L'azione
fondamentale della selezione consiste nel modificare la frequenza di taluni
geni e combinazioni genotipiche in seno a una popolazione, accrescendo la
proporzione dei genotipi desiderati e diminuendo quella dei genotipi
indesiderati.
La trattazione teorica dei problemi che si presentano
nello studio scientifico della selezione costituisce una branca matematica
della genetica di popolazioni che è difficile esporre in forma elementare. Ad
essa hanno contribuito soprattutto Haldane, Fisher, Wright e Lush. L’impegno
dell’allevatore può avere come obiettivo la selezione a favore di un gene
dominante, oppure di un gene recessivo. Nel primo caso è matematicamente
dimostrabile che la selezione per il gene dominante non riuscirà mai ad
eliminare completamente quello recessivo. Per cui la selezione è in grado di
rendere raro un gene indesiderato in un giro più o meno lungo di generazioni,
ma è impotente nell’eliminarlo completamente.
Un fatto di grande importanza, tanto per la teoria come
per la pratica, è che la selezione non
può riuscire, in nessun caso, a fissare una forma eterozigote.
L'esperienza diretta degli allevatori ha confermato quest’asserzione a
proposito di parecchi caratteri ad espressione eterozigote, come il piumaggio
blu dei polli andalusi, il mantello roano nei bovini Shorthorn, quello grigio
bluastro della blu di Mons, la groppa di cavallo nei bovini da carne. È
infatti ovvio che se gli Aa sono
distinguibili e desiderati, anche se si eliminano in partenza tutti gli
omozigoti dall'allevamento, la progenie sarà sempre formata dal 50 % di
animali eterozigoti Aa e dal 25 % di
ciascuno dei due genotipi AA, aa,
non preferiti. Non sarà quindi materialmente possibile aumentare la frequenza
del genotipo prescelto.
Il problema è comunque interessante, perché in pratica
può verificarsi che gli allevatori accordino la preferenza ad animali che
sono appunto eterozigoti, perché più vigorosi o produttivi a causa dell’eterosi
o come conseguenza di fenomeni di interazione fra geni allelomorfi. In queste
condizioni, studiate sperimentalmente sulla Drosofila e altre specie, la forma
migliore di riproduzione consiste nell'allevare in
purezza due stirpi omozigoti rispetto ai geni che determinano la
manifestazione del carattere preferito, effettuando sistematicamente un vero e
proprio incrocio intrarazziale per la produzione degli individui desiderati.
Quando in una popolazione esistono n coppie di geni polimeri, o poligèni, aventi azione puramente additiva, se il carattere che essi determinano non è troppo modificato dai fattori ambientali, se n è piuttosto grande e la frequenza dei geni preferiti è piuttosto piccola, il genotipo ideale che si cerca di ottenere con la selezione risulterà talmente raro da non riscontrarsi neppure in popolazioni molto numerose, e occorreranno parecchie generazioni di lavoro selettivo perché, con l’aumento della frequenza dei geni selezionati, si ottenga un numero sufficiente di individui che rispondano agli scopi prefissi.
Dal punto di vista zootecnico è utile
sapere che, se la variazione di un carattere quantitativo è dovuta all'azione di
un numero elevato di poligèni, il limite al quale si può portare il valore
medio del carattere, mediante la selezione, è raggiungibile molto lentamente
e richiede un buon numero di generazioni, mentre se il carattere è
determinato da pochi geni additivi il progresso selettivo sarà più rapido e
cospicuo.