Lessico
La coltivazione dell’avena
2012
In un periodo così critico per l’agricoltura italiana in generale, dove gli agricoltori si cimentano in una quotidiana battaglia contro il lievitare inarrestabile delle spese per la produzione delle derrate agricole, desidero portare il mio contributo trattando un argomento considerato oggi in Italia quasi un tabù: la coltivazione di uno straordinario cereale, l’avena o biada.
Mentre all’estero questa graminacea è stata oggetto di oculata selezione per l’innalzamento delle rese ettariali e miglioramento della qualità, da noi, come si legge sui dizionari delle graminacee, la selezione dell'avena non è stata fatta perché, con la scomparsa dei cavalli da lavoro che la consumavano, non era più opportuno coltivarla. Una giustificazione inaccettabile, visto che nel mondo, dove è possibile, se ne coltivano 26 milioni di ettari.
Lo scrivente, che da 40 anni coltiva l’avena nel Monferrato, ha constatato che l’abbandono nei nostri territori della coltura di questo importante cereale, coltivato dall’uomo da oltre 4500 anni, è determinata in primo luogo dalla scarsa conoscenza di codesta graminacea nonché delle sue potenzialità e applicazioni, in secondo luogo dalla falsa credenza che sia poco produttiva, quindi economicamente da trascurare. È vero che nelle nostre campagne fino a 50 anni fa l’avena che si seminava era praticamente quella ereditata dai nostri antenati, senza essere stata oggetto di miglioramento genetico, ma oggi con la globalizzazione, quindi con la divulgazione a livello mondiale dei risultati delle ricerche scientifiche dei più grandi centri di genetica internazionali, le false credenze dovrebbero essere superate.
Purtroppo ho constatato con dispiacere che la maggioranza degli agricoltori viene tenuta quasi sempre all’oscuro dei progressi scientifici. La ricerca scientifica in agricoltura a volte può essere economicamente favorevole verso gli operatori agricoli ma deleteria verso quel mondo che vive foraggiato dai contadini.
Il mio approccio all’avena è stato del tutto casuale. Esattamente nell’inverno di 40 anni fa avevo estirpato un vecchio vigneto, ormai improduttivo, e così mi trovai in primavera con un appezzamento da seminare. Il terreno era dislocato a metà collina, del tutto inadatto alla coltivazione del mais, perché durante l’estate avrebbe avuto problemi di siccità. Un mio amico, commerciante di sementi agricole, mi propose di seminare una varietà di avena nera selezionata in Germania, messa in commercio da poco tempo. Accettai il consiglio e seminai a metà marzo il campo. Dopo di che, preso da altri lavori, non ebbi più l’occasione di vederlo da vicino. Verso la metà di giugno, passando sulla collina di fronte, notai che il campo biondeggiava. Quando mi avvicinai rimasi stupefatto. L’avena era quasi matura, aveva un’altezza di circa 1,5 m ed era così accestita che non si distingueva più lo spazio tra le file.
Alla trebbiatura dette un’abbondante resa in granella e un’enorme quantità di ottima paglia. Fui molto impressionato dal risultato. Mi ero solamente limitato a seminare e tre mesi dopo a raccogliere. Non come gli altri cereali che avevano bisogno di costosi interventi come diserbo, ripetute concimazioni, difesa da parassiti vegetali e animali. Ho fatto qualche conto e ho capito che era ora di abbandonare le costose coltivazioni degli altri cereali e dedicarmi allo studio e alla sperimentazione in campo dell’avena. La prima cosa che ho fatto è stata quella di constatare la differenza di produzione tra quella italiana e quelle selezionate all’estero. La nostra biada oltre a essere poco produttiva è colpita da una grande quantità di parassiti fungini che fanno ammalare molte piante, per cui sia la granella che la paglia risultano quasi sempre scadenti e anche pericolose per l’alimentazione del bestiame. Invece le varietà straniere selezionate sono praticamente immuni da parassiti. Lo posso affermare con certezza dopo decennali sperimentazioni. Una cosa importante da ricordare è quella di sapere che vi sono varietà a semina autunnale e varietà a semina primaverile. Queste ultime se, per errore, vengono seminate in autunno, periscono durante l’inverno, mentre le altre si possono seminare anche in primavera con risultati molto soddisfacenti.
Però le migliori potenzialità di codesto cereale si hanno con semine autunnali più anticipate rispetto a frumento e orzo, perché essendo l’avena più sensibile alle basse temperature invernali, ha bisogno di un notevole accestimento per superare le forti gelate. Poi in primavera si sviluppa in modo impressionante e a metà maggio fiorisce, avendo raggiunto un’altezza di circa 150 cm, e a fine giugno è matura pronta per la trebbiatura. Per le semine primaverili la raccolta è posticipata alla metà di luglio. L’avena può essere seminata in terreni sia di pianura che di collina a patto che siano freschi, perché essendo pianta vigorosa con numeroso apparato fogliare ha bisogno di una notevole quantità di umidità per portare a compimento il suo ciclo di sviluppo.
Non ha bisogno di concimazione. Nei terreni che hanno ricevuto una concimazione organica con letame maturo, la biada va seminata il secondo anno per evitare l’allettamento con conseguente perdita sensibile di granella. La coltivazione di questo cereale, secondo quanto riferito da numerosi agricoltori, è stata abbandonata anche perché vi era la credenza che fosse troppo debole per rimanere in piedi. Purtroppo l’errore lo commettevano proprio i contadini che inconsapevolmente trattavano l’avena alla stessa stregua del grano, propinandole laute concimazioni che portavano all’irreparabile disastro.
La principale causa dell’allettamento che ho riscontrato in tanti anni di esperimenti è dovuta all’eccessiva quantità di semente impiegata per ettaro. Nessuno dice che le moderne varietà selezionate messe in commercio importate dall’estero devono essere seminate piuttosto rade perché hanno un accestimento molto superiore alle vecchie, per cui se si impiega la dose di seme come 50 anni fa, l’avena è costretta a rimanere esile, soggetta a coricarsi al primo alito di vento. Dalle mie esperienze una regola che può garantire un’ottima riuscita nella coltivazione della biada è l’impiego di 100 kg di seme per ettaro. Con una simile dose mediamente si possono avere in campo da ogni seme piante con 10—12 robusti culmi che portano ciascuno una spiga con 60-70 e anche 80 granelli. Da un ettaro coltivato ad avena autunnale si possono facilmente ottenere 50 q di granella e 50 q di paglia. In pratica, col ricavato dalla vendita della paglia si pagano le spese e la cessione della granella diventa utile netto.
Va ricordato che il prezzo commerciale è sempre stato stabile su valori soddisfacenti, a differenza di grano, orzo e mais che hanno sempre sofferto di valutazioni piuttosto altalenanti. Lo scrivente, allevatore, si è anche molto occupato dell’avena come foraggera per l’alimentazione dei bovini, in coltura pura e in consociazione con altre essenze foraggere. Per l’alimentazione verde degli animali la biada può essere seminata, se il clima è favorevole, verso la fine di agosto. Così avremo un primo taglio in autunno inoltrato, dopo di che le piante si predispongono in modo da superare i rigori invernali e alla fine di aprile dell’anno successivo è possibile avere un secondo abbondante taglio. Se poi in primavera viene seminata per foraggio a iniziare dalla metà febbraio, con intervalli di 15 giorni tra un appezzamento e l’altro fino ai primi di aprile, è possibile alimentare i bovini quotidianamente fino alla prima decade di luglio. Ma il grande potenziale l’avena lo esplica in miscuglio con le foraggere che hanno lo stesso ciclo di sviluppo.
Un connubio importante è dato dall’erbaio di avena+loglio italico varietà tardiva. Si possono ottenere straordinari quantitativi di foraggio che può essere usato verde, affienato, insilato. Però l’erbaio polifita, cui ho dedicato anni di studi e sperimentazioni, è la consociazione tra avena-veccia-pisello, che se bene attuata costituisce una delle maggiori realizzazioni della tecnica colturale. Rappresenta una comunanza di erbe nella quale la mescolanza delle specie crea un esempio di reciproca assistenza. La veccia e il pisello cedono azoto alla biada e questa ne sostiene i teneri steli, e tutte assieme crescono in perfetta armonia, trasformando ogni elemento fertilizzante della terra in protoplasma vegetale ricco di proteine, di zuccheri, di fosfati, di sali di calcio, di vitamine. Il foraggio così ottenuto è tra i migliori, i più digeribili ed energetici adatti alla produzione sia di latte che di carne. Si può usare verde, affienato nel periodo di inizio fioritura o insilato a maturazione cerosa della granella.
A proposito di maturazione cerosa della granella, in tanti anni di insilamento avevo notato che solamente l’avena aveva il giusto grado di maturazione, mentre la veccia e il pisello avevano maturazioni differenti, o granella non ancora formata o troppo matura. Della semente in commercio usata per il miscuglio, solo la biada aveva una seria certificazione, mentre le due leguminose, che come al solito in Italia non sono stati oggetto di selezione, erano di importazione da paesi ad economia depressa. Erano poco produttive, di scarsa crescita, per cui venivano sopraffatte dalla graminacea. Per di più il pisello che veniva spacciato da foraggio apparteneva alla specie Pisum sativum che prevalentemente viene usato per l’alimentazione umana, mentre quello da foraggio che entra nella composizione degli erbai polifiti è il pisello campestre che appartiene alla specie Pisum arvense.
Bisognava trovare delle varietà di veccia e pisello che seguissero il ciclo dell’avena e avessero una crescita non inferiore al cereale. I commercianti di sementi mi dicevano che ero troppo esigente e che non potevano soddisfarmi. Così una quindicina di anni fa mi rivolsi a un importatore specializzato nella vendita di sementi selezionate esclusive per le produzioni di foraggi. L’importatore, su mio consiglio, si documentò e poi mi fece avere le sementi migliori reperite sul mercato europeo, l’avena selezionata in Germania, la veccia frutto della genetica francese, il pisello da foraggio proveniente dall’Europa centro orientale. Mescolai le sementi nelle dovute percentuali e in autunno le seminai.
Notai subito alla nascita una germinazione di gran lunga superiore ai miscugli che avevo per tanti anni usato. Le piantine superarono l’inverno senza perdite e in primavera iniziarono la levata. La crescita della graminacea e delle leguminose avvenne in contemporanea e la veccia e il pisello si arrampicarono sulla biada fino all’altezza della spiga e oltre, producendo un’enorme quantità di baccelli che si riempirono di semi che raggiunsero la maturazione cerosa insieme a quelli dell’avena. L’erbaio dette una produzione di trinciato tripla rispetto ai miscugli che avevo seminato in precedenza per tanti anni. I bovini alimentati con tale trinciato presentavano durante l’inverno una performance che mai prima avevo riscontrato. E osservando quotidianamente codesto trinciato così ricco di granella, cominciai ad avere in mente un pensiero fisso: "Allora è possibile avere direttamente dalla natura un mangime composto biologico adatto all’alimentazione di varie specie animali senza ricorrere all’industria."
Dovevo studiare la percentuale di granella da seminare per produrre un miscuglio il più proteico possibile senza dovere avere incidenti di percorso durante la coltivazione in campo. Dopo approfondite ricerche, avvalendomi anche delle pubblicazioni del francese B.N.A. (Bureau National Agriculture), alcuni anni fa ho seminato degli appezzamenti con un miscuglio composto dal 60% di avena, dal 20% di veccia, dal 20% di pisello. La semina fu eseguita in autunno e la graminacea e le leguminose risultarono perfettamente mature verso la prima decade di luglio. Furono trebbiate fornendo una grande quantità di granella e un’ingente quantità di residuo paglioso. Questo residuo ha lo stesso valore alimentare di un fieno di prato permanente raccolto maturo. La granella risultò, secondo le Tavole internazionali della composizione chimica degli alimenti, avere il 17/18% di proteine. Ha dato ottimi risultati sui bovini piemontesi, con produzioni di carni di qualità imbattibile. Grandi risultati anche impiegata per la produzione di uova biologiche.
Voglio far notare che la coltivazione di questo miscuglio comporta spese minime. Si semina su terreno con minima lavorazione, nessuna concimazione e diserbo. Le spese sono le seguenti: il primo anno, acquisto semente, erpicatura, semina, trebbiatura, imballatura paglia. Gli anni successivi non c’è più la spesa per la semente poiché si usa quella autoprodotta. Per quanto riguarda l’aspetto economico di realizzo, la granella ha un valore commerciale nettamente superiore a quella di qualsiasi cereale e anche l’abbondante residuo paglioso, essendo da considerare come foraggio, ha una valutazione differente rispetto alle normali paglie. Gli appezzamenti coltivati con questo miscuglio producono reddito per due anni, il primo con la cessione del raccolto, il secondo con il risparmio della concimazione di questi campi, rilasciata dalle leguminose. Per di più senza interventi chimici si contribuisce al miglioramento dell’ambiente campagnolo oggi così inquinato.
Producendo un simile mangime naturale, si ovvierebbe in parte al problema di importazione di soia geneticamente modificata che oggi viene usata in abbondanza nella produzione di mangimi industriali. Tali proteine O.G.M. rientrano dunque nella composizione della maggioranza delle carni, del latte, dei formaggi, delle uova messe in commercio, di cui, come al solito, i consumatori sono all’oscuro. La granella dell’avena ha molte applicazioni: viene impiegata per l’alimentazione umana e animale, si utilizza in medicina, in distilleria per la produzione del whisky, nell’industria per la produzione di additivi utilizzati per la conservazione di alimenti grassi, per la produzione del furfurolo utilizzato come solvente in alcuni processi di raffinazione industriale. A questi usi dobbiamo aggiungerne uno che ho scoperto 7 anni fa, quello di essere uno straordinario biocarburante per la produzione di energia termica.
Come di solito capita, la scoperta è avvenuta per caso. Dieci anni fa avevo acquistato per il riscaldamento della mia abitazione una caldaia attrezzata per bruciare il mais. Per 3 anni ho fatto funzionare la caldaia con il granturco, avendo però sovente problemi di combustione a causa della difficoltà del mais a incendiarsi e anche problemi di calorie. Nel 2005 avevo seminato alcuni ettari a avena da insilare a maturazione cerosa della granella. Il raccolto fu eccezionale, dopo aver riempito il silos mi rimase un ettaro di biada da lasciar maturare. Avendo così disponibilità di granella, pensai di provare a sostituire per il riscaldamento invernale il mais con tale cereale. Per la verità avevo anche provato a bruciare l’orzo, con risultati decisamente deludenti. Così ai primi di novembre 2005 avviai la caldaia con la granella dell’avena.
Rimasi subito meravigliato dalla velocità di riscaldamento dell’acqua della caldaia (circa 200 litri) che in brevissimo tempo raggiunse i 70 gradi. Con il mais di tempo ce ne voleva il doppio. Il calore era così forte che riusciva a trapassare l’isolamento della caldaia e a espandersi nell’ambiente circostante. Non avevo mai visto, prima d’allora, una simile potenza calorifica rilasciata dalla granella di una graminacea.
Ho voluto perciò capire quale fosse il motivo generante la sensibile differenza di potere calorifico tra i 2 cereali. Ho consultato le Tavole internazionali della composizione chimica dei cereali e ho subito compreso che il mais non poteva avere quelle kilocalorie così vistosamente propagandate per un semplice motivo: il granturco ha il 4,5% di grassi ma solo l’1,9% di cellulosa mentre l’avena che ha la stessa percentuale di grassi vanta invece l’11% di cellulosa. Questo 11% fa sì che la biada sia l’unico cereale adatto a essere impiegato tale quale come biocarburante senza problemi. Ho detto tale quale, perché oggi il mais, dopo esperienze negative, viene fatto bruciare nelle caldaie mescolato a pellet di legno che servono per integrare il deficit di cellulosa del cereale.
A conti fatti questo sistema di abbinamento risulta costoso, dovendo per il pellet dipendere dall’industria. Dalle mie esperienze posso dire che l’avena ha un potere calorifico doppio rispetto alla legna. Per riscaldare un’abitazione di 120 mq ho sempre consumato oltre 100 kg di legna al giorno, di avena ne impiego 50 kg circa. Importante ricordare che gli alberi sono di lento accrescimento, mentre il cereale si rigenera ogni anno con spese minime. Ho anche voluto confrontare il potere calorifico dei migliori pellet di legno in commercio con quello dell’avena. Il risultato è stato nettamente a favore del cereale.
Spero che queste mie ricerche ed esperienze presentate in questo articolo, siano di stimolo, per gli agricoltori che leggono internet, a voler riqualificare questa graminacea che in Italia è quasi del tutto dimenticata. Sarebbe ora che gli agricoltori italiani avessero il coraggio di rinnovare l’agricoltura con coltivazioni che all’estero producono reddito da molte generazioni.