Teodoro Pascal

Le razze della Gallina domestica

trascrizione di Fernando Civardi - 2010

Gli accenti rispettano la grafia del XXI secolo

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RAZZE EUROPEE

Razze Europee ~ 1 Razze Italiane

 

1 Razze italiane

1) INTRODUZIONE – La polleria alligna bene nel clima temperato d’Italia e quasi ogni regione vanta un tipo di gallina caratterizzata dalla sua straordinaria fecondità, perciò sarebbe oltremodo desiderabile che non si lasciassero, come purtroppo succede, in balia di loro stesse le nostre celebrate razze: questa noncuranza è stata talmente protratta che talune razze esistono ormai di nome, talmente ne sono irreperibili i rappresentanti; ma con un po’ di buon volere, qualità che oramai comincia a farsi strada nell’animo degli allevatori italiani, in risorgimento di talune razze potrà compiersi nel volgere di breve tempo, ed allorquando vi saremo giunti, noi potremo indubbiamente vantare le migliori razze europee, stante le condizioni favorevolissime del nostro suolo e dell’ambiente che ci circonda.

L’incuria e l’apatia che purtroppo affliggono la nostra indole meridionale, cominciano a subire l’influenza benefica dell’attività di pochi volenterosi allevatori, e se mercè questi benemeriti del paese, siamo ancora lontani dalla vetta delle loro aspirazioni, possiamo purtuttavia rallegrarci che saliamo e saliamo sempre verso quella meta. Come ultimo gregario di questa falange di pionieri, mi auguro di poter contribuire anch’io, colle mie deboli forze, a tracciare la retta via del progresso avino nazionale, e se mai il mio piccone deviasse per altra direzione, potrei, se non altro, essere sempre soddisfatto dall’aver dato l’esempio dell’abnegazione e della perseveranza.

Le svariate razze che offre il nostro paese sono le seguenti: Italiana alias Leghorn e sue varietà (Padovana comune, Valdarno, Cinque dita, Lamotte, Gallina crotone, Padovana nana, Gallina storza, Anconitana, Siciliana, ecc.) Padovana, Polverara, Padovana ricciuta, Gigante padovana, Maggi, ecc.

2) LA GALLINA ITALIANA alias Leghorn – (gallus italicus, franc. poule d’Italie, ted. das italienische Huhn). (Fig. 2; Fig. 3; Fig. 4; Fig. 5). La nostra gallina comune gode attualmente le più vive simpatie all’estero ove si sono riconosciuti positivamente i suoi pregi eccezionali; difatti la stessa non la cede a nessun’altra razza estera per ciò che riguarda la sua straordinaria fecondità. La gallina italiana, sinora, non ha potuto insinuarsi presso i nostri vicini d’oltr’Alpi; ma il Belgio, la Germania e l’Austria importano annualmente quantità rilevanti di pollame italiano[1]. In Germania, come ci fa sapere il Baldamus, si deve alla società d’avicoltura di Görlitz l’enorme allevamento del pollo italiano, e ciò serva di sprone ai nostri allevatori ad occuparsi con amore di questa povera Cenerentola della nostra pollicoltura nazionale.

Attualmente la Leghorn-mania, importazione americana, comincia anche ad invadere il cervello dei nostri avicultori, e perciò reputo opportuno di estendermi con molto dettaglio sulla monografia della nostra celebre razza italiana.

Innanzi tutto si domanderà: che differenza passa tra il pollo italiano ed il cosidetto Leghorn? I migliori autori, che hanno trattato questa questione con profonda cognizione, finiscono, quasi tutti, per riconoscere che ambedue le razze sono rappresentanti di un tipo unico. Il signor Schönfelder Adolfo, redattore della più importante gazzetta d’avicultura che si pubblica in Germania, ha licenziato alle stampe un opuscoletto ove tratta con molto acume il paragone fra il pollo italiano ed il pollo Leghorn, e con felice trovata dichiara che nella razza italiana, il tipo Leghorn rappresenta la classe dei patrizii, ed il tipo detto propriamente italiano la classe dei plebei. Una definizione cotanto felice che ci fa dunque supporre che il Leghorn sia frutto della selezione, ma non così il tipo italiano propriamente detto.

Più d’un autore descrive il nostro pollo italiano soltanto come Leghorn e lo inquadra fra le razze americane. L’errore è madornale, e più d’una volta, vuoi per amor del vero, vuoi forse per spirito di campanile, m’ero proposto, nella quiete del mio studiolo, di rivendicare la nostra celebrata gallina italiana; ma nel dubbio che l’inchiostro che andavo a versare, unito a quello che avrebbero versato i miei presunti contraddittori, straripasse in un burrascoso Mare di polemiche, ebbi paura, lo confesso, di annegare, e prudentemente virai di bordo. Senonché nel limpido pelago della Rivista degli Avicultori del 1891, in una splendida mattinata di giugno, apparve all’orizzonte, in tutto il suo splendore, il vascello fantasma: La rivendicazione della gallina italiana all’estero. In quell’articolo dell’ex giornale milanese ha la parola il noto organo del celebre avicultore Luigi Vander Snickt, l’ex-direttore dei giardini zoologici di Gand e di Düsseldorf, dunque non uno spirito di campanile, ma l’amore disinteressato al vero traspare in quelle linee, che non posso fare a meno di ripetere fedelmente in questo mio scritto eccole nella loro aureola di verità:

“Rendiamo a Cesare quello che è di Cesare, rendiamo all’Italia la gallina che le è propria. Perché or sono quarant’anni un gruppo di volatili italiani è stato trasportato in America, e vi è stato selezionato, e forse migliorato, poi spedito in Inghilterra sotto il nome di gallina di Livorno (in inglese Leghorn), non vi è sufficiente motivo per conservare a qualche individuo d’un colore convenuto, comprato molto caro in Inghilterra, mentre ce ne arrivano giornalmente dall’Italia più migliaia dai colori più variati dell’arcobaleno. Fra quelle galline importate dall’Italia a quaranta soldi l’una, se ne trovano dal mantello esattamente eguale a quello dei cosidetti Leghorn; diremo di più: ne abbiamo veduti apportare dei primi premi nella classe di Leghorn”[2]

“Fintantoché non avevamo comunicazioni dirette coll’Italia, non conoscevamo altri Leghorn che i bruni e i bianchi, potevamo anche ammettere i piles, prodotti dai due precedenti; ma dopo che abbiamo veduto apparire in Inghilterra dei couscous, degli argentati, dei fulvi, che non erano mai passati per l’America, ci siamo domandati perché gli uni come gli altri non potrebbero essere chiamati col loro nome italiano. Subito dopo la loro apparizione i Tedeschi hanno iscritto sui programmi delle loro esposizioni: Leghorn come {Italiaener} <Italiener>, e hanno istituito delle classi per tutti i colori; solo le nere a zampe nere si chiamano in Germania Lamotta”.
“La gallina spagnuola è arrivata a tutta la sua perfezione in Inghilterra ove la chiamano spanish, e così per la spagnola bleu o andalusa, a nessuno viene in mente di dire andalousian”.

“Bisognerà dunque che prima o poi gli organizzatori d’esposizioni prendano l’iniziativa e sostituiscano alla parola inglese Leghorn quella italiana Livorno, e meglio ancora la gallina italiana”.

“Nessuno può dire dove finisce l’italiana e dove comincia la Leghorn. Parlate delle galline italiane ai contadini; tutti conoscono la gallina dalle zampe gialle, che fa più ova che la gallina comune; parlate loro del Leghorn, non sanno quello che volete dire. La gallina italiana diventa Leghorn quando è una gallina di esposizioni. È questo un motivo per sbattezzarla? Ci pare una ridicolezza”.

“Tutte sono italiane; le une un poco più scelte, ecco tutto”.

La gallina italiana attuale è la stessa posseduta dagli antichi Romani: venne esportata in America verso il 1835 dal porto di Livorno sotto forma di varietà rossa, detta altrimenti pernice, nel 1836 dalla stessa città andò in America la varietà bianca e nel 1870 la nera. Questi prodotti italiani, grazie alla loro straordinaria fecondità e rusticità, vennero altamente apprezzati in America e battezzati sotto il nome inglese di Leghorn che vuol dire Livorno. Dal 1870 in poi il Leghorn tornò perfezionato in Inghilterra ove si è esteso rapidamente. La Germania resistette all’invasione dei Leghorn, ma da qualche anno il pollo italiano è comparso in grandi masse in quella contrada, importatovi da aziende commerciali dell’Alta Italia dopo l’apertura del Gottardo, ed attualmente le richieste continuano, e sempre senza interruzione.

Gli americani dunque seppero portarsi il nostro a casa loro e ammannirlo poi agl’inglesi come loro prodotto nazionale, ma fortunatamente i produttori dell’Alta Italia seppero imporsi ai mercati germanici con polli di qualità preziose e d’un prezzo estremamente mite. Difatti ricordo d’aver letto che al pollicultore tedesco conviene assolutamente di comprare i prodotti d’importazione italiana, che costano molto meno dei polli tedeschi e che danno maggiori quantità d’uova di questi, e per soprammercato d’un peso e d’un volume equivalente al doppio delle uova tedesche. Che si vuole di più?

La Perre de Roo, uno dei più illustri scrittori francesi in materia d’avicultura, ci vuole ammannire il Leghorn come prodotto risultante da incroci fra la razza andalusa e le razze asiatiche o italiane. Non è possibile di associarsi a questo modo di vedere, poiché se nel pollo Leghorn scorresse sangue asiatico, noi non potremmo avere un tipo tanto simile al tipo italiano e per forme e per rusticità; di più la razza andalusa, come varietà della spagnuola, non è poi un tipo totalmente rustico come l’italiano. Ora l’accoppiamento del pollo asiatico col pollo andaluso, in conseguenza di quanto ho affermato, non avrebbe giammai potuto dare il rusticissimo Leghorn.

Il Baldamus, più imparziale del La Perre de Roo, riconosce che il Leghorn non è altro che il pollo italiano selezionato, e ne è tanto convinto, che nel compilare il suo trattato.”{Illustrirtes Hand buch} <Illustrierte Handbuch> der Federviehzucht” era in dubbio se doveva riconoscere nel Leghorn una razza speciale. Questo autore distingue nel Leghorn 3 varietà: la rossa, la bianca e la cucula; il La Perre de Roo descrive soltanto le due prime; non così lo Schönfelder che ce ne presenta quattro, e cioè la bianca (white Leghorn), la nera ({blach}<black> Leghorn), la rossa (brow<n> Leghorn), la cucula.

Sono sicuro che tutti i trattatisti che sorgeranno nello avvenire non parleranno più di Leghorn, ma descriveranno semplicemente la gallina italiana (poulette d’Italie, das italienische Huhn). Ma difatti che sugo c’è di far distinzione, come si vede nei cataloghi, fra Leghorn e pollo italiano? Un giurato.... non di corte d’Assise, ma di esposizioni, non saprebbe certamente quali dovrebbe considerare come componenti dell’una e dell’altra razza: associamoci al signor Luigi Vander Snick ed aboliamo l’americanismo, oramai ridotto irriconoscibile in seguito alla sapiente selezione praticata dai tedeschi coi polli importati dell’Alta Italia in Germania.

Variati sono i mantelli della gallina italiana, così abbiamo la bianca, la nera, la gialla, la bleu, la rossa, la cucula, la screziata, l’ermellinata, l’argentata, la pernice gialla, ecc., ecc., e qui bisogna, purtroppo, riconoscere che questi diversi mantelli si devono alla combinazione, poiché provatevi a mettere assieme un gruppo di comune mantello ed assicuratevi che, salvo poche eccezioni, otterrete allievi diversamente colorati. Che differenza, invece, col Leghorn; questi soggetti mostrano la più perfetta fissità del loro colore. Però il pollo italiano si riscontra in Germania a mantello fisso come il Leghorn, mentre nel nostro bel paese viene totalmente trascurato da questo lato, e difatti i prodotti provenienti dall’Italia non vengono garentiti menomamente sulla fissità del mantello. Certamente si prova una penosa impressione di vedere che gli americani prima e poi i tedeschi provvedano a ciò che noi beatamente trascuriamo; orsù scuotetevi allevatori indolenti, è un lavoro da niente che vi si domanda: nella riproduzione accoppiate sempre galli e galline di eguale mantello e tenete da parte gli allievi che si riproducono simili ai genitori, e potrete essere sicuri che in 5 o 6 generazioni otterrete la fissità della livrea.

Purtuttavia fa mestieri riconoscere che esistono delle aziende di campagna ove si riscontrano interi gruppi a manto uniforme ed auguriamoci che questi rari esempi possano trovare imitatori. Lo scrivente ebbe occasione di osservare presso la capanna d’un accenditore di carboni, in un vasto bosco della bassa Italia, uno splendido gruppo di due galli e 7 o 8 galline a manto camoscio d’una perfezione unica – naturalmente si fece subito richiesta d’acquisizione, ma il padrone non volle privarsene, ad onta dell’offerta vantaggiosa; egli, da vero appassionato amatore qual’era, asseriva che i suoi polli erano unici nel genere, perché davano sempre allievi a manto camoscio, e ciò appunto perché da anni allevava quella varietà. Quanto buon senso, quanto gusto pel bello in un uomo confinato tutto l’anno nei suoi boschi; pingui droghieri, indolenti allevatori, indifferenti contadini, prendete ad esempio l’opera di quell’uomo dei boschi e popolate i vostri cortili, le vostre campagne di polli decenti – a voi tocca la riabilitazione della nostra gallina italiana.

Il pollo italiano, il tipo Leghorn compreso, presenta i seguenti caratteri generali:

GALLO
(Fig. 2; Fig. 3; Fig. 5)

Testa – graziosa, piuttosto lunga e larga.

Becco – sufficientemente lungo, a punta leggermente curva, base estremamente forte; il colore è giallo intenso nella varietà bianca, camoscio, rossa, cucula, ecc. – nella varietà nera il becco inferiore è pure giallo, non così il superiore che è giallo-bruno.

Guancia, cresta e bargigli – di colore rosso cinabro, le guancie levigate, la cresta straordinariamente alta, larga, scempia e regolarmente dentellata, i bargigli lunghissimi e d’un tessuto compatto e fine come la cresta.

Occhi – rossi, grandi e d’una vivacità straordinaria.

Orecchioni – a superficie levigata e di colore bianco più o meno tendente al crema a norma della varietà, così nelle varietà molto chiare si riscontra il bianco puro, nelle varietà più scure il bianco crema e nella varietà nera il colore decisamente crema.

Collo – arcuato e piuttosto lungo.

Dorso – inclinato indietro.

Spalle – marcatamente larghe.

Petto – ampio, arrotondato.

Gambe e tarsi – di struttura fine, i tarsi nudi e di colore giallo brillante in tutte le varietà, salvo nella nera che presenta tarsi grigi con vena decisamente gialla – in questa varietà si verificano spesso anche tarsi e becco gialli, ma giammai d’un colore intenso e brillante come nelle altre varietà. Lo Schönfelder afferma, e con lui il Baldamus, il Rumpf ed altri, che un gallo nero a tarsi e becco di colore giallo brillante è da dichiararsi di provenienza sospetta: in un simile individuo nella seconda e terza muta, si manifestano facilmente penne bianche alla coda e rosse o bianche alla mantelletta, tutti segni evidenti che il gallo proviene da un incrocio con altre varietà della sua razza. Purtuttavia questa asserzione meriterebbe di essere maggiormente confermata, poiché, in più d’un cortile mi venne dato di osservare galli totalmente neri, provenienti anche dalla centesima muta, che malgrado ciò offrivano tarsi e becco di color giallo intenso e brillante nelle varietà chiare. I requisiti di trasmissione di questi individui, non avendoli messi alla prova, non mi furono noti; ma certamente avranno lasciato a desiderare, poiché questi splendidi rappresentanti erano dovuti al caso e non ad una continua e paziente selezione. Non ostante ciò io sono fermamente convinto che soggetti di simili requisiti siano da tenersi in conto nella selezione, poiché non sarà difficile, con un po<’> di pazienza, di fabbricare il tipo totalmente nero con tarsi e becco di colore giallo intenso e brillante.

Dita – in numero di quattro per ogni zampa, nettamente articolate ed acuminate, diritte e fini.

Coda – portata graziosamente con eleganza; le grandi penne a falcetta sono molto pronunziate in larghezza e lunghezza, le timoniere sono larghe e forti.

Portamento – svelto, elegante, insomma un portamento italiano per eccellenza.

Statura – Il gallo italiano è di media statura; allevato bene non è inferiore in volume alle vantate razze di Houdan e Crèvecoeur, ma non raggiunge mai il volume della razza La Flèche: il suo peso varia da 2 a 3 chilogrammi. Certamente non è cosa facile di trovare un gallo di 3 chilogrammi; questo fatto dimostra ad evidenza che il nostro pollo comune è suscettibile, mediante una accurata selezione, di aumentare considerevolmente il volume.

GALLINA
(Fig. 4; Fig. 5)

I caratteri generali della gallina, eccezione fatta per i caratteri sessuali secondari, concordano con quelli del gallo: la cresta non è diritta come quella del gallo, ma bensì ripiegata di lato.

Produzione d’uova – abbondantissima, sino a 200 all’anno, dal guscio bianco candido e del peso di 65 a 75 grammi l’uno. Nei mercati italiani le uova a guscio bruno sono molto deprezzate e ciò è provvidenziale, poiché l’allevatore avrà interesse di eliminare dal suo pollaio le galline che gli daranno siffatte uova: sono appunto queste galline che provengono da incroci della razza italiana colle razze asiatiche, e quanto sia stata funesta l’introduzione del sangue mongolico nei pollai dei poderi italiani è cosa generalmente nota. Rallegriamoci adunque di questo uso che attenua gli effetti funesti del sangue asiatico che ha infestato i nostri cortili, i nostri poderi.

Produzione di carne. – Generalmente si ammette che il pollo italiano, insuperabile come produttore d’ uova, valga poco come produttore di carne. È invalsa la credenza che polli a tarsi gialli diano carne giallastra e poco succolenta. Questo modo di vedere è giustificabile per le razze a scheletro relativamente pesante in confronto della quantità di carne che fornisce l’animale, ma lo scheletro del nostro pollo italiano è molto leggero e fine, mentre che il petto e le anche sono discretamente forniti di carne tenera e delicata. Certamente non abbiamo nel pollo italiano il produttore di carne per eccellenza, come il Dorking, ma via, nessuno di chi legge troverà che un pollo arrosto di razza italiana o Leghorn che sia gli abbia qualche volta offeso il palato; insomma nel pollo italiano abbiamo l’insuperabile campione del produttore d’uova, campione che però, nel lato opposto, nella produzione di carne, si lascia vincere da qualche suo fratello in latinità, come l’Houdan, il Crèvecoeur, ecc. e dal suo cugino della bionda {Albone} <Albione>, il Dorking, ma che pur tuttavia è sempre un discreto produttore di carne anche lui.

In complesso non sapremmo meglio definire il nostro pollo che come il pollo ideale per eccellenza, e cioè buonissimo produttore d’uova (il migliore che si conosca), buon produttore di carne; il pollo che unisca i due aggettivi buonissimo è ancora...... pollicultura dell’avvenire, e poiché il Wagner della polleria ha ancora da nascere, così ritengo che, provvisoriamente almeno, la nostra razza comune è degna del titolo che gli ho appiccicato: pollo ideale.

Incubazione. – La nostra gallina non ha grande tendenza all’incubazione, anzi pare che in Germania abbia quasi completamente perduta quest’attitudine, ed il Baldamus pone appunto questa difficoltà: come si può spiegare la grande produzione annuale di questo pollo nella regione italiana, date queste sfavorevoli condizioni?

Il chiaro autore finisce per supporre che il sangue asiatico, che ha infestato i nostri cortili di campagna, contribuisca a dotarci di opportune chioccie. Sicuramente i nostri pollai abbondano di prodotti in cui scorre una buona dose di sangue asiatico, ma io credo di non errare asserendo che il nostro puro sangue italiano fornisca a sufficienza le chioccie alla nostra avicultura: difatti in molte regioni montuose, stante gli scarsissimi mezzi di comunicazione, il contadino mantiene ancora allo stato genuino il suo pollo italiano, e nelle condizioni d’isolamento in cui si trova dai centri commerciali, non gli si presenta la facile occasione di trovare l’elemento necessario per incrociare i suoi polli con soggetti di sangue asiatico; ebbene in quelle contrade l’incubazione si compie per mezzo di galline chioccie – egli è bensì vero che la tacchina è un ausiliario in tale faccenda, ma vuolsi anche considerare che a questo gallinaceo, nei più dei casi, viene affidata l’incubazione delle proprie uova e più raramente quelle di gallina.

Rusticità. – Un’altra qualità caratteristica del pollo italiano è la sua straordinaria rusticità. Anche qui, come per la produzione d’uova, si può impunemente sostenere che il nostro pollo emerge su tutte le razze possibili ed immaginabili. Niente di più facile dell’allevamento dei nostri pulcini; in sei mesi avete dei polli formati e che già vi danno uova, e checché se ne dica del Crèvecoeur, dell’Houdan ecc, io sostengo sempre che la nostra razza, da questo lato specialmente, è superiore a queste ultime. Aggiungete anche il carattere vagabondo del nostro pollo, pregio inestimabile che lo spinge alla ricerca del proprio nutrimento, e convenite con me che in piena campagna l’allevamento costerà ben poco quando si hanno animali così vivi e vagabondi.

È indubitato che le nostre fattorie di campagna ritraggono un rilevante utile dalla polleria, purché il numero dei polli sia adeguato al tratto di terreno che possono percorrere liberamente; in tal caso, non avendo luogo l’esaurimento del terreno, gli animali troveranno sempre a loro soddisfazione grani, erbe, insetti, molluschi, ecc. In generale il nostro contadino suol dare un solo e frugalissimo pasto ai suoi pennuti, anzi, nel tempo del raccolto, essendo l’aia sempre imbrattata di residui di grano, il pasto quotidiano viene totalmente omesso.

Mantello o livrea. – Si deve agli americani, ed attualmente in particolar modo ai tedeschi, la fissazione delle varie livree che si riscontrano nel nostro pollo italiano. Costoro, colla loro proverbiale perseveranza, hanno reso il nostro pollo un vero tipo da sport, e ciò a furia di scovare i variopinti individui fra i nostri polli plebei, che inondano i mercati tedeschi, ed a furia di accoppiare i rappresentanti di simili e magari di diversi mantelli fra di loro. Che ciò abbia contribuito ad imprimere maggiori requisiti di utilità al nostro pollo non si può forse affermare, anzi si potrà rispondere negativamente, ma lo sport, oltre l’utilità, cerca anche l’estetica.

A primo colpo sembrerà indifferente che il manto di un pollo sia verde o violetto, epperò è dimostrato dalla pratica che talvolta il colore delle penne è in istretta relazione colla fecondità: il nostro contadino apprezza altamente il rosso bruno, il grigio e specialmente il nero, perché l’esperienza gl’insegna che i soggetti di colore oscuro producono molte uova e sono più robusti dei soggetti che tendono all’albinismo. Ma qui si domanderà: “perché lo sport va anche in cerca di mantelli chiari?”. Ecco forse uno degli appunti che converrebbe fare alla sportmania. Esistono però dei rappresentanti di razze in cui il manto bianco o chiaro è la loro caratteristica e contemporaneamente anche l’indizio di una buona produzione di carne o di uova: lo sport non contento di possedere questi soli manti, cercò di fabbricarne dei nuovi mediante l’incrocio di questi soggetti chiari con altri di diversa razza e mantello, ma contemporaneamente le proprietà produttive ebbero in molti casi a scemare, poiché l’introduzione del nuovo sangue venne praticata con individui meno produttivi. In questo caso abbiamo di fronte uno dei tanti inconvenienti derivati dalla sportmania, e non si saprebbe soverchiamente deplorare cotanta rovina. Volete un esempio: la razza Wyandotte fu creata a manto argentato, ma lo sport, sempre incontentabile, mise in campo il manto dorato, il nero e finalmente il bianco. Per raggiungere l’intento di questi nuovi colori si dovette, almeno per la livrea nera e per la bianca, partire dal tipo argentato mediante incroci più o meno inopportuni; ma non monta, l’essenziale era di ottenere una nuova livrea. Il risultato è stato che i nuovi tipi rappresentano individui quasi sempre inferiori agli argentati. Che dire poi del Langshan bianchi? La celebrata razza Langshan è nera d’origine, ma si volle a tutti i conti introdurre la livrea bianca: quanto valga quest’ultima di fronte alla nera lo sanno tutti gli allevatori.

Nella nostra gallina il manto unito è preferibile poiché è molto facile di perpetuarlo agli allievi, ma non così coi mantelli variopinti, che esigono una selezione intelligente, paziente e non sempre coronata da successo.

S’intende bene che nella livrea nera si cerca il nero perfetto senza fondo troppo grigiastro, insomma non si vuole il cosidetto fumo di cannone. Il riflesso si vuole verde metallico.

Nel manto bianco si cerca di evitare la vena paglierina tanto facile ad apparire sul collo e sul dorso, specialmente alla seconda muta.

Il mantello ardesia è difficilissimo ad ottenersi perfetto, poiché il gallo, specialmente, prende del nero al collo, sul dorso e sulla coda.

Il giallo o camoscio è più facile del precedente: in questo manto le penne del ventre sono più chiare di quelle del dorso, mentre che quelle della mantelletta, del groppone e della coda riescono sempre più scure del dorso.

Fra i manti variopinti è degno di nota il manto ermellinato ad uso {Bramha} <Brahma>-Pootra, ed è facile trovare dei buoni rappresentanti di questa elegante pennatura: non descrivo questo manto poiché è ampiamente specificato alla pagina ove tratto la razza colossale denominata Brahma-Pootra. Il manto Brahma-inverse è anche facile a riscontrarsi nei nostri cortili.

Fra i manti brizzolati primeggiano i soggetti a tre colori, e cioè il nero, il marrò ed il bianco; è anche comune il brizzolato uso Houdan, ma generalmente conosciuto e non di recente fabbricazione come pretende lo Schönfelder. Assai simpatico e grazioso è il manto cuculo in cui ogni penna ha il fondo grigio ed è traversato da una o più striscie nere.

Il manto il più comune in Italia, e che contemporaneamente si può dire il più ricco per vivacità di colori, è il rosso detto altrimenti dorato, bruno o pernice rossa. Abbiamo anche il manto pernice gialla ed in tal caso al posto del rosso subentra un colore giallo che può essere paglierino, arancio, camoscio, e finanche bianco, in quest’ultimo caso abbiamo la livrea pernice bianca chiamata pure argentata. Descriverò con alquanto dettaglio, in coda a questa mia monografia della gallina italiana, le principali livree che sono adottate dallo sport germanico, facendone oggetto di apposita appendice.

3) VARIETÀ DELLA GALLINA ITALIANA – La gallina italiana comprende dieci varietà regionali, così abbiamo:

1. La varietà piemontese:
2.                 lombarda;
3.                 veneta;
4.                 emiliana;
5.                 marchigiana ed umbra;
6.                 toscana;
7.                 romana;
8.                 napoletana;
9.                 siciliana;
10.               sarda.

Questa divisione per varietà non ha lo scopo d’indicare individui nettamente distinti fra di loro, ma pur tuttavia la differenza di una regione all’altra sono in certo modo visibili; così nella varietà sarda riscontransi soggetti più piccoli della varietà napoletana, nelle varietà lombarde e piemontesi la livrea non è così smagliante come nella varietà napoletana: la classificazione regionale, a causa delle differenze quasi impercettibili fra individui di diverse regioni, ha il solo obbiettivo di indicare la provenienza del pollame. Abbiamo però varietà abbastanza distinte della nostra gallina comune italiana, che possono pretendere di essere elevate a razze, o, per dir meglio, a sottorazze della gallina italiana, così Padova vanta una di queste sottorazze tipiche e rinomate come ottime produttrici di carne e di uova: alludo alla padovana comune chiamata megiarola, caratteristica per i tarsi e pel becco grigi. La regione del Valdarno vanta la razza omonima.

Salvo per la nostra gallina italiana, i caratteri delle sue sottorazze, o razze che siano, la Valdarno, la padovana comune, ecc., non sono ufficialmente stabiliti e riconosciuti. Date queste circostanze, ho sorvolato su questo argomento: alla mostra del 1903 si stabilì di fondare un vero e proprio Standard Italiano, ma sinora è ancora musica dell’avvenire. Colgo l’occasione per esternare lode al marchese Trevisani che ne propose l’attuazione nel seno della Società italiana d’Avicoltura: se son rose fioriranno. Così sinora si è potuto, dopo infinite polemiche, stabilire che la gallina Valdarno è l’italiana nera a zampe e becco scuri. Certo questo prodotto pare destinato ad un avvenire luminoso, dati i pregi di cui è adorno.

La varietà detta razza a cinque dita non è rara affatto in tutta la regione italiana: è caratteristica per un quinto dito che porta di dietro vicino allo sperone. Non mi venne mai dato di riscontrare soggetti di questa razza a tarsi giallo brillante, il colore di questi è ordinariamente grigio, talfiata roseo e rare volte giallo bruno.

I tedeschi coltivano una varietà del pollo italiano, a cui hanno affibbiato il nome di Lamotta; è caratteristica per i tarsi e pel becco verde ardesia, forse sarà identica alla megiarola che, come ho sentito dire, appare anche a tarsi verde ardesia.

La varietà chiamata gallina crottone è vanto della regione piacentina: è alta sulle gambe, i tarsi gialli sono leggermente calzati, le uova sono grosse, la carne abbondante, il peso del gallo arriva anche a quattro chilogrammi, il manto è variato, ma è frequente di colore giallo rossastro.

Finalmente è degna di menzione la razza padovana nana: i tarsi sono molto corti e di colore giallo, mentre che il resto del corpo è assolutamente identico alla razza tipica italiana. Queste galline basse al punto da toccare quasi il ventre a terra sono molto pregiate per la loro straordinaria fecondità.

Mi piace di citare ancora una sottorazza della gallina italiana, che oramai è completamente piombata nell’oblio e forse anche estinta. Alludo alla gallina storza, che sino a un decennio fa inondava i cortili della Campania: la stessa non è altro che la gallina italiana a cresta rimpicciolita, a volume aumentato e ridotta a camminare sui trampoli, talmente è notevole la lunghezza dei tarsi. Su per giù la gallina storza si potrebbe definire la Barbézieux a caratteri italiani: è veramente deplorevole l’abbandono di questa sottorazza che io vorrei propriamente chiamare razza.

Diversi vecchi della contrada ove soggiornai per vario tempo (circondario di Caserta) ricordano una gallina scodata a tarsi gialli e cresta e bargigli quasi come l’italiana (Fig. 6). Essi affermano che la carne era molto superiore a quella della italiana, pur restando inalterata la prerogativa della fetazione abbondante. Attualmente comincia a far parlare di sé una gallina brianzola dal tarso roseo.

Un volonteroso che si proponesse di scovare le varietà locali della nostra gallina italiana, riuscirebbe senza difficoltà a rintracciare delle razze belle e buone, che risorte formerebbero il vanto della nostra pollicultura. I francesi contano numerose razze dovute alla loro ferma volontà di mantenerle pure e di risorgerle laddove erano cadute in abbandono: non potremmo noi imitarli?

È degna di menzione la sottorazza d’Ancona, coltivata dagli inglesi e così chiamata perché il primo gruppo esportato in Inghilterra, e colà perfezionato, venne appunto esportato dal porto d’Ancona verso il 1884.

Il piumaggio di questa sottorazza è sbarrato di nero e bianco; nella gallina molto regolarmente, di modo che ogni penna è nera con punta bianca, mentre che il gallo ha {la} <le> penne della coda e delle ali bianche orlate di nero, il resto del corpo come la gallina.

Il mio amico Mazzon così parla della gallina siciliana: “Venti o venticinque anni or sono la gallina siciliana attirava l’attenzione degli amatori; però, se si bada all’asserto di qualche persona autorevole, tale razza fu introdotta ad epoca ben anteriore della citata America.
“Il sig. H. Ayres assicura che questa specie era nota a molti allevatori prima della introduzione della Leghorn bruna: e di questa si sa che i primi tipi importati arrivarono nel 1835. La Leghorn bruna venne poi a sparire in seguito ad una sequela d’incroci con altre razze: però l’allevamento vero della siciliana non venne fatto su larga scala che verso il 1850, e durò circa 20 anni; da allora in poi anche questa razza venne totalmente abbandonata e non sono che due anni che essa fece la sua nuova apparizione.
“Il sig. Ayres dice che questa gallina è pressoché identica alla Leghorn bruna, ma con una cresta in forma di coppa; però siccome la descrizione era fatta in epoca in cui non si andava tanto per il sottile nel classificare una razza di galline, non è da meravigliarsi se il paragone lascia a che dire.
“Gli allevatori assicurano che la siciliana è la migliore fetatrice che si possa desiderare: il gallo arriva a 3 kg. e mezzo, e le galline da due e mezzo a tre. Hanno la cresta larga, rotonda, in forma di saliera, concava ed irta di piccole punte tutte all’ingiro: è una cresta caratteristica che non trovasi in altre razze; dietro la cresta una piccola prominenza guarnita di un ciuffo incipiente distingue ancor più delle altre la razza siciliana.
“Le zampe liscie sono di tinta verde chiaro; ciò che permette ai pulcini di averle quasi gialle; la prima è screziata come nell’Hambourg crayonné argentata. Il gallo ha poi il petto ed il dorso ricoperto di piume dorate, la gallina ha il petto pailleté.
“Sono precoci le siciliane; a cinque mesi depongono nell’inverno senza richiedere maggiori cure di altre razze.
“Ecco dunque una nuova razza che ci viene additata dagli stranieri.
“Forse in Sicilia la si conosce?”.

Ho riferito ciò che il Mazzon, alcuni anni or sono, scriveva in merito a questa gallina, ma la stessa lasciò sempre a desiderare, specie nel requisito della cresta e degli orecchioni, senonché attualmente gli americani hanno finito per rendere perfette queste parti e chiamano la gallina siciliana semplicemente “Leghorn a cresta tripla”. I requisiti economici e morfologici coincidono colla italiana a cresta scempia, soltanto quest’ultima è, in tutto e per tutto, simile alla cresta caratteristica della razza d’Amburgo; noi potremmo seguitare a chiamarla “gallina siciliana”. (Vedi fig. 5 <bis>).

4) APPENDICE RIFLETTENTE LE PRINCIPALI LIVREE DELLA GALLINA ITALIANA – La nostra gallina, prodotto industriale per eccellenza, è anche adottata, specie in Germania, in Isvizzera, in Inghilterra, ecc., come razza da sport. La descrizione di cui ne ho fatto oggetto ha mirato essenzialmente per metterla in rilievo come insuperabile prodotto industriale, la parte sportiva avendola io appena sfiorata. Di conseguenza ho creduto, a compimento di questa mia monografia, di far risaltare l’indirizzo sportivo della livrea di questa gallina come è attuato dal codice tedesco: per raggiungere l’intento, meglio non potevo operare che attenendomi alle norme usate dal conoscitore sovrano della materia, lo svizzero signor Beck-Corrodi, che in merito ha pubblicato una brochure interessante dal titolo Beck-Corrodi, das Itelienerhuhn als Nutz- und Sportgeflü{u}gel – prezzo L. 375 – vendibile presso l’autore in Hirzel (Svizzera). Varrebbe la pena che questo indovinato lavoro fosse ridotto nel nostro idioma gentile, acciocché si propagasse anche da noi la conoscenza della nostra splendida gallina nazionale. Chi la conosce nel proprio paese? credo quasi nessuno.

Le livree esclusivamente adottate negli allevamenti tedeschi sono dieci soltanto:

1) La livrea nera,
2)               bianca,
3)               dorata       (pernice rossa, come la chiamiamo noi),
4)               argentata   ( “     bianca,                                 ),
5)               ala d’anatra ( “     gialla,                                  ),
6)               gialla    (camoscio                                             ),
7)               cucula,
8)               bleu     (acciarina, come la chiamiamo noi){.}<,>
9)               uso Houdan, nera screziata bianca        “),
10)             pile.

È molto probabile che in avvenire sorgeranno altre livree, poiché numerose e bellissime combinazioni di colori ve ne sono a dovizia nei nostri cortili, così, p. es., sorprende molto che i tedeschi non abbiano adottata la livrea ermellinata chiara rinvenibile per ogni dove nei nostri allevamenti, che è certo assai bella.

1) La livrea nera – Piumaggio nero intenso a riflessi verdi, penne del volo e della coda anche nere, mai nero fumo o grigio cenere o scuro. Nel cortile più d’un animale appare nero, ma preso nelle mani ed esaminato attentamente lascia molto a desiderare. Costituisce difetto grave la presenza di bianco alle remiganti ed alle falci e similmente un piumaggio grigio-cenere nelle parti inferiori del corpo. Piumaggio irreprensibile, tarso giallo carico, orecchione bianco latte, guancia rosso vivo, bargiglio idem, sono tutti requisiti quasi inconciliabili: spesso i bargigli, immediatamente all’attacco della gola, sono bianchi come gli orecchioni. Se si deve fare una concessione, questa può soltanto consistere nel tollerare un colore giallo cuoio agli orecchioni, ma mai giallo solforato. Animali dal tarso verdastro e dal riflesso violetto all’ala sono da eliminare nella riproduzione.

2) La livrea bianca – L’intero piumaggio deve essere bianco puro, le lancette del collo e della sella a riflesso untuoso e non altrimenti. Se si mettono assieme una gallina italiana bianca ed una gallina Minorca della stessa livrea, si osserva un colore di due graduazioni: questa rivela in piena luce una tinta bianca che appare appena mista di bleu, quella una stessa mista di giallo. Siffatta differenza deriva dalla colorazione gialla del becco e dei tarsi, dice Beck-Corrodi, ma io aggiungo che il fatto è dovuto alla pigmentazione gialla dell’epidermide, e certo è deduzione più logica la mia. Se si hanno soltanto animali della stessa razza, questa differenza non è percepibile. Il colore bianco argento è il desideratum. Il sole e la luce trasformano questo colore del piumaggio, che acquista, più o meno, riflesso giallo paglierino visibile maggiormente nel gallo alle lancette del collo, delle spalle, della sella e nella gallina sulle ali e sul dorso. Se presso i giovani allievi appare un riflesso di giallo, allora questi sono da escludere come riproduttori, mentre che gli animali di pregio trasformati dal sole sono bensì indicati per la riproduzione, ma non per le mostre.

3) La livrea dorata – Noialtri italiani la chiamiamo semplicemente rossa, ma anche pernice rossa: nei nostri cortili è certo questo il colore il più frequente e forse anche il più saliente a causa del suo fiammante riflesso lustro e lucente. Anche come animale da sport, dai tedeschi è questa la livrea la più coltivata.

Gallo. – Testa rosso arancio vivace striato di nero. Lancette del collo rosso dorato, più chiaro d’una graduazione ai lati del collo, con fine sbarratura nera al fusto; l’orlatura rosso dorata deve circondare tutta la sbarra nera, essere dunque chiusa anche sulla punta. Il dorso, le lancette della sella e le piume delle spalle rosso intenso sino a bruno ramato; petto e parte inferiore del corpo nero a riflesso verde, covertura dell’ala bleu acciaio; questa forma una larga banda trasversale sull’ala. Anche nelle lancette della sella debbono esservi le sbarrature sottili e nere del fusto come nelle lancette del collo, epperò appariscono meno marcate. La coda è nera a riflessi verdi. Tutta la parte superiore del corpo si richiede a lucenti riflessi infiammati. Difetti di squalifica sono il petto annuvolato di bruno, del bianco alle remiganti ed alle falci della coda, disegno imperfetto alle lancette del collo ed assoluta mancanza del medesimo alle lancette della cosa, piumaggio sottostante all’esterno grigio biancastro.

Gallina. – Penne della testa e del collo giallo limone sino a giallo dorato, ogni penna munita di distinta sbarratura nera al fusto, questa sbarra nera si richiede larga e terminante a punta fina, purtuttavia deve predominare l’orlatura di colore giallo limone o giallo dorato. Il petto è di colore salmone disegnato da tenui sbarre chiare al fusto, degradante verso il ventre, e la parte posteriore in grigio cenere brunastro, ove si sperde la sbarratura delle penne. Dorso, ali, groppone e coverture della coda sono di colore grigio brunastro con fina sbarratura oscura, quasi ogni penna molto sottilmente orlata da un solo lato. La macchia od il riflesso rugginoso sull’ala rende inadatta la gallina per la riproduzione di tipi perfetti nel colore generale della livrea.

4) La livrea argentata – È l’opposto della dorata, dove in queste si verificano colori più o meno dorati, nell’argentata si riscontrano colori bianco argento più o meno. Noialtri italiani designiamo questo mantello come pernice bianca e lo abbiamo anche in abbondanza nei nostri poderi e nei nostri cortili di campagna, ma certo meno esteso della dorata che ora ho descritta.

5) La livrea ala d’anatra – Noi designiamo questo mantello come pernice gialla e non possiamo dire che sia raro nei nostri rustici allevamenti, tutt’altro, però molto meno frequente del dorato e anche dell’argentato, e similmente negli allevamenti sportivi tedeschi. Nello stretto senso della parola non è questa una speciale livrea, bensì soltanto una variazione piccola della dorata e dell’argentata.

Gallo. – Penne della testa e del collo giallo paglierino diventante giallo rossastro verso le spalle; dorso e sella rosso dorato; spalle e coverture delle ali arancio dorato sino a rosso porpora con specchio d’ala a riflesso bleu metallico; le grandi remiganti nere, le secondarie da fuori bianche e nere di dentro, nel resto il gallo corrisponde all’argentato. Nella descrizione del dorso e delle ali esistono una quantità di graduazioni di colori; così non differenziano di molto i soggetti ad ala d’anatra di colore chiaro dagli argentati, di modo che gli argentati tiranti pronunziatamente al colore giallo potrebbero utilizzarsi per la livrea ala d’anatra.

Gallina. – È assolutamente simile alla gallina argentata.

6) La livrea gialla – Nessun altro colore offre tanta difficoltà come questo. L’intera livrea, dalla testa alla coda, al petto ed alle ali deve avere la stessa intonazione gialla. È ammissibile un colore chiaro o scuro, ma si preferisce quest’ultimo poiché gli allievi spesso appariscono più chiari dei genitori e finirebbero per divenire troppo sbiaditi se si utilizzassero riproduttori chiari. Il colore intenso e giallo dorato, speciale della razza Cocincina è preferito: io, però, a questo desideratum del codice tedesco, mi permetto di obbiettare che nei nostri rustici cortili assai spesso si riscontrano siffatti tipi arieggianti i cocincinesi nel mantello, ma pochi di essi sono individui molto sospetti che tradiscono l’influenza della mastodontica razza asiatica. Certo alle mostre ci è dato di vedere degli splendidi rappresentanti di questa livrea, di effetto bellissimo, e specie a Roma nel 1903 figurò una coppia quasi ideale nella perfezione del mantello e delle forme, ma era sola, non accompagnata da nessun altra del genere. Il gallo ha le lancette del collo e della sella, specie le coverture mediane dell’ala, ordinariamente un po’ più oscure, cioè giallo rossastre, ciò non è desiderato dal codice, ma quasi inevitabile. Il petto e il ventre sono nei due sessi senza riflesso, più matti del resto del piumaggio; parte posteriore spesso più pallida quasi giallo grigiastra e ciò squalifica l’animale. Le remiganti e le penne della coda sono spesso più scure, quasi nero brune. Ciò costituisce vantaggio nell’allevamento, ma non per la gabbia d’esposizione. L’animale da esposizione deve essere giallo intenso anche alla coda, al massimo giallo bruno, mentre che il resto del corpo si richiede uniformemente giallo dorato, appena giallo rossastro alle spalle. Occorre badare che gli animali da riproduzione non abbino la voluta coda bronzata mista o striata di grigio. Il colore della coda può al massimo essere giallo bruno, lo scuro disegno bronzino si richiede verdognolo o bruno castano. Macchie grigie da rigettarsi e similmente le penne della coda quasi nere e con stelo idem. Orli più chiari alle penne del petto, del dorso, delle spalle e della parte posteriore sono da escludere fra i riproduttori. Piccole striature alle lancette del collo si considerano come difetto insignificante se il colore fondamentale e assolutamente ed intensamente giallo dorato; se il colore fondamentale è chiaro allora la listatura al collo costituisce grave difetto. Da escludere nella riproduzione il bianco negli italiani gialli in qualsiasi parte del piumaggio. La piuma alla parte inferiore del corpo si richiede d’un bel giallo e non grigio pallido o grigio biancastro. In questa livrea non si riscontrano mai tarsi di colore giallo arancio vivo come nelle altre.

7) La livrea cuculaGallo e Gallina dello stesso colore. Il disegno {cucolo} <cuculo> consiste in fini linee ondulate, formanti sopra ogni singola penna sottili striscie trasversali. Il fondo del colore è bleu chiaro, il disegno, quanto più possibile, bleu oscuro. Questi due colori si alternano in onde trasversali approssimativamente di eguale larghezza, e propriamente il disegno cuculo deve essere uniforme per tutto il corpo. Sono le linee ondulate del disegno altrettanto larghe per quanto rimane visibile fra di loro del colore del fondo, allora si constata la desiderata media mescolanza de’ colori, mentre che un disegno più largo con fondo più sottile fa apparire l’animale oscuro, e chiaro, invece, se il disegno è più sottile ed il fondo più largo. A ciò influisce anche il tono nel colore del disegno, che talvolta è abbastanza oscuro, ma in altri casi anche più chiaro. Condizione essenziale si è che ogni penna, siano le lunghe e sottili penne del collo e della sella, che le corte penne covritrici del petto e del dorso, le lunghe penne falciate e le timoniere della coda, come pure le remiganti, debba essere ininterrottamente e regolarmente traversata da banda scura. Non meno importante è però il disegno distinto (tranchant); i due colori debbono confinare chiari e precisi, giammai confondersi e fondersi l’uno nell’altro. Accanto a questa osservanza deve entrare in considerazione il colore; lo stesso si richiede bleu chiaro o bleu scuro. Ogni tendenza di bruno nel colore scuro, di giallo paglierino nel colore del disegno o anche un passaggio del grigio al bleu si deve evitare mediante accurata selezione. Queste degenerazioni di colori sono specialmente pericolose per l’allevamento se appariscono in giovani animali già adulti, mentre che un riflesso giallo paglierino si manifesta anche in animali fini, se furono esposti al sole ed alle intemperie durante il periodo d’allevamento. Una simile trasformazione non ha nessuna influenza sulla progenie ed è senza importanza. Nelle remiganti, talvolta anche alle timoniere della coda ed alle falci, appariscono placche unicolori in cui manca il disegno a bande, se queste sono oscure non ci si fa caso, mentre che placche chiare squalificano l’animale e lo fanno pure respingere come riproduttore.

8) La livrea bleu – È simile all’Andalusa, consiste in un vivace bleu ardesia, che non deve sfumare né in grigio e né in acciaio. Un orlo bruno scuro, quasi nero ad ogni penna, forma un disegno rimarchevole. Il gallo ha le lancette del collo e della sella e la coda sempre un po’ più scura. Gli animali perfetti sono dotati di forte riflesso che, secondo la luce, appare d’un untuoso argento chiaro. Il colore fondamentale varia in diverse graduazioni, che sono tutte ammesse dal codice sempre che rappresentino tinte bleu ardesia. Si escludono come riproduttori i galli con rosso o giallo al collo ed al dorso, le galline con giallo paglierino alle ali; remiganti e falci striate d’altri colori escludono pure gli animali dalla riproduzione. La livrea è in opposizione al colore giallo del becco e dei tarsi e spesso presso buoni soggetti, che d’altronde sono molto rari, si riscontrano tarsi oscuri quasi grigio bleu, probabilmente eredità del sangue spagnuolo. Il colore del becco e dei tarsi deve però essere giallo, corrispondente alla razza italiana.

9) La livrea uso Houdan – Nei nostri cortili è più comune di quello che non si crede ed è designata da noi come nera brizzolata di bianco; la chiamano pure razza d’Ancona perché da questa città fu introdotta in America, ma nei cataloghi è soppresso questo nome totalmente.

In Germania viene raramente esposta e pure poco allevata. I due sessi sono egualmente disegnati. Colore fondamentale nero a splendenti riflessi verdi, ogni penna con punta bianca. Nella gioventù, come nella Houdan, deve predominare il colore nero ed il disegno limitarsi a piccole macchie bianche; ad ogni muta queste si espandono, di modo che gli animali, al principio scuri, più tardi diventano chiari. Il disegno non deve rappresentare una forma stabilita, piuttosto la gallina nera deve essere chiazzata per tutto il corpo di macchie bianche quasi della stessa grandezza. Chi si vuole occupare dell’allevamento di questi polli, deve prima linea badare a buoni colori, che il nero non contenga né violetto, né bianco, il bianco esente di giallo e di grigio. Tarsi e becco gialli, ma non si giudicano troppo severamente macchie oscure.

10) La livrea pile – Come i combattenti inglesi, pochissimo conosciuta in Germania, è varietà di allevamento inglese.

5) lo “standard” della valdarno – Mi sono deciso ad estendere lo Standard di questa gallina per ispirazione venutami dal venerando cav. Maggi, che ha definita la Valdarno come un prodotto un po’ più tozzo, più grosso, in confronto della gallina italiana: attenendomi a questa giusta osservazione, mi accingo all’opera. Premetto però che non ho affatto la pretesa di voler dire l’ultima parola sull’argomento, che se altri crederanno far seguire le loro osservazioni in contraddittorio a questo mio scritto, essi saranno i benvenuti. Solo così potremo raggiungere lo scopo di risolvere il problema della Valdarno. Il Maggi, è vero, ne ha solidamente stabilite le basi, ma non ne ha completato l’edificio, giacché, a questo scopo, occorre  precisare con dettaglio le caratteristiche della razza che tanto ci tiene sospesi. Omaggio al maestro stimato e venerato, che colla sua serena obbiettività mi ha tracciato l’abbozzo del disegno: mi permetta il maestro di sfumarne le parti.

Debbo alla vecchia e sentita amicizia, che mi unisce al decano della nostra avicultura, una sua gentile lettera in cui mi dichiara che non ha mai creduto di alludere alla coda a scoiattolo: “Volterò la frase e dirò: il gallo ha la coda non tanto voluminosa e non spiovente come nella Padovana, ma alquanto rivolta in dietro e con le falciatrici bene arcuate”. Così chiude il suo scritto il Maggi, e ben fatto sia, giacché nel suo rapporto alla presidenza della Società Italiana di Avicultura, la frase non si poteva interpretare altrimenti che come indicante una coda a scoiattolo. Chiarito l’equivoco passiamo più oltre.

Non è qui il caso di sofisticare se la Valdarno sia o no una sotto-razza della gallina italiana: la questione, se vorremmo approfondirla, ci si presenterebbe sempre sotto termini vaghi, forse anche se si facessero entrare in giuoco osservazioni anatomiche. I caratteri dello scheletro hanno poi sempre tale importanza da condurci a vedere dal loro studio distinzioni specifiche o, per meglio dire, distinzioni di razza? Certo il tipo predominante della gallina comune in Italia è a tarsi gialli, e più che predominante, si potrebbe chiamarlo tipo unico, quindi se noi diremmo che la Valdarno potrebbe rappresentare una filiazione del tipo comune, dal momento che essa pure è una gallina comune, non credo che affermeremmo cosa campata nel vuoto; ma, ripeto, la questione è oziosa.

In qualità di pratici allevatori diremo semplicemente che la Valdarno è razza fissata, poiché si riproduce fedelmente. Certo è una razza degenerata, trascurata, e come ben dice il Maggi, andrebbe rifatta, ritoccata, ma ciò non toglie che non esista il tipo puro. Il Maggi che..... razzola colla Valdarno da ben 60 anni nel suo proprio paese d’origine, ben a ragione afferma che, oltre il nero, non esistono altri mantelli, e ciò è confermato pure da altri provetti allevatori della regione.

Caratteristiche della razza

GALLO

Testa – graziosa, piuttosto lunga e larga, ma meno lunga e più grossa che nella Italiana, dunque più rotonda e più voluminosa.

Becco – sufficientemente lungo, a punta leggermente curva e base estremamente forte, più forte che nella Italiana: il colore nero-grigiastro e se è nero-giallastro costituisce gravissimo difetto di squalifica.

Guancie, Cresta e Bargigli – di colore rosso-cinabro; le guancie levigate; la cresta straordinariamente alta, larga, scempia, regolarmente dentellata (6-7 denti), forte alla base, la quale combacia saldamente col becco e col cocuzzolo, nel mentre che all’indietro si prolunga liberamente senza combaciar alla nuca. Una cresta con lobo superiore appena ripiegato costituisce gravissimo difetto di squalifica.

Occhi – rossi, grandi, più grandi che nella Italiana e straordinariamente vivaci.

Orecchioni – bianchi, a superficie levigata e di forma ovale: il color giallo solforato costituisce grave difetto di squalifica, ma si tollera come difetto insignificante il colore giallo cuoio.

Collo – portato eretto come cavallo al freno, graziosamente arcuato, piuttosto lungo e più massiccio che nella Italiana: mantelletta molto pronunziata.

Dorso – inclinato indietro, lateralmente meno arrotondito e più largo che nella Italiana, abbondantemente fornito di lunghe Lancette pendenti.

Spalle – marcatamente larghe, più che nella Italiana.

Petto – ampio, arrotondito e più voluminoso che nella Italiana.

Tarsi – nudi, piuttosto bassi anziché no, e ciò al contrario della Italiana, che li ha piuttosto lunghi: il colore nero grigiastro, un colore nero-brunastro o giallastro è gravissimo difetto di squalifica.

Dita – in numero di quattro per ogni zampa, nettamente articolate ed acuminate: gravissimo difetto la trasparenza gialla degli interstizi.

Coda – leggermente inclinata indietro, e ciò quanto meno possibile, non troppo voluminosa e non troppo spiovente, con timoniere larghe e forti e falcette bene arcuate.

Portamento – elegante, ma meno svelto che nella Italiana, di fronte alla quale la Valdarno è più tozza, più tracagnotta.

Statura e peso – dovendo la Valdarno rappresentare un prodotto un po’ grosso della Italiana (non più alto), nel gallo non si può ammettere un peso al disotto di 3 chilogrammi.

Livrea – nera in tutto il corpo, con splendidi riflessi verdi. È difetto di squalifica la presenza di riflessi violacei e del bianco alle remiganti ed alle falci, se mai è tollerato un lieve accenno di bianco, e la parziale assenza di riflessi negli animali più vecchi: è pure squalificato un animale che ha il piumaggio grigio-cenere nelle parti inferiori del corpo.

GALLINA

I caratteri della gallina, eccezione fatta per i caratteri sessuali secondari, concordano con quelli del gallo: la testa è ripiegata di lato. Non si ammettono soggetti al disotto di chilogrammi 2,500.

Proprietà economiche – pollo ideale per eccellenza, giacché al requisito di buona e distinta ovaiola, la Valdarno aggiunge quello di fornirci carne squisita, di fibra meno grossolana della Italiana, bianca e profumata, facile a prendere il grasso. Meglio coltivata, specie in vista di aumentarne la taglia, questa gallina potrà costituire, accanto alla nostra tradizionale Italiana, un altro vanto dei nostri allevamenti rustici e sportivi.

Come razza incrociante, la Valdarno ha dato già ampie prove della sua efficacia: la razza Maggi ne è appunto un derivato indovinatissimo, ma, purtroppo, quasi o del tutto estinto. L’apparizione della razza Maggi data a sessant’anni addietro, e se fosse stata coltivata, come si è, per esempio, praticato per la Faverolles, a quest’ora noi avremmo un prodotto ben più fissato e più introdotto di quest’ultimo.

{4} <6>) razza padovana (Fig. 7; Fig. 8) – (Gallus patavinus, franc. Poule de Padoue, ted. Paduaner o polnische Race, ing. Polish fowls) -  Abbiamo in avicultura numerose specie di polli molto ammirevoli per lo splendore del piumaggio e per la eleganza delle forme; ma credo di non errare affermando che la Padovana, in questo campo, non cede a nessun’altra razza.

A comprova del mio asserto cito il fatto che in tutte le mostre che hanno luogo in Italia ed all’estero, la razza in questione è sempre molto largamente rappresentata; ciò dimostra che numerosissimi sono gli amatori di questa splendida e superba razza. Non si può da ciò dedurre la sua importanza economica, poiché il numero sterminato di amatori che circonda delle più assidue cure questa razza ciuffata, vi è spinto semplicemente dal gusto al bello, è dunque semplicemente la sportmania che fa proseliti in questo campo. Non è che la carne della Padovana sia di cattivo sapore, anzi è molto squisita, non è che la produzione d’uova sia scarsa, anzi la si può dichiarare abbastanza soddisfacente; Ma, essenzialmente, ciò che contribuisce a far ritenere la Padovana come razza di lusso, sono le difficoltà che si offrono nel suo allevamento. La pioggia bagna l’immenso ciuffo, le penne bagnate si appiccicano agli occhi, alle narici, ecc., e l’animale ne soffre, quindi quando piove di continuo conviene di non esporre questi bersaglieri del pollaio all’acqua. Aggiungasi la conformazione speciale, anormale della parte anteriore del cranio, aggiungasi la larghezza rilevante delle fosse nasali e il rigonfiamento esagerato delle narici, tutte anormalità che, come ebbi a dimostrare ampiamente a pag. 10 del file PDF, contribuiscono a facilitare i malanni. Finalmente, per conchiudere che la razza padovana è una vera razza da sport e non da masseria, aggiungerò un altro inconveniente che le è proprio; i polli padovani sono molto timidi e se appaiono dolci e mansueti è il loro immenso ciuffo che ve li costringe; difatti questo ostruisce la vista, e l’animale, vedendo poco, cammina titubante e rialzando continuamente la testa, come un cavallo tenuto al freno. Ne consegue che un ostacolo qualunque, li fa svolacchiare per lo spavento, poiché, causa la vista deficiente, l’ostacolo non viene scorto prima che si sia molto avvicinato. Egli è evidente che questo inconveniente consigli l’allevatore di non allevare i padovani in piena libertà, tanto più che non saprebbero evitare i pericoli e che facilmente potrebbero disperdersi.

La patria della gallina padovana, stando al suo nome, deve essere Padova o per lo meno il contado padovano; ma gl’inglesi, e per lo passato anche i tedeschi, hanno designata questa gallina sotto il nome di razza polacca. Veramente alcuni autori inglesi, il Darwin alla loro testa, classificano tutte le razze ciuffute come appartenenti al tipo polacco (vedi classificazione). Ma la denominazione di gallo o gallina polacca, o meglio di razza polacca, viene attribuita alla razza padovana, quindi avremmo, in questo caso, a considerare la Polonia come patria di questa bellissima gallina; ma vi sono potenti ragioni per non fermarsi in questa opinione, perciò mi accingo ad esporle tutte.

Il contado padovano, e propriamente il villaggio di Polverara, vanta sin dal 1400, importata da non si sa dove dal marchese Dondi dell’Orologio, una pregiatissima razza, la padovana di Polverara, chiamata altrimenti Polverara o semplicemente Schiatta. La bellissima razza padovana, la razza polacca degli inglesi, è assolutamente simile alla Polverara, soltanto sono in essa molto visibili le migliorie apportatevi dallo sport; così è aumentato il volume del suo corpo, la protuberanza emisferica che risiede sulla parte anteriore del cranio, in confronto della razza di Polverara è raddoppiata, e con essa è raddoppiato il ciuffo; per correlazione di sviluppo le cavità nasali sono diventate larghissime e le narici molto gonfie. Epperò le proprietà produttive e la rusticità sono diminuite quale funesta conseguenza di una selezione esagerata, che mirava unicamente a rendere sempre più il ciuffo ampio ed il piumaggio ben distinto, Chi non vede nella padovana la razza di Polverara migliorata come animale da sport e peggiorata come tipo rustico e produttivo?

Questo abbellimento della Polverara va devoluto ai francesi ed agli inglesi, e certamente non agli allevatori del contado padovano, poiché pare che le poche famiglie che a Polverara possedevano la razza omonima, la tenessero custodita sempre gelosamente, senza punto alterarla nelle sue preziose proprietà produttive. Il fatto, che non ostante le modifiche apportate all’estero nella forma di questi animali, il nome di razza padovana si è perpetuato, è lì a dimostrarci con tutta probabilità che i tipi originari erano soggetti presi in Italia e per conseguenza dei Polverara. Finalmente si obbietterà: “perché gl’inglesi chiamarono questa razza col nome di gallina polacca?”. Non si saprebbe rispondere a questa domanda, ma poiché siamo nel campo delle congetture, si potrebbe supporre che forse, a suo tempo, la Polonia era l’emporio di questa razza derivata dalla Polverara, o che i primi polli di razza padovana portati in Inghilterra venivano dalla Polonia. Codeste affermazioni sono certamente pure supposizioni, ma, in complesso, nulla tolgono e nulla aggiungono al fatto che la padovana trae molto probabilmente la sua origine dalla celebrata schiatta di Polverara. Ad ogni modo, comunque sia, egli è certo che le due razze, come sono attualmente, differiscono essenzialmente fra di loro, sono infine due razze distinte[3].

Ecco intanto le caratteristiche salienti della razza padovana:

GALLO
(Fig. 7)

Testa – grossa e rotonda: si osserva una protuberanza emisferica sulla parte anteriore del cranio (vedi Fig. 9), egli è su questa protuberanza ossea che nasce l’immenso ciuffo di piume di cui va adorna questa razza: il ciuffo è proporzionato a questa protuberanza ed è formato di piume lunghe e lanceolate come quelle che adornano il collo.

Becco – robusto, terminato a punta e di media lunghezza, con narici molto rigonfie: il suo colore è corno scuro.

Guance, cresta e bargigli – le guance rosso cinabro, la cresta formata di due piccolissimi cornetti, affatto rudimentali e spesso mancanti del tutto, i bargigli anche rudimentali, impercettibili: al loro posto si osserva una ricca barba di piume che sono corte ed arricciate.

Occhi – molto grandi con iride di colore rosso-bruno: non si veggono poiché sono interamente nascosti dalle basette e dall’immenso ciuffo.

Orecchioni – bianchi e piccoli: non si veggono perché nascosti sotto le basette.

Collo – piuttosto lungo e graziosamente arcuato.

Dorso – corto e leggermente inclinato indietro.

Spalle – larghe.

Petto – largo e arrotondito.

Gambe e tarsi – di struttura fine, i tarsi corti e di colore bleu ardesia.

Dita – in numero di quattro per ogni zampa, nettamente articolate ed acuminate, diritte e fini.

Coda – portata quasi perpendicolarmente, timoniere larghe e forti, falcette lunghissime.

Portamento – elegantissimo, ma non svelto come quello del pollo italiano.

Peso – 3 chilogrammi all’età adulta, ma i forti campioni raggiungono anche la cifra di 3,500.

Statura – un po’ più rilevante del pollo italiano.

I caratteri generali della gallina, eccezione fatta per i caratteri sessuali secondari, concordano con quelli del gallo: il ciuffo è composto di penne arrotondate e corte, tanto da formare un assieme più compatto che nel gallo, un assieme che assume la forma sferica. La coda è aperta a ventaglio, l’andatura elegante e graziosa è piuttosto svelta in confronto del gallo (vedi Fig. 8).

Produzione d’uova – abbondante, ma non abbondantissima, le uova sono grosse, bianche e di ottimo sapore.

Produzione di carne – la gallina adulta pesa 2 chilogrammi e dà carne bianca e saporita, i forti campioni pesano finanche chilogrammi 2 e mezzo.

Incubazione – nulla; in rarissimi casi la gallina cova le sue uova, ma è sempre pessima conduttrice.

Mantello, livrea o piumaggio della razza padovana- Abbiamo diverse varietà di piumaggio nella razza padovana, così distinguiamo le livree a tinte unite e quelle a tinta variopinta.

Fra le tinte unite vanno annoverate:
1) la varietà nera,
2) “           bianca,
3) “           bleu cenere,
4) “           fulva.

Non è da mettersi in dubbio che è abbastanza facile a conseguire buoni risultati alle mostre avine colle padovane a tinta unita, poiché il colore uniforme del piumaggio presenta difficilmente qualche irregolarità, ma non si può dire lo stesso del piumaggio variopinto, ove le più piccole irregolarità nella correttezza del disegno sono all’ordine del giorno, quindi, in questo caso, il compito dell’allevatore selezionista diventa più difficile. Ciò nonostante l’allevatore, alle padovane a manto unito, preferisce le variopinte, tanto lo attrae la sorprendente bellezza del loro ricco piumaggio, e quanto ciò sia vero si rileva dal fatto che le prime sono diventate rare, così la varietà nera è oramai irreperibile, abbastanza rara è la bianca, molto rara invece la bleu cenere e la fulva.

Fra le tinte variopinte vanno annoverate:
1) la varietà ermellinata,
2) “            cucula,
3) “            argentata,
4) “            dorata,
5) “            camosciata,
6) “            tricolore,
7) la sottorazza brabantina,
8) “                 Bantam,
9) “                 ricciuta detta altrimenti Padovana del Chilì,
10)                del sultano.

VARIETÀ ERMELLINATA – (franc. variété herminée, ted. Hermelin-Paduaner, ingl. ermine polish fowls) – Il piumaggio è interamente bianco, soltanto comparisce del nero nell’ordine che segue:

Le penne del collo sono leggermente macchiate d’una goccietta nera all’estremità; le timoniere, le grandi e le piccole falcette, oltre ad essere macchiate di nero all’estremità, sono anche nere nel mezzo; le grandi coverture dell’ala sono delicatamente orlate di nero alla loro estremità; le remiganti primarie e secondarie sono orlate d’un piccolo bordo nero all’estremità delle barbe interne.

Questa varietà è rara e sarebbe desiderabile che venisse maggiormente allevata, ma gli amatori restano abbagliati davanti alle due varietà superlativamente splendide, l’argentata e la dorata, ed abbandonano perciò questa elegante varietà della padovana.

VARIETÀ CUCULA – (franc. variété coucou, ted. gesperberte Paduaner, ingl. cuckoo polish fowls). – Il manto è coucou per tutto il corpo. Questa varietà, abbenché bellissima, subisce la stessa sorte della varietà ermellinata: gli amatori preferiscono sempre il manto dorato o argentato. Gli individui che tradiscono del giallo alla mantellata e sul dorso sono deprezzati e sono pure deprezzati quelli che hanno il manto troppo scuro.

VARIETÀ ARGENTATA (franc. variété argentée, ted. Silber-paduaner, Silbertupfpaduaner, Silberlackpaduaner, ingl. Silver sprangled polish fowls). – Questa varietà, la dorata compresa, figura in tutte le mostre: numerosissimi ne sono gli amatori e si è sicuri di trovare dei soggetti irreprensibili per ogni dove.

Un gruppo di questi polli forma un effetto sorprendente e non vi è visitatore che non ne resti meravigliato. La varietà merita quindi una speciale descrizione.

GALLO
(Fig. 7)

Penne del ciuffo (vedi Fig. 10). – Nere alla radice, bianche nel mezzo e nere alla punta; ad ogni muta appaiono sempre penne bianche nel ciuffo, di modo che i galli vecchi lo hanno spesso interamente bianco.

Il ciuffo si vuole ampio e ricadente simmetricamente da tutti i lati: un ciuffo irregolare e cioè più lungo, più ricadente da un late che dall’altro costituisce un gravissimo difetto ed è assolutamente necessario di non utilizzare simili soggetti per la riproduzione.

Penne della barba. – Corte e interamente nere, ma più spesso ancora circondate da un sottile bordo bianco. La barba si vuole molto spessa e deve estendersi fino alle guancie ove vien denominata basette: queste ultime portate orizzontalmente devono nascondere gli occhi, senza di che l’animale è da considerarsi di seconda scelta.

Penne della mantellata (vedi Fig. 11). – Somiglianti a quelle del ciuffo, ma alquanto più lunghe e meno marcate di nero. Il bianco di queste piume, al pari di quelle del ciuffo e del dorso, ingiallisce sempre; ammenoché si tenessero gli animali sempre all’ombra, questo inconveniente certamente sparirebbe, ma sparirebbe altresì lo stato di buona salute. I grandi allevatori, in vista di far figurare i loro campioni, li sottopongono a queste condizioni anormali qualche mese prima di portarli alle mostre ed ottengono così il loro intento.

Penne del dorso, delle spalle e del pomo dell’ala, ossia piccole e medie coverture delle ali. – Come quelle della mantellata, ma la macchia nera alla punta assume la forma d’una lineetta nera poco marcata.

Le lancette si richiedono lunghe e spioventi lungo i reni: ingialliscono al pari delle penne della mantellata.

Penne del petto. – Larghe e arrotondite, bianche e orlate di nero, talvolta l’orlatura nera comparisce soltanto alle estremità. L’assieme del petto appare punteggiato regolarmente, ma se si hanno poche penne disegnate irregolarmente, allora appare un orribile miscuglio di bianco e nero.

Grandi coverture dell’ala. – Bianche e orlate regolarmente di nero; verso l’estremità l’orlo nero si allarga. Le grandi coverture dell’ala, quando questa è piegata, formano due sbarre traversali nere.

Remiganti secondarie e primarie. – Bianche, orlate similmente di nero come le grandi coverture dell’ala; le barbe interne sfumate di grigio.

Penne del coderizzo, coverture della coda o piccole falcette. – Bianche e orlate d’una bianca bordura di nero avente riflessi verde metallico: nei casi più dei casi il mezzo delle penne è grigio.

Timoniere e grandi falcette. – Bianche e grigie con punta nera e orlatura pure nera disposta molto irregolarmente.

GALLINA
(Fig. 8)

Penne del ciuffo (Fig. 13 e 14). – Nel primo anno nere finamente orlate di un piccolo bordo bianco: in seguito, colla muta, diventano bianche orlate di nero, epperò ogni anno compariscono sempre delle penne bianche come ebbi a dire pel gallo.

Penne della barba. – Nere, orlate di bianco; le stesse sono corte ed arricciate come nel gallo.

Penne della mantellata. – Nere alla radice, bianche nel mezzo e nere alla punta: sono molto più corte di quelle del gallo e raramente ingialliscono al sole.

Penne del petto (Fig. 15). – Come quella del gallo: tutto il restante del piumaggio, cioè le penne del dorso, le coverture delle ali, le remiganti sono bianche con regolare orlatura nera allargantesi verso l’estremità, epperò le remiganti secondarie sono bene orlate di nero, mentre che le primarie sono per lo più orlate irregolarmente soltanto all’estremità.

VARIETÀ DORATA – (franc. variété dorée, ted. Goldpaduaner o Goldtupfenpaduaner o Goldlackpaduaner, ingl. Golden sprangled polish fowls). – Il disegno, ossia l’orlatura delle penne, è nero, identico a quello della varietà argentata, soltanto il fondo sul quale si disegna l’orlatura è rosso camoscio, rosso bruno o rosso dorato, invece di essere bianco come nella varietà argentata. Molti allevatori non preferiscono la varietà dorata all’argentata, poiché il disegno nero spicca meno nel fondo camoscio: ad ogni modo, le due varietà trovano sempre un numero sterminato di amatori.

VARIETÀ CAMOSCIATA – (franc. variété chamois, ted. Chamoislackpaduaner, ingl. chamois, o buffcolured polish). – Il colore del fondo sul quale risalta l’orlatura è isabella e l’orlatura invece di essere nera, come nelle precedenti varietà, è bianca. Al pari della varietà dorata e argentata, la camosciata è molto apprezzata.

VARIETÀ TRICOLORE – (ted. Dreifarbigepaduaner). Ogni penna è bianca, camoscio e nera: la varietà è nuovissima e forse di fabbricazione tedesca. Non descrivo il piumaggio nei suoi dettagli per la semplice ragione che non mi è affatto noto e né saprei citare un autore che tratti questo soggetto.

SOTTORAZZA BRABANTINA chiamata anche FLANDRINE – È citata da tutti gli autori tedeschi e non è altro che una padovana a ciuffo rimpicciolito ed avente ogni penna punteggiata anziché orlata di nero o di bianco; si hanno soltanto i tre mantelli di moda, il dorato, l’argentato ed il camosciato, e pare che non si conoscano tinte unite di questa varietà.

Questa varietà ha fatto prendere al Voitellier nel suo libro: L’incubation artificielle et la basse-cour, una cantonata di quelle buone. Ecco la cantonata: “La razza di Padova, quantunque porti il nome di una città d’Italia, è piuttosto d’origine belga; essa è indicata sotto il nome di Brabante nella maggior parte dei cataloghi tedeschi”. Signor Voitellier, perdonate che ve lo dica chi ne sa certo meno di voi in avicoltura: con un colpo di penna osate estendere il certificato d’origine della padovana, e per confortare la vostra asserzione prendete una cantonata solenne. Sappiate che i tedeschi fanno distinguere a chi non lo sa che la padovana è razza madre della Brabante.

SOTTORAZZA BANTAM – Sotto il nome collettivo di Bantam (razze nane) si designano diverse razze la di cui prerogativa essenziale è la statura molto ridotta; così abbiamo la Bantam inglese, la Bantam Sebright, la Bantam di Giava e molte altre: queste graziosissime e minuscole razze destarono sempre speciale interesse, ed il fanatismo degli amatori arrivò al punto che si vollero rendere nane anche le grandi razze asiatiche, così accanto alla colossale varietà detta Bantam di Pechino, alla enorme razza di Brahma-Pootra si aggiunge la graziosa Bantam Brahma-Pootra, e non paghi di questo trasformismo di giganti in pigmei, si volle procedere più oltre, creando dei Bantam anche dalle razze europee. Ciò premesso, è naturale che la più elegante razza da sport, la padovana ciuffata, dovesse anche subire questa sorte. La prima coppia di Bantam padovani che comparve in Italia fu forse quella esposta nel 1891 a Torino dal Mazzon di Villafranca Padovana: veramente non erano animali molto rimpiccioliti come i Bantam comuni, i Sebright, ecc., ma pur tuttavia abbastanza minuscoli (avevano, su per giù, il volume dei Bantam d’Anversa chiamati altrimenti barbuti di Anversa), da rappresentare la razza padovana ciuffata molto diminuita di statura, in altri termini, diventata Bantam. Epperò le caratteristiche della razza padovana non erano tutte fedelmente rappresentate: il ciuffo diminuito, il piumaggio argentato molto alterato e confuso, ecc. In quegli esemplari appariva, tale fu per lo meno la mia impressione, l’origine della razza Barbuti d’Anversa. Non ho la pretesa di erigermi a flebotomo avino e di voler vedere a tutti i costi il sangue anversese nella Bantam padovana, ma ho mosso questo dubbio per semplice impressione.

SOTTORAZZA PADOVANA RICCIUTA ossia PADOVANA DEL CHILÌ – Ha le penne riccie ed arruffate e ci viene dal Belgio: la razza è molto pregiata, ma non è ancora generalizzata e forse non lo sarà mai pel suo aspetto piuttosto ripugnante, dovuto alle penne portate sollevate a rovescio. Evidentemente la padovana ricciuta è frutto dell’unione della razza ricciuta (gallus crispus) colla padovana: si hanno per ora soltanto la varietà argentata, la dorata, la camosciata, le bianca. Il ciuffo e basette arricciati e portati a rovescio come se fossero spinti in avanti dal vento, fanno sì che la vista dell’animale resti libera: i requisiti economici della razza sono molto soddisfacenti e gli allievi piuttosto rustici (vedi Fig. 16).

SOTTORAZZA DEL SULTANO (vedi Fig. 17) – (francese Sultan o poule du Serail, ted. Sultanhühler o Turkenbübner, ingl. Sultans). – Questa razza, chiamata a Costantinopoli Serai-Taook da serai che vuol dire serraglio e Taook gallina, proviene dalla Turchia, ma taluni la dicono formata in Russia e quindi allevata a Costantinopoli. Per lo passato era molto difficile di avere simili polli, che erano custoditi gelosamente come belle circasse nel palazzo del sultano a Costantinopoli. Il colore tipico di queste razze è il bianco e le caratteristiche principali corrispondono ai seguenti dati:

Ciuffo. – Sferico e compatto, ma composto di penne meno lunghe che nella razza madre, la padovana.

Cranio. – Con protuberanza emisferica meno sviluppata che nella razza madre.

Cresta. – Composta di due piccoli cornetti il di cui insieme assume la forma d’una mezza luna.

Barba. – Piuttosto corta, ma spessa e decorata di basette corte e folte.

Bargigli. – Rossi, piuttosto corti (3 centimetri).

Becco. – Corno bianco.

Collo. – Piuttosto corto.

Dorso. – Inclinato indietro e di mezza lunghezza.

Spalle. – Piuttosto larghe.

Ali. – Di mezza lunghezza, aderenti, non molto serrate al corpo, portate insensibilmente pendenti.

Petto. – Un po’ sporgente.

Tarsi. – Corti, di color corno bianco e riccamente calzati di penne lunghe e dure; il calcagno è provvisto di lunghissime penne dure a sperone. Quanto più lunghe sono queste penne e quanto più abbondantemente è calzato il tarso, tanto più valore acquista l’animale. Il numero delle dita, nella razza tipica, deve ascendere a cinque, ma si ammettono anche individui a quattro dita.

Coda. – Lunga, portata un po’ pendente all’indietro e le grandi falcette poco curvate, quasi diritte.

Portamento. – Elegante, ma meno che nella razza madre che è alta nelle gambe e più maestosa di questa sua sottorazza.

Peso del gallo kg. 2, della gallina kg. 1,500.

Deposizione d’uova. – Abbondante, uova grosse.

Carne. – Eccellente.

Incubazione. – Nulla.

Rusticità. – I pulcini sono molto delicati e richiedono perciò molte cure, percorsi erbosi, cibo tonico, ecc. Gli inglesi hanno creata una varietà di questa sottorazza. la Pharmigans (Tamerlans) che ha quattro dita, il ciuffo finente a punta, i tarsi più alti, le forme più slanciate.

Allorquando il defunto ex kedivé d’Egitto, il mite Ismail Pascià, soggiornava alla Favorita presso Napoli, ebbi occasione di vedere in quelle vicinanze immediate una gallina Sultan a manto dorato di tutta perfezione. Chiesta la provenienza di quel pollo, mi venne detto che le uova provenivano dal palazzo della Favorita. Chiunque avrebbe veduto, al par di me, un incrocio della sultana colla padovana dorata, ma quello che mi colpì era l’assoluta perfezione delle forme che corrispondevano fedelmente a quelle della razza del sultano, mentre che si aveva contemporaneamente il più perfetto manto dorato della padovana.

<7>) razza di polverara (Gallus patavinus Polverar) (Fig. 18; Fig. 19) – Già ho avuto a parlare della razza di Polverara (padovana di Polverara, Schiatta di Polverara o Schiatta) allorquando ho compendiato la probabile origine della razza padovana ciuffata; ed in merito a tale quesito ho messo il dubbio che quest’ultima potrebbe forse essere stata derivata dalla razza di Polverara, ma comunque sia, le due razze hanno caratteri propri ed il volerle confondere l’una coll’altra sarebbe semplicemente un non senso. Il Mazzon si è sempre occupato con molto amore della razza del suo contado, ove è conosciuta, come già dissi, sin dal 1400; egli, conscio della confusione che s’ingenerava nella distinzione tra Padovana e Polverara, dettò un quadro sulle caratteristiche delle due razze: collo stesso egli intese di porre termine ai dubbi ed alle polemiche che avevano messo radice in questo campo. Non oserei affermare se il Mazzon, conoscitore di questa razza, tanto negletta per lo passato, abbia interamente raggiunto il suo intento, ma a giudicare dalla limpida esposizione delle caratteristiche della Polverara in confronto della Padovana, nel suo specchietto che qui riporto, credo che, per lo meno, la quistione sia quasi risoluta.

PADOVANA

(Gallus Patavinus, poule de Padoue,  Paduaner, Polish fowls)

Gallo
(Fig. 7)

Testa grossa, corta, di forma bizzarra: la parte anteriore del cranio, sulla quale spunta il ciuffo, presenta una protuberanza ossea la cui dimensione è proporzionata allo sviluppo del ciuffo stesso. La Fig. 9, pag. 102, illustra chiaramente questo fenomeno.

Becco. Lunghezza media, di colore corneo scuro in tutte le varietà.

Cresta assolutamente mancante.

Bargigli mancanti e sostituiti da una specie di gorgiera ricoperta da folta barba.

Barba composta di penne leggiere ed ondulate, che ricoprono la mandibola inferiore e le guancie.

Guancie rosse, nascoste dal ciuffo e dalla barba.

Narici larghe e pronunziate.

Occhio castano rosso in tutte le varietà, assai grande.

Orecchioni bianchi, non molto grandi e completamente nascosti dalle basette e dal ciuffo abbondantissimo.

Ciuffo immenso, formato di piume lunghe, lanceolate e flessuose.

Collo di media lunghezza, ricco di piume ed elegantemente arcuato.

Corpo elegante, slanciato.

Spalle larghe, orizzontali.

Reni bene sviluppate.

Petto ampio, arrotondato.

Ali proporzionate, ricche di penne e strette al corpo.

Corpo, portamento orizzont.

Gamba media.

Tarso corto, sottile, nudo.

Colore del tarso, bleu ardesia in tutte le varietà.

Dita, quattro: diritte, sottili e di lunghezza ordinaria.

Coda riccamente guarnita di falcette lunghissime e forti rettrici; il portamento è elegantissimo.

Sviluppo medio.

Peso da 3 chilogrammi a 3,500.

Carne estremamente fina, saporita e rosea.

Scheletro assai leggiero.

Ossa sottilissime.

Portamento maestoso.

Gallina
(Fig. 8)

Presenta le stesse caratteristiche del gallo: le penne, del ciuffo enorme, sono di forma arrotondata e meno lunghe.

Coda portata un po’ a ventaglio.

Portamento elegante come il gallo.

Sviluppo inferiore a quello del gallo.

Fetazione assai buona.

Uova abbastanza grosse, di scorza bianchissima e gusto delicatissimo.

Peso due chilogrammi e mezzo.

Carne deliziosa, estremamente delicata e bianca rosea.

Incubazione quasi nulla.

Carattere estremamente dolce.

Piumaggio ricco assai; di tinta unita nella varietà nera, fulva e bianca; con orlatura nera nella varietà dorata, argentata e coucou; orlatura bianca su fondo camoscio{;} nella varietà camosciata; nella ermellinata l’orlatura nera non è che nel collare, mentre tutto il resto del corpo è perfettamente bianco, ad eccezione delle grandi remiganti e delle rettrici che sono leggermente liserées.

POLVERARA

(Schiatta di Polverara o Schiatta)

Gallo
(Fig. 18)

Testa grossa, corta, mefistofelica: la protuberanza ossea, sulla quale spunta il ciuffo, è assai più ristretta di quella che si riscontra nella padovana ed è in relazione allo sviluppo di quello.

Becco di media lunghezza e di colore nero osseo.

Cresta formata da due cornetti carnosi, un po’ schiacciati, più o meno sviluppati ed uniti alla base; l’impianto è trasversale.

Bargigli rudimentali e spesso totalmente nascosti dalla barba.

Barba come nella padovana, tra cui nei soggetti puri dovrebbero spuntare i bargigli rudimentali.

Guancie rosso scuro quasi totalmente nascoste dalla barba.

Narici larghe, pronunciate e sormontate da un terzo cornetto carnoso di colore roseo come la cresta.

Occhio castano, di medio sviluppo.

Orecchioni d’un bel bianco latteo, visibili tra le folte basette.

Ciuffo formato da piume flessuose e lunghe, piuttosto piccolo e di raro ricadente allo ingiro[4]. Nella polverara non solo è visibile l’occhio e l’orecchione; ma la cresta stessa riesce di sostegno al ciuffo dando una caratteristica speciale di arditezza e provocazione a tutti i tipi di questa razza.

Collo grosso per ricchezza di piuma, molto arcuato e portato assai all’indietro.

Corpo slanciato.

Spalle larghe e pendenti all’indietro.

Reni strette e seguenti il movimento del corpo.

Petto ampio ed assai pronunciato.

Ali proporzionate, robustissime e strette al corpo.

Corpo, portamento all’insù.

Gamba media.

Tarso corto, sottile, nudo.

Colore del tarso, verde in tutte le varietà. Taluno tiene erroneamente dei tipi a gamba quasi nera; è un errore giacché è questa la caratteristica Crèvecoeur e la vera della nostra polverara, tramandataci dalla tradizione, è precisamente il colore “verde ardesia”.

Dita, quattro; diritte, sottili e di lunghezza ordinaria.

Coda, rare volte bene sviluppata e portata assai all’indietro; a Polverara si diede sempre una grande importanza a questa caratteristica, il gallo prescelto è sempre quello che porta la coda più vicina alla testa.[5]

Sviluppo medio.

Peso, rare volte raggiunge i 3 kg.

Carne buona assai e di tinta scura.

Scheletro assai leggiero.

Ossa sottilissime.

Portamento fiero e provocante.

Gallina
(Fig. 19)

Presenta le stesse caratteristiche del gallo: le penne del ciuffo sono corte e dure e danno una forma compatta a questo ornamento assai meno sviluppato che nella vera padovana.

Coda portata un po’ a ventaglio.

Portamento fiero come il gallo.

Sviluppo inferiore di molto a quello del gallo.

Fetazione di prim’ordine.

Uova piccole di scorza bianchissima e assai gustose.

Peso due chilogrammi circa.

Carne anche migliore che non nel gallo, ma sempre di tinta scura.

Carattere piuttosto selvaggio.

Piumaggio abbastanza ricco e di tinta unita nelle varietà bianca e nera; nelle altre varietà i colori sono frammisti senza regola e talvolta riescono crayonnés come nella razza di Amburgo. È indubitabile che una buona selezione condurrebbe alla produzione di varietà elegantissime, ma per ottenerle occorrono allevatori intelligenti e coscienziosi.

Lo specchietto mazzoniano riflette forse fedelmente l’immagine della razza di Polverara, quindi nulla vi sarà da aggiungere, soltanto avremmo a desiderare che i campioni voluti dal Mazzon non fossero rari come le mosche bianche. Gli allevatori padovani sono orgogliosi della loro Polverara, ed hanno perfettamente ragione, ma hanno, d’altra parte, il grave torto di volersi far forti della tradizione; con un po’ di buona volontà, se cioè coltivassero la loro razza abbandonata, ben presto le farebbero riacquistare il primato che le spetta. Se gli allevatori ed amatori padovani non fossero rosi dal tarlo della gelosia, potrebbero, ispirandosi al concetto “l’unione fa la forza” ridare il perduto lustro a questa già celebrata razza, e perfezionandola ancora, le farebbero acquistare amatori anche all’estero. Che importa a me quando gli allevatori padovani vengono a dirmi: “la nostra Polverara non ha rivali”, quando questi stessi allevatori sono essi i primi i rivali della loro razza? Quando esse stessi non sanno procurarmi dei tipi irreprensibili, poiché non sanno dove e come pescarli? Ciò dimostra adunque che la Polverara nel suo paese d’origine è poco o nulla coltivata, e che sa di ciarlataneria il vanto sperticato che ne menano pochi interessati. Unitevi una buona volta allevatori ed amatori padovani, mettete da parte la gelosia e fateci vedere che la Polverara del vostro cuore non la sapete esaltare a parole, ma a fatti. Fateci vedere le zampe verdi che reclamate, fateci vedere i robusti galli che decantate ed allora sì che riconosceremo il vostro vanto regionale; ma fintantoché ammannirete galletti dalla voce di eunuchi e quaglie ciuffate, capricciosamente macchiate d’inchiostro, gli allevatori non potranno essere attirati nella vostra sfera d’azione.

{6}<8>) la razza maggi e la razza gigante padovana – (Fig. 20; Fig. 21; Fig. 22). Fra le razze italiane di recente formazione la Maggi e la Gigante sono certamente degne di un’accurata descrizione: molti non le hanno ancora voluto riconoscere l’appellativo di razza e le vogliono ancora oggi considerare come prodotti d’incrocio. Che siano tali non è da mettersi in dubbio, ma se consideriamo che quasi tutte le razze provengono da incroci, non saprei perché si vuole fare un torto a questi due nuovi prodotti, escludendoli dall’elenco delle razze.

In America, in pochi anni, si è andata formando una razza ben determinata, la Wyandotte: per raggiungere l’intento si formò il Wyandott-Club, perché non potremmo noialtri italiani fare altrettanto colla Maggi e colla Gigante? Basterebbe, per raggiungere l’intento, di unirsi in pochi allevatori, stabilire le caratteristiche delle razze ed osservarle scrupolosamente nella selezione dei riproduttori. Ogni anno i soci riunirebbero in una mostra i loro prodotti ed il miglior gruppo servirebbe di norma per proseguire nella via della selezione: con siffatto modo, ve lo giuro, in 5 o 6 anni appena le due razze si imporrebbero senz’altro nel mondo avino. Dal momento che lo hanno fatto gli americani colla loro Wyandotte, senza voler citare gli altri innumerevoli nuovi prodotti, perché dobbiamo mostrarci inferiori a loro? Ma purtroppo, quanto dissi per la Polverara sul conto degli allevatori padovani, vale anche per tutti gli allevatori ed amatori in generale: trionfa cioè il sentimento della gelosia.

Per parecchio tempo allevai le due razze in parola, ma le abbandonai quando entrò in me la convinzione che lavoravo senza scopo: così preferii di dare impulso a talune caratteristiche che apparivano con maggiore frequenza o che mi sembravano le più omogenee al tipo della razza, ma invece vedevo incoraggiate caratteristiche diametralmente opposte a quelle da me preferite e nelle stesse condizioni si trovarono altri allevatore ed amatori. Non dico che le mie idee fossero sempre giuste, tutt’altro, ma di grazia, dove dovevo attingere notizie, quale oracolo dovevo io consultare? La disorganizzazione nelle schiere degli allevatori delle due razze ebbe sempre il sopravvento sulla cordiale intesa, sullo scambio delle idee: ognuno voleva far da sé, ognuno voleva erigersi a maestro, ma d’altronde anche io, come l’amico Mazzon colla Polverara, giuravo in verba magistri.

Purtroppo le due razze tendono a sparire, anzi la Maggi credo, sia un pio ricordo. Di chi la colpa? Povero papà Maggi!!! Dove è andato a finire il frutto del tuo lavoro?

Caro e vecchio amico, ben altra sorte meritavi tu che pur sei il decano venerato e stimato degli avicultori italiani!

Le razze Maggi e Gigante Padovana differiscono essenzialmente l’una dall’altra, sono infine due tipi diametralmente opposti fra di loro, ma hanno qualcosa che li associa: così hanno il comune intento di mostrarsi come individui il più possibile enormi e nel contempo di fornirci carne delicata ed uova in abbondanza.

Ciò premesso, non parmi inopportuno di descrivere le due razze, l’una accanto all’altra, in un quadro comparativo, come praticai nel 1890 in un numero della Rivista degli avicultori di Milano.

Generalità e caratteristiche della razza

MAGGI

Origine

Verso il 1848 il cav. Ubaldo Maggi unì la gallina di Valdarno con un gallo d’una razza francese somigliante alla razza Flèche, ma di cui egli non ne ha potuto rinvenire le tracce. Dopo del tempo, pare verso il 1854, il cav. Maggi accoppiò questo nuovo prodotto con Brahma inverse, Dorking, Crèvecoeur e Cocincina nera. L’impronta del Brahma ha avuto prevalenza nella progenie.

Sviluppo

Piuttosto lento, ma di gran lunga molto più precoce delle grandi razze asiatiche: raggiunge proporzioni colossali, da superare talvolta le grandi razze asiatiche, veramente soltanto nella gallina, poiché il gallo è piuttosto più piccolo di un grande Brahma-Pootra: dunque non esiste affatto la sproporzione fra gallo e gallina, come si osserva nelle grandi razze asiatiche.

Forma

Ricorda vagamente il tipo asiatico ed in particolar modo il Brahma-Pootra. Il gallo ha la cresta dritta, non molto sviluppata, scempia e regolarmente dentellata; il becco forte di colore corno-scuro, i barbugli abbastanza lunghi, gli orecchioni non molto grandi e bianchi, le zampe rosee nei campioni più pregiati, ma spesso si riscontrano di color nero, che sono meno ricercati. Ordinariamente si hanno tarsi regolarmente calzati e sono rari i soggetti molto leggermente calzati. La gallina ha la cresta piccola e talvolta anche un piccolo ciuffetto, ma in verità è consigliabile la sua eliminazione nella selezione. La gallina Maggi non è molto più piccola del gallo, e certamente nelle forme è positivamente molto meglio riuscita di questo: se il gallo corrispondesse alla gallina avremmo a constatare non solo un volume superiore al più grande {Brama}<Brahma>-Pootra, ma anche un tipo splendido nelle forme. Il carattere degli individui di razza Maggi è molto docile, niente affatto battagliero e ciò traspare dagli occhi dolci del gallo e della gallina.

Manto

Il gallo è nero a riflessi verdi e violacei, mentre che la testa, il collo ed il dorso sono brizzolati – le piume sono cioè gialle listate di nero, talvolta quasi bianche.

La gallina è tutta nera, ed allora quasi sempre provvista d’un ciuffetto, ma è spesso anche bruna, listata di bruno molto più scuro: questo manto è preferibile al nero, poiché concorda meglio col manto brizzolato del gallo.

Deposizione d’uova

La gallina Maggi è distinta depositatrice d’uova piuttosto grosse, è ottima covatrice, anzi quasi esagerata come la Brahma.

Scheletro e carne

Lo scheletro non è molto pesante, ma nemmeno molto leggiero: rappresenta 1/5 del peso totale dell’animale. La carne è buona; il peso normale è di Kg. 4 a 4 ½ nel gallo e di Kg. 3 ½ a 4 nella gallina; ma si hanno anche pesi superiori qualche volta.

GIGANTE

Origine

Venne cominciata a produrre nel 1850 dal defunto dottor Mazzon mediante l’incrocio fra galline padovane comuni e padovana di Polverara con un gallo della Cocincina. La razza comparve per la prima volta il commercio alla mostra di Padova del 1880, ove venne premiata. Da allora in poi venne spesso ostacolata dagli allevatori, ma non ostante ciò, andò sempre maggiormente affermandosi: ora però è poco coltivata, quasi sconosciuta.

Sviluppo

Piuttosto precoce, raggiunge anche proporzioni colossali, ma un po’ inferiori alla Maggi, e, come quest’ultima, non esiste sproporzione di mole fra gallo e gallina.

Forma

La coerenza delle forme, abbenché abbia già raggiunto un certo grado di perfezione, è pur tuttavia meno perfetta che nella razza Maggi: così dei soggetti si avvicinano di più al tipo asiatico, altri {inveca}<invece> al padovano comune, ed altri al padovano di Polverara, ma in complesso predomina il tipo avvicinantesi al padovano comune.

Il gallo ha becco nero, liscio e piuttosto robusto, la cresta molto sviluppata e scempia, regolarmente dentellata e leggermente arcuata nella parte posteriore, i barbugli sono molto lunghi, gli orecchioni bianchi striati di rosso, gli occhi fieri e vivaci palesano un carattere battagliero. I tarsi, calzati di rare penne e spesso anche totalmente nudi, sono neri, ma più ordinariamente, così li vuole il Mazzon, rosei dalla parte interna ed un bel rosso madreperlaceo dalla parte esterna.

La gallina, se deriva dalla padovana comune, ha la cresta scempia abbastanza sviluppata, è invece provvista d’un piccolo ciuffo e d’una cresta scempia non molto grande se deriva dalla Polverara.

A quale tipo di gallina bisogna dare la preferenza? Io sarei pel primo, poiché il secondo mi dà troppo l’idea del bastardo; spetta al Mazzon definire la questione.

Manto

Attualmente si sono fabbricati diversi manti. Il colore tipico è il nero, ma il gallo, in tal caso, è nero nella prima gioventù; nel secondo anno, ma spesso anche molto prima, spuntano delle penne rosse al collo, al groppone e sul dorso – la gallina si conserva invece tutta nera. Un colore molto in voga è il bianco; il brizzolato uso Houdan è molto facile ad ottenersi e conservarsi relativamente puro.

Deposizione d’uova

Distintissima depositatrice di uova assai grosse, pessima covatrice.

Scheletro e carne

Abbastanza leggiero è lo scheletro e ottima ne è la carne: il peso normale è di Kg. 4 a 4 ½ nel gallo e di Kg. 3 a 3 ½ nella gallina; ma si hanno anche pesi superiori qualche volta.

Razze Europee ~ 1 Razze Italiane

 


[1]  Gli stabilimenti di polleria nel Belgio. – Da un articolo del giornale Chasse et pêche. – “Una nuova industria si è fatta strada da 8 anni a questa parte, nelle grandi fattorie del Belgio. I coloni non eran giunti finora a tenere utilmente più di cento o centocinquanta galline da uova, ed ora in molte masserie, non solo se ne contano cinquecento, ma in parecchie, da un anno in qua, questo numero si è duplicato. Le pollastre s’importano dall’Italia, e se ne raccolgono le uova per due stagioni, in capo alle quali le galline, ben nutrite e giunte al massimo del loro peso, sono vendute per la cucina, ad un prezzo maggiore di quel che non costarono le pollastre, e sono sostituite da altre di recente importazione.

“Si vede dunque che la teoria è nuova e si basa sulla divisione del lavoro. Le pollastre sono allevate in Italia e sfruttate nel Belgio, e le uova sono spedite in Inghilterra in condizioni al sommo favorevoli. Non avviene altrimenti dell’industria lattifera, dell’ingrassamento del bestiame, dell’allevamento equino in certe parti del paese.

“È un fatto curioso e meritevole di osservazione che le galline italiane importate nel Belgio, depongono, una volta che sienvi acclimatate, un maggior numero di uova che non in Italia, e queste, per soprammercato, più grosse. Le uova del Belgio che si portano in Inghilterra pesano infatti 63 a 64 chilogrammi al mille, e le più grosse d’Italia non arrivano invece che a 58 o 59 chilogrammi”. – Nota dell’autore su quest’ultima importante asserzione del giornale Chasse et Pêche. Ciò non ci reca meraviglia se riandiamo al fatto che espongo con alquanto dettaglio nel mio lavoro “L’incrociamento in avicoltura ossia Teoria dell’Allevamento”(1), che cioè il cambiamento dell’ambiente agisce come infusione di nuovo sangue negli animali: questi trasportati in altro posto si rinvigoriscono al punto da produrre con maggiore abbondanza uova e carne, che non l’avrebbero fatto nel loro paese nativo. (1) Vedi “Il Pollicultore”, penultimo ed ultimo numero dell’annata 1904, direttore ing. A. Donini, Lugano.

[2] Ciò costituisce un titolo d’onore per i nostri allevamenti. Nota dell’autore.

[3] Parole del distinto avicultore I. Mazzon su questo argomento: “Tempo addietro, quando in avicultura ero assai più addietro di quanto possa esserlo ora, mi sarei trovato ben imbarazzato nel distinguere un padovano da un polverara; ma ero certo compatibile giacché nessuno ne sapeva più di me, ed io, con fede da vero apostolo, giuravo in verba magistri. Oggi anch’io ho potuto arrivare alla distinzione tra razza e razza: c’è chi grida forte contro tanto trasformismo, ma mi permetto dire che la cosa muta d’aspetto. Io, come tanti altri, non mi sono fermato: non ho la pretesa d’avere profondamente studiato, ho curiosato, ma sono arrivato al punto d’onde posso volgermi e riguardare gli ostinati. Non potevo mandar giù la solita, invariabile frase che mi veniva diretta da quanti all’estero mi commettevano dei padovani (Padoues) – “ce sont là des vilaines bêtes que vous m’avez envoyé, M.r Mazzon; elles n’appartiennent pas à la race de Padoue”. – E cosa erano adunque queste “vilaines bêtes” che i maestri (?) nostrali chiamavano e chiamano tuttora Padovani, Polverara e Schiatta? Fin dalla prima volta che io potei avere dall’estero dei padoues, trovai una enorme differenza coi nostri polverara. Lo stesso Bénion, che io consultai, dice: “La razza di Padova (de Padoue), dorata, argentata, camosciata, ecc., appartiene all’Italia, ma non va confusa con quella di Polverara che ha un tipo ben diverso. E la mia curiosità mi ha reso così ricco di cognizioni in proposito da permettermi di dare sulla voce agli amanti della confusione, a tutti coloro che vogliono ostinarsi a non vedere che una sola razza laddove noi ne possediamo due e così ben distinte”.

[4] Nota dell’autore: Trattandosi della specifica d’una caratteristica principalissima, sarebbe meglio a non ammettere eccezioni compiacenti. Invece di dire “di rado ricadente” il Mazzon meglio avrebbe dichiarata la caratteristica del ciuffo colla frase “non ricadente”, tantopiù  che non abbiamo di fronte una razza di recente formazione.

[5]  Coda di scoiattolo dunque, ma Italo Mazzon non ammette questa foggia di coda per la tanto contrastata gallina di Valdarno; come va che la desidera per la sua Polverara?