Harveypullus
Il Pulcino di William Harvey


23° esercizio - La schiusa del pulcino o parto dall'uovo

L'asterisco * indica che la voce è presente nel lessico

[278] EXERCITATIO VIGESIMATERTIA.
De pulli exclusione; sive partu ex ovo.

23° esercizio
La schiusa del pulcino o parto dall'uovo

EST ovum, ut diximus, quasi uterus expositus, et locus in quo foetus formatur: matricis enim munus obit, pullumque ad debitum nascendi tempus amplectitur: qui perfectus iam inde paritur. Ovipara itaque non discriminantur a viviparis, quod haec foetus suos vivos pariant, illa non item; pullus enim intra ovum non solum vivit, et movetur, sed respirat etiam, ac vocem edit, vitaque iam natus perfectiore fruitur, quam reliquorum animalium foetus: sed differunt potissimum generationis modo; quod nempe in viviparis, uterus sive locus [279] in quo foetus formatur, sit intra animal, cuius calore fovetur et perficitur; in oviparis vero, ovum ceu uterus extra animal exponitur; quod tamen illud non minus incubando fovet, quam si intra corpus suum amplecteretur.

Come ho detto, l'uovo è quasi un utero esterno e il luogo dove il feto si forma. Infatti svolge il ruolo di un utero e abbraccia il pulcino fino al momento giusto per nascere, e quando è ultimato allora viene partorito. Pertanto gli animali ovipari non si distinguono dai vivipari in quanto questi partoriscono vivi i loro feti e quelli non fanno altrettanto. Infatti il pulcino non solo vive e si muove all'interno dell'uovo, ma respira pure ed emette una voce, e dopo che è nato gode di una vita più perfetta rispetto ai feti degli altri animali. Ma si diversificano soprattutto per il modo in cui vengono generati, in quanto appunto nei vivipari l'utero, ossia il luogo in cui il feto si forma, si trova all'interno dell'animale dal cui calore viene riscaldato e ultimato, mentre negli ovipari l'uovo, ossia l'utero, si trova all'esterno dell'animale, ma esso tuttavia con l'incubazione lo scalda non meno di quanto avverrebbe se fosse abbracciato all'interno del suo corpo.

Nam licet mater interdum varias ob causas ova sua tantisper deserat; eadem tamen usque amat, brevique rediens sinu suo complectitur, fovet, ac diligenter tuetur.

Infatti nonostante talora la madre per vari motivi abbandoni le sue uova per qualche tempo, tuttavia le ama sempre e tornando dopo breve tempo le abbraccia con il suo grembo, le scalda e ne prende cura con diligenza.

Cum vero pullus aerem iam liberiorem quaerit, rupto cortice prodit in lucem, circa diem vicesimum primum aut vicesimum secundum.

Ma quando il pulcino desidera ormai un'aria più libera, dopo aver rotto il guscio esce alla luce intorno al 21° o al 22° giorno.

De hac pulli exclusione sive nativitate, non est praetereundus Fabricii aliorumque fere omnium vulgaris error. Audiamus Fabricium[1] ipsum: Citius, inquit, indiget externo aere, quam cibo, cum alimenti adhuc aliquid intus supersit: in quo casu iam pullus, qui durum corticem, prae rostri mollitie, et corticis a rostro distantia, eoque intra alam adstricto, rumpere non valet, iam signum matri dat rumpendi necessitatis; id quod per vocem efficit emissam. Etenim pullus tunc ita robustus est, et cavitas tam ampla facta, et aer ita copiosus contentus, ut iam adaucta impensius respiratione, exsufflationem quoque et vocem emittat, naturalem quidem pullo, forteque quidpiam petentis significatricem; quae etiam exterius audiri facile a quolibet potest; praeterquam quod Plinius, et Aristoteles[2] id ipsum affirmant: Qua pulli voce protinus audita, quasi necessitatem rumpendi corticem cognoscens, ut nimirum pullus externo fruatur aere pro sui conservatione, aut, si mavis, dicas, pulli dilectique filii conspiciendi desiderio foetans affecta, iam rostro corticem rumpit; qui non difficulter abrumpitur, cum ibi loci propter cavitatem iam diu humoribus destitutam, et a contento aere, et calore exsiccatam fragilior friabiliorque evaserit. Vox igitur pulli primum et maximum signum est eiusdem exitum quaerentis, externoque [280] aere indigentis: quam ita exacte gallina percipit, ut si forte fortuna foetans pulli vocem internam infernamque esse dignoscat, tum sursum pedibus ovum revolvat; ut ea duntaxat parte qua vox venit, sine ulla pulli noxa corticem abrumpat. Addit et alterum signum Hippocrates[3] pulli ex ovo exire petentis; videlicet quod pullus, ubi alimento destituitur, fortiter movetur, uberius alimentum quaerens; et pelliculae circum disrumpuntur; et ubi mater sentit pullum vehementer motum, putamen exscalpens ipsum excludit.

A proposito di questa schiusa, o nascita del pulcino, non bisogna tralasciare il consueto errore di Fabrizi e di quasi tutti gli altri. Ascoltiamo lo stesso Fabrizi che dice: «Piuttosto in fretta ha bisogno dell'aria esterna anziché di cibo, dal momento che internamente residua ancora un po' di cibo. Nel qual caso ormai il pulcino, che non è in grado di rompere il guscio duro a causa della morbidezza del becco e della distanza del guscio dal becco che è serrato sotto l'ala, ormai dà il segnale alla madre della necessità di romperlo, il che lo fa emettendo la voce. Infatti adesso il pulcino è talmente robusto e la cavità si è fatta tanto ampia, e l'aria contenuta è talmente copiosa che, essendo ormai aumentata piuttosto abbondantemente la respirazione, è in grado di espirare e di emettere la voce. Ed effettivamente emette quella voce che è naturale per il pulcino e forse espressiva del chiedere qualcosa, e che è anche facile da udire all'esterno da parte di chiunque. A parte il fatto che Plinio e Aristotele affermano la stessa cosa. Non appena questa voce del pulcino è stata udita, quasi sapendo della necessità di rompere il guscio, ovviamente affinché il pulcino si serva dell'aria esterna per sopravvivere, oppure se preferisci potresti dire che la genitrice è colta dal desiderio di vedere il pulcino e l'amato figlio, allora rompe il guscio con il becco. Il quale non si rompe con difficoltà, in quanto in quel punto, a causa della cavità già da tempo priva di liquidi e asciugata dall'aria in essa contenuta e dal calore, è diventato più fragile e friabile. Pertanto la voce del pulcino è il primo e più grande segno di lui che chiede di uscire e che ha bisogno dell'aria esterna, e la gallina la percepisce tanto bene che se forse per caso la partoriente si accorge che la voce del pulcino è interna e in basso, allora con le zampe rigira l'uovo verso l'alto in modo tale che possa rompere il guscio, senza alcun danno per il pulcino, solo da quella parte dalla quale giunge la voce. Ippocrate aggiunge un altro segno del pulcino che chiede di uscire dall'uovo, cioè, che il pulcino, quando è privo di cibo, si muove con forza chiedendo cibo più abbondante e le pellicole che gli stanno intorno si rompono, e quando la madre sente che il pulcino si muove con veemenza, allora lo fa uscire colpendo il guscio.»

Haec a Fabricio festive quidem et concinne dicta sunt; solidis tamen argumentis haud innituntur. Experientia enim compertum habeo, pullum ipsum, non autem matrem, corticem frangere: idque rationi etiam quam maxime est consentaneum. Quomodo enim alias ova in fimetis, furnisque calidis, ut in Aegypto, alibique fit, rumpantur? ubi mater nulla adest, quae vocem supplicantis pulli, opemque implorantis audire queat. Testudinum marinarum et terrestrium, piscium quoque, bombycum, serpentum, et struthionum ova, quomodo frangantur? cum foetibus illis vel vox desit, qua exitum petant, vel sub terra sepulti exaudiri nequeant. Sponte igitur nascuntur pulli, atque ex ovis suis proprio molimine prosiliunt. Idque ita fieri, certissimis argumentis liquet. Quippe in prima ovi perforatione, hiatus iste multo minor est, quam ut matris rostro conveniat: sed pulli rostro directe respondet; circa quod, in modum coronae, corticem aequali semper a cacumine distantia ruptum videas, partesque confractas, praesertim primis ictibus, foras semper prominere. Quemadmodum autem ruptis vitreis fenestris, facile quis iudicaverit, intusne ictus an foris advenerit, si modo frustorum adhaerentium apices, quo tendant, diligenter intuitus fuerit; ita pariter rupto ovo, ex fragmentorum per totum coronae ductum eminentia, ab interna causa id proficisci [281] manifestum est. Quin egomet, aliique mecum complures, simul ac pullum audivimus corticem unguibus scalpere, vidimus quoque illico eundem rostro pertundere, rupturamque in circulum, coronae instar, deducere. Quinetiam vidi foetum capite suo corticis cacumen attollere et amovere.

In effetti queste cose sono dette da Fabrizi in modo piacevole ed elegante, ma non si fondano su solide prove. Infatti per esperienza ho appreso che a rompere il guscio è lo stesso pulcino, non la madre, e ciò è estremamente coerente con un motivo. Infatti in che modo altrimenti si romperebbero le uova nei letamai e nei forni caldi come accade in Egitto e altrove? Dove non c'è alcuna madre che possa udire la voce del pulcino che supplica e che implora aiuto. In che modo si romperebbero le uova delle testuggini marine e terrestri, anche dei pesci, dei bachi da seta, dei serpenti e degli struzzi? Dal momento che quei feti sono sprovvisti di voce con cui chiedere di uscire, oppure, essendo sepolti sotto terra non possono essere uditi. Pertanto i pulcini nascono spontaneamente e balzano fuori dalle loro uova grazie alla loro grande fatica. Pertanto in base a dati estremamente sicuri risulta evidente che le cose avvengono in questo modo. Infatti all'inizio della perforazione dell'uovo questo foro è molto più piccolo rispetto al becco della madre, ma corrisponde esattamente al becco del pulcino. A questo proposito, tu puoi vedere che il guscio è rotto sempre alla stessa distanza dall'apice come se fosse una corona, e che le parti rotte, soprattutto coi primi colpi, sporgono sempre all'esterno. Allo stesso modo in cui in caso di rottura di finestre di vetro chiunque sarà in grado di giudicare facilmente se il colpo è giunto dall'interno o dall'esterno se appena si esaminerà con attenzione dove sono diretti gli apici dei frammenti rimasti attaccati. Così allo stesso modo per un uovo rotto è evidente in base alla sporgenza dei frammenti in tutto il tracciato della corona che ciò proviene da una causa interna. In verità io stesso, e numerosissime altre persone insieme a me, quando abbiamo udito il pulcino scalfire il guscio con le unghie abbiamo pure subito visto forarlo con il becco e produrre una rottura circolare come se fosse una corona. Ho pure visto il feto sollevare l'apice del guscio con la sua testa e rimuoverlo.

Pluribus quidem haec deduximus, quod haud spernendae utilitatis sit speculatio: ut inferius constabit. Fabricii vero argumentis responsu facile est. Fateor enim, pullum intra ovum vocem edere, et fortassis aliquid petentis significatricem: non inde tamen sequitur corticem a matre frangi. Neque pulli rostrum adeo molle, aut a cortice remotum est, ut hunc perforare non possit; praesertim cortice iam, ob causas ab eo allatas, valde friabili reddito. Nec semper caput intra alam reconditum tenet, ut ideo corticem rostro frangere nequeat, sed solummodo cum dormit, aut vita defungitur. Interdum enim, ipsomet quoque fatente, vigilat, calcitrat, scalpit, radit, distringit corticem, luctatur, membranas involventes rumpit, vocem edit (eandemque, opem implorantis esse, non invitus concessero); haecque omnia a quolibet facile audiri possunt. Quare gallina sedulo auscultans, quamprimum vocem ab ima parte attolli percipit, ovum quidem non rumpit; sed pedibus suis sursum revolvit, commodioremque situm pullo intus incluso praebet. Non constat autem, pullum voce sua rumpendi corticis necessitatem matri indicare, aut exitum ab ea petere. Nam saepe, per biduum ante exclusionem, pullum in ovo pipientem audias. Nec mater, dum ova revolvit, rumpendi ea locum quaerit; sed, ut infans, cum in cunis se male habet, inquietatur, plorat, eiulat; materque illius amans, huc illuc sedulo ab uno latere in aliud removet, agitatque, donec ille placatus fuerit: ita similiter gallina, ubi pullum tumultuantem, pipientemque in ovo senserit, vel iam ex ovo exclusum in nido sese inordinate commoventem; protinus se attollit, cavetque, ne corporis sui pondere, [282] vel calore nimio eum laedat, rostroque pedibusque ultro citroque volvit, donec foetui quietem atque indolentiam comparaverit.

In effetti abbiamo dedotto queste cose in base a numerose osservazioni, in quanto l'osservazione non è un qualcosa la cui utilità vada disprezzata, come risulterà più avanti. Alle affermazioni di Fabrizi è facile rispondere. Infatti affermo che il pulcino all'interno dell'uovo emette una voce e che forse ha il significato di chiedere qualcosa; tuttavia non per questo ne consegue che il guscio venga rotto dalla madre. E neppure il becco del pulcino è tanto molle o lontano dal guscio da non essere in grado di forarlo, soprattutto per il fatto che il guscio ormai si è reso molto friabile, per i motivi da lui addotti. Né tiene sempre la testa nascosta sotto l'ala in modo tale da non riuscire pertanto a rompere il guscio con il becco, ma solamente quando dorme o muore. Infatti talora, come anche egli stesso dichiara, è sveglio, scalcia, scalfisce, raschia, distende il guscio, fa delle lotte, rompe le membrane che avvolgono, emette una voce (e molto volentieri ammetterò che essa è di uno che chiede aiuto), e tutte queste cose possono essere facilmente udite da chiunque. Per cui la gallina ascoltando con attenzione subito percepisce che la voce si innalza dalla parte più bassa, per cui non rompe l'uovo, ma coi suoi piedi lo rigira verso l'alto e offre una posizione più comoda al pulcino rinchiuso all'interno. Infatti non risulta che il pulcino con la sua voce indichi alla madre la necessità di rompere il guscio o che le chieda di uscire. Infatti spesso puoi udire per due giorni prima della schiusa che il pulcino pigola all'interno dell'uovo. Né la madre, mentre rigira le uova, cerca il punto dove romperle, ma, come quando un infante che si sente a disagio nella culla è irrequieto, piange, si lamenta ad alta voce e sua madre che lo ama lo muove qua e là con cura da un lato all'altro e lo dondola fino a quando si sarà tranquillizzato, così allo stesso modo la gallina, quando sente il pulcino che all'interno dell'uovo strepita e pigola, oppure che già uscito dall'uovo si muove in modo disordinato nel nido, subito si solleva e fa attenzione a non danneggiarlo col peso del suo corpo oppure con troppo calore, e col becco e i piedi lo rigira di qua e di là fino a quando non ha procurato al feto tranquillità e calma.

 


[1] Pag. 59.

[2] lib. x. cap. 53. de hist. anim. lib. vi. cap. 3.

[3] L. de nat. pueri.