Vol. 1° -  II.2.10.

Interpretazione
dei 6 scheletri di Archaeopteryx

Prima di proporre un’interpretazione dei 6 scheletri e dell’impronta isolata di penna, è essenziale affrontare una questione importante: si tratta in tutti i casi di fossili della stessa specie? In effetti la loro classificazione è sempre stata fonte di controversie: nel corso degli anni ai vari esemplari sono stati attribuiti nomi diversi, nel tentativo di assegnarli a specie o anche a generi differenti.

La definizione biologica di specie - un insieme di popolazioni che almeno potenzialmente possono dar luogo a incroci - non è di grande aiuto per un paleontologo, che non può esaminare in base a questo criterio esemplari defunti da lungo tempo. In paleontologia, di solito, non vi è altra scelta che tentare di definire le specie antiche partendo dalla morfologia dello scheletro. Disponendo di informazioni incomplete, i paleontologi devono cercare di distinguere al meglio possibile i caratteri che definiscono una specie basandosi sulle variazioni attribuibili all'età, al sesso e ad altre caratteristiche individuali. Una specie definita con criteri paleontologici e una definita con criteri biologici non sono necessariamente identiche.

Nella classificazione di Archaeopteryx le difficoltà derivano in parte dal fatto che non sappiamo se il tipo di crescita documentato dai resti scheletrici fosse più simile a quello dei rettili o a quello degli uccelli. I rettili continuano a crescere per tutta la vita (anche se l’accrescimento rallenta nella vecchiaia), mentre gli uccelli raggiungono rapidamente le dimensioni caratteristiche dell'adulto e poi le conservano. Nei rettili l’accrescimento avviene a livello delle diafisi delle ossa cave, mentre nei giovani uccelli ha luogo nelle epifisi, ossia nelle spesse estremità cartilaginee delle ossa. Negli stadi finali della crescita di un uccello le epifisi si ossificano lasciando una sutura che scompare solo quando l’animale raggiunge l’età adulta.

Nessuno tra gli esemplari rinvenuti presenta suture a carico delle ossa lunghe. Se l’accrescimento di questi animali era simile a quello degli uccelli è perfettamente giustificato assegnare i diversi fossili a specie differenti. D'altro canto, se il loro modo di accrescimento era analogo a quello dei rettili - come farebbero pensare i caratteri prevalentemente rettiliani dello scheletro - allora gli esemplari possono ovviamente essere membri della stessa specie, differenti fra loro per taglia ed età. Studi recenti condotti da Marilyn Houck e Richard Strauss dell’Università dell'Arizona e da Jacques Gauthier della California Academy of Sciences, confermano l’ipotesi che i 6 esemplari di Archaeopteryx rappresentino diversi stadi di accrescimento di un'unica specie, la quale cresceva in modo continuo come i rettili.

Queste considerazioni sugli scheletri e tutta una serie di altre incognite (per esempio, è possibile che i vari esemplari siano vissuti a centinaia di migliaia di anni di distanza l’uno dall'altro o che manifestassero dimorfismo sessuale) inducono a concludere che sia più saggio continuare a classificare tutti i reperti come Archaeopteryx lithographica.

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