Vol. 1° -  III.2.

Teorie a confronto

Il meccanismo dell’evoluzione proposto da Darwin si basa sul presupposto che gli individui di una specie mostrano una continua variazione nella forma e nella fisiologia. Questa variazione avviene a caso ed è ereditabile. A questa visione si contrappone l’ipotesi di Lamarck [1] , secondo il quale un carattere viene acquisito per una necessità dell’individuo.

Dopo la variazione avvenuta a caso, si instaura un processo di selezione naturale e, dal momento che le risorse naturali sono limitate, riusciranno a sopravvivere solo i soggetti meglio adattati all’ambiente. Ecco emergere il concetto di sopravvivenza del meglio adattato.

Questo concetto darwiniano è stato spesso interpretato come se si trattasse di una continua battaglia mortale fra belve feroci. Ma l’idea darwinista di individui favoriti non riguarda tanto la sopravvivenza di un individuo, quanto piuttosto della sua progenie. Darwin vide chiaramente che le variazioni vantaggiose dal punto di vista evolutivo vengono trasmesse alle generazioni successive, mentre i caratteri non favorevoli diminuirebbero di generazione in generazione fino a scomparire.

Secondo Darwin il punto centrale della teoria si basava sulla convinzione che l’evoluzione proceda mediante l’accumulo di piccoli mutamenti ereditabili - e non di improvvisi mutamenti eclatanti - e che le forze selettive agiscano a livello dei singoli individui. Inoltre, l’evoluzione non seguirebbe uno schema predeterminato, in quanto i caratteri ereditabili si accumulerebbero a caso e la selezione naturale dipenderebbe dalle condizioni predominanti.

Darwin non riuscì a fornire una chiara indicazione di come le variazioni compaiano e vengano ereditate, ma a partire dalla metà del 1800 sono state acquisite numerose e dettagliate conoscenze sugli organismi viventi, specialmente a livello molecolare. Due tappe scientifiche importanti sono rappresentate dalle Leggi Mendeliane e dalla conoscenza della struttura dei geni, cui fece seguito la comprensione del codice genetico.

Darwin non conosceva il meccanismo della trasmissione dei caratteri ereditari, visto che gli studi di Gregorio Mendel non furono resi pubblici che nel 1865, diventando di dominio comune solo agli inizi del XX secolo. Ciononostante, Darwin si rese conto che in qualche modo nei singoli individui potevano verificarsi evidenti cambiamenti - o mutamenti - capaci di influenzare la morfologia e altri aspetti biologici, fra cui ad esempio il comportamento, e che tali cambiamenti potevano essere ereditati.

Egli notò che la variabilità all'interno di una specie rappresenta la condizione base su cui agisce la selezione naturale nel produrre nuove specie. Ritenne che l’evoluzione non procede solamente per eliminazione o perdita di caratteri non necessari, ma anche mediante selezione di cambiamenti a carico di caratteri accumulati a caso: ecco quindi la comparsa di nuovi caratteri dovuti a mutazione e a ricombinazione genica. Nuove caratteristiche non si originano - come fu postulato dalla teoria di Lamarck - per il semplice fatto di essere necessarie, ma per l’instancabile opera della selezione naturale sulle variazioni accumulate dagli individui appartenenti a una specie.

Anche se l’importante opera di Darwin condusse alla rapida accettazione dell'evoluzione, la sua teoria della selezione naturale incontrò alcune resistenze. Solo all'inizio del XX secolo la sua opera s’integrò con le nascenti informazioni circa i meccanismi fondamentali dell’ereditarietà genetica.

L'abbinamento fra genetica e biologia evolutiva è conosciuto come Sintesi Moderna o Neo Darwinismo, e continua ad essere il presupposto principale per la comprensione dei meccanismi dell'evoluzione. Studi recenti hanno ampliato le nostre vedute circa i meccanismi evolutivi suggerendo, da un lato, che alcuni degli eventi più significativi potrebbero essere il risultato più del caso che della selezione, dall'altro che la selezione naturale può talora estendersi al di là dei singoli individui, cioè a livello di popolazioni e persino di intere specie tra loro affini.

 sommario 

 avanti 



[1] Jean-Baptiste-Pierre-Antoine de Monet de Lamarck: biologo e naturalista francese (Bazentin, Somme, 1744 - Parigi 1829). Dopo un periodo di studi presso il collegio dei Gesuiti di Amiens, si arruolò per alcuni anni nell'esercito. A Parigi, dove giunse nel 1768, compì studi irregolari di scienze naturali e medicina, trascorrendo quasi tutta la vita in condizioni modeste e spesso travagliate. I suoi interessi per le scienze naturali si inquadrano in una concezione filosofica della natura ispirata ai motivi del materialismo illuministico.