Vol. 1° -  I.5.2.

L'iridio di Gubbio

Ed eccoci alla scoperta preannunciata. Quando Walter Alvarez - figlio del grande Luis Alvarez (1911-1988) - trovò la pista giusta, stava in realtà cercando un’altra cosa, come spesso accade. Scorrendo gli annali della scienza non mancano neppure i casi fortuiti: le lacrime della segretaria redarguita portarono Fleming alla scoperta del lisozima. Ogni estate, dal 1973, Alvarez si recava regolarmente sull’Appennino Umbro in compagnia di alcuni colleghi: voleva studiare i sensazionali affioramenti di calcare derivati da sedimenti marini profondi e che si erano depositati in un arco di tempo di 155 milioni di anni, dal Giurassico all’Oligocene, cioè fino a 30 milioni d’anni fa. Il mare si era quindi prosciugato e, alcuni milioni di anni orsono, la roccia del precedente fondale marino si era sollevata grazie ad un processo orogenetico che l’aveva esposta a lunghissimi periodi di erosione, con affioramento di strati profondi di calcare rosa, usato anche ad Assisi per erigere la Basilica di San Francesco.

Fu nella gola del Bottaccione presso Gubbio che Alvarez, utilizzando il paleomagnetismo, strizzò le sue meningi al fine di trovare la soluzione a un interrogativo che riguardava la storia della Terra: cercava nelle rocce le prove delle inversioni del campo magnetico terrestre. Osservando il calcare con una lente, scoprì una gran quantità di foraminiferi lungo tutti gli strati di calcare, a partire dal più profondo, fino a un punto in cui tutti, tranne una specie, sparivano bruscamente. Questo limite segnava la separazione fra Cretaceo e Terziario, il momento dell’estinzione in massa, quando non risultava essersi verificata alcuna inversione magnetica. Dove finivano i foraminiferi cessava anche il calcare, coperto da uno strato d’argilla grigio-rossastra dello spessore di 1-2 cm, quasi completamente priva di fossili. Al disopra ritornava il calcare, di nuovo con tantissimi fossili. Quello strato d’argilla rappresentava un periodo più o meno lungo di vita magra sulla Terra.

Luis spiegò al figlio che, poiché polvere cosmica e materiale micrometeorico cadono sul nostro pianeta a velocità più o meno costante, essi dovrebbero lasciare un marcatore chimico che permetterebbe di stimare l’arco di tempo corrispondente al limite fra Cretaceo e Terziario. L’iridio, raro sulla crosta terrestre, costituisce il 10% del platino usato in oreficeria. L’iridio  è parecchie migliaia di volte più abbondante nelle meteoriti e, avendo affinità col ferro, deve essersi per la maggior parte concentrato nel nucleo della Terra insieme al ferro fuso. Così, Luis Alvarez decise di misurare l’iridio nell’argilla di Gubbio e si accorse subito che in quell’argilla c’era più iridio di quanto ci si aspettasse sulla base della caduta della polvere cosmica o dei normali processi che si svolgono sulla Terra. Il dosaggio si rivelò quindi inutile.

Nel 1978 Walter Alvarez fece ritorno a Gubbio per un più completo campionamento di rocce fino a 350 metri sotto lo strato argilloso: trovò che nei campioni la concentrazione di iridio era lieve e pressoché costante fino allo strato limite mentre al disopra aumentava rapidamente, con un contenuto 30 volte superiore rispetto ai sedimenti posti sopra e più in basso. Furono analizzati altri 27 elementi oltre l’iridio, vista la concentrazione anormale di quest’ultimo, ma non si trovò nulla di anomalo. Però, questa concentrazione inabituale d’iridio è un fenomeno globale, provato anche per la Danimarca e la Nuova Zelanda.

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