Vol. 2° -  XVIII.2.3.

Analisi dei polimorfismi di restrizione
RFLP - Restriction Fragment Lenght Polymorphism

La cancellazione di siti di restrizione esistenti, o la creazione di nuovi siti, è il risultato dei cambiamenti casuali che si verificano nelle sequenze non codificanti del DNA frapposte ai geni, cioè a carico degli introni.

Gli RFLP sono di primaria importanza negli studi di genetica, essendo utilizzati come marcatori genetici durante la mappatura del genoma e nell’identificazione di geni particolari.

La tecnica della mappatura di restrizione viene usata per determinare i siti di taglio in un frammento di DNA su cui agiscono gli enzimi di restrizione. Tagliando il DNA con enzimi di restrizione diversi, utilizzati sia individualmente che in combinazione, e analizzando numero e dimensioni dei frammenti risultanti mediante elettroforesi [1] , si può ottenere una mappa di restrizione che riporta la disposizione dei siti di restrizione presenti sul DNA originale. Questa mappatura viene generalmente eseguita su tutti gli organismi oggetto di studi genetici.

I cambiamenti nella sequenza dei frammenti ottenuti testimoniano l’eventuale scomparsa o il riarrangiamento di alcuni geni, capaci quindi di provocare un’alterazione dei siti di restrizione. I frammenti vengono separati mediante elettroforesi su gel e identificati con specifiche sonde geniche.

2.3.a. Applicazioni degli RFLP in campo umano

Si tratta di una metodica complessa che può avere come scopo la formulazione di un consiglio genetico. Permette di studiare la trasmissione di un gene in seno a una famiglia quando non è nota la sua sequenza ma solo la sua localizzazione su di un cromosoma.

La metodica si serve dell’analisi delle sequenze non codificanti di DNA contigue al gene in esame e le utilizza come suoi markers indiretti. Prevede numerosi passaggi tra cui la digestione dell’acido nucleico da parte di enzimi di restrizione, dell’elettroforesi per la separazione dei frammenti così ottenuti e del southern blotting per il loro trasferimento su di un filtro di nitrocellulosa. Abbiamo già accennato come le sequenze codificanti per proteine enzimatiche o strutturali rappresentino in realtà solo una piccola porzione dell’intero genoma e siano ampiamente intervallate da tratti di acido nucleico sprovvisti di significato codificante.

Come i geni propriamente detti, queste sequenze possono andare incontro a mutazioni che, al contrario dei primi, non sono soggette a attivatore tissutale del plasminogeno a una severa selezione in quanto esenti da conseguenze sul fenotipo. È ovvio, pertanto, che si presentano con una notevole eterogeneità di costituzione dei nucleotidi, potendo differire da soggetto a soggetto. L’esistenza di diverse varianti prende il nome di polimorfismo. Queste frazioni di DNA seguono le modalità di trasmissione mendeliana.

In conseguenza del polimorfismo è possibile che, sottoponendo le medesime sequenze non codificanti di individui diversi all’azione di un enzima di restrizione, si ottengano frammenti di lunghezza differente. È ovvio, infatti, che per effetto di mutazioni si possono formare oppure perdere siti di restrizione, con variazione del numero e della lunghezza dei tratti ottenuti dalla digestione enzimatica.

Dal momento che, nel corredo genomico, ogni autosoma è presente in duplice copia, sottoponendo i due omologhi di un soggetto all’azione di un enzima di restrizione possono verificarsi due possibilità:

Πi due cromosomi si dividono nello stesso numero di frammenti: omozigosi

i due cromosomi danno origine ciascuno a un numero diverso di frammenti, che ovviamente differiscono anche per peso molecolare: eterozigosi

L’analisi degli RFLP consiste:

§ nell’analizzare le sequenze non codificanti adiacenti a un gene

§ nel tipizzarle mediante digestione con enzimi di restrizione

§ nel confrontare i risultati della frammentazione nei soggetti appartenenti a un medesimo nucleo familiare.

Per comprendere meglio questa indaginosa metodica ci serviremo di un esempio pratico. Prendiamo il caso di un uomo affetto da retinoblastoma ereditario, coniugato a una donna sana da cui ha avuto un figlio che ne è affetto. La coppia è ora in procinto di avere un secondo figlio e, attraverso l’esame dei villi coriali, desidera avere una diagnosi prenatale, ovvero sapere se il nascituro sia portatore dell’allele mutante. Il gene responsabile del retinoblastoma non è ancora stato codificato ma è stato localizzato a livello della banda 1.4 del braccio lungo del cromosoma 13 (13q14) [2] .

È necessario prelevare e isolare i due cromosomi omologhi 13 del padre, della madre, del figlio affetto e del probando. Tutti vengono poi denaturati e digeriti con un enzima di restrizione. Nel caso fortunato in cui si verifichi una condizione di eterozigosi per l’RFLP nel genitore affetto, i due cromosomi genereranno un numero diverso di frammenti. Per esempio, uno viene diviso in tre parti e l’altro in due. Sottolineiamo il fatto che l’eterozigosi per il polimorfismo è un fenomeno del tutto indipendente dal gene in causa.

La condizione di eterozigosi per le sequenze non codificanti del soggetto affetto è favorevole per l’indagine, in quanto, creando una situazione di disuguaglianza, permette di caratterizzare e quindi di distinguere i due cromosomi. Per conoscere quale dei due cromosomi sia portatore del gene per il retinoblastoma si sottopone il materiale genetico della madre e del figlio affetto all’azione del medesimo enzima e si confrontano i risultati con quelli paterni. Se per esempio il padre era 3/2, la madre 2/2 e il figlio affetto 3/2, è ovvio che il cromosoma affetto sarà quello che dà origine a tre frammenti.

Pertanto se nel corredo del nascituro, sempre sottoposto all’azione del medesimo enzima, uno dei due cromosomi si divide in 3 pezzi, è lecito supporre che il bambino abbia ereditato il gene del retinoblastoma e quindi sia altamente a rischio di sviluppare la neoplasia.

È opportuno fare alcune considerazioni riguardo la metodica:

q  si tratta di un metodo d’indagine indiretto, che non valuta il gene in esame ma geni adiacenti che vengono usati esclusivamente come markers

q  i geni non codificanti utilizzati devono trovarsi molto vicini al gene sospetto per rendere quasi nulla una loro separazione durante i fenomeni di riarrangiamento

q  l’indagine non è applicabile in tutti i casi, in quanto sono richiesti dei requisiti sfortunatamente non sempre disponibili

q  occorre un pedigree completo con entrambi i genitori e un precedente figlio

q  occorre trovare un enzima di restrizione che nel genitore affetto frammenti il DNA in modo tale da creare una situazione di eterozigosi; bisogna sottolineare che un enzima che abbia avuto successo in un nucleo familiare ovviamente non è sempre applicabile in altre famiglie.

 sommario 

 avanti 



[1] Elettroforesi: si tratta di una tecnica usata per l’analisi e la separazione dei colloidi, basata sul movimento delle particelle colloidali sotto l’influenza di un campo elettrico. La velocità delle particelle dipende dal campo elettrico applicato, dalla carica elettrica nonché dalla forma e dalle dimensioni delle particelle. Questa tecnica viene soprattutto impiegata nello studio di miscele proteiche, acidi nucleici, carboidrati, enzimi e lipidi.

[2] Nello spelling usato dai genetisti si dice banda 1 punto 4, e sta a significare la sottobanda 4 della banda 1. Qualora si parlasse di una sottosottobanda 5, suddivisione ulteriore della sottobanda 4, allora la rappresentazione grafica dello spelling sarebbe 1.4.5, mentre la scrittura riportata fra parentesi risulterebbe 145. Ricordiamo che la lettera q sta a significare braccio lungo, in quanto il braccio breve è simboleggiato con la lettera p, che sta per il francese petit, piccolo.