Harveypullus
Il Pulcino di William Harvey
18° esercizio - La quarta ispezione dell'uovo
L'asterisco
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[257]
EXERCITATIO DECIMAOCTAVA. |
18°
esercizio |
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QUINTO demum
ab incubatione die, discernitur
primum, inquit
Aristoteles[1],
corpus pulli valde exiguum, et
candidum; capite conspicuo, et in eo oculis maxime turgidis, qui diu
sic permanent. Sero enim tandem parvi fiunt, ac considunt. In parte
autem corporis inferiore nullum extat membrum per initia, quod
respondeat superioribus. Meatus autem illi qui a corde prodeunt,
alter ad circundantem membranam tendit, alter ad luteum, officio
umbilici. Pulli igitur origo ex albumine est; alitur enim luteo per
umbilicum. |
Infine
il quinto giorno dall'inizio dell'incubazione Aristotele* dice: «Innanzitutto
si vede un corpo del pulcino che è molto piccolo e bianco, dalla
testa grande, e in essa sono presenti degli occhi assai gonfi che
rimangono a lungo così. Infine infatti più avanti nel tempo
diventano piccoli e si abbassano. Ma nella parte inferiore del corpo
non esiste alcuna struttura abbozzata che corrisponda a quelle
superiori. Di quei vasi che nascono dal cuore, uno si dirige alla
membrana avvolgente, l'altro al tuorlo con la funzione di ombelico.
Pertanto l'origine del pulcino proviene dall'albume, infatti viene
alimentato dal tuorlo attraverso l'ombelico.» |
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Quibus verbis,
Aristoteles videtur totam pulli generationem in tres classes sive
ordines distribuere: nempe a primo incubationis die ad quintum usque;
inde ad diem decimum vel decimum quartum; atque hinc ad vicesimum.
Quasi ea duntaxat, quae his tribus temporibus percepit, in historiam
retulisset. [258] Contingunt sane his temporibus maximae in ovo
permutationes: quasi diebus hisce decretoriis ceu tribus gradibus,
processus ab ovo perfecto ad pulli exclusionem distingueretur.
Quarto enim die prima foetus particula, punctum saliens nempe, et
sanguis apparent; posteaque foetus corporatur. Septimo, pullus
membris distinguitur, et sese movet. Decimo, plumescit. Circa
vicesimum, respirat, pipit, atque exitum quaerit. Vita, quae illi
ante quartum diem inest, plantarum aemula videtur, atque anima
vegetativa duntaxat censenda est. Inde vero ad decimum, animalis
instar, sensitiva atque motiva anima fruitur, qua adolescit:
posteaque sensim perficitur; ornatus plumis; et rostro, unguibus,
reliquisque instructus, ad exitum iam properat, ut tandem
emancipatus sui iuris fiat. |
Sembra
che Aristotele con queste parole suddivida tutta la generazione del
pulcino in tre classi o ordini: cioè dal primo giorno di
incubazione fino al quinto, da qui fino al decimo o al
quattordicesimo giorno, e da qui fino al ventesimo. Come se avesse
registrato nella descrizione solamente quelle cose che osservò in
questi tre intervalli di tempo. Effettivamente in questi intervalli
di tempo accadono nell'uovo dei grandissimi cambiamenti, come se il
passaggio dall'uovo ultimato alla schiusa del pulcino venisse
identificato da questi giorni decisivi come se fossero tre stadi.
Infatti al quarto giorno compaiono la prima particella del feto, cioè
il punto pulsante, e il sangue, e successivamente il feto assume un
corpo. Al settimo giorno il pulcino è contrassegnato dalle membra e
si muove. Al decimo giorno si impiuma. Intorno al ventesimo respira,
pigola e cerca di uscire. La vita che è presente in lui prima del
quarto giorno sembra emulare le piante, e bisogna registrare
solamente l'anima vegetativa. Ma da allora fino al decimo giorno,
come un animale, dispone di un'anima sensitiva e motoria, grazie
alla quale aumenta e successivamente pian piano si perfeziona.
Adorno di piume e fornito di becco, di unghie e delle rimanenti
strutture, già si affretta a uscire affinché finalmente emancipato
diventi indipendente. |
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Quae itaque
post quartum diem eveniunt, Aristoteles tria potissimum enumerat:
nempe corporis fabricam; venarum ductus, qui iam umbilici officium
et naturam subeunt; materiamque, unde foetus primum oritur,
constituitur, et nutritur. |
Pertanto,
tra le cose che avvengono dopo il quarto giorno, Aristotele ne
elenca soprattutto tre, cioè: la struttura del corpo, i condotti
venosi che già svolgono il compito e la forma dell'ombelico, e la
materia dalla quale il feto origina, viene formato e nutrito. |
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De corporis
fabrica, quatuor recenset: scilicet, quae sit eius magnitudo; quis
color; quae partes maxime conspicuae sint (caput nimirum, et oculi)
et quaenam sit membrorum distinctio. |
Circa
la struttura del corpo esamina quattro cose, cioè: qual'è la sua
grandezza, quale il colore, quali sono le parti più grandi (cioè,
la testa e gli occhi), e quale sia la suddivisione delle parti del
corpo. |
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Est revera
corpus valde exiguum, formaque galbam vulgarem referens, ex qua
musca oritur; colore etiam candido praeditum est; perinde ac muscae
vermiculus, quem in carne putrescente foventem atque enutriendum
deponit. Eleganter etiam addidit, conspicuum
maxime esse capite et oculis. Quod enim primo apparet, similare
est et indistinctum; tanquam concretum et congelatum quid ipsius
colliquamenti foret (qualis gelatina apparet, quae ex cornu cervini
coctura efficitur); nempe transparens nubecula, et vix conspicua,
nisi in duas quasi partes divisa distingueretur. Quarum altera
conglobata, longe altera maior est; capitis scilicet rudimentum,
quod die quinto [259] primum conspicitur: in eoque mox oculi
manifeste distinguuntur; qui per initia statim maximi, valdeque
inflati prominent, et a reliquo capite atque etiam corpore,
circumfusa quadam nigredine, discriminantur. Horum quilibet reliquo
toto capite maior est; quemadmodum et caput ipsum, corpus reliquum
magnitudine excedit. Durat aliquandiu hic corporis candor, et
oculorum intumescentia (qui, perinde ac cerebrum, aqua intus
limpidissima implentur, foris autem nigricant); ad decimum nempe
diem atque etiam amplius: sero
enim, inquit, decrescunt
oculi, et sese ad ratam contrahunt proportionem. Imo vero, me
observatore, oculi avium nunquam sese ad ratam illam proportionem
contrahunt, quae est inter oculum et caput animalis vivipari.
Gallinae enim, aliisque avibus, si cutem oculos integentem
detraxeris, horum quilibet totam cerebri molem facile aequaverit: in
beccagine autem et similibus, alteruter oculus toto reliquo capite,
si rostrum dempseris, maior est. Omnibus vero avibus id commune est,
ut orbita sive cavitas, quae oculum amplectitur, cerebrum ipsum
exsuperet, ut in ipsarum craniis videre est. Fit autem ut earum
oculus minor videatur, quia totus praeter pupillam cute et plumis
obtegitur; neque orbiculari figura praeditus est, qua promineat, sed
depressiore; ut piscibus contingit. |
In
verità il corpo è molto piccolo e nella forma somiglia al comune
verme della quercia dal quale nasce una mosca, ed è anche dotato di
colore bianco come il piccolo verme della mosca che lo depone nella
carne in via di putrefazione per scaldarlo e per nutrirlo. In modo
elegante ha anche aggiunto che è molto grande a livello della testa
e degli occhi. Infatti ciò che compare all'inizio è del tutto
simile e indistinto, come se un qualcosa del colliquamento stesso
fosse denso e congelato (come appare la gelatina che si produce
dalla cottura di un corno di cervo), proprio una piccola macchia
trasparente, e a stento visibile se non apparisse divisa in quasi
due parti. Una delle due è arrotondata e l'altra è molto più
grande, cioè è l'abbozzo della testa che per la prima volta
diventa visibile al quinto giorno, e in esso subito si distinguono
chiaramente gli occhi che nelle fasi iniziali subito sporgono assai
grandi e molto gonfi, e si distinguono dal resto della testa nonché
del corpo per del nero che sta intorno. Ogni occhio è più grande
di tutta la rimanente testa, così come la testa stessa supera in
grandezza il resto del corpo. Questo candore del corpo dura per un
certo tempo, come pure il gonfiore degli occhi (i quali, come il
cervello, sono riempiti internamente da acqua limpidissima, mentre
all'esterno sono neri) fin verso il decimo giorno e anche più;
infatti dice che tardivamente gli occhi diminuiscono e si
contraggono alla giusta proporzione. Ma anzi, in base alla mia
osservazione, gli occhi degli uccelli non si contraggono mai a quel
giusto rapporto che esiste tra l'occhio e la testa di un animale
viviparo. Infatti se a una gallina e ad altri uccelli rimuoverai la
cute che ricopre gli occhi, uno qualunque di essi facilmente
pareggerà tutta la massa del cervello; inoltre nella beccaccia* e
in uccelli simili sia l'uno che l'altro occhio è maggiore di tutta
la rimanente testa, se avrai tolto il becco. In verità tutti gli
uccelli hanno in comune quanto segue: l'orbita, ossia la cavità che
abbraccia l'occhio, supera lo stesso cervello, come è possibile
vedere nei loro crani. Ma accade che il loro occhio sembri più
piccolo in quanto viene tutto ricoperto da cute e piume eccetto la
pupilla, e non è dotato di forma sferica attraverso la quale
sporgere, ma più appiattita, come accade ai pesci. |
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In
parte corporis inferiore, inquit Philosophus, nullum
exstat membrum per initia quod respondeat superioribus. Ita
profecto se res habet: corpus ab initio, ut, vix nisi capite et
oculis, conspicuum est; ita quoad inferiora, nec membro aliquo, alis
scilicet, pedibus, sterno, uropygio, nec viscere ullo distinguitur;
imo vero neque formam quidem corporis ullam obtinet: sed, quantum
nobis videre licuit, est exiguum quid venulae adiacens, tanquam
carina naviculae circumflexa, et quasi galba, vel termes, absque
ullo costarum, pedum, alarumve vestigio; cui corpusculum conglobatum,
multoque conspectius appenditur, scilicet [260] capitis rudimentum,
in tres veluti bullas divisum, ab alterutra scilicet parte intuenti:
revera tamen in quatuor dispescitur; quarum duae amplissimae et
nigricantes, oculorum primordia sunt; reliquarum altera cerebrum,
altera cerebellum constituit. Omnes aqua limpidissima plenae
reperiuntur: in medio vero oculorum nigredinis, tanquam in centro,
pupilla cernitur, instar scintillae transparentis, aut crystalli,
effulgens. Hinc factum arbitror, ut tres solum conspicuae bullae,
male rem observantibus imposuerint. Cum enim ex veteri scholarum
disciplina, triplicem in corpore animalis dominatum didicissent,
partesque tres principales, cerebrum nempe, cor, et iecur,
praecipuis muneribus fungi crederent; facile, tres dictas bullas,
partium harum fundamenta atque initia esse, sibi persuaserunt.
Coiterus autem, ut peritum dissectorem decuit, multo verius affirmat
se, die ab incubatione septimo, rostrum atque oculos vidisse; nullum
vero ex visceribus potuisse discernere. |
Il
Filosofo dice: «Nella parte inferiore del corpo non esiste alcun
abbozzo di strutture che corrisponda a quelle superiori.» In
effetti la situazione è questa: come il corpo dall'inizio è grande
solamente per la testa e gli occhi, altrettanto, per quanto riguarda
le parti inferiori, non si distingue per alcun membro o parte del
corpo, cioè ali, piedi, sterno, uropigio, né per alcun viscere.
Anzi, in verità, non possiede alcuna forma di un corpo, ma, per
quanto mi è stato possibile vedere, c'è un qualcosa di piccolo
vicino alla piccola vena, simile alla chiglia circonflessa di una
piccola nave, e quasi come un verme o un ramoscello, e senza alcun
abbozzo di coste, piedi o ali, al quale è appeso un corpuscolo
arrotondato e molto più visibile, cioè l'abbozzo della testa
suddiviso come in tre bolle, ovviamente per chi guarda da un solo
lato. In realtà tuttavia si suddivide in quattro bolle, due delle
quali molto ampie e nerastre sono gli abbozzi degli occhi; delle
rimanenti una costituisce il cervello, l'altra il cervelletto. Tutte
quante si rinvengono piene di acqua limpidissima. Ma nel mezzo del
nero degli occhi, ossia al centro, si vede la pupilla che brilla
come una scintilla trasparente o un cristallo. Da questo penso
derivi il fatto che a coloro che hanno fatto un'osservazione
superficiale si sono evidenziate solamente tre bolle. Infatti avendo
imparato dagli antichi insegnamenti scolastici che nel corpo
dell'animale esiste un triplice dominio, e siccome credevano che le
tre parti principali, cioè il cervello, il cuore e il fegato
svolgevano speciali funzioni, facilmente si convinsero che le tre
anzidette bolle sono i fondamenti e gli inizi di queste parti. Ma
Volcher Coiter, come si addice a un esperto sezionatore, in modo
molto più rispondente al vero afferma che a partire dal settimo
giorno d'incubazione ha visto il becco e gli occhi, ma che non aveva
potuto individuare nessuno dei visceri. |
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Philosophum
porro audiamus: Meatus illi,
qui a corde prodeunt, alter ad ambientem membranam tendit, alter ad
luteum, officio umbilici. Nimirum corporato statim foetu, venae
istae umbilici officium praestant: earumque alterius rami seu
propagines in tunicam extimam albumen ambientem disseminantur;
alterius vero rami, vitelli tunicam adeunt, et per huius liquorem
sparguntur. Unde clare constat, utrumque pariter liquorem nutriendo
pullo dicatum esse. Et licet Aristoteles dicat, originem
pulli ex albumine esse, atque ali luteo per umbilicum: non ait
tamen, pullum ex albumine fieri. Quippe ex candido illo liquore,
quem nos colliquamentum nominavimus, fit foetus: et totum illud,
quod nos oculum ovi nuncupavimus, in albumine continetur. Neque ait,
victum pullo solum ex luteo per umbilicum accedere: sed verba eius,
ex observationibus meis, hoc sensu interpretor; licet pullus in
albumine originem suam habeat, non tamen inde solum alitur, sed
etiam ex luteo, [261] ad quem meatuum umbilicalium alter pertingit,
sibi victum quaerit; imo vero ex hoc potissimum; est enim albumen,
ex sententia Aristotelis, concoctus magis et purior ovi liquor;
vitellus autem terrestrior et solidior, ideoque robustiori iam facto
pullo nutriendo idoneus: ac propterea, ut infra dicetur, vicem
lactis supplet, ultimoque absumitur; quippe pars eius residua,
postquam iam natus est pullus, et cum matre obambulat, in ventre
ipsius continetur. |
Ascoltiamo
inoltre il Filosofo: «Quei condotti che provengono dal cuore, uno
si dirige verso la membrana avvolgente, l'altro al tuorlo con la
funzione di ombelico.» In effetti, non appena il corpo del feto si
è delineato, queste vene svolgono il compito di ombelico, e i rami
o propaggini di una delle due spargono l'albume circostante nella
tunica più esterna, mentre i rami dell'altra si dirigono alla
tunica del tuorlo e si disseminano attraverso il suo liquido. Da cui
risulta chiaramente che ambedue i liquidi sono parimenti destinati a
nutrire il pulcino. Ed è lecito che Aristotele dica: «L'origine
del pulcino proviene dall'albume e lui viene nutrito dal giallo
attraverso l'ombelico.» Tuttavia non dice che il pulcino si genera
dall'albume. Infatti il feto si genera da quel liquido bianco che ho
chiamato colliquamento, e tutto quello che ho chiamato occhio
dell'uovo è contenuto nell'albume. Né dice che il nutrimento
giunge al pulcino solo dal tuorlo attraverso l'ombelico, ma
interpreto in questo senso le sue parole in base alle mie
osservazioni, cioè, che il pulcino ha la sua origine nell'albume,
ma che tuttavia non viene alimentato solo da esso, ma chiede
alimento per sé anche dal tuorlo, al quale giunge l'altro dei vasi
ombelicali, anzi, soprattutto da questo. Infatti in base
all'affermazione di Aristotele l'albume è il liquido dell'uovo più
digerito e più puro, mentre il tuorlo è più terrestre e più
denso, e pertanto idoneo per nutrire il pulcino quando già si è
maggiormente irrobustito. E pertanto, come poi dirò, fa le veci del
latte e viene consumato per ultimo, in quanto la sua parte residua,
quando il pulcino è già nato, e quando passeggia con la madre, è
contenuta nel suo ventre. |
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Quae dixi, a
quarto die ad decimum usque eveniunt. Quando autem singula, quomodo,
et quo ordine fiant, iam expediam. |
Le
cose che ho detto avvengono dal quarto fino al decimo giorno. Ma
adesso esporrò quando, in che modo e in quale ordine le singole
cose avvengono. |
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Proxima
inspectione, quae die quinto instituitur, circa venam brevem ab
angulo ductam, ubi duo puncta alternatim micantia sita sunt,
crassius aliquid et albidius, nubeculae instar (transparens tamen)
apparet: per quod praedicta vena obscure, ceu per nebulam,
conspicitur. Idem aliquando, in ovis provectioribus, quarto die sum
conspicatus. Est autem corporis rudimentum; quod iam singulis horis
concretum magis compactumque cernitur; venamque praedictam et
amplectitur simul, et illi, globuli alicuius instar, appenditur.
Rudimentum id globosum, vermiculi huius, ut sic dicam, carinam
magnitudine longe superat: estque figurae triquetrae, in tres nempe
partes (protuberantis arboris gemmulae more) obscure divisum. Earum
una orbicularis est, et reliquis duabus maior; ductisque mox a
circumferentia versus centrum tenuissimis filamentis, nigricat;
septique ciliaris exordium apparet, indeque particulam hanc in
oculum mutatum iri indicat. In huius medio, pupilla admodum exigua,
et puncti lucidissimi instar, ut diximus, conspicua est: eoque
potissimum indicio coniecturam feci, integrum hunc globulum futuri
capitis rudimentum esse; circulumque illum nigrum, ex oculis alterum
futurum, cui ex adversa parte alter opponitur: quippe ita siti sunt,
ut ambos simul intueri nequeas, cum superior inferiorem obtegat et
occultet. |
Con
la successiva ispezione, che viene intrapresa il quinto giorno,
intorno alla breve vena che proviene dall'angolo dove sono situati i
due punti che pulsano alternativamente, è visibile un qualcosa di
più denso e più bianco, come una nuvoletta (tuttavia trasparente),
attraverso il quale la suddetta vena si scorge confusamente, ossia
attraverso una nuvoletta. Talora ho visto la stessa cosa il quarto
giorno in uova più avanzate. In effetti è un abbozzo del corpo che
già col passare delle ore appare più denso e compatto, e abbraccia
contemporaneamente la vena anzidetta e le si appende come se fosse
un piccolo globo. Tale abbozzo globoso in grandezza supera di gran
lunga la chiglia di questo per così dire piccolo verme, ed è di
forma triangolare, cioè grossolanamente suddiviso in tre parti
(come le piccole gemme di un albero che sta gettando). Una di esse
è circolare e più grande delle rimanenti due, e dopo aver subito
emesso dei sottilissimi filamenti dalla circonferenza verso il
centro, diventa nera, e compare l'inizio del setto palpebrale, e
quindi indica che questa particella si trasforma in un occhio. Al
suo centro è visibile la pupilla molto piccola e, come ho detto,
simile a un punto assai brillante. Soprattutto in base a tale segno
ho ipotizzato che tutto questo globulo è l'abbozzo della futura
testa, e che dagli occhi nascerà quell'altro cerchio nero al quale
si contrappone un altro occhio dalla parte opposta, in quanto sono
situati in modo tale che non riesci a vederli ambedue
contemporaneamente, dal momento che quello superiore ricopre quello
inferiore e lo nasconde. |
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[262] Primum
hoc futuri corporis rudimentum, quod circa venam concrescere diximus,
figuram solum oblongam, et aliquantulum, carinae instar, inflexam
obtinet: estque consistentia eius mucosa, instar situs candidi, qui
rebus humidis arcteque conclusis innasci solet. Venula autem, cui
mucorem illum accrescere iam dixi, est cava descendens per spinam
dorsi; uti subsecutae observationes fidem fecerunt. Duarum quoque
vesicularum pulsantium ordinem si diligenter intuitus fueris, quae
posterius se contrahit, eam sanguinem in huius venae principium
impellere, eamque distendere conspicies. |
Questo
primo abbozzo del futuro corpo, che abbiamo detto svilupparsi
intorno alla vena, possiede un aspetto solamente allungato e un
pochino curvo come una chiglia, e la sua consistenza è mucosa come
l'area bianca che suole nascere nelle cose umide e racchiuse in uno
spazio ristretto. Ma quella piccola vena, accanto alla quale già
dissi che quella sostanza mucillaginosa si accresce, è la cava e
scende lungo la spina dorsale, come successive osservazioni hanno
confermato. Se con diligenza avrai osservato anche la disposizione
delle due vescicole che pulsano, vedrai che quella che si contrae più
tardi spinge il sangue nella parte iniziale di questa vena e la
distende. |
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Ita duarum
vesicularum sese moventium atque invicem pulsantium, duae manifestae
contractiones, duaeque similiter dilatationes cernuntur; priorque
unius contractio alterius distensionem efficit: sanguis enim, ex
cavitate prioris vesiculae coarctata elisus in secundam, hanc implet,
distendit, pulsumque edit: quae mox etiam se constringens, sanguinem,
quem iam a priore vesicula acceperat, in praedictae venae principium
protrudit, eamque simul dilatat. Venam autem adhuc appello, quam ex
pulsu aortam esse censeo: arteriae enim a venis, tunicarum crassitie,
nondum distinguuntur. |
Così
si vedono due evidenti contrazioni e ugualmente due dilatazioni di due
vescicole che si muovono e che pulsano alternativamente, e la
precedente contrazione di una determina la distensione dell'altra.
Infatti il sangue, espulso nella seconda vescicola dalla cavità
della precedente vescicola che si è contratta, riempie la seconda,
la distende e genera una pulsazione, e anch'essa subito contraendosi
espelle nella parte iniziale della vena anzidetta il sangue che
aveva appena ricevuto dalla precedente vescicola e
contemporaneamente la dilata. In effetti chiamo ancora vena quella
che in base alla pulsazione ritengo essere l'aorta: infatti le
arterie non si distinguono ancora dalle vene in base allo spessore
delle pareti. |
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Haec cum
saepius in plurimis ovis diligenter accurateque contemplatus essem,
aliquandiu pendebam animi, quamnam sententiam amplecterer. Utrum
scilicet concrementum hoc, globulusque appensus, ex colliquamento,
in quo natabant, tanquam ex materia compacta et coagulata,
proveniant; quemadmodum ex vaporibus (dum sursum meant,
imperceptibilibus) in aere superiore condensatis nubes fiunt: an
potius ab effluvio quodam e sanguineo isto meatu exhalante, vel per
diapedesin transudante, exoriantur; mutuatoque inde nutrimento
augeantur? Sunt enim
maximarum quoque rerum initia perpusilla et, prae exiguitate sui,
obscura admodum. |
Avendo
osservato piuttosto frequentemente con diligenza e accuratezza
queste cose in moltissime uova, per qualche tempo rimanevo indeciso
su quale tesi abbracciare. Cioè se questa condensazione e il
globulo appeso derivano dal colliquamento in cui galleggiavano, come
da una materia compatta e coagulata, allo stesso modo in cui dai
vapori (impercettibili quando vanno verso l'alto) condensatisi
nell'aria alta si formano le nubi, o se piuttosto nascano da un
certo efflusso che fuoriesce da questo vaso venoso sanguigno o che
trasuda per diapedesi, e che si accresce per il nutrimento che da
qui ha assunto? Infatti anche gli inizi delle cose grandissime sono
estremamente piccoli e, per le loro piccole dimensioni, molto vaghi. |
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[263] Hoc
sane exploratum me habere arbitror, puncta salientia, et meatus
venales, ipsamque venam cavam primum existere, eique postea
corpulentiam dictam accrescere. Certusque sum, sanguinem e puncto
saliente in venam hanc impelli; ex eaque corpusculum illud nutriri
et crescere. Nempe primus ille situs et mucor, ex effluvio venae,
cui adnascitur, primum oritur; indeque postea nutritur, atque
augetur; quemadmodum situs alibi solet, in locis humidis, inter
opaca domus, quae diu non repurgatur; et ut camphora super tabulas
cedri; et muscus super saxa, et arborum cortices; aut denique,
qualiter erucis quibusdam tenuis lanugo innascitur. |
Ritengo
di avere esplorato veramente quanto segue: i punti che pulsano e i
vasi venosi, e che dapprima esiste la vena cava stessa e che
successivamente le si aggiunge la cosiddetta corpulenza. E sono
sicuro che il sangue viene spinto dal punto pulsante in questa vena
e che da essa quel corpuscolo viene nutrito e si accresce. Appunto
quel primo punto e la sostanza mucillaginosa dapprima nascono dal
deflusso della vena presso la quale si formano, e successivamente ne
vengono nutriti e accresciuti, allo stesso modo in cui altrove un
punto suole fare, in luoghi umidi all'interno di luoghi tenebrosi di
una casa che a lungo non viene ripulita, e come la canfora sopra le
tavole di cedro, e il muschio sopra ai sassi e alle cortecce degli
alberi, o, infine, allo stesso modo in cui su alcuni bruchi nasce
una tenue lanugine. |
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Eadem quoque
occasione dubitabam, numnam, facta colliquamenti coagulatione, una
cum sanguine et puncto saliente, hoc etiam corporis capitisque
rudimentum statim exsisteret; sed tenue adeo et pellucidum, ut visum
prorsus effugeret; donec in situm ac mucorem crassescens, albedinem
spissiorem induat, qua percipiatur: dum interea sanguis crassior et
rutilans in colliquamento tam diaphano facile conspicitur.
Verumenimvero, cum pressius rem ipsam cogito, in ea sententia sum;
sanguinem dari, antequam quidquam corporis reliqui exsistat; esseque
eum, prae caeteris omnibus foetus partibus, primogenitum: et ab
ipso, tum materiam, ex qua corporatur foetus, tum nutrimentum, quo
augetur, procedere: esse denique (si modo ulla fuerit) primam
particulam genitalem. Id autem ut credam, quibus argumentis adducar,
postea fusius dicetur; ubi de parte genitali prima, de calido
innato, et humido radicali disceptabimus; et simul etiam, quid de
anima sentiendum sit, pluribus collatis observationibus,
determinabimus. |
Nello
stesso momento dubitavo anche se, avvenuta la coagulazione del
colliquamento insieme al sangue e al punto pulsante, esistesse
senz'altro anche questo abbozzo del corpo e della testa, ma a tal
punto sottile e trasparente da sfuggire del tutto alla vista, fino a
quando ispessendosi nel punto e nella sostanza mucillaginosa si
riveste di un biancore più denso attraverso il quale viene
individuato, mentre nel frattempo il sangue più denso e rosso viene
facilmente visto in un colliquamento tanto trasparente. Veramente
infatti quando penso con maggior cautela a questa cosa, mi trovo a
concludere che il sangue viene fornito prima che esista qualsiasi
cosa del rimanente corpo, e che esso, rispetto a tutte le altre
parti del feto, è il primogenito. E che da esso deriva sia la
materia da cui prende corpo il feto, sia il nutrimento dal quale
viene accresciuto. Insomma, è la prima particella genitale (se
appena ce n'è stata qualcuna). Successivamente si dirà in modo
piuttosto esteso da quali argomentazioni vengo indotto a credere a
ciò, quando disquisirò sulla prima parte genitale, sul calore
innato e sull'umido radicale, e contemporaneamente stabiliremo anche
cosa bisogna pensare a proposito dell'anima dopo aver radunato
numerose osservazioni. |
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Circa hoc
tempus, singulis pene horis omnia maiora, manifestiora, magisque
distincta et explicata apparent; fitque in ovo velox mutatio,
plurimaque confestim alia aliis superveniunt. Cavitas ovi iam multo
auctior, totamque eius partem superiorem [264] vacuam relinquit;
tanquam quinta pars ovi absumpta foret. |
In
questo periodo di tempo quasi ogni ora tutte le cose appaiono più
grandi, più manifeste e più distinte ed evidenti, e nell'uovo
avviene un veloce cambiamento, e rapidamente molte altre cose si
aggiungono alle altre. La cavità dell'uovo è già molto più
grande e lascia vuota tutta la sua parte superiore, come se una
quinta parte dell'uovo fosse stata consumata. |
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Venarum
ramuli longius protelantur, pluresque numero non solum in
colliquamentum, ut antea, sed hinc in albumina, illinc in luteum
distribuuntur; amboque adeo liquores passim fibris sanguineis
scatent. Vitelli pars superior plurimum colliquescit et funditur, ut
ab inferiore plane diversa appareat, iamque duo quasi vitelli
videantur; dum superior, cerae liquefactae instar, ut diximus,
inflatus et pellucidus emicat; inferior autem et densior, una cum
albuminis parte crassiore, ad acutum ovi angulum subsidit. Estque
adeo tenuis vitelli superioris tunica propria, ut a minima
concussione facile rumpatur: unde liquorum commixtio, ut diximus, et
generationis frustratio. |
I
rametti delle vene si allontanano maggiormente, e in numero assai
elevato si distribuiscono non solo nel colliquamento, come prima, ma
in parte negli albumi, in parte nel tuorlo, a tal punto che ambedue
i liquidi abbondano ovunque di filamenti sanguigni. La parte
superiore del tuorlo si liquefa parecchio e si scioglie, tanto da
apparire del tutto diversa da quella inferiore, e ormai sembrino
essere quasi due tuorli, mentre quello superiore, come cera
liquefatta, come ho detto, risplende rigonfio e brillante, invece
quello inferiore e più denso si sposta verso l'angolo acuto
dell'uovo insieme con la parte più densa dell'albume. La tunica
propria del tuorlo superiore è a tal punto sottile da rompersi
facilmente al minimo urto, da cui deriva, come dissi, la mescolanza
dei liquidi e l'insuccesso della generazione. |
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Iam primum
foetus rudimentum sese conspiciendum exhibet, quemadmodum in
Fabricii figura quinta et sexta videre est, eoque in aquam limpidam
immisso, quid corporis factum sit, quid etiamnum desideretur,
cognitu facile fuerit. Apparet nempe forma vermiculi sive galbae;
sicut in frondibus arborum, corticum pustulis, fructibus, floribus,
alibique vermium et erucarum primordia conspicimus; praesertim vero
in gallis quercinis, quarum in centro, intra crustulam rotundam, ceu
nucleum, liquor limpidus continetur, qui sensim crassescens et
coagulatus, subtilissimis lineamentis distinguitur, galbaeque formam
induit: manet autem aliquantisper immobilis, posteaque motu et sensu
praeditus, fit animal, tandemque musca avolat. |
Adesso
il primo abbozzo del feto si mostra alla vista, così come è
possibile vedere nella quinta e nella sesta figura di Fabrizi, e
dopo averlo messo in acqua limpida sarà facile sapere quale parte
del corpo si è strutturata e di quale si sente tuttora la mancanza.
Di fatto si presenta con la forma di un piccolo verme o di un verme
della quercia, come nelle fronde degli alberi, nelle vescichette
delle cortecce, nei frutti, nei fiori e altrove vediamo gli abbozzi
dei vermi e dei bruchi, soprattutto nelle galle della quercia*, nel
cui centro, all'interno di una crosticina rotonda, o nucleo, è
contenuto un liquido limpido che pian piano ispessendosi e dopo
essersi coagulato è suddiviso da linee sottilissime e assume la
forma di un verme della quercia: ma rimane per qualche tempo
immobile, e successivamente, dotato di movimento e di sensibilità,
diventa un animale e alla fine vola via una mosca. |
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Similem
generationem eorum, quae sponte nascuntur, Aristoteles[2]
descripsit: Quaedam e rore
gignuntur, qui super folia deciderit. Pauloque post, Fiunt papiliones ex erucis. Haec autem ex foliis virentibus;
potissimum raphani illius, quam brassicam vocant aliqui. Primum
milio minor est, deinde minuti [265] vermes:
tum crescentes intra triduum erucae pusillae: posthaec auctae a motu
cessant, et formam mutant, vocanturque chrysalides, crustaque dura
continentur; atque, si attingantur, motum edunt. Crusta multo post
tempore abrumpitur tandem, unde alata animalia evolant, quos
nominant papiliones. |
Aristotele
ha descritto una generazione simile di quegli animali che nascono
spontaneamente: «Alcuni nascono dalla rugiada che si è posata
sulle foglie.» E poco più avanti: «Dai bruchi si formano delle
farfalle. I bruchi si formano dalle foglie verdi, soprattutto di
quel rafano che alcuni chiamano cavolo. Dapprima è più piccolo di
un grano di miglio, quindi sono dei piccoli vermi, poi, crescendo,
nel giro di tre giorni diventano dei piccoli bruchi;
successivamente, essendo aumentati, smettono di muoversi e cambiano
aspetto e vengono chiamati crisalidi e sono contenute in un
involucro duro, e se vengono toccate si muovono. Infine l'involucro
si rompe dopo molto tempo e da esso volano via degli animali alati
che chiamano farfalle.» |
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Nos vero
quorumlibet animalium generationem eodem modo fieri infra docebimus;
omnia nimirum animalia, etiam perfecta, similiter ex vermiculo gigni. |
Successivamente
spiegherò che la generazione di qualunque animale avviene nello
stesso modo, cioè che tutti gli animali, anche perfetti, si
generano in modo simile da un piccolo verme. |
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Quod etiam
Aristoteles videtur annuisse, ubi ait[3]:
In omnibus autem vel iis quae
perfectum pariunt ovum, conceptus primus indiscretus adhuc recipit
incrementum: qualis natura etiam vermis est. Hoc nempe inter
vermis, aliorumque animalium generationem interest; quod ille prius
augeatur, quam figuretur, aut in partes distinguatur; secundum illud
Philosophi[4]:
E verme ita fit animal, ut non
ex eius parte, sicut ex ovo, sed totus crescat et dearticulatum
animal evadat: scilicet,
augmento discretus. |
Anche
Aristotele sembra che vi abbia accennato quando dice: «Ma in tutti
o in quelli che depongono un uovo perfetto, il concepimento iniziale
indistinto prende ulteriore incremento, come è anche la natura del
verme.» Ciò appunto sta di mezzo tra la generazione del verme e
degli altri animali, in quanto esso aumenta prima di assumere un
aspetto o di suddividersi in parti secondo quell'affermazione del
Filosofo: «Da un verme un animale si forma in modo tale che cresce
non da una sua parte come se fosse da un uovo, ma completo, e ne
esca un animale articolato», cioè, suddiviso dall'accrescimento. |
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Est equidem
quod miremur, animalium omnium, praesertim sanguineorum (puta canis,
equi, cervi, bovis, gallinae, serpentis, hominis denique ipsius)
primordia, tam plane galbae figuram et consistentiam referre, ut
oculis internoscere nequeas. |
Certamente
rimaniamo meravigliati che gli abbozzi di tutti gli animali,
soprattutto di quelli dotati di sangue (come del cane, del cavallo,
del cervo, del bue, della gallina, del serpente, e infine dell'uomo
stesso) presentano tanto chiaramente un aspetto e una consistenza
del verme della quercia che con gli occhi non saresti in grado di
distinguerli. |
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Sub finem
quinti diei, vel initio sexti, caput in tres vesiculas distinguitur:
quarum prima, maxima, rotunda, et nigricans, est oculi; in cuius
centro pupilla, veluti punctum crystallinum, conspicitur. Sub hac
minor vesicula, quae cerebrum refert, ex parte delitescens cernitur:
cui tertia, tanquam apposita crista, sive apex rotundus, supereminet;
ex qua tandem cerebellum effingitur. In omnibus vero, praeter aquam
limpidissimam, nihil reperias. |
Verso
la fine del quinto giorno o all'inizio del sesto, la testa si
suddivide in tre vescicole, la prima delle quali, assai grande,
rotonda e nerastra appartiene all'occhio, al cui centro si vede la
pupilla come se fosse un punto cristallino. Al di sotto di questa si
vede una vescicola più piccola, che sembra al cervello, la quale in
parte si nasconde, alla quale si sovrappone una terza come se fosse
un ciuffo posto accanto o un apice rotondo, dalla quale infine viene
foggiato il cervelletto. In tutte non troverai altro che acqua
limpidissima. |
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Iam
rudimentum corporis, carinam diximus, spinam dorsi luculentius
refert; cui latera exstructa assurgere incipiunt: alae [266] nimirum
et pedes e galba aliquantulum protuberant. Venarum meatus nunc plane
umbilicum referunt. |
Adesso
l'abbozzo del corpo, che ho chiamato chiglia, somiglia molto di più
alla colonna dorsale, i cui lati cominciano a diventare più
elevati, e proprio le ali e i piedi sporgono un tantino dal verme
della quercia. I condotti venosi adesso somigliano completamente a
un ombelico. |
[1]
Hist. anim. lib. vi. cap.
2.
[2]
Hist. anim. lib. v. cap. 19.
[3]
De gen. anim. lib. iii. cap. 9.
[4]
Hist. anim. lib. v. cap. 19.