Vol. 2° -  XIV.

L’azione dei geni

I caratteri distintivi dell’individuo dipendono ovviamente dai geni e si basano su differenze a carico dei processi fisiologici che si svolgono nelle cellule. Poiché i geni provocano i loro effetti attraverso un’interazione chimica con le altre componenti cellulari, molti studi sulla loro azione e sui loro effetti appartengono, come abbiamo visto, alla genetica molecolare.

Molte differenze ereditabili si basano su caratteristiche facilmente distinguibili alla semplice osservazione. Consideriamo alcuni tratti caratteristici dell’uomo: statura alta e bassa, sei dita invece di cinque; capelli lisci invece che ricci; coagulazione del sangue normale anziché emofilia; visione normale dei colori invece di cecità alle differenze cromatiche; idiozia invece di normali capacità mentali; pigmentazione contrapposta ad albinismo.

Talora, come nell’ultimo caso, la semplice osservazione consente di riconoscere ovvie differenze biochimiche, basate sulla sintesi o non sintesi di melanina. Per lo più la base biochimica delle differenze fenotipiche non è desumibile sic et simpliciter dalle caratteristiche macroscopiche, richiedendo studi speciali per giungere alla sua definizione.

1. controllo molecolare

I geni possono produrre i loro effetti agendo solo apparentemente a livelli diversi: a livello delle singole cellule, oppure sulla morfologia e sulla fisiologia specifica di ciascun organo. Un esempio della prima modalità è rappresentato dall’anemia falciforme che comporta alterazioni morfologiche e funzionali dei globuli rossi, la seconda modalità è esemplificabile con gli attributi mentali secondari al funzionamento del sistema nervoso centrale.

L’azione primaria dei geni strutturali consiste nel dar inizio a una sequenza biochimica che è stata definita il dogma centrale della genetica molecolare: DNA ® mRNA ® catena polipeptidica. Questo semplice schema stabilisce che i geni servono da stampo per la sintesi di molecole di acido ribonucleico messaggero, l’mRNA, recanti nella sequenza di basi dei loro nucleotidi la stessa informazione posseduta dal DNA genico, codificata in forma lievemente modificata, cioè trascritta.

A differenza dei geni, che rimangono a far parte integrante dei cromosomi, le molecole di RNA se ne separano e passano dal nucleo al citoplasma dove il messaggio viene tradotto in una sequenza di aminoacidi che formano catene di polipeptidi specifici. Un certo tipo di catena polipeptidica può accoppiarsi con polipeptidi dello stesso genere o di genere diverso a formare complessi di dimensioni maggiori, o può entrare a far parte di altre molecole complesse. In questo modo, le proteine di una cellula sono l’espressione mediata dei geni, i quali non fanno altro che determinare la struttura delle catene di aminoacidi che compongono le molecole proteiche.

Prendiamo come esempio l’emoglobina umana. Si tratta di una proteina composta, o cromoproteina, contenuta nei globuli rossi nella quantità di 280 milioni di molecole per eritrocita, ciascuna con peso molecolare di circa 64.000. Essa costituisce oltre il 95% di tutte le proteine citoplasmatiche del globulo rosso. L’emoglobina è formata da una porzione prostetica, cioè non proteica, detta ferroprotoeme o più semplicemente eme, che conferisce il caratteristico colorito rosso al sangue, e da una parte proteica, la globina, costituita da 4 subunità polipeptidiche contenenti ognuna un gruppo prostetico. Si tratta di una caratteristica proteina globulare delle dimensioni di 4,4 x 4,4 x 2,5 nm. Le catene polipeptidiche sono uguali due a due per composizione aminoacidica e sono denominate rispettivamente a1 e a2 contenenti ciascuna 141 residui aminoacidici, b1 e b2 costituite ognuna da 146 aminoacidi. Ciascun gruppo eme è situato in una sacca formata dal ripiegamento della sua catena polipeptidica avvenuto spontaneamente nell’elemento cellulare precursore del globulo rosso. L’emoglobina dell’adulto è detta emoglobina A, mentre nell’embrione e nel feto viene sintetizzata un’emoglobina fetale detta emoglobina F che contiene due catene g al posto della catene b dell’emoglobina adulta. La ragione di questa differenza è che a livello placentare la pressione parziale di ossigeno è diversa da quella polmonare e pertanto la curva di saturazione e di dissociazione dell’emoglobina fetale non può essere uguale a quella dell’emoglobina adulta che attua i suoi scambi nell’ambiente polmonare.

L’emoglobina è stata d’importanza fondamentale nel chiarire la relazione tra i geni e i loro effetti a livello molecolare. Allo stesso tempo ha portato alla comprensione della base molecolare di alcune malattie del sangue. In molte popolazioni, specialmente in quelle del gruppo africano, esistono individui i cui globuli rossi assumono una forma a falce quando sono esposti a una bassa tensione di ossigeno. Queste persone si dividono in due classi: la maggioranza è sana e possiede meno dell’1% di globuli rossi di forma irregolare e si dice che queste persone presentano il tratto falcemico; una piccola minoranza, invece, soffre di una grave anemia, che spesso diventa fatale prima che l’individuo raggiunga l’età riproduttiva. Più di un terzo dei globuli rossi di questi individui presenta una forma anormale causando così l’anemia falciforme. Il carattere falcemia è controllato da una coppia di alleli. Gli individui i cui globuli rossi non sono falciformi, sono omozigoti per un allele HbA, hanno cioè un genotipo HbAHbA, coloro che presentano il tratto falcemico sono eterozigoti per l’allele HbS, quindi HbAHbS, gli anemici sono omozigoti HbSHbS.

La comprensione della base molecolare della falcemia ha preso l’avvio dalla scoperta che un tipo speciale di emoglobina, l’emoglobina S, differente da quella degli individui normali dotati di emoglobina A, è presente nei globuli rossi di persone affette da tratto falcemico o da anemia falciforme: si tratta di un’emoglobina in cui due catene a sono normali, mentre due catene b sono mutate e nelle quali in posizione 6 si trova la valina al posto dell’acido glutammico. I due tipi di emoglobina in certe condizioni possono possedere carica elettrica opposta, in modo che se si fa passare una corrente elettrica attraverso una soluzione che contenga entrambi i tipi di emoglobina, uno si muove verso il polo negativo e l’altro verso il polo positivo.

La presenza di un terzo allele nel locus Hb, HbC, determina la sostituzione dell’acido glutammico nella catena b con un altro aminoacido, la lisina, determinando così la malattia da emoglobina C, caratterizzata da una modesta anemia emolitica nell’eterozigote, più grave nell’omozigote.

Ingram, lo scopritore della differenza fra l’emoglobina A e l’emoglobina S, ha fatto notare che il cambiamento di un aminoacido su circa 300 è di certo un cambiamento molto piccolo, ma che tuttavia questa lieve alterazione può essere fatale per lo sfortunato possessore dell’emoglobina anomala. Ci sono naturalmente molti composti sintetizzati in natura o in laboratorio che hanno effetti dannosi sull’uomo, e la loro struttura chimica è spesso solo di poco differente da quella di sostanze innocue o benefiche. Perciò non sorprende che le entità molecolari chiamate geni siano talvolta responsabili di alterazioni del materiale molecolare delle cellule, con effetti di vasta portata nello sviluppo o nelle funzioni dell’organismo. Si sono scoperte più di 60 catene b anormali, come molte catene a anormali. Esse sono tutte dipendenti da geni particolari, e sono responsabili, negli omozigoti o negli eterozigoti, di anemie con diversi livelli di gravità.

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