccelli che anche negli altri animali se uno stilo o una
setola viene spinta in giù attraverso gli ureteri, facilmente si
apre un accesso alla cavità in comune o alla vescica. |
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In struthione
haec omnia luculenter patent: in quo, praeter communis cavitatis
orificium exterius, quod velabrum tegebat; aliud, intra anum,
orificium rotundum, constrictum, et quasi sphinctere clausum reperi.
Verum, his omissis, quod ad propositum nostrum spectat agamus. |
Nello
struzzo tutte queste cose sono molto ben visibili, nel quale, oltre
all'orificio esterno della cavità in comune - la cloaca, che la
tenda nascondeva, ho trovato all'interno dell'ano - dell'orificio
cloacale - un altro orificio rotondo, contratto e chiuso come da uno
sfintere. In verità, lasciando da parte queste cose, dedichiamoci a
ciò che riguarda il nostro argomento da trattare. |
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Orificium
uteri sive vulvae, nimirum transitus e communi cavitate in uterum
gallinae, est veluti protuberantia quaedam mollis, laxa, rugosa,
atque orbicularis; tanquam praeputii extremitas clausa, aut vulvae
interioris cuiusdam tunicae prolapsus. Locatur autem, ut dixi, inter
foramen ani et uropygium; atque aliquantulum sinistrorsum vergit;
idque factum putat Ulisses Aldrovandus, ad
commodiorem coitum,
et faciliorem membri genitalis galli incursum.[6]
Ego vero saepius observavi, gallinam, [197] prout gallus eam a
dextra aut sinistra parte conscenderit, eo versus podicem suum
indifferenter flectere. In gallo penem non invenio, quem nec
Fabricius reperire potuit: cum tamen in ansere atque anate
menifestissime appareat. Eius vero loco, in gallo orificium reperio
(haud secus quam in gallina), minus tamen illud et angustius;
quemadmodum etiam in cygno, ansere, et anate idem conspicitur:
anseris autem et anatis mentula[7],
dum coeunt, ab hoc orificio protenditur. |
L'orificio
dell'utero, ossia della vulva, cioè il passaggio dalla cavità
comune - la cloaca - all'utero della gallina, è come una
protuberanza molle, rilassata, rugosa e rotonda, chiusa come se
fosse l'estremità del prepuzio o un prolasso di una tunica della
vulva interna. Infatti si trova, come ho detto, tra l'orificio anale
e l'uropigio, ed è rivolto un pochino verso sinistra. E Ulisse
Aldrovandi ritiene che ciò accada «per un coito più comodo e una
più facile immissione del membro genitale del gallo.» A dire il
vero io ho visto più volte che la gallina, a seconda che il gallo
le era salito sopra da destra o da sinistra, fletteva
indifferentemente in tale direzione il suo orificio cloacale. Nel
gallo non trovo un pene*, che neppure Fabrizi è stato in grado di
reperire, mentre tuttavia nell'oca e nell'anatra è visibilissimo.
Al suo posto nel gallo trovo un orificio (come nella gallina),
tuttavia più piccolo e più stretto, così come lo si vede anche
nel cigno, nell'oca e nell'anatra; ma il membro virile dell'oca e
dell'anatra sporge da questo orificio mentre si accoppiano. |
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In nigra
anate, penem tantae longitudinis vidi, ut absoluto coitu, humi
pendentem insequens gallina, avide eum (lumbricum, credo, arbitrata)
mordicaret, faceretque illius citius solito retractionem. |
In
un'anatra nera ho visto un pene così lungo che, terminato il coito,
una gallina lo inseguiva mentre pendeva verso terra, lo mordeva
avidamente (credo convinta che fosse un lombrico) e ne determinava
la retrazione più in fretta del solito. |
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In struthione
mare, intra hoc pudendi orificium, tanquam in equi praeputio,
praegrandem glandem et nervum rubicundum, forma et magnitudine
linguae cervinae, aut bubulae minoris, reperi; quem in coitu rigidum
et aliquantulum aduncum vibrare saepius vidi, et in foeminae vulvam
immissum, sine subagitatione ulla, diutius tenere; perinde ac si
clavo aliquo ambo in coitu colligati essent: dum interea temporis
capitis collique gesticulationibus, ut diximus, mire perstreperent,
quasi hymenaeo annuissent, ingentemque voluptatis sensum exprimerent. |
In
uno struzzo maschio ho trovato all'interno di questo orificio
cloacale, tanto come dentro al prepuzio del cavallo, un grandissimo
glande e un pene rosso con la forma e la grandezza di una lingua di
cervo o di piccolo bue, e piuttosto spesso durante il coito l'ho
visto vibrare rigido e un pochino adunco, e dopo che era strato
immesso nella vulva della femmina si manteneva tale piuttosto a
lungo e senza alcun movimento, come se ambedue durante il coito
fossero uniti da un qualche chiodo, mentre nel frattempo con
movimenti della testa e del collo, come dissi, strepitavano in modo
straordinario, quasi avessero acconsentito alle nozze e
manifestassero una grandissima sensazione di voluttà. |
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Legi apud
doctorem Du Val medicum doctissimum Rothomagensem, hermaphroditum
quendam chirurgis atque obstetricibus demandatum fuisse, ut, num vir,
an mulier esset, decernerent. Illi, inspectis genitalibus, mulierem
esse iudicabant: iussumque propterea est, ut sequioris sexus vestitu
uteretur. Interea tamen mulierum amores sectari, virique officium
praestare accusabatur. Hic tandem repertus est, erumpente ex latenti
praeputio (tanquam ex locis muliebribus) mentula, viri munus obiisse. |
Ho
letto in un'opera - Des hermaphrodits, 1612 - del Dottor
Jacques Duval*, dottissimo medico di Rouen, che un ermafrodito era
stato affidato ai chirurghi e agli ostetrici affinché stabilissero
se era un uomo oppure una donna. Essi, dopo aver guardato i
genitali, pensavano fosse una donna, per cui fu ordinato che si
servisse dell'abito del sesso debole. Tuttavia nel frattempo veniva
accusato di rincorrere gli amori delle donne e di svolgere il ruolo
di maschio. Alla fine si scoprì che costui, mentre il pene balzava
fuori da un prepuzio nascosto (come se provenisse dai genitali
femminili), aveva svolto il ruolo di maschio. |
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Vidi ipsemet
aliquando viri cuiusdam penem, introrsum adeo reductum, praeterquam
cum tentigine provocaretur, ut nihil, in [198] corrugato praeputio
supra scrotum, praeter summum glandis apicem promineret. |
Una
volta io stesso ho visto il pene di un uomo tanto ritirato
internamente, salvo venisse eccitato dalla libidine, che nel
prepuzio raggrinzito al di sopra dello scroto non sporgeva nulla
eccetto la sommità dell'apice del glande. |
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In equo
aliisque quibusdam animalibus, ingens istius membri longitudo ex
occulto porrigitur. In Talpa etiam animali exiguo, inter cutem et
abdominis musculos magna penis retractio conspicitur: eiusque
pariter foeminae longior et profundior vulva obtigit. |
Nel
cavallo e in alcuni altri animali una notevole lunghezza di questo
membro si protende da un nascondiglio. Anche nella talpa che è un
animale piccolo si vede una notevole retrazione del pene tra la cute
e i muscoli dell'addome, e parimenti si nasconde una vulva
abbastanza lunga e profonda della sua femmina. |
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Gallo, cui
penis deest, idem, credo, contigit, quod avibus minoribus, quae
celeriter et affrictu duntaxat coitum perficiunt. Iunctis nempe
saepius utrinque galli et gallinae pudendorum orificiis (quae foras
eversa protuberant, rigent, glandisque in morem tenduntur; praecipue
vero maris, quod foeminam exterius duntaxat lambit, non autem, ut
arbitror, ingreditur), ceu repetitis suaviis, non uno longiore initu,
coitum celebrant. |
Credo
che al gallo, al quale manca il pene, accada la stessa cosa che
accade agli uccelli più piccoli, i quali effettuano il coito
rapidamente e solo per sfregamento. I galli e le galline per lo più
celebrano il coito proprio dopo aver congiunto da ambo le parti gli
orifici cloacali (che fatti sporgere fuori si gonfiano, diventano
duri e si distendono come il glande; in verità soprattutto del
maschio, in quanto lambisce la femmina solo all'esterno, ma, come
penso, non la penetra), oppure con baci ripetuti, non con un solo
coito piuttosto protratto. |
|
In equorum,
canum, felium, aliorumque coitu, foemina mari penem obtendenti
pudendum rigidum tensumque accommodat. Quod etiam in avibus
contingit, quae cicures manum sibi imponi sinunt, venereque
turgentes orificium hoc protendunt; idemque renitens ac duriusculum
reperies, si digitum admoveris. |
Nel
coito dei cavalli, dei cani, dei gatti e di altri animali, la
femmina offre i genitali esterni duri e tesi al maschio che protende
il pene. Il che accade anche negli uccelli, e le femmine di quelli
addomesticati permettono che si metta sopra di loro una mano, e
colmi di desiderio sessuale fanno sporgere questo orificio, e se gli
applicherai un dito lo troverai resistente e piuttosto duro. |
|
Imo vero
usque adeo libidinosae interdum aves sunt, ut, si dorsum earum manu
solum leviter tangas, statim procumbant, orificium uterinum nudent
et exporrigant: quod si blande digito demulseris, vago murmure,
alarumque gesticulatione, gratam veneris dulcedinem exprimunt.
Quinetiam foemellas ova inde concipere, et Aristoteles[8] auctor est, et ipsemet
in turdo, merula, aliisque, expertus sum: idque olim primum
fortuito, meoque damno, didici. |
Per
di più, a dire il vero, talora gli uccelli sono a tal punto
libidinosi che, se con la mano tocchi solo delicatamente il loro
dorso, subito si accovacciano, mettono a nudo l'orificio uterino e
lo fanno sporgere, e se lo avrai accarezzato delicatamente con un
dito, esprimono un gradito piacere sessuale con un lieve mormorio e
con un gesticolio delle ali. Anzi, anche Aristotele scrive che per
questo motivo le femmine concepiscono le uova, e io stesso l'ho
riscontrato nel tordo, nel merlo e in altri uccelli, e in passato ho
appreso ciò per la prima volta per caso e a mio danno. |
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Psittacum
nempe insignem, docteque garrulum, uxor mea diu in deliciis habuit.
Erat is adeo familiaris, ut quocunque vellet libere per aedes
vagaretur; absentem dominam inquireret; [199] inventae hilari voce
ablandiretur; vocanti etiam responderet; advolaret; vestemque rostro
pedibusque vicissim comprehendens, ad summum humerum scanderet;
indeque per brachium descendens, super manum semper se sisteret:
iussus loqui aut cantare, etiam noctu et in tenebris, morem gessit.
Saepe ludibundus et lascivus sedentis gremium adibat; ubi caput sibi
attrectari, dorsumque demulceri gestiebat; quassatisque alis, et
blando strepitu summam animi sui laetitiam testabatur. Ego haec
omnia ab usitata pridem familiaritate et obsequio proficisci
interpretabar: marem enim sum arbitratus, ob loquelae et cantus
eximiam praestantiam. |
Infatti
mia moglie per lungo tempo possedette tra le cose deliziose un
pappagallo straordinario e abilmente loquace. Esso era a tal punto
domestico da girare liberamente per le stanze come voleva, da
ricercare la padrona assente, da blandirla con voce allegra quando
l'avesse trovata, da rispondere a lei che lo chiamava, volarle
incontro, e afferrando il vestito alternativamente con il becco e
con le zampe, si arrampicava fino alla sommità della spalla, e
scendendo da qui attraverso il braccio, si posizionava sempre sopra
la mano, e, comandandogli di parlare o di cantare, prese l'abitudine
di farlo anche di notte e al buio. Spesso scherzoso e allegro andava
in grembo di chi stava seduto, dove smaniava che gli venisse
palpeggiata la testa e accarezzato il dorso, e scuotendo le ali e
con un leggero strepitio dimostrava la grandissima gioia del suo
animo. Io interpretavo che tutte queste cose provenissero dalla
familiarità da tempo acquisita e dalla sottomissione. Infatti l'ho
giudicato essere un maschio a causa delle eccezionali prestazioni
del linguaggio e del canto. |
|
Quippe, inter
aves, foemellae raro {cantillare} <cantilare>, aut voce
invicem provocare solent: sed mares solum suavi vocis modulamine
foemellas delinire, et ad veneris obsequium pellicere animadvertimus.
Ideoque Aristoteles ait[9]
Perdices, si adversae maribus
steterint, ventusque inde afflet ubi mares stant, concipiunt et
maritantur. Plerumque etiam voce marium utero ingravescunt, si
gestiunt ac libidine turgent. Volatu quoque superne marium effici
idem potest; videlicet dum mas ipse in foeminam foetificum spiritum
demittit. Quod verno praesertim tempore contigit: unde poeta[10]. |
Infatti
in seno agli uccelli raramente le femmine sono solite canticchiare
oppure rivaleggiare tra loro con la voce. Invece notiamo che
solamente i maschi seducono le femmine con una soave modulazione
della voce e le attraggono all'accoppiamento. E pertanto Aristotele
dice: «Le pernici, se stanno di fronte ai maschi e il vento soffia
dalla direzione in cui si trovano i maschi, concepiscono e si
maritano. Inoltre per lo più rimangono gravide in utero a causa
della voce dei maschi se sono bramose e se scoppiano di libidine. La
stessa cosa può anche accadere se i maschi volano al di sopra,
ovviamente in quanto il maschio stesso immette nella femmina un
soffio fecondatore.» Il che accade soprattutto in primavera, per
cui il poeta Virgilio* nelle Georgiche scrive: |
|
Vere tument terrae, et genitalia semina poscunt. |
In primavera le terre sono gonfie e chiedono con insistenza i semi
fecondanti. |
|
Non diu autem
post blandas has contrectationes psittacus, qui multos iam annos
sanus vixerat, aegrotavit; crebrisque tandem convulsionibus obortis,
in dominae suae gremio, ubi toties luserat, animam plurimum
desideratus expiravit. Dissecto itaque [200] cadavere, ut mortis
causam inquirerem, ovum fere perfectum in utero reperio; sed, ob
defectum maris, corruptum. Quemadmodum aviculis in caveis reclusis
saepe accidit, quae maris consortium desiderant. |
Ma
non molto tempo dopo questi carezzevoli toccamenti il pappagallo,
che aveva vissuto molti anni sano, si ammalò, e infine, essendosi
verificate delle frequenti convulsioni, assai rimpianto emise
l'anima in grembo alla sua padrona dove tante volte si era
divertito. Dopo aver sezionato il cadavere per indagare la causa di
morte, trovo nell'utero un uovo quasi ultimato, ma alterato per la
mancanza del maschio. Così come spesso accade agli uccellini
rinchiusi nelle gabbie, i quali desiderano la compagnia di un
maschio. |
|
His aliisque
exemplis inducor ut credam, gallum gallinaceum, et phasianum, non
solum cantu suo foemellis blandiri, sed eodem etiam ovorum conceptui
conferre: noctu enim ad galli cantum, nonnullae ex adsidentibus
gallinis sese concutiunt, alas et capita quatientes; quasi horrore
blando correptae, a coitu gesticularentur. |
Da
questi e da altri esempi vengo indotto a credere che il gallo e il
fagiano corteggiano le femmine non solo con il loro canto, ma che
con esso contribuiscono anche al concepimento delle uova: infatti di
notte quando il gallo canta alcune delle galline appollaiate si
scuotono, sbattendo le ali e la testa, come se, pervase da un lieve
brivido, gesticolassero indotte dal coito. |
|
Avis quaedam,
quam cygnus altero tanto maior, non ita pridem ex Java Indiae
orientalis insula in Hollandiam advecta
est, quam Batavi Cassoware nominabant. Huius iconem Ulysses
Aldrovandus[12]
exhibet, dicitque eam ab Indis Eme appellari. Non est bisulca, ut
struthio, sed in singulis pedibus tres digitos habet; quorum unus
calcari adeo longo, duro, et robusto armatur, ut facile tabulam duos
transversos digitos crassam calcitrando penetret; antrorsum autem
ferit. Corpore quidem, cruribus, et femore struthionem refert;
rostrum autem latum, ut hic, non habet, sed teres et nigrum. Super
caput, pro crista, cornu orbiculatum gerit extuberans: lingua caret[13]; quaelibet oblata
devorat; calculos nempe, carbones, etiam ignitos, et glaciei frusta,
sine discrimine: plumae ipsi e singulis calamis binae prodeunt,
nigrae, breves, et exiles; ad naturam pilorum, sive lanuginis
accedentes. Alas habet valde exiguas, et mutilas. Animal est aspectu
truculento, eique palearia rubra, et caerulea, oblonga per collum
descendunt. |
Un
uccello, più grande del doppio di un cigno, che i Batavi*
chiamavano Cassoware – casuario*, non molto tempo fa è stato
portato in Olanda da Giava, isola dell'India orientale. Ulisse
Aldrovandi ne mostra l'immagine e dice che dagli Indiani viene
chiamato Eme – emù*. Il casuario non ha un piede bifido come lo
struzzo, ma in ciascun piede possiede tre dita, uno dei quali è
armato di un'unghia fatta a sperone tanto lunga, dura e robusta da
penetrare facilmente con un calcio una tavola spessa due dita
trasverse - 3,6 cm; in effetti ferisce con un movimento verso
l'avanti. Nel corpo, nelle gambe e nella coscia sembra a uno
struzzo, ma non ha un becco largo come questo, bensì arrotondato e
nero. Sulla testa al posto del ciuffo reca un corno arrotondato e
sollevato, manca di linguaggio, divora qualunque cosa gli venga
offerta, cioè, senza fare distinzione, sassolini, carboni, anche se
infuocati, e pezzi di ghiaccio. Le sue piume fuoriescono in coppia
da ciascun calamo, nere, brevi ed esili, simili alla struttura dei
peli o della lanugine. Possiede delle ali molto piccole e mozze. Di
aspetto è un animale minaccioso e, lungo il collo, gli scendono dei
bargigli rossi e azzurri allungati. |
|
Mansit haec
avis amplius annos septem in Hollandia: eamque postea illustrissimus
Mauritius princeps Auriacus[14]
serenissimo regi nostro Iacobo[15],
inter alia munera, dono misit; in cuius hortis supra quinquennium
vixit. Postea autem, cum in [201] eundem locum struthiones duo, mas
et foemina, {concedissent} <concessissent>; eosque haec
Cassoware in proximis claustris (ubi separatim alebantur)
saepenumero coeuntes audivisset, vidissetque; inopinato prorsus (sympathia,
credo, cognati generis exstimulata) ova concepit. Quotquot enim eam
viderant, marem potius ex armis et ornatu, quam foeminam iudicabant.
Ex his ovis, unum peperit integrum, quod aperui, et perfectum inveni;
albumen nempe luteo circumfusum, cum chalazis sive grandinibus
utrinque adnexis, et cavitate exigua in obtuso cacumine; aderat
etiam cicatricula, sive macula albicans; testa erat crassa, dura et
valida, quam ablato vertice, in
poculum efformari iussi; quemadmodum ex struthionum ovis
calices effingi solent. Erat ovum hoc paulo quam struthionum minus,
undiquaque, ut dixi, perfectum; proculdubio tamen subventaneum et,
ob defectum maris, infoecundum. Matri vero eodem tempore, quo ovum
pepererat, mortem praedixi; idque ex sententia Aristotelis, qui ait[16],
Aves morbo laborare, et
interire, nisi pariant. Quod etiam non multo post evenit;
dissectoque cadavere, ovum imperfectum et corruptum in superiore
uteri parte, mortem praematuram (ut prius in psittaco, aliisque
avibus observaveram) attulisse comperi. |
Questo
uccello rimase per più di 7 anni in Olanda. Successivamente
l'illustrissimo Maurizio Principe d'Orange lo mandò in dono, tra
altri regali, al nostro serenissimo re Giacomo I, nei cui giardini
visse per più di 5 anni. Successivamente, essendo giunti nello
stesso luogo due struzzi, maschio e femmina, e questo casuario
femmina, avendoli uditi e visti parecchie volte mentre si
accoppiavano nei recinti vicini (dove venivano nutriti
separatamente), del tutto inaspettatamente (credo per sintonia,
stimolata dal fatto di appartenere a un genere affine - ordine degli
Struzioniformi) concepì delle uova. Infatti tutti quelli che
l'avevano vista giudicavano si trattasse di un maschio, per gli
strumenti di difesa e per l'abbigliamento, anziché di una femmina.
Di queste uova uno lo depose intatto, che aprii e trovai perfetto,
cioè l'albume disposto intorno al tuorlo con le calaze, o grandini,
attaccate ad ambo i lati, e con una piccola cavità in
corrispondenza del polo ottuso. Era presente anche la cicatricola, o
macchiolina bianca, il guscio era denso, duro e robusto, e dopo
averne tolta la sommità ordinai che venisse trasformato in una
tazza, allo stesso modo in cui dalle uova degli struzzi vengono
abitualmente confezionati dei calici. Quest'uovo era leggermente
inferiore a quello degli struzzi, perfetto in ogni suo punto, come
ho detto; tuttavia senza dubbio sterile e, per mancanza del maschio,
infecondo. A dire il vero predissi alla madre che sarebbe morta
nello stesso momento in cui avesse deposto un uovo, e ciò proviene
dall'affermazione di Aristotele che dice: «Gli uccelli si ammalano
e muoiono se non partoriscono». E ciò accadde non molto tempo
dopo, e dopo aver sezionato il cadavere ho appurato che nella parte
superiore dell'utero un uovo imperfetto e alterato aveva provocato
una morte prematura (come in precedenza avevo osservato nel
pappagallo e in altri uccelli). |
|
Plurimae
itaque aves, quanto salaciores, tanto etiam foecundiores sunt; et
aliquando sine mare (ob pabuli ubertatem, vel alia aliqua de causa)
ova concipiunt: raro autem citra eius operam, ea vel perficiunt, vel
pariunt; sed morbis inde potius gravioribus tenentur, tandemque
intereunt. Gallina vero non solum ova concipit, sed et parit etiam,
eaque perfecta; at hypenemia et infoecunda. Similiter, insecta
plurima (in quorum censu bombyces et papiliones sunt) ova concipiunt,
et pariunt, absque maris congressu (ut etiam pisces), sed irrita et
subventanea. |
Pertanto
moltissimi uccelli, quanto più sono sessualmente eccitati, sono
pure altrettanto più fecondi, e talora concepiscono le uova senza
il maschio (a causa dell'abbondanza del cibo o per qualche altro
motivo). Ma raramente, indipendentemente da lui, le portano a
compimento o le depongono. Invece in seguito a ciò vengono
preferibilmente colpite da malattie piuttosto gravi e infine
muoiono. Ma la gallina non solo concepisce le uova, ma le depone
anche, e sono ultimate, ma sono ventose e infeconde. Allo stesso
modo moltissimi insetti (tra i quali ci sono i bachi da seta e le
farfalle) concepiscono e depongono le uova, e senza il rapporto
sessuale del maschio (come anche i pesci), ma sono infeconde e
ventose. |
|
[202] Quasi
in huiusmodi animalibus, ova concipere, perinde foret, ac in puella
uterum incalescere, menstrua profluere, fratrare ubera, et, ut
paucis dicam, viro maturam esse: quo si privetur diutius,
symptomatibus gravioribus, hystericis nempe, aut furore uterino,
corripitur; vel in cachexiam aliasque varias aegritudines delabitur.
Omnia siquidem animalia, cupidinis oestro percita, ferociunt; et,
nisi se invicem fruantur, plurimum tandem a consuetis moribus
recedunt. Ita mulieres quaedam insaniunt prae desiderio consuescendi
cum viris; et in nonnullis usque adeo saevit hoc malum, ut vel
veneficio afflatae, vel sideratae, aut a cacodaemone obsessae
iudicentur. Idque saepius contingeret, nisi proba educatio, bonae
famae reverentia, et innata huic sexui verecundia, inordinatos hosce
animi impetus compescerent. |
In
tali animali il concepimento delle uova avverrebbe quasi come se in
una ragazza l'utero si scaldasse, le mestruazioni fluissero, le
mammelle si gonfiassero e, per dirla in breve, fosse matura per un
uomo, ma se ne venisse privata troppo a lungo verrebbe colta da
sintomi piuttosto gravi, cioè isterici, o smania uterina, oppure
scivola in uno stato cachettico e altre svariate patologie. Poiché
tutti gli animali, eccitati da uno stimolo sessuale, diventano
feroci, e, se non si soddisfano reciprocamente, infine si
allontanano parecchio dal comportamento abituale. Così alcune donne
impazziscono a causa del desiderio di avere rapporti intimi con gli
uomini, e in alcune questa sofferenza si scatena fino a tal punto da
essere giudicate colpite da un veneficio, oppure paralizzate, oppure
ossessionate da un malvagio essere diabolico. Ciò accadrebbe
piuttosto frequentemente se un'educazione di buona qualità, un
rispetto della buona fama e un pudore innato nei confronti di questo
sesso non frenassero questi impeti disordinati dell'animo. |
[1]
La coda nell'uomo - Gli embrioni
umani hanno una coda che misura circa un sesto della dimensione
dell'embrione stesso. Con il successivo svilupparsi dell'embrione in
feto, la coda viene assorbita dal corpo. Questa temporanea coda è
quindi una struttura vestigiale dell'uomo. Raramente capita che nascano
bambini con una coda morbida, non contenente vertebre ma solo vasi
sanguigni, muscoli e nervi, sebbene ci siano stati pochissimi casi
documentati di code contenenti cartilagine o fino a cinque vertebre (Mouied
Alashari, Joy Torakawa: True Tail in a Newborn, Pediatric
Dermatology 12(3), pp 263–266, 2008). La tecnologia moderna permette
ai medici di eliminare la coda al momento del parto. La più lunga coda
umana nota è stata quella di un ragazzo di dodici anni, vissuto
nell'allora Indocina francese, che misurava 22,9 cm. Un uomo chiamato
Chandre Oram, nato in India, è famoso per la sua coda di 33 cm, ma si
crede che più che di una vera e propria coda si tratti di un caso di
spina bifida. – Il coccige, dal greco kókkyx = cuculo e
coccige, per la somiglianza con il becco di tale uccello, è un osso
impari che nell'uomo rappresenta il tratto terminale della colonna
vertebrale, un residuo della coda delle scimmie. Ha forma triangolare ed
è situato inferiormente al sacro con cui si articola; risulta dalla
saldatura di 4-5 vertebre rudimentali, dette caudali, e può essere
considerato, nell'uomo, un abbozzo o un residuo di appendice caudale. Il
coccige non sporge esternamente ma ha uno scopo anatomico: fornisce un
attaccamento per muscoli come il grande gluteo.
[2]
Non possiamo escludere che questa femmina con la coda stesse stimolando
il clitoride e non che ricoprisse queste aree per motivi di occultamento
oppure di pudicizia.
[3]
Tarso palpebrale: strato fibroso che costituisce l'impalcatura del
margine libero di ciascuna palpebra.
[4]
Si tratta del foro della Borsa di Fabrizio* o Timo cloacale. Fabrizi
concedeva questo foro solo alla gallina. Ovviamente Harvey risulta un
attento osservatore, in quanto la sua affermazione, che si oppone a
quella di Fabrizi, risulta vera.
[5]
Più corretto e facilmente reperibile è pytissando, da pytisso
(io sputo dopo aver assaggiato il vino), derivato dal greco pytízø
= io sputo.
[6]
Questa citazione è irreperibile in Ornithologiae
Tomus Alter (1600) nel capitolo XIV dedicato al pollo.
[7]
Nel linguaggio popolare dell'Italia meridionale si usa dire michia
per significare il pene. Minchia deriva dal latino mentula
attraverso la sua forma collaterale mencla.
[8]
Hist. anim. lib. vi. cap.
2.
[9]
Hist. anim. lib. v. cap. 5. et
lib. vi. cap. 2.
[10]
Virgil 2. Georg.
[11]
Etere, quale mitica personificazione della luminosità del cielo, nella
religione greca compare tra gli esseri primordiali dei vari miti
cosmogonici: nella Teogonia di Esiodo figura come il figlio di Erebo e
Nyx (Notte), e fratello di Emera (Giorno). Secondo altre tradizioni
Etere, unitosi a Emera, genera Gaia (Terra), Urano (Cielo) e Oceano. In
una seconda serie di generazioni sembra che la sua figura si confonda
con quella di Urano.
[12]
Ornithol. lib. xx. pag. 541. §
L'immagine di questo uccello fornita da Aldrovandi - presente alla voce
casuario* del lessico - non corrisponde a quella di un emù, come egli
riferisce (Avem Eme Indis appellatam – Uccello chiamato emù dagli
Indiani), in quanto specifica che l'apice della testa è dotato di un
elmetto (In capitis corona peltam habet, duritie testitudinis peltae
similem – Sulla sommità del capo possiede un piccolo scudo, simile
per durezza allo scudo di una testuggine). L'elmetto è una
caratteristica del casuario, non dell'emù. Quindi la citazione da parte
di Harvey dell'emù di Aldrovandi, parlando del Cassoware dei Batavi,
corrisponde alla citazione di un altro casuario, però riferito da
Aldrovandi come Eme in base ai dati di cui disponeva.
[13]
In base ai dati anatomici disponibili, il casuario possiede la lingua.
Ciò che gli mancherebbe è un linguaggio percepibile dall'orecchio
umano: «Voce a bassa frequenza
del gigante casuario - È già stato definito il richiamo più
profondo del mondo aviario. È quello del casuario, un gigantesco
uccello (può arrivare a 60 kg) che vive nella Papua Nuova Guinea e che
produce dei versi a bassa frequenza da non poter essere percepiti
normalmente dall'orecchio umano. «Il suo modo di comunicare assomiglia
a quello degli elefanti» ha affermato Andrew Mack della Wildlife
Conservation Society. - Corriere
della Sera - 2 novembre 2003 – pagina 22» Attenzione: il cigno
muto (Cygnus olor) e l'anatra muta (Cairina moschata) non
sono del tutto muti come indicherebbe l'aggettivo, in quanto qualche
debole e stano suono percepibile dall'orecchio umano sono in grado di
emetterlo. A essere senza lingua sono invece gli Aglossi, come dice
chiaramente il loro nome: si tratta di un sottordine di Anfibi Anuri
caratterizzati dalla mancanza di una lingua ben differenziata; sono
esclusivi dell’Africa tropicale e australe e della regione
nord-occidentale dell’America Meridionale.
[14]
Maurizio di Nassau, principe d'Orange (Dillenburg, Assia,
Germania 1567 - L'Aia 1625). Figlio di Guglielmo il Taciturno, alla sua
morte (1584) divenne governatore (statolder) delle Province d'Olanda e
Zelanda. Maurizio condusse la rivolta dei Paesi Bassi contro la Spagna
liberando le province del Nord (1591-97), mentre la guida politica delle
Province Unite veniva affidata al gran pensionario d'Olanda Johan van
Oldenbarneveldt (il pensionario sarebbe poi diventato il nostro Primo
Ministro). Dopo aver battuto la Spagna a più riprese, grazie a una
nuova, moderna, impostazione dell'arte militare imitata dai tattici
dell'epoca, Maurizio dovette fermare le operazioni belliche per la
tregua dei dodici anni stipulata con gli Spagnoli nel 1609. Tale tregua,
sostenuta da Oldenbarneveldt e osteggiata da Maurizio, fu alla base del
contrasto dei due protagonisti. La guerra civile che ne scaturì si
risolse a favore di Maurizio (in disaccordo con il rivale anche sul
terreno religioso) il quale, appoggiato dall'esercito, poté mandare al
patibolo Oldenbarneveldt (1619). L'anno precedente Maurizio era
diventato, per la morte del fratello Filippo Guglielmo, principe d'Orange
e nel 1621 ricevette la nomina di statolder di Groninga e di Drenthe.
[15]
Giacomo I re d'Inghilterra, VI di Scozia (Edimburgo 1566 - Londra
1625). Figlio di Maria Stuart, regina di Scozia, e del secondo marito,
lord Darnley, fu proclamato re di Scozia il 24 luglio 1567, all'età di
un anno e un mese. Vari reggenti si batterono per rivendicare il diritto
ad agire in suo nome, mentre era tenuto nel castello di Stirling.
Iniziata una politica propria, scelse la via dell'alleanza con
l'Inghilterra (1585-86) e vi si mantenne fedele anche dopo l'esecuzione
della madre (1587), prigioniera della regina Elisabetta. Migliorate le
sue finanze (1596-97), governò la Scozia in maniera assolutista come
faceva in Inghilterra Elisabetta, alla quale succedette sul trono
inglese (24 marzo 1603), essendo discendente di Margherita Tudor.
[16]
Gen. anim. lib. iii.