Harveypullus
Il Pulcino di William Harvey


5° esercizio - La parte esterna dell'utero della gallina

L'asterisco * indica che la voce è presente nel lessico

[192] EXERCITATIO QUINTA.
De gallinae uteri parte exteriore.

5° esercizio
La parte esterna dell'utero della gallina

FABRICIUS descriptionem uteri, post ovarium, prosequitur: adeoque inverso ordine, partis superioris, productionisve uteri explicationem, ipsius uteri tractationi praemittit. Nimis etiam praecise sive determinate tres illi spiras assignat, harumque certas positiones constituit; quae tamen incertae sunt. Infundibuli quoque ibidem definitionem praepostere repetit.

Dopo l'ovaio, Fabrizi* prosegue nella descrizione dell'utero e a tal punto con ordine inverso da anteporre alla trattazione dell'utero la spiegazione della parte superiore o allungata dell'utero. Inoltre in modo eccessivamente preciso o categorico  gli assegna tre spire e ne stabilisce le esatte posizioni, che tuttavia sono incerte. Sempre qui ripete in modo confuso la definizione di infundibulo.

Liceat igitur mihi, hic meam uteri gallinae observationem et historiam (quam, secundum methodum anatomicam, commodiorem existimo) proponere, et ab exterioribus partibus introrsum (contra quam fecit Aquapendens) procedere.

Mi sia pertanto concesso di esporre qui la mia osservazione e descrizione dell'utero della gallina (secondo il metodo anatomico, che considero più adatto), e di procedere dalle parti esterne verso l'interno (al contrario di quanto ha fatto Fabrizi).

In deplumata gallina reperire est podicem, non (ut in caeteris animalibus) in orbem contractum, sed depresso orificio transversim scissum, et duobus labellis conniventem; quorum superius, alterum inferius intra se collectum tegit et occulit. Superius istud labrum, seu velabrum, a radice uropygii oritur; et [193] ut palpebra superior oculum, sic hoc tria pudendi orificia contegit (nempe ani, uteri, et ureterum); quae sub hoc velabro, tanquam praeputio, retracta latent: quemadmodum in mulieris pudendo, intra cunni labra et nymphas, vulvae, urinaeque foramina absconduntur. Adeo ut, citra sectionem, aut violentiorem velabri illius in gallina retractionem, nec faecum ab alvo, nec urinae ex ureteribus, neque ovi ab utero exitus appareat. Ac propterea duo illa excrementa (urina nempe et stercus) simul, tanquam e communi cloaca, sursum elevato velabro et nudato foramine, egeruntur. Similiter in coitu, gallina supervenienti gallo vulvam detegit et accommodat: ut observavit Fabricius in gallina Indica gallum appetente. Vidi egomet struthionem foeminam, cum custos dorsum eius levi manu attrectaret quo libidinem accenderet, sese humi prosternere, velabrum attollere, vulvamque ostendere et exporrigere; quam intuitus mas illico oestro venereo percitus conscendit; alteroque pede in terram defixo, altero dorsum succubantis premente, penem ingentem vibrans (linguam bubulam crederes) subagitavit, multo cum utriusque murmure et strepitu, capitibus saepe protensis et reductis, aliisque gaudii indiciis. Neque hoc avibus proprium est, sed etiam aliis animalibus commune, quae caudam submovendo, et genitalia exporrigendo, marium initui sese adaptant. Eundemque fere usum, quem velabrum in gallina, in aliis cauda praestat; qua nisi semota vel elevata, nec excrementa prodire, nec mares foeminas inire queant.

In una gallina spiumata è possibile trovare l'orificio cloacale non contratto in modo circolare (come negli altri animali) ma fissurato trasversalmente da un orificio infossato e che si chiude con due piccole labbra, delle quali la superiore ricopre e nasconde quella inferiore raggomitolata dentro se stessa. Tale labbro superiore, o tenda, nasce dalla radice dell'uropigio*, e come la palpebra superiore ricopre l'occhio, così questo labbro ricopre tre orifici del pudendo (cioè dell'ano, dell'utero e degli ureteri) che nascosti se ne stanno al riparo sotto questa tenda come se fosse un prepuzio. Così come nel pudendo della donna, tra le grandi labbra e le piccole labbra si nascondono le aperture della vulva e dell'urina. Tant'è che, se nella gallina non si ricorre alla sezione o a una retrazione piuttosto violenta di quella tenda, non compare lo sbocco né delle feci dall'apparato digerente, né dell'urina dagli ureteri, né dell'uovo dall'utero. In quanto quei due escrementi (cioè l'urina e lo sterco) vengono emessi insieme, come da una cloaca in comune, dopo aver sollevato la tenda e messo a nudo l'orificio. Allo stesso modo durante l'accoppiamento la gallina scopre e adatta la vulva al gallo che sta per salirle sopra, come Fabrizi osservò in una tacchina desiderosa del maschio. Io stesso ho visto una femmina di struzzo, mentre il guardiano con mano delicata accarezzava il suo dorso per stimolare la libidine, che si stendeva a terra, sollevava la tenda e mostrava e distendeva la vulva. Il maschio, avendola vista, immediatamente eccitato dal desiderio sessuale, le salì sopra, e dopo aver piantato nella terra una zampa e premendo con l'altra il dorso di colei che stava sotto, facendo vibrare un grosso pene (lo crederesti una lingua di bue) lo mosse avanti e indietro, con parecchio rumore e strepito di ambedue, con le teste spesso spinte in avanti e all'indietro, e altri segni di godimento. Ciò non è di pertinenza solo degli uccelli, ma è comune anche ad altri animali, i quali, muovendo appena la coda e facendo sporgere i genitali, si preparano all'accoppiamento con il maschio. E in altri animali la coda svolge quasi lo stesso ruolo della tenda nella gallina. Se la coda non è stata allontanata o alzata, gli escrementi non sarebbero in grado di uscire, né i maschi potrebbero accoppiarsi con le femmine.

In cervis, damis, et dorcade (ceu animalibus castioribus), tale pudicitiae tutamen, et velabrum cuticulare, vulvam meatumque urinae in foemina operit; quod attolli necesse est, priusquam mas penem immittere possit.

Nei cervi, nei daini e nella gazzella (come negli animali più casti) una siffatta protezione della pudicizia e una tenda di pelle ricopre nella femmina la vulva e il meato urinario, ed è necessario che venga sollevata prima che il maschio possa introdurre il pene.

In caudatis etiam animalibus, sine caudae sublevatione, partus non contingit: imo vero et mulierum quoque partus, coccygem ungendo, eumque manu retrudendo obstetrices facilitant.

Inoltre negli animali dotati di coda il parto non avviene senza il sollevamento della coda. Per di più, in verità, le ostetriche facilitano anche i parti delle donne ungendo la regione coccigea e spingendo il coccige all'indietro con la mano.

[194] Chirurgus quidam, vir probus, mihique familiaris, ex India orientali redux, bona fide mihi narravit, in insulae Borneae locis a mari remotioribus et montosis, nasci hodie genus quoddam hominum caudatum[1] (uti olim alibi accidisse apud Pausaniam legimus), e quibus aegre captam virginem (sunt enim sylvicolae) ipse vidit, cum cauda carnosa, crassa, spithamae longitudine intra clunes reflexa, qua anum et pudenda operiebat. Usque adeo velari ea loca natura voluit[2].

Un chirurgo, persona affidabile e mio amico, reduce dall'India Orientale, mi ha narrato in tutta sincerità che in aree dell'isola del Borneo abbastanza lontane dal mare e montuose, oggi nasce un tipo di esseri umani dotati di coda (come leggiamo in Pausania* un tempo essere accaduto da qualche parte), dai quali uomini egli stesso vide una vergine venire catturata con fatica (infatti abitano nei boschi), dotata di una coda carnosa, grossa, lunga una spanna, attorcigliata fra le natiche, con la quale ricopriva l'ano e le pudenda. Fino a questo punto la natura ha voluto che queste aree vengano occultate.

Velabri istius fabrica, in gallina, est similis superioris palpebrae: ex cute nempe, membrana carnosa et musculosa texitur, cum fibris a circumferentia undique ad centrum ductis: eiusque interior superficies, ut palpebrae et praeputii, mollis est. Habet etiam in extremitate sui tarsum[3] semicircularem, ad modum palpebrae: atque insuper, inter cutem et membranam carnosam, interstitium cartilaginosum, ab uropygii radice cum tarso falcato ad angulos rectos copulatum (ut vespertiliones intra membraneas alas quasi latitantem exiguam caudam habent): qua fabrica, ceu cauda, velabrum hoc dicta pudendi foramina facilius detegere et operire possit.

Nella gallina la struttura di questa tenda è simile alla palpebra superiore: cioè è una membrana carnea e muscolare che è costituita da cute insieme a fibre che da tutta la circonferenza sono dirette al centro, e la sua superficie interna è molle come quella della palpebra e del prepuzio. Alla sua estremità possiede anche un tarso semicircolare come lo ha la palpebra, e superiormente, tra la cute e la membrana carnea, un interstizio cartilagineo, connesso ad angoli retti dalla radice dell'uropigio con il tarso fatto a falce (allo stesso modo in cui i pipistrelli posseggono all'interno delle ali membranose come una piccola appendice seminascosta). Affinché con questa struttura, o estremità, questa tenda possa scoprire e aprire più facilmente i suddetti fori delle pudenda.

Sublato itaque, et rescisso hoc velabro, foramina aliquot apparent; quorum alia conspicua, alia obscura sunt. Evidentiora quidem sunt ani, et vulvae; exitus nempe excrementi, et introitus in uterum. Obscura autem, tum illud, per quod urina e renibus profluit; tum exiguum illud a Fabricio inventum, in quod gallus, ait ille, semen suum immittit. Quod tamen foramen apud Aldrovandum Antonius Ulmus, diligens dissector, non agnovit; nec quisquam alius, quod sciam, praeter Fabricium.

Pertanto, dopo aver sollevato e asportato con un taglio questa tenda, appaiono alcuni fori, dei quali alcuni sono visibili, altri difficili da identificare. I più evidenti sono quello dell'ano e della vulva, cioè, la fuoriuscita delle feci e l'ingresso all'utero. Quelli difficili a vedersi sono sia quello attraverso il quale l'urina fluisce dai reni, sia quello piccolo scoperto da Fabrizi il quale dice: «Nel quale il gallo immette il suo seme.» Tuttavia, nel trattato di Aldrovandi*, Marco Antonio Olmo*, diligente dissettore, non identificò tale foro, né qualcun altro lo identificò, per quanto ne so, eccetto Fabrizi.

Foramina haec omnia adeo sibi invicem vicina sunt, ut fere in unam cavitatem concurrere videantur; quam (utpote stercori et urinae communem) cloacam liceat appellare: quod in ea, una cum alvi faecibus, urina e renibus descendens commisceatur, [195] donec simul egerantur. Per hanc quoque ovum in partu transiens sibi viam parat.

Tutti questi fori sono tra loro tanto vicini che quasi sembra vadano a finire in una sola cavità che si potrebbe chiamare cloaca (essendo in comune allo sterco e all'urina), in quanto in essa con le feci dell'intestino si mescolerebbe l'urina che scende dai reni, fino a quando vengono emesse insieme. Anche l'uovo passando attraverso questa cloaca al momento della deposizione si prepara il tragitto.

Huius cavitatis ea fabrica est, ac si in vesicam utrumque excrementum descenderet, et natura urina pro clystere naturali abuteretur. Ideoque crassior paulo et rugosior, quam intestinum, est: atque in egestione, et coitu, foras provolvitur (sublato, ut dixi, velabro, quod ipsam tegit), et, tanquam interior intestini pars prolapsa, prominet: eodemque tempore omnia foramina distincte apparent, quae statim in eius reductione, quasi in unam bursam collecta, reconduntur.

Tale è la struttura di questa cavità, per cui, anche se in vescica scendessero ambedue gli escrementi, la natura si servirebbe dell'urina come se fosse un clistere naturale. Per cui è un po' più spessa e rugosa rispetto all'intestino; nell'evacuazione e durante il coito sguscia fuori (essendosi sollevata la tenda, come ho detto, che la ricopre), e si fa prominente come se fosse una parte interna dell'intestino che è scivolata fuori. Nello stesso momento tutti i fori appaiono distintamente, i quali, mentre si riducono, subito si nascondono come se si trovassero raccolti in una sola borsa.

Foramina magis conspicua (ani scilicet et vulvae) contrarium situm in pennatis omnibus, atque in aliis animalibus obtinent. In his enim pudendum sive genitale foemineum parte anteriore locatur, inter intestinum rectum et vesicam: in illis autem excrementi exitus partem anteriorem possidet, atque inter ipsum et uropygium introitus in matricem deprehenditur.

I fori più grandi (cioè dell'ano e dell'utero) in tutti i pennuti hanno una localizzazione opposta rispetto agli altri animali. Infatti in questi il pudendo o organo genitale femminile è localizzato anteriormente, tra l'intestino retto e la vescica urinaria; invece in quelli - negli uccelli - la fuoriuscita degli escrementi occupa la parte anteriore e l'accesso all'utero è visibile tra essa e l'uropigio.

Foramen autem, in quod Fabricius putat gallum semen suum immittere, inter hoc vulvae ostium et uropygium cernitur. Ego vero talem eius usum non agnosco: In pullis enim iuvenculis vix reperitur; in adultis autem promiscue inest, tam gallo, quam gallina[4]. Accedit, quod foramen valde exiguum et obscurum sit, ut tantae utilitatis non appareat: vix enim aciculam aut setam admittit, et in cavitatem caecam terminatur: neque unquam potui humorem seminalem in ea reperire; quanquam Fabricius asserit semen ibidem, tanquam in bursa, per annum integrum reservari, omniaque interea ova inde foecundari; ut postea dicetur.

Il foro, nel quale Fabrizi ritiene che il gallo immetta il suo seme, è visibile tra questa apertura dell'utero e l'uropigio. Io tuttavia non sono d'accordo circa questo suo uso. Infatti nei pulcini abbastanza giovani lo si trova a stento, in quelli adulti è presente senza distinzione tanto nel gallo quanto nella gallina. In aggiunta, il foro è molto piccolo e difficilmente osservabile, tanto da non sembrare di eccessiva utilità: infatti a stento lascia passare un piccolo ago o una setola, e termina in una cavità cieca, né ho mai potuto trovarvi del liquido seminale, anche se Fabrizi afferma che proprio lì il seme viene conservato per un anno intero come in una borsa, e che nel frattempo tutte le uova ne vengono fecondate, come si dirà successivamente.

Insunt omnibus avibus, serpentibus, quadrupedibus oviparis, atque etiam piscibus (ut facile in cyprino videre est) renes et ureteres, per quos urina profluat: quod Aristotelem, aliosque hactenus philosophos latuit. In avibus autem, et serpentibus, quibus fungosi pulmones sunt, parva cernitur urinae copia; [196] quod parum admodum et pitissando[5] bibant; quare vesica urinaria iis non est opus; sed lotium, ut diximus, in communem alvum sive cloacam, cum sicco excremento deponunt. In cyprino tamen, aliisque quibusdam piscibus, vesicam quoque urinariam deprehendi.

In tutti gli uccelli, i serpenti, i quadrupedi ovipari e anche nei pesci (come è facile vedere nella carpa) sono presenti i reni e gli ureteri attraverso i quali l'urina possa defluire, il che finora è rimasto sconosciuto ad Aristotele e agli altri naturalisti. Negli uccelli e nei serpenti, nei quali ci sono dei polmoni spugnosi, si vede una scarsa quantità di urina, in quanto bevono molto poco e a sorsi, per cui essi non hanno bisogno della vescica urinaria, ma, come ho detto, depongono nell'intestino comune, o cloaca, l'urina insieme agli escrementi secchi. Tuttavia nella carpa e in alcuni altri pesci ho trovato anche una vescica urinaria.

In gallina, ureteres a renibus (qui ampli longique in dorsi cavitate locantur) utrinque descendunt, et in communem cavitatem sive cloacam desinunt. Exitus autem eorum adeo obscurus est, et in cavitatis ipsius limine delitescens, ut forinsecus eum invenire, et stilum vel tenuissimum immittere, plane sit impossibile. Neque equidem mirum; quippe in omnibus, vel maximis animalibus, insertio ureterum prope vesicae collum adeo anfractuosa et obscura est, ut (licet urina, et calculi aliquando per eos in vesicam delabantur) ne flatus quidem per easdem vias regredi, aut urina vi pelli queat. Contra autem, tum in avibus, tum in caeteris etiam animalibus, si stilus vel seta deorsum per ureteres impellatur, facile in communem cavitatem aut vesicam via aperitur.

Nella gallina gli ureteri scendono da ambo i lati dai reni (che larghi e lunghi sono localizzati in una cavità del dorso), e vanno a finire in una cavità in comune o cloaca. Il loro punto d'uscita è talmente incerto e nascosto in corrispondenza dell'ingresso nella cavità stessa, che riuscire a trovarlo dall'esterno e immettervi uno stilo, anche se molto piccolo, è del tutto impossibile. Non bisogna davvero meravigliarsi, in quanto in tutti gli animali, anche quelli molto grandi, lo sbocco degli ureteri in vicinanza del collo della vescica è ancora talmente intricato e incerto che (anche se l'urina e talora i calcoli scendono nella vescica attraverso di essi) non è possibile che attraverso queste stesse vie dell'aria possa risalire o dell'urina possa esservi sospinta a forza. Invece sia negli uccelli che anche negli altri animali se uno stilo o una setola viene spinta in giù attraverso gli ureteri, facilmente si apre un accesso alla cavità in comune o alla vescica.

In struthione haec omnia luculenter patent: in quo, praeter communis cavitatis orificium exterius, quod velabrum tegebat; aliud, intra anum, orificium rotundum, constrictum, et quasi sphinctere clausum reperi. Verum, his omissis, quod ad propositum nostrum spectat agamus.

Nello struzzo tutte queste cose sono molto ben visibili, nel quale, oltre all'orificio esterno della cavità in comune - la cloaca, che la tenda nascondeva, ho trovato all'interno dell'ano - dell'orificio cloacale - un altro orificio rotondo, contratto e chiuso come da uno sfintere. In verità, lasciando da parte queste cose, dedichiamoci a ciò che riguarda il nostro argomento da trattare.

Orificium uteri sive vulvae, nimirum transitus e communi cavitate in uterum gallinae, est veluti protuberantia quaedam mollis, laxa, rugosa, atque orbicularis; tanquam praeputii extremitas clausa, aut vulvae interioris cuiusdam tunicae prolapsus. Locatur autem, ut dixi, inter foramen ani et uropygium; atque aliquantulum sinistrorsum vergit; idque factum putat Ulisses Aldrovandus, ad commodiorem coitum, et faciliorem membri genitalis galli incursum.[6] Ego vero saepius observavi, gallinam, [197] prout gallus eam a dextra aut sinistra parte conscenderit, eo versus podicem suum indifferenter flectere. In gallo penem non invenio, quem nec Fabricius reperire potuit: cum tamen in ansere atque anate menifestissime appareat. Eius vero loco, in gallo orificium reperio (haud secus quam in gallina), minus tamen illud et angustius; quemadmodum etiam in cygno, ansere, et anate idem conspicitur: anseris autem et anatis mentula[7], dum coeunt, ab hoc orificio protenditur.

L'orificio dell'utero, ossia della vulva, cioè il passaggio dalla cavità comune - la cloaca - all'utero della gallina, è come una protuberanza molle, rilassata, rugosa e rotonda, chiusa come se fosse l'estremità del prepuzio o un prolasso di una tunica della vulva interna. Infatti si trova, come ho detto, tra l'orificio anale e l'uropigio, ed è rivolto un pochino verso sinistra. E Ulisse Aldrovandi ritiene che ciò accada «per un coito più comodo e una più facile immissione del membro genitale del gallo.» A dire il vero io ho visto più volte che la gallina, a seconda che il gallo le era salito sopra da destra o da sinistra, fletteva indifferentemente in tale direzione il suo orificio cloacale. Nel gallo non trovo un pene*, che neppure Fabrizi è stato in grado di reperire, mentre tuttavia nell'oca e nell'anatra è visibilissimo. Al suo posto nel gallo trovo un orificio (come nella gallina), tuttavia più piccolo e più stretto, così come lo si vede anche nel cigno, nell'oca e nell'anatra; ma il membro virile dell'oca e dell'anatra sporge da questo orificio mentre si accoppiano.

In nigra anate, penem tantae longitudinis vidi, ut absoluto coitu, humi pendentem insequens gallina, avide eum (lumbricum, credo, arbitrata) mordicaret, faceretque illius citius solito retractionem.

In un'anatra nera ho visto un pene così lungo che, terminato il coito, una gallina lo inseguiva mentre pendeva verso terra, lo mordeva avidamente (credo convinta che fosse un lombrico) e ne determinava la retrazione più in fretta del solito.

In struthione mare, intra hoc pudendi orificium, tanquam in equi praeputio, praegrandem glandem et nervum rubicundum, forma et magnitudine linguae cervinae, aut bubulae minoris, reperi; quem in coitu rigidum et aliquantulum aduncum vibrare saepius vidi, et in foeminae vulvam immissum, sine subagitatione ulla, diutius tenere; perinde ac si clavo aliquo ambo in coitu colligati essent: dum interea temporis capitis collique gesticulationibus, ut diximus, mire perstreperent, quasi hymenaeo annuissent, ingentemque voluptatis sensum exprimerent.

In uno struzzo maschio ho trovato all'interno di questo orificio cloacale, tanto come dentro al prepuzio del cavallo, un grandissimo glande e un pene rosso con la forma e la grandezza di una lingua di cervo o di piccolo bue, e piuttosto spesso durante il coito l'ho visto vibrare rigido e un pochino adunco, e dopo che era strato immesso nella vulva della femmina si manteneva tale piuttosto a lungo e senza alcun movimento, come se ambedue durante il coito fossero uniti da un qualche chiodo, mentre nel frattempo con movimenti della testa e del collo, come dissi, strepitavano in modo straordinario, quasi avessero acconsentito alle nozze e manifestassero una grandissima sensazione di voluttà.

Legi apud doctorem Du Val medicum doctissimum Rothomagensem, hermaphroditum quendam chirurgis atque obstetricibus demandatum fuisse, ut, num vir, an mulier esset, decernerent. Illi, inspectis genitalibus, mulierem esse iudicabant: iussumque propterea est, ut sequioris sexus vestitu uteretur. Interea tamen mulierum amores sectari, virique officium praestare accusabatur. Hic tandem repertus est, erumpente ex latenti praeputio (tanquam ex locis muliebribus) mentula, viri munus obiisse.

Ho letto in un'opera - Des hermaphrodits, 1612 - del Dottor Jacques Duval*, dottissimo medico di Rouen, che un ermafrodito era stato affidato ai chirurghi e agli ostetrici affinché stabilissero se era un uomo oppure una donna. Essi, dopo aver guardato i genitali, pensavano fosse una donna, per cui fu ordinato che si servisse dell'abito del sesso debole. Tuttavia nel frattempo veniva accusato di rincorrere gli amori delle donne e di svolgere il ruolo di maschio. Alla fine si scoprì che costui, mentre il pene balzava fuori da un prepuzio nascosto (come se provenisse dai genitali femminili), aveva svolto il ruolo di maschio.

Vidi ipsemet aliquando viri cuiusdam penem, introrsum adeo reductum, praeterquam cum tentigine provocaretur, ut nihil, in [198] corrugato praeputio supra scrotum, praeter summum glandis apicem promineret.

Una volta io stesso ho visto il pene di un uomo tanto ritirato internamente, salvo venisse eccitato dalla libidine, che nel prepuzio raggrinzito al di sopra dello scroto non sporgeva nulla eccetto la sommità dell'apice del glande.

In equo aliisque quibusdam animalibus, ingens istius membri longitudo ex occulto porrigitur. In Talpa etiam animali exiguo, inter cutem et abdominis musculos magna penis retractio conspicitur: eiusque pariter foeminae longior et profundior vulva obtigit.

Nel cavallo e in alcuni altri animali una notevole lunghezza di questo membro si protende da un nascondiglio. Anche nella talpa che è un animale piccolo si vede una notevole retrazione del pene tra la cute e i muscoli dell'addome, e parimenti si nasconde una vulva abbastanza lunga e profonda della sua femmina.

Gallo, cui penis deest, idem, credo, contigit, quod avibus minoribus, quae celeriter et affrictu duntaxat coitum perficiunt. Iunctis nempe saepius utrinque galli et gallinae pudendorum orificiis (quae foras eversa protuberant, rigent, glandisque in morem tenduntur; praecipue vero maris, quod foeminam exterius duntaxat lambit, non autem, ut arbitror, ingreditur), ceu repetitis suaviis, non uno longiore initu, coitum celebrant.

Credo che al gallo, al quale manca il pene, accada la stessa cosa che accade agli uccelli più piccoli, i quali effettuano il coito rapidamente e solo per sfregamento. I galli e le galline per lo più celebrano il coito proprio dopo aver congiunto da ambo le parti gli orifici cloacali (che fatti sporgere fuori si gonfiano, diventano duri e si distendono come il glande; in verità soprattutto del maschio, in quanto lambisce la femmina solo all'esterno, ma, come penso, non la penetra), oppure con baci ripetuti, non con un solo coito piuttosto protratto.

In equorum, canum, felium, aliorumque coitu, foemina mari penem obtendenti pudendum rigidum tensumque accommodat. Quod etiam in avibus contingit, quae cicures manum sibi imponi sinunt, venereque turgentes orificium hoc protendunt; idemque renitens ac duriusculum reperies, si digitum admoveris.

Nel coito dei cavalli, dei cani, dei gatti e di altri animali, la femmina offre i genitali esterni duri e tesi al maschio che protende il pene. Il che accade anche negli uccelli, e le femmine di quelli addomesticati permettono che si metta sopra di loro una mano, e colmi di desiderio sessuale fanno sporgere questo orificio, e se gli applicherai un dito lo troverai resistente e piuttosto duro.

Imo vero usque adeo libidinosae interdum aves sunt, ut, si dorsum earum manu solum leviter tangas, statim procumbant, orificium uterinum nudent et exporrigant: quod si blande digito demulseris, vago murmure, alarumque gesticulatione, gratam veneris dulcedinem exprimunt. Quinetiam foemellas ova inde concipere, et Aristoteles[8] auctor est, et ipsemet in turdo, merula, aliisque, expertus sum: idque olim primum fortuito, meoque damno, didici.

Per di più, a dire il vero, talora gli uccelli sono a tal punto libidinosi che, se con la mano tocchi solo delicatamente il loro dorso, subito si accovacciano, mettono a nudo l'orificio uterino e lo fanno sporgere, e se lo avrai accarezzato delicatamente con un dito, esprimono un gradito piacere sessuale con un lieve mormorio e con un gesticolio delle ali. Anzi, anche Aristotele scrive che per questo motivo le femmine concepiscono le uova, e io stesso l'ho riscontrato nel tordo, nel merlo e in altri uccelli, e in passato ho appreso ciò per la prima volta per caso e a mio danno.

Psittacum nempe insignem, docteque garrulum, uxor mea diu in deliciis habuit. Erat is adeo familiaris, ut quocunque vellet libere per aedes vagaretur; absentem dominam inquireret; [199] inventae hilari voce ablandiretur; vocanti etiam responderet; advolaret; vestemque rostro pedibusque vicissim comprehendens, ad summum humerum scanderet; indeque per brachium descendens, super manum semper se sisteret: iussus loqui aut cantare, etiam noctu et in tenebris, morem gessit. Saepe ludibundus et lascivus sedentis gremium adibat; ubi caput sibi attrectari, dorsumque demulceri gestiebat; quassatisque alis, et blando strepitu summam animi sui laetitiam testabatur. Ego haec omnia ab usitata pridem familiaritate et obsequio proficisci interpretabar: marem enim sum arbitratus, ob loquelae et cantus eximiam praestantiam.

Infatti mia moglie per lungo tempo possedette tra le cose deliziose un pappagallo straordinario e abilmente loquace. Esso era a tal punto domestico da girare liberamente per le stanze come voleva, da ricercare la padrona assente, da blandirla con voce allegra quando l'avesse trovata, da rispondere a lei che lo chiamava, volarle incontro, e afferrando il vestito alternativamente con il becco e con le zampe, si arrampicava fino alla sommità della spalla, e scendendo da qui attraverso il braccio, si posizionava sempre sopra la mano, e, comandandogli di parlare o di cantare, prese l'abitudine di farlo anche di notte e al buio. Spesso scherzoso e allegro andava in grembo di chi stava seduto, dove smaniava che gli venisse palpeggiata la testa e accarezzato il dorso, e scuotendo le ali e con un leggero strepitio dimostrava la grandissima gioia del suo animo. Io interpretavo che tutte queste cose provenissero dalla familiarità da tempo acquisita e dalla sottomissione. Infatti l'ho giudicato essere un maschio a causa delle eccezionali prestazioni del linguaggio e del canto.

Quippe, inter aves, foemellae raro {cantillare} <cantilare>, aut voce invicem provocare solent: sed mares solum suavi vocis modulamine foemellas delinire, et ad veneris obsequium pellicere animadvertimus. Ideoque Aristoteles ait[9] Perdices, si adversae maribus steterint, ventusque inde afflet ubi mares stant, concipiunt et maritantur. Plerumque etiam voce marium utero ingravescunt, si gestiunt ac libidine turgent. Volatu quoque superne marium effici idem potest; videlicet dum mas ipse in foeminam foetificum spiritum demittit. Quod verno praesertim tempore contigit: unde poeta[10].

Infatti in seno agli uccelli raramente le femmine sono solite canticchiare oppure rivaleggiare tra loro con la voce. Invece notiamo che solamente i maschi seducono le femmine con una soave modulazione della voce e le attraggono all'accoppiamento. E pertanto Aristotele dice: «Le pernici, se stanno di fronte ai maschi e il vento soffia dalla direzione in cui si trovano i maschi, concepiscono e si maritano. Inoltre per lo più rimangono gravide in utero a causa della voce dei maschi se sono bramose e se scoppiano di libidine. La stessa cosa può anche accadere se i maschi volano al di sopra, ovviamente in quanto il maschio stesso immette nella femmina un soffio fecondatore.» Il che accade soprattutto in primavera, per cui il poeta Virgilio* nelle Georgiche scrive:

Vere tument terrae, et genitalia semina poscunt.
Tum pater omnipotens foecundis imbribus aether
[11]
Coniugis in gremium laetae descendit, et omnes
Magnus alit, magno commistus corpore, foetus.
Avia tum resonant avibus virgulta canoris;
Et venerem certis repetunt armenta diebus.

In primavera le terre sono gonfie e chiedono con insistenza i semi fecondanti.
Allora l'onnipotente padre Etere con le feconde piogge
scende nel grembo della rigogliosa consorte
e immenso alimenta tutti i feti mescolandosi all'immenso corpo.
Allora i cespugli remoti risuonano di uccelli canori
e gli armenti rinnovano l'accoppiamento nei giorni stabiliti.

Non diu autem post blandas has contrectationes psittacus, qui multos iam annos sanus vixerat, aegrotavit; crebrisque tandem convulsionibus obortis, in dominae suae gremio, ubi toties luserat, animam plurimum desideratus expiravit. Dissecto itaque [200] cadavere, ut mortis causam inquirerem, ovum fere perfectum in utero reperio; sed, ob defectum maris, corruptum. Quemadmodum aviculis in caveis reclusis saepe accidit, quae maris consortium desiderant.

Ma non molto tempo dopo questi carezzevoli toccamenti il pappagallo, che aveva vissuto molti anni sano, si ammalò, e infine, essendosi verificate delle frequenti convulsioni, assai rimpianto emise l'anima in grembo alla sua padrona dove tante volte si era divertito. Dopo aver sezionato il cadavere per indagare la causa di morte, trovo nell'utero un uovo quasi ultimato, ma alterato per la mancanza del maschio. Così come spesso accade agli uccellini rinchiusi nelle gabbie, i quali desiderano la compagnia di un maschio.

His aliisque exemplis inducor ut credam, gallum gallinaceum, et phasianum, non solum cantu suo foemellis blandiri, sed eodem etiam ovorum conceptui conferre: noctu enim ad galli cantum, nonnullae ex adsidentibus gallinis sese concutiunt, alas et capita quatientes; quasi horrore blando correptae, a coitu gesticularentur.

Da questi e da altri esempi vengo indotto a credere che il gallo e il fagiano corteggiano le femmine non solo con il loro canto, ma che con esso contribuiscono anche al concepimento delle uova: infatti di notte quando il gallo canta alcune delle galline appollaiate si scuotono, sbattendo le ali e la testa, come se, pervase da un lieve brivido, gesticolassero indotte dal coito.

Avis quaedam, quam cygnus altero tanto maior, non ita pridem ex Java Indiae orientalis insula in Hollandiam advecta est, quam Batavi Cassoware nominabant. Huius iconem Ulysses Aldrovandus[12] exhibet, dicitque eam ab Indis Eme appellari. Non est bisulca, ut struthio, sed in singulis pedibus tres digitos habet; quorum unus calcari adeo longo, duro, et robusto armatur, ut facile tabulam duos transversos digitos crassam calcitrando penetret; antrorsum autem ferit. Corpore quidem, cruribus, et femore struthionem refert; rostrum autem latum, ut hic, non habet, sed teres et nigrum. Super caput, pro crista, cornu orbiculatum gerit extuberans: lingua caret[13]; quaelibet oblata devorat; calculos nempe, carbones, etiam ignitos, et glaciei frusta, sine discrimine: plumae ipsi e singulis calamis binae prodeunt, nigrae, breves, et exiles; ad naturam pilorum, sive lanuginis accedentes. Alas habet valde exiguas, et mutilas. Animal est aspectu truculento, eique palearia rubra, et caerulea, oblonga per collum descendunt.

Un uccello, più grande del doppio di un cigno, che i Batavi* chiamavano Cassoware – casuario*, non molto tempo fa è stato portato in Olanda da Giava, isola dell'India orientale. Ulisse Aldrovandi ne mostra l'immagine e dice che dagli Indiani viene chiamato Eme – emù*. Il casuario non ha un piede bifido come lo struzzo, ma in ciascun piede possiede tre dita, uno dei quali è armato di un'unghia fatta a sperone tanto lunga, dura e robusta da penetrare facilmente con un calcio una tavola spessa due dita trasverse - 3,6 cm; in effetti ferisce con un movimento verso l'avanti. Nel corpo, nelle gambe e nella coscia sembra a uno struzzo, ma non ha un becco largo come questo, bensì arrotondato e nero. Sulla testa al posto del ciuffo reca un corno arrotondato e sollevato, manca di linguaggio, divora qualunque cosa gli venga offerta, cioè, senza fare distinzione, sassolini, carboni, anche se infuocati, e pezzi di ghiaccio. Le sue piume fuoriescono in coppia da ciascun calamo, nere, brevi ed esili, simili alla struttura dei peli o della lanugine. Possiede delle ali molto piccole e mozze. Di aspetto è un animale minaccioso e, lungo il collo, gli scendono dei bargigli rossi e azzurri allungati.

Mansit haec avis amplius annos septem in Hollandia: eamque postea illustrissimus Mauritius princeps Auriacus[14] serenissimo regi nostro Iacobo[15], inter alia munera, dono misit; in cuius hortis supra quinquennium vixit. Postea autem, cum in [201] eundem locum struthiones duo, mas et foemina, {concedissent} <concessissent>; eosque haec Cassoware in proximis claustris (ubi separatim alebantur) saepenumero coeuntes audivisset, vidissetque; inopinato prorsus (sympathia, credo, cognati generis exstimulata) ova concepit. Quotquot enim eam viderant, marem potius ex armis et ornatu, quam foeminam iudicabant. Ex his ovis, unum peperit integrum, quod aperui, et perfectum inveni; albumen nempe luteo circumfusum, cum chalazis sive grandinibus utrinque adnexis, et cavitate exigua in obtuso cacumine; aderat etiam cicatricula, sive macula albicans; testa erat crassa, dura et valida, quam ablato vertice, in  poculum efformari iussi; quemadmodum ex struthionum ovis calices effingi solent. Erat ovum hoc paulo quam struthionum minus, undiquaque, ut dixi, perfectum; proculdubio tamen subventaneum et, ob defectum maris, infoecundum. Matri vero eodem tempore, quo ovum pepererat, mortem praedixi; idque ex sententia Aristotelis, qui ait[16], Aves morbo laborare, et interire, nisi pariant. Quod etiam non multo post evenit; dissectoque cadavere, ovum imperfectum et corruptum in superiore uteri parte, mortem praematuram (ut prius in psittaco, aliisque avibus observaveram) attulisse comperi.

Questo uccello rimase per più di 7 anni in Olanda. Successivamente l'illustrissimo Maurizio Principe d'Orange lo mandò in dono, tra altri regali, al nostro serenissimo re Giacomo I, nei cui giardini visse per più di 5 anni. Successivamente, essendo giunti nello stesso luogo due struzzi, maschio e femmina, e questo casuario femmina, avendoli uditi e visti parecchie volte mentre si accoppiavano nei recinti vicini (dove venivano nutriti separatamente), del tutto inaspettatamente (credo per sintonia, stimolata dal fatto di appartenere a un genere affine - ordine degli Struzioniformi) concepì delle uova. Infatti tutti quelli che l'avevano vista giudicavano si trattasse di un maschio, per gli strumenti di difesa e per l'abbigliamento, anziché di una femmina. Di queste uova uno lo depose intatto, che aprii e trovai perfetto, cioè l'albume disposto intorno al tuorlo con le calaze, o grandini, attaccate ad ambo i lati, e con una piccola cavità in corrispondenza del polo ottuso. Era presente anche la cicatricola, o macchiolina bianca, il guscio era denso, duro e robusto, e dopo averne tolta la sommità ordinai che venisse trasformato in una tazza, allo stesso modo in cui dalle uova degli struzzi vengono abitualmente confezionati dei calici. Quest'uovo era leggermente inferiore a quello degli struzzi, perfetto in ogni suo punto, come ho detto; tuttavia senza dubbio sterile e, per mancanza del maschio, infecondo. A dire il vero predissi alla madre che sarebbe morta nello stesso momento in cui avesse deposto un uovo, e ciò proviene dall'affermazione di Aristotele che dice: «Gli uccelli si ammalano e muoiono se non partoriscono». E ciò accadde non molto tempo dopo, e dopo aver sezionato il cadavere ho appurato che nella parte superiore dell'utero un uovo imperfetto e alterato aveva provocato una morte prematura (come in precedenza avevo osservato nel pappagallo e in altri uccelli).

Plurimae itaque aves, quanto salaciores, tanto etiam foecundiores sunt; et aliquando sine mare (ob pabuli ubertatem, vel alia aliqua de causa) ova concipiunt: raro autem citra eius operam, ea vel perficiunt, vel pariunt; sed morbis inde potius gravioribus tenentur, tandemque intereunt. Gallina vero non solum ova concipit, sed et parit etiam, eaque perfecta; at hypenemia et infoecunda. Similiter, insecta plurima (in quorum censu bombyces et papiliones sunt) ova concipiunt, et pariunt, absque maris congressu (ut etiam pisces), sed irrita et subventanea.

Pertanto moltissimi uccelli, quanto più sono sessualmente eccitati, sono pure altrettanto più fecondi, e talora concepiscono le uova senza il maschio (a causa dell'abbondanza del cibo o per qualche altro motivo). Ma raramente, indipendentemente da lui, le portano a compimento o le depongono. Invece in seguito a ciò vengono preferibilmente colpite da malattie piuttosto gravi e infine muoiono. Ma la gallina non solo concepisce le uova, ma le depone anche, e sono ultimate, ma sono ventose e infeconde. Allo stesso modo moltissimi insetti (tra i quali ci sono i bachi da seta e le farfalle) concepiscono e depongono le uova, e senza il rapporto sessuale del maschio (come anche i pesci), ma sono infeconde e ventose.

[202] Quasi in huiusmodi animalibus, ova concipere, perinde foret, ac in puella uterum incalescere, menstrua profluere, fratrare ubera, et, ut paucis dicam, viro maturam esse: quo si privetur diutius, symptomatibus gravioribus, hystericis nempe, aut furore uterino, corripitur; vel in cachexiam aliasque varias aegritudines delabitur. Omnia siquidem animalia, cupidinis oestro percita, ferociunt; et, nisi se invicem fruantur, plurimum tandem a consuetis moribus recedunt. Ita mulieres quaedam insaniunt prae desiderio consuescendi cum viris; et in nonnullis usque adeo saevit hoc malum, ut vel veneficio afflatae, vel sideratae, aut a cacodaemone obsessae iudicentur. Idque saepius contingeret, nisi proba educatio, bonae famae reverentia, et innata huic sexui verecundia, inordinatos hosce animi impetus compescerent.

In tali animali il concepimento delle uova avverrebbe quasi come se in una ragazza l'utero si scaldasse, le mestruazioni fluissero, le mammelle si gonfiassero e, per dirla in breve, fosse matura per un uomo, ma se ne venisse privata troppo a lungo verrebbe colta da sintomi piuttosto gravi, cioè isterici, o smania uterina, oppure scivola in uno stato cachettico e altre svariate patologie. Poiché tutti gli animali, eccitati da uno stimolo sessuale, diventano feroci, e, se non si soddisfano reciprocamente, infine si allontanano parecchio dal comportamento abituale. Così alcune donne impazziscono a causa del desiderio di avere rapporti intimi con gli uomini, e in alcune questa sofferenza si scatena fino a tal punto da essere giudicate colpite da un veneficio, oppure paralizzate, oppure ossessionate da un malvagio essere diabolico. Ciò accadrebbe piuttosto frequentemente se un'educazione di buona qualità, un rispetto della buona fama e un pudore innato nei confronti di questo sesso non frenassero questi impeti disordinati dell'animo.

 


[1] La coda nell'uomo - Gli embrioni umani hanno una coda che misura circa un sesto della dimensione dell'embrione stesso. Con il successivo svilupparsi dell'embrione in feto, la coda viene assorbita dal corpo. Questa temporanea coda è quindi una struttura vestigiale dell'uomo. Raramente capita che nascano bambini con una coda morbida, non contenente vertebre ma solo vasi sanguigni, muscoli e nervi, sebbene ci siano stati pochissimi casi documentati di code contenenti cartilagine o fino a cinque vertebre (Mouied Alashari, Joy Torakawa: True Tail in a Newborn, Pediatric Dermatology 12(3), pp 263–266, 2008). La tecnologia moderna permette ai medici di eliminare la coda al momento del parto. La più lunga coda umana nota è stata quella di un ragazzo di dodici anni, vissuto nell'allora Indocina francese, che misurava 22,9 cm. Un uomo chiamato Chandre Oram, nato in India, è famoso per la sua coda di 33 cm, ma si crede che più che di una vera e propria coda si tratti di un caso di spina bifida. – Il coccige, dal greco kókkyx = cuculo e coccige, per la somiglianza con il becco di tale uccello, è un osso impari che nell'uomo rappresenta il tratto terminale della colonna vertebrale, un residuo della coda delle scimmie. Ha forma triangolare ed è situato inferiormente al sacro con cui si articola; risulta dalla saldatura di 4-5 vertebre rudimentali, dette caudali, e può essere considerato, nell'uomo, un abbozzo o un residuo di appendice caudale. Il coccige non sporge esternamente ma ha uno scopo anatomico: fornisce un attaccamento per muscoli come il grande gluteo.

[2] Non possiamo escludere che questa femmina con la coda stesse stimolando il clitoride e non che ricoprisse queste aree per motivi di occultamento oppure di pudicizia.

[3] Tarso palpebrale: strato fibroso che costituisce l'impalcatura del margine libero di ciascuna palpebra.

[4] Si tratta del foro della Borsa di Fabrizio* o Timo cloacale. Fabrizi concedeva questo foro solo alla gallina. Ovviamente Harvey risulta un attento osservatore, in quanto la sua affermazione, che si oppone a quella di Fabrizi, risulta vera.

[5] Più corretto e facilmente reperibile è pytissando, da pytisso (io sputo dopo aver assaggiato il vino), derivato dal greco pytízø = io sputo.

[6] Questa citazione è irreperibile in Ornithologiae Tomus Alter (1600) nel capitolo XIV dedicato al pollo.

[7] Nel linguaggio popolare dell'Italia meridionale si usa dire michia per significare il pene. Minchia deriva dal latino mentula attraverso la sua forma collaterale mencla.

[8] Hist. anim. lib. vi. cap. 2.

[9] Hist. anim. lib. v. cap. 5. et lib. vi. cap. 2.

[10] Virgil 2. Georg.

[11] Etere, quale mitica personificazione della luminosità del cielo, nella religione greca compare tra gli esseri primordiali dei vari miti cosmogonici: nella Teogonia di Esiodo figura come il figlio di Erebo e Nyx (Notte), e fratello di Emera (Giorno). Secondo altre tradizioni Etere, unitosi a Emera, genera Gaia (Terra), Urano (Cielo) e Oceano. In una seconda serie di generazioni sembra che la sua figura si confonda con quella di Urano.

[12] Ornithol. lib. xx. pag. 541. § L'immagine di questo uccello fornita da Aldrovandi - presente alla voce casuario* del lessico - non corrisponde a quella di un emù, come egli riferisce (Avem Eme Indis appellatam – Uccello chiamato emù dagli Indiani), in quanto specifica che l'apice della testa è dotato di un elmetto (In capitis corona peltam habet, duritie testitudinis peltae similem – Sulla sommità del capo possiede un piccolo scudo, simile per durezza allo scudo di una testuggine). L'elmetto è una caratteristica del casuario, non dell'emù. Quindi la citazione da parte di Harvey dell'emù di Aldrovandi, parlando del Cassoware dei Batavi, corrisponde alla citazione di un altro casuario, però riferito da Aldrovandi come Eme in base ai dati di cui disponeva.

[13] In base ai dati anatomici disponibili, il casuario possiede la lingua. Ciò che gli mancherebbe è un linguaggio percepibile dall'orecchio umano: «Voce a bassa frequenza del gigante casuario - È già stato definito il richiamo più profondo del mondo aviario. È quello del casuario, un gigantesco uccello (può arrivare a 60 kg) che vive nella Papua Nuova Guinea e che produce dei versi a bassa frequenza da non poter essere percepiti normalmente dall'orecchio umano. «Il suo modo di comunicare assomiglia a quello degli elefanti» ha affermato Andrew Mack della Wildlife Conservation Society. - Corriere della Sera - 2 novembre 2003 – pagina 22» Attenzione: il cigno muto (Cygnus olor) e l'anatra muta (Cairina moschata) non sono del tutto muti come indicherebbe l'aggettivo, in quanto qualche debole e stano suono percepibile dall'orecchio umano sono in grado di emetterlo. A essere senza lingua sono invece gli Aglossi, come dice chiaramente il loro nome: si tratta di un sottordine di Anfibi Anuri caratterizzati dalla mancanza di una lingua ben differenziata; sono esclusivi dell’Africa tropicale e australe e della regione nord-occidentale dell’America Meridionale.

[14] Maurizio di Nassau, principe d'Orange (Dillenburg, Assia, Germania 1567 - L'Aia 1625). Figlio di Guglielmo il Taciturno, alla sua morte (1584) divenne governatore (statolder) delle Province d'Olanda e Zelanda. Maurizio condusse la rivolta dei Paesi Bassi contro la Spagna liberando le province del Nord (1591-97), mentre la guida politica delle Province Unite veniva affidata al gran pensionario d'Olanda Johan van Oldenbarneveldt (il pensionario sarebbe poi diventato il nostro Primo Ministro). Dopo aver battuto la Spagna a più riprese, grazie a una nuova, moderna, impostazione dell'arte militare imitata dai tattici dell'epoca, Maurizio dovette fermare le operazioni belliche per la tregua dei dodici anni stipulata con gli Spagnoli nel 1609. Tale tregua, sostenuta da Oldenbarneveldt e osteggiata da Maurizio, fu alla base del contrasto dei due protagonisti. La guerra civile che ne scaturì si risolse a favore di Maurizio (in disaccordo con il rivale anche sul terreno religioso) il quale, appoggiato dall'esercito, poté mandare al patibolo Oldenbarneveldt (1619). L'anno precedente Maurizio era diventato, per la morte del fratello Filippo Guglielmo, principe d'Orange e nel 1621 ricevette la nomina di statolder di Groninga e di Drenthe.

[15] Giacomo I re d'Inghilterra, VI di Scozia (Edimburgo 1566 - Londra 1625). Figlio di Maria Stuart, regina di Scozia, e del secondo marito, lord Darnley, fu proclamato re di Scozia il 24 luglio 1567, all'età di un anno e un mese. Vari reggenti si batterono per rivendicare il diritto ad agire in suo nome, mentre era tenuto nel castello di Stirling. Iniziata una politica propria, scelse la via dell'alleanza con l'Inghilterra (1585-86) e vi si mantenne fedele anche dopo l'esecuzione della madre (1587), prigioniera della regina Elisabetta. Migliorate le sue finanze (1596-97), governò la Scozia in maniera assolutista come faceva in Inghilterra Elisabetta, alla quale succedette sul trono inglese (24 marzo 1603), essendo discendente di Margherita Tudor.

[16] Gen. anim. lib. iii.