Come vengono costruite le sequenze evolutive - o alberi filogenetici - da parte dei biologi evoluzionisti?
Esistono diverse tappe fondamentali. Per prima cosa bisogna identificare e descrivere le specie, il che comporta la classificazione dei singoli esemplari fossili, per lo più spezzati o frammentari, in gruppi che corrispondano il più fedelmente possibile a specie reali. I tipi morfologici e i diversi habitat delle specie viventi servono come modelli per ordinare i fossili.
Il secondo passo consiste nell’identificazione dei rapporti tra le specie: quelle che sono più strettamente correlate hanno un antenato comune più recente, quelle che sono più distanti hanno un antenato più antico.
Questi rapporti devono essere contemporaneamente dedotti sia per le specie viventi che per quelle fossili, sebbene in casi particolari potrebbe essere più facile cominciare con le forme viventi. Lo stabilire questi rapporti dipende dall'interpretazione delle somiglianze e delle differenze morfologiche, fisiologiche, genetiche e comportamentali, con lo scopo finale di decifrare i cambiamenti genetici che si sono verificati durante l’evoluzione del gruppo in esame.
Una volta comprese le relazioni esistenti, esse possono essere descritte in un cladogramma, diagramma che mostra il grado delle relazioni genetiche attraverso una rete gerarchica ramificata. Quindi se si inserisce il tempo geologico la rete si trasforma in una filogenesi, cioè, in un insieme di specie legate tra loro tenendo conto di antenati, discendenti e collaterali. Infine si giunge a spiegare e ad interpretare perché particolari adattamenti siano comparsi e si siano evoluti. Questo viene spesso chiamato scenario.
Anche se si dispone di fossili relativamente completi, rimangono ancora molti problemi quando si tratta di raggruppare singoli esemplari nelle varie specie. Per i reperti fossili il solo criterio disponibile per individuare le diverse specie consiste nella somiglianza morfologica mentre, nonostante per le specie viventi sia possibile stabilire la possibilità d’incrocio, raramente questo criterio viene per loro utilizzato. Mentre i membri di una specie vivente sono in effetti fenotipicamente simili, non si può mai essere assolutamente sicuri che una specie fossile - definita tale su base morfologica - non includa numerose specie, molto simili tra loro, o che due specie fossili non siano, in effetti, un maschio e una femmina appartenenti a un'unica specie con dimorfismo sessuale.
Al fine di dare una mano nel prendere tali decisioni, si sono sviluppate numerose tecniche statistiche e morfologiche. In ultima analisi, la procedura consiste nello stabilire dei criteri per l’identificazione delle specie basati sui tipi di variabilità noti nel mondo vivente e, quindi, nell'applicare questi criteri alle forme estinte. Ciò si basa sul presupposto che i principi fisici, chimici e fisiologici siano rimasti invariati nel tempo, anche se le configurazioni presenti in passato potrebbero differire parecchio da quelle ancora esistenti.
Una volta fatta la nostra classificazione di base delle varie specie, possiamo cominciare a dare un'occhiata alle relazioni esistenti, esaminando i tipi di somiglianze e di differenze tra le specie. Per eseguire dei confronti bisogna guardare agli individui e alle specie come ad insiemi di caratteri, che sono fisici (a livello di DNA), psicologici o comportamentali. I caratteri sono ereditati e quindi facili da definire, riconoscere e analizzare a livello funzionale, di sviluppo e genetico.
Sono molti gli approcci per inferire le relazioni esistenti. Un metodo largamente utilizzato dai paleontologi consiste nell’osservare campioni situati molto vicini stratigraficamente e quindi, di solito, anche cronologicamente, e nel collegare i gruppi stabilendo la somiglianza complessiva. La somiglianza complessiva è spesso indicata come similarità fenetica e questa procedura è stata chiamata stratofenetica. In generale, esisterà una corrispondenza fra grado di parentela e un certo tipo di similarità generale.
Una procedura alternativa, anche se i paleontologi usano spesso entrambi gli approcci, consiste nell’analisi cladistica o filogenetica. Lo scopo di questo approccio è quello di distinguere tra vari tipi di somiglianza. Facciamo un esempio che ci aiuti a comprendere questi concetti applicabili anche al pollo.
Supponiamo di avere tre specie: un uccello, un pipistrello e una scimmia. Vogliamo sapere quali sono le due specie più strettamente imparentate, che formano cioè un gruppo monofiletico, e quale è la più distante, il così detto outgroup o gruppo esterno. Si definisce questo problema come problema dei tre taxa applicato a tre specie di tre gruppi molto diversi. Sappiamo, infatti, che gli uccelli costituiscono l’outgroup; i pipistrelli e le scimmie sono entrambi mammiferi placentati e quindi più strettamente imparentati. Sia gli uccelli che i pipistrelli possiedono ali, che, tuttavia, non sono omologhe.
Le informazioni sia sullo sviluppo che paleontologiche indicano chiaramente che la somiglianza è un'omoplasia, cioè un'analogia. I pipistrelli sono diversi dalle scimmie: i pipistrelli hanno le ali, le scimmie mani e piedi, ma queste differenze non forniscono alcuna informazione per comprendere le relazioni di parentela. Entrambe le specie hanno la pelliccia, che manca agli uccelli, e ciò ci permette di dedurre che essa fosse presente anche nell’antenato comune. Questa è un'omologia e la somiglianza, in questo caso, è la caratteristica critica che ci permette di collegare le scimmie e i pipistrelli in un gruppo monofiletico.
Tuttavia, non tutte le omologie riescono a spiegare le relazioni tra gruppi. Prendiamo un altro esempio di tre taxa, questa volta l’opossum, il cavallo e la scimmia. L'opossum è un marsupiale mentre gli altri due sono dei placentati. L'opossum e la scimmia hanno arti con cinque dita mentre lo zoccolo del cavallo ne ha uno solo. La condizione con cinque dita è chiaramente un'omologia, tuttavia non ci fornisce alcuna corretta informazione sul gruppo monofiletico costituito dal cavallo e dalla scimmia. La caratteristica cinque dita è presente nell'antenato comune a tutti e tre i taxa, si ritrova nel più recente antenato comune al cavallo e alla scimmia e si è modificata solo nella linea del cavallo. Per scoprire il legame tra cavallo e scimmia abbiamo bisogno di trovare un carattere omologo presente solo nel loro antenato comune e non in quello di tutte e tre le specie. La morfologia dell'utero o il comportamento riproduttivo potrebbe essere uno di tali caratteri.
Prima di discutere come separare le similarità in quelle utili per la ricostruzione filogenetica da quelle non utili, abbiamo bisogno di introdurre alcuni termini. Una caratteristica che si è sviluppata molto anticamente nel corso dell'evoluzione è detta primitiva, una caratteristica apparsa successivamente è detta derivata. All'interno di un gruppo di specie, quei caratteri che somigliano maggiormente a quelli dell'antenato comune sono primitivi, mentre gli altri sono più o meno derivati, proporzionalmente al loro allontanamento dalla condizione ancestrale.
Supponiamo di aver trattato la morfologia generale della pelvi come un singolo carattere anche se in effetti sarebbe meglio analizzarla come un insieme di caratteri. Potremmo allora descrivere il bacino negli ominidi con due diverse manifestazioni del carattere: alto e stretto come nelle scimmie antropomorfe, basso e largo come negli ominidi. Usando questa definizione, la forma alta e stretta del bacino tipica delle antropomorfe è primitiva, mentre la forma tipica degli ominidi è derivata.
Ritorniamo al nostro esempio e consideriamo i tipi di similarità. La somiglianza tra le ali degli uccelli e dei pipistrelli è un'omoplasia. Questo è un esempio molto ovvio, come rivela la più accurata analisi morfologica e paleontologica, sebbene ci siano molti altri esempi che sono più svianti. L'omoplasia è un fenomeno evolutivo frequente. La similarità nella struttura della mano dell'opossum e della scimmia è un'omologia, ma per quanto riguarda le tre specie prese in considerazione, si tratta di una caratteristica primitiva. Né le omoplasie né le caratteristiche primitive in comune aiutano a stabilire quali siano i due taxa che costituiscono una coppia monofiletica.
L'unico tipo di similarità utile, a questo riguardo, è quella dovuta al fatto di condividere dei caratteri relativamente derivati. Per esempio, le somiglianze nell'apparato riproduttivo dei cavalli e delle scimmie, rispetto all'opossum, che è un marsupiale, sono derivate, quindi sono condivise-derivate. L'altra caratteristica derivata che abbiamo notato, lo zoccolo equino, che si è evoluto solo in questa linea, è decisamente utile nello stabilire le relazioni genetiche.
Quindi, la critica all'uso della somiglianza complessiva sta nel fatto che le comparazioni fenetiche usano somiglianze dovute ad omoplasia e a caratteri comuni primitivi, nonché quei caratteri comuni derivati utili a livello filogenetico, oltre al fatto che le comparazioni fenetiche possono fornire delle buone stime sulle relazioni filogenetiche solo quando i tassi evolutivi di tutti i caratteri sono ragionevolmente simili.
Se i tassi di cambiamento dei vari caratteri sono molto diversi, la somiglianza globale darà delle stime distorte sulle reali relazioni. Un esempio è quello che prende in considerazione le relazioni tra scimpanzé, gorilla e uomo. Sembra verosimile che, nonostante la grande somiglianza complessiva delle due antropomorfe africane, a formare il gruppo monofiletico siano gli scimpanzé e gli uomini.
Cerchiamo di seguire idealmente i passi che portano a determinare le relazioni filogenetiche esistenti. Gli individui vengono dapprima assegnati alle varie specie, viene quindi fatta una classificazione approssimativa delle specie usando la somiglianza complessiva e tenendo conto, di solito, dell'età geologica. Tuttavia, a questo stadio bisogna sempre essere molto cauti nel trarre conclusioni definitive. Segue quindi un'analisi accurata del carattere. Se stiamo lavorando con fossili, si tratta unicamente di caratteri morfologici. Identifichiamo dei caratteri ragionevoli, ragionevoli nel senso che crediamo che essi abbiano una certa integrità genetica, di sviluppo e funzionale e, successivamente, definiamo le varie manifestazioni del carattere. Il decidere quale manifestazione sia primitiva e quale derivata, determina la polarità delle manifestazioni del carattere. Ciò implica di fare un'ipotesi, basata su quantità variabili e vari tipi di dati, e questo è il passo più importante nel processo analitico.
Una volta prese queste decisioni viene messo insieme il cladogramma, che riassume tutti i gradi di relazioni esistenti. L'ancestralità viene dedotta attraverso l’analisi delle varie omologie in comune derivate. Nel migliore dei casi, tutti i caratteri analizzati produrranno lo stesso cladogramma. Purtroppo ciò avviene raramente, poiché nella maggior parte dei casi in cui vengono analizzati svariati caratteri si possono desumere diverse possibili omoplasie.
Tali incongruenze nascono dal fatto che le omoplasie non vengono identificate o che le polarità sono desunte in modo errato. Sfortunatamente non è possibile prendere delle decisioni non ambigue; le inferenze rimangono ipotesi con vari gradi di verosimiglianza.
Esistono controversie tra i biologi su come le specie dovrebbero essere suddivise nelle categorie più alte, quali generi, famiglie, sottordini e così via, e molti cladisti pensano che una classificazione dovrebbe seguire molto accuratamente l’ordine di ramificazione. Questa potrebbe essere una procedura accettabile, ma incontreremo sempre dei problemi particolari. Per esempio, se lo scimpanzé e l’uomo sono i parenti più stretti, un approccio strettamente cladistico richiede di raggrupparli con il gorilla in un gruppo separato.
Dai cladogrammi procediamo alla filogenesi e lo facciamo aggiungendo informazioni circa la distribuzione temporale e geografica delle forme fossili. Si passa ad ipotizzare le relazioni antenato-discendente per le varie specie. Sarebbe utile minimizzare quei periodi geologici non campionati per contenere entro proporzioni biologicamente ragionevoli la lacuna morfologica fra apparenti antenati e discendenti, ed utilizzare tutte le informazioni immaginabili. Di solito si possono ottenere dallo stesso cladogramma numerose filogenìe differenti; ciascuna di queste è alternativamente un'ipotesi, la cui verosimiglianza può essere aumentata o abbassata con l’aumentare del numero di informazioni disponibili o con il rianalizzare i dati a disposizione.
Può risultare spesso difficile stabilire filogenesi alternative. Così come può diventare frustrante e complicato il dar vita alle filogenesi in scenari biologicamente plausibili e dinamici, nonostante sia la parte più interessante dell'intero esercizio.
Molte analisi filogenetiche di specie viventi sono state condotte attraverso lo studio comparativo di caratteri morfologici e fisiologici, mentre per le specie fossili sono stati utilizzati solo i caratteri morfologici. Negli ultimi 25 anni un altro insieme di dati ha cominciato a giocare un ruolo molto importante nell'analisi delle relazioni esistenti tra specie viventi: le informazioni molecolari e genetiche ottenute dai cromosomi, dalle proteine e dal DNA. Il primo lavoro di questo tipo fu condotto all'inizio di questo secolo, ma fu completamente sviluppato solo più tardi, quando studi immunologici comparativi fornirono stime indirette delle differenze tra coppie di specie viventi riguardo le sequenze aminoacidiche di proteine omologhe; ciò permise di dedurre le relazioni evolutive.