Vol. 1° -  XII.2.3.

Gli scopritori di Mendel

Thomas Morgan, senza nulla sapere della vita e del mondo culturale di Mendel,
nel 1932 scrisse queste parole:

«La genialità dell’Abate non era di natura divina, ma si basava sul progresso delle conoscenze scientifiche accumulate nei cento anni precedenti. È stato questo progresso di conoscenze a far sì che il Genio si realizzasse nella sua completezza.»

Nel 1900 si verificò una curiosa coincidenza.

Tre botanici, Erich Von Tschermak di Vienna, Carl Correns di Berlino e Hugo De Vries di Amsterdam si soffermarono su una piccola frase contenuta in un appunto sugli ibridi vegetali che alludeva ai lavori di Mendel. Questi Studiosi riesumarono tutte le annotazioni che da tempo dormivano nel convento di Brünn e attribuirono la legittima paternità alle leggi sulla trasmissione dei caratteri ereditari.

La prima dimostrazione che le leggi di Mendel si applicano tanto agli animali quanto ai piselli fu fornita da William Bateson (1861-1926) primo Professore di Genetica a Cambridge il quale, nel dicembre 1901, riferì alla Royal Society di Londra i risultati dei suoi incroci tra polli dotati di differenti tipi di cresta. Egli trovò che nella prima generazione la cresta a pisello e quella a rosa si comportavano come dominanti sulla cresta semplice e che in seconda generazione si verificava un rapporto 3:1.

Questo studio fu pubblicato nel 1902, ma in realtà gli esperimenti di Bateson avevano preso il via nel 1898, cioè 2 anni prima della riscoperta dell’operato di Mendel. Talora si è detto che, se non fosse stato per Mendel, oggi Bateson riposerebbe nell’Abbazia di Westminster.

Nell’inverno tra il 1904 e il 1905 Bateson si recò a Brno al fine di arricchire le proprie conoscenze sulla sua materia d’insegnamento, ma la visita al monastero fu infruttuosa. Nessun resto dell’opera di Mendel era stato conservato. Riuscì tuttavia ad entrare in contatto coi nipoti di Mendel, Ferdinando e Alaisio Schildler, che gli fornirono notizie utili ad ampliare la biografia dello zio.

Un giovane monaco, Padre Anselmo Matoušek, spronato dalla visita di Bateson, dedicò tutto il suo tempo libero alla ricerca dei manoscritti e degli oggetti appartenuti a Mendel, potendo così fondare in convento un piccolo museo.

Nel 1938, col delinearsi della minaccia bellica, tutti i documenti di maggior valore furono nascosti in una fattoria nei pressi di Brno e il manoscritto originale di Mendel fu depositato in banca, per essere fotoriprodotto nel 1941. Precauzioni provvidenziali: una bomba sfondò il tetto del museo e poi, nel 1945, la cassaforte della banca fu aperta e l’originale trafugato da ignoti.

Un’ulteriore conferma della validità degli studi di Mendel sarebbe avvenuta nel 1902, quando lo zoologo francese Cuénot riferì che i suoi incroci fra topi grigi e albini avevano prodotto solo topi grigi nella prima generazione e un rapporto di 198 grigi/72 albini nella seconda.

Mendel, dedicandosi alle sue pazienti osservazioni, attraverso il puro ragionamento aveva dedotto le leggi dell’ereditarietà. Rimaneva ancora da scoprire dove erano depositati i caratteri ereditari: lo stesso Mendel osservò nel nucleo della cellula i cromosomi, sorta di bastoncini che si rendono visibili al momento della divisione cellulare e così denominati nel 1888 da Waldeyer in ragione della loro spiccata affinità per i coloranti.

Fu lo stesso Waldeyer a segnalare per primo che lo studio dei cromosomi doveva essere fatto durante la moltiplicazione cellulare, quando la loro identificazione è più agevole.

Solo nel XX secolo i genetisti attribuirono a queste strutture il ruolo di supporto dell’ereditarietà, scoprendo progressivamente l’intimo meccanismo di cui sono custodi e che mostrerà tutto il suo fascino nel prossimo volume.

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