Secondo il Curchill’s Medical Dictionary la mola è una massa
tumorale amorfa che si forma nell’utero in seguito a degenerazione
del frutto del concepimento. Solitamente è costituita da grumi di
sangue, resti della placenta e membrane fetali; tuttavia può
calcificarsi o trasformarsi in cisti, come la mola idatidea. Il Curchill’s
Medical Dictionary aggiunge che il termine mola deriva dal latino mola,
che significa macina, per la forma che assume.
Il termine latino mola (macina) deriva per calco del greco mýlë,
dove il passaggio dal significato di macina a quello di malattia
della gravidanza avvenne per allusione alla massa della formazione
uterina (Treccani).
Non è inverosimile, come vedremo tra poco, che il greco volesse fare
allusione più alla durezza talora posseduta da una patologica
mýlë endouterina gravidica, anziché alla sua foggia: infatti forse tale
nesso possiamo trovarlo in quanto riferito dal Curchill’s Medical
Dictionary, che cioè talora la mola può calcificarsi e quindi
assumere la durezza di una pietra. In greco il termine mýlë,
usato anche da Aristotele per indicare la massa carnosa contenuta
nell’utero, significa in primo luogo mola nel senso di macina, ma si
tratta della pietra molare inferiore, in quanto quella superiore in
greco è detta ónos (forse perché molte volte mossa da un
asino?). In greco mýlë significa anche la rotula del
ginocchio e, al plurale, i denti molari.
Invece il vocabolo latino mola, che deriva dal verbo molo,
significava sì mola, macina, ma in modo particolare la macina
superiore che triturava il grano girando attorno alla prominenza
conica della macina inferiore. Per cui mola venne a significare
anche mulino, tanto ad acqua quanto a mano o mosso da un animale da
soma. Come metonimia mola passò a significare anche il farro
macinato misto a sale che si spargeva sul capo della vittima (mola
salsa), detto anche tritello da sacrifici. Plinio usò mola
anche per significare tumore uterino, aborto. Infine mola
significava anche dente molare, che serve appunto a macinare.
Il verbo latino molo significa girare la mola, triturare,
l’operazione del macinare, ma del macinare in senso stretto,
distinta dal pestare (pinso). Petronio
e altri hanno usato questo verbo nel senso di fottere.
Il verbo latino molio, oppure molior, derivati da moles,
nella forma transitiva significano porre in movimento con sforzo,
muovere, smuovere; nella forma intransitiva significano mettersi in
moto, muoversi, affaccendarsi, affannarsi.
Derivano da moles (forse dall’indoeuropeo *mo-, affaticarsi)
che ha molteplici significati:
1) mole, massa, peso, grandezza
2) massa informe, ammasso, mucchio
3) scoglio, macigno
4) macchina da guerra
5) diga, molo
6) costruzione massiccia, edificio gigantesco
7) fortificazione, vallo
8) (traslato) peso, carico, gravità
9) sforzo, fatica, difficoltà
10) massa di soldati, esercito numeroso.
Plinio
impiegò il termine mola quando trattò di patologia
ginecologica, senza dubbio derivando il termine da Aristotele,
il quale scrisse che la mola (mýlē) uscita dall’utero diventa
così dura che è difficile spezzarla anche con un ferro.
Vediamo
per primo il testo di Aristotele.
De
generatione animalium
IV,7,775b-776a:. Si deve parlare ora della cosiddetta mola che si
produce raramente nelle donne, ma si produce in alcune quando sono
gravide. Esse infatti partoriscono quello che si chiama mola. A una
donna che aveva avuto rapporti col marito e riteneva di essersi
ingravidata accadde che dapprincipio il volume del ventre aumentò e
tutto il resto si svolse normalmente secondo le previsioni, ma dopo
che fu giunto il tempo del parto, né partorì né il volume diminuì,
ma trascorse così tre o quattro anni finché, sopraggiunta una
dissenteria e avendo corso pericolo per questa, partorì una massa
carnosa che chiamano mola. Alcune donne invece invecchiano e muoiono
affette da ciò. Le mole che escono fuori diventano così dure che è
difficile spezzarle anche con un ferro. Le cause di questa affezione
sono state spiegate nei Problemi [il rimando non ha riscontro
in quanto noi possediamo]: il prodotto del concepimento subisce [776a]
nella matrice lo stesso processo che subiscono in ciò che bolle le
sostanze poco cotte, e non è per il calore, come alcuni affermano, ma
piuttosto per la poca intensità di calore; sembra infatti che la
natura sia impotente e non sappia portare a compimento né porre un
termine al processo generativo. Per questo l’affezione si protrae
fino alla vecchiaia o permane per lungo tempo, perché la sua natura
non è né delimitata né completamente estranea. La mancata cozione
è la causa della durezza, e anche la cattiva cottura è una mancata
cozione. Vi è però un problema: perché mai non si produce negli
altri animali, a meno che non sia completamente rimasto nascosto. Si
deve pensare che la causa sia il fatto che soltanto la donna tra gli
animali è soggetta a malattie dell’utero, ha le mestruazioni
abbondanti e non è in grado di operarne la cozione. Quando dunque il
prodotto del concepimento prende consistenza da un’evaporazione mal
cotta, allora logicamente si produce la cosiddetta mola, soprattutto o
esclusivamente nelle donne. (traduzione di Diego Lanza; secondo Lanza
si dovrebbe trattare di una formazione tumorale con residui
calcificati, e non di quella che oggi viene indicata come mola, cioè
la massa gelatinosa della placenta espulsa per aborto)
Vediamo i brani di Plinio, il quale riprende da Aristotele il concetto
di durezza della mola.
Plinio NH VII,63: Solum autem animal menstruale mulier est; inde
unius utero quas appellaverunt molas. Ea est caro informis, inanima,
ferri ictum et aciem respuens. Movetur sistitque et menses, ut partus, alias
letalis, alias una senescens, aliquando alvo citatiore excidens.
La donna è il solo, tra gli esseri viventi, ad avere le mestruazioni;
di conseguenza, solo nel suo utero si trovano le cosiddette mole. Si
tratta di una massa di carne informe, senza vita, impermeabile ai
colpi e alla penetrazione del ferro. Essa si muove e può anche, come
una gravidanza, interrompere le mestruazioni; a volte è mortale,
altre volte invecchia insieme alla donna, talora è espulsa da una
forte diarrea.
Plinio NH X,184: Molas, de quibus ante diximus, gigni putant,
ubi mulier non ex mare, verum ex semet ipsa tantum conceperit. Ideo
nec animari, quia non sit ex duobus, altricemque habere per se vitam
illam quae satis arboribusque contingat.
Si crede che le mole, di cui prima si è parlato, si formino quando la
donna ha concepito non attraverso l’uomo, ma soltanto da se stessa.
Perciò non sono dotate di vita, perché non sono il prodotto dei due
sessi e hanno di per sé quella vita vegetativa che è propria delle
piante e degli alberi.
Plinio
NH XXX,131: Mammas a partu custodit adeps anseris cum rosaceo et
araneo. Phryges et Lycaones mammis puerperio vexatis invenerunt otidum
adipem utilem esse. iis, quae vulva strangulentur, et blattas inlinunt.
ovorum perdicis putaminum cinis cadmiae mixtus et cerae stantes mammas
servat. putant et ter circumductas ovo perdicis aut .... non inclinari
et, si sorbeantur, eadem fecunditatem facere, lactis quoque copiam,
cum anserino adipe perunctis mammis dolores minuere, molas uteri
rumpere, scabiem vulvarum sedare, si cum cimice trito inlinantur.
A chi vuole conoscere a fondo la patologia legata alla mola, consiglio
la lettura dell’articolo Patologia trofoblastica gestazionale
di Amunni, Bonazzi, Cantù, Villanucci (Oncologia, vol.3, 1999,
n°2). Per dimostrare, contrariamente all’asserzione di Plinio,
quanto sia importante, anzi, indispensabile, l’intervento maschile
nell’insorgenza di questa patologia, cito dal suddetto studio il
paragrafo relativo all’eziopatologia:
Mola
completa
Ha generalmente un patrimonio genetico diploide tutto di derivazione
paterna, che si può determinare con i seguenti meccanismi:
1) fertilizzazione di un uovo, nel quale il patrimonio genetico materno
si è perso, da parte di uno spermatozoo che duplica il proprio (mola
vescicolare completa androgenetica). Questa evenienza si verifica in
circa il 90% delle mole complete (omozigoti);
2) fertilizzazione dispermica di un uovo vuoto: il materiale è
eterozigote per molti loci. Questo meccanismo rappresenta circa il
5-10% delle mole vescicolari complete e può spiegare la rara
evenienza di una mola 46xy (la forma 46yy, teoricamente possibile, non
è mai riportata perché probabilmente non vitale).
Entrambi i meccanismi hanno quindi alla base due errori genetici:
contributo aploide o diploide solo paterno, nessun contenuto
cromosomico materno. L’assenza di quest’ultimo è responsabile
della mancanza dell’embrione. Le mole complete sono quindi diploidi
e con DNA nucleare solo paterno (la presenza di DNA mitocondriale
materno è suggestiva di una fertilizzazione di un uovo maturo ma
privo di nucleo).
Mola
parziale
Ha generalmente un corredo triploide che mantiene un contributo materno
che si ottiene mediante una fecondazione dispermica. Non tutti i
concepimenti triploidi esitano in mola parziale: infatti la presenza
di due sets paterni e uno materno dà origine a una mola parziale
triploide, mentre la triploidia con due sets materni non ha
caratteristiche molari. La presenza del corredo materno mitiga gli
effetti molari dei due paterni e rende possibile la presenza
dell’embrione o del feto. Eccezionalmente la mola parziale può
essere tetraploide, con tre sets cromosomici aploidi paterni. Sono
descritti casi di mole parziali diploidi in cui è ipotizzabile, per
spiegare la presenza dell’embrione, la coesistenza di una mola
parziale e di una mola completa. L’evenienza di una mola parziale
diploide è importante, perché sembra associata a un tasso di
persistenza più elevato e alla necessità di un più lungo e intenso
trattamento chemioterapico per ottenere la guarigione.
Da rilevare, infine, che alcune trisomie o altre anomalie cromosomiche
sono associate a iperplasia del trofoblasto, villi idropici e
formazione di cisterne.
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