La carenza maggiore rilevabile nel lavoro di Shulov consiste nell’omissione della traslitterazione delle voci ebraiche ricorrenti nel testo biblico. Inoltre, dalle poche traslitterazioni contenute nell’elaborato di Shulov, non è assolutamente possibile dedurre che i cigni di Salomone fossero dei barburîm e che in ebraico l’ipotetico cigno del Levitico suona tinšèmet.
Io sono perentoriamente dell’avviso che qualunque testo in discussione - scritto in una lingua non attuale oppure diversa da quella dei lettori - vada sempre e comunque citato, in quanto, nel caso di tinšèmet, si potrebbe pensare che il cigno del Libro dei Re e il cigno del Levitico, o un suo equivalente, abbiano lo stesso nome ebraico. Solo con il testo originale alla mano è possibile disquisire sul significato di parole oggetto di contestazione.
In base alla documentazione addotta da Shulov, senz’altro Salomone mangiava cigni, in quanto il cigno vietato dal Levitico è in realtà un Barbagianni. Pertanto, il cigno esce dalla lista nera e diventa un uccello kasher, perlomeno il Cygnus olor, la specie che più facilmente frequentava la Palestina, o che ancora la frequenta durante le migrazioni; salvo che anche in Palestina il Cygnus olor sia oggi stanziale come lo è in tutto il mondo, essendo diventato domestico o semidomestico.
Come abbiamo visto - e torno a ripetermi - Israel Meir Levinger ha compilato una lista di animali considerati permessi agli Ebrei in via generale, ma non sempre in modo unanime (Sinai, 5729, pag 259 e seg.). Nell’elenco sono raccolte le testimonianze di diverse tradizioni. La testimonianza più importante e completa è quella di Zivchè Kohèn - Livorno, 1832 - che elenca una trentina di specie d’uccelli permessi in quella comunità. Il Cigno reale, Cygnus olor, è concesso in Levinger, ma non compare in Zivchè Kohèn, e la kasherùt di altri tipi di cigni non è sicura. Ecco quindi che attraverso il lavoro di Shulov abbiamo trovato la spiegazione della presenza del Cigno reale nell’elenco compilato da Levinger: il cigno del Levitico è la Tyto alba.
Possiamo notare che Shulov non tiene in debita considerazione la disquisizione linguistica relativa a barburîm raccolta da Aldrovandi . Non solo, sembra che l’ambiente scientifico d’Israele non ponga attenzione ai lessici dell’ebraico biblico, anch’essi frutto di studi linguistici competenti. Se Shulov conosce tali lessici, allora dobbiamo dedurre che la trasformazione di barburîm in cigni si basa semplicemente sull’ebraico moderno.
Una trasformazione inattesa in pappagalli è quella dei pavoni importati da Salomone. Ma in ciò non metto lingua. Se questa trasformazione corrisponde al vero, allora dovrei solo cestinare tutte le elucubrazioni sulla prelibatezza o meno del pavone.
La storia e la linguistica vanno interpretate in un contesto onnicomprensivo. Ai tempi di Salomone non esistevano trasporti celeri refrigerati, non sono annoverati allevamenti di polli nel suo regno, le gente da sfamare a corte era non poca e i volatili ingrassati procacciati dai Fornitori della Real Casa variavano di volta in volta a seconda delle disponibilità del mercato, a sua volta condizionata dalle leggi biologiche della prolificità e dei tempi richiesti per raggiungere un peso commerciabile.
Pertanto, Salomone, ora riceveva una partita di polli, ora di faraone, quando le oche erano al punto giusto venivano macellate, e lo stesso si può dire del non prolifico cigno che, se invece di essere cigno era un barbagianni, allora era senz’altro ammesso dalla legge di Dio.