Lessico


La produzione della carne bovina naturale

di Giorgio Scelsi

2013

Quasi ogni giorno vengono pubblicati su internet degli articoli che mettono in cattiva luce la carne bovina come fosse uno degli alimenti più nocivi per la salute umana, supportati da analisi di celebri scienziati. Leggendoli si comprende che si fa riferimento alla carne costruita artificialmente dall’uomo moderno, che è quella che in genere si trova commercializzata. Concordo quindi con le analisi dei vari studiosi.

Devo dire però che circa 50 o 55 anni fa altri scienziati hanno insegnato agli allevatori il modo di produrre carne bovina, suina, avicola artificiale, stravolgendo le leggi della natura. I bovini da animali erbivori furono obbligati a diventare onnivori, i suini da onnivori in granivori, i polli da onnivori in granivori.

Perché è stato pensato tutto questo? Per una questione politica. Dopo la seconda guerra mondiale, che aveva portato fame in tutte le nazioni, con la pace i popoli avrebbero potuto nutrirsi quotidianamente con carne mentre prima era un alimento per ricchi, e i poveri, che erano la maggioranza della popolazione, la consumavano poche volte all’anno.

Tornando ai bovini, quella dissennata alimentazione, volta a favorire in tempi brevi la crescita degli animali per avere grandi quantitativi di carne da immettere sul mercato a basso prezzo alla portata di tutti, ha generato 26 o 27 anni fa in Inghilterra la famosa epidemia di BSE (l'encefalopatia spongiforme bovina, Bovine Spongiform Encephalopathy), malattia riconducibile alla scrapie degli ovini (scrapie significa grattamento, dall'inglese to scrape, grattare).

Per chi non lo sapesse, i bovini che contrassero la grave malattia erano stati alimentati per anni con farine di carne di pecora mescolate ai mangimi. È evidente che quegli scienziati con i loro dissennati esperimenti rivolti a contrastare le leggi immutabili naturali, hanno contribuito alla diffusione odierna di gravi patologie nell’uomo.

Chi leggerà questo articolo si domanderà perché ho detto che le carni bovine oggi commercializzate sono artificiali. L’ho semplicemente detto per distinguerle dalla carne bovina naturale, alla quale il consumatore da oltre 50 anni non è più abituato, anche perché è praticamente irreperibile. Tanti miei colleghi allevatori potrebbero offendersi, ma dopo aver letto l’intero articolo, potranno solamente fare un esame di coscienza.

Lo scrivente è da 40 anni allevatore di bovini piemontesi, ma quanto riferirò vale per tutte le razze bovine. Cominciamo col dire che la specie bovina è comparsa sulla terra alcune decine di milioni di anni fa con forme primitive sviluppatesi nei territori del sudest asiatico e nel sub continente indiano. In seguito colonizzò tutta l’Asia, l’Europa, l’Africa. Quando dopo milioni di anni l’uomo apparve sulla terra e fu in grado di inventare le prime armi, i bovini entrarono nella catena alimentare umana. L’uomo di Neanderthal, essendo nomade e cacciatore, utilizzò i bovini come fonte di cibo. Poi durante l’ultimo periodo glaciale comparve sulla terra l’homo sapiens, molto più evoluto del suo diretto antenato, e i bovini come altri animali furono in un primo tempo cacciati essendo l’homo sapiens ancora nomade.

Quando divenne stanziale e costruì le prime abitazioni decise di ridurre in schiavitù le specie animali che possedevano le carni migliori e tra queste inserì i bovini. E così, vicino alle abitazioni, costruì dei recinti per tenere in cattività i bovini selvatici che, oltre a servire per alimentazione, furono utilizzati per abbigliamento e sacrifici religiosi. Successivamente l’uomo pensò di procedere all’addomesticamento del bovino perché ne avrebbe avuto dei vantaggi come quello di aiutarlo in attività lavorative e la possibilità di fornire latte, un nuovo alimento da aggiungere alla sua dieta.

Così i bovini furono addomesticati intorno al 6000 aC dapprima nel sudovest asiatico e poi nel sudest europeo. Infine, mediante gli incroci tra le varie razze, verso il 3000 aC la specie bovina si è evoluta nella forma senza gobba e dalle corna corte.

Dopo questa parentesi storica, ritorno all’argomento principale, la produzione di carne naturale. Quando iniziai nei primi anni 70 del secolo scorso l’allevamento della razza piemontese, eravamo nel periodo di trasformazione della bovinicoltura italiana, diciamo da artigianale a industriale, anche supportata dalla grande diffusione degli ibridi di mais provenienti dagli USA. Già allora i consumatori cominciavano a essere perplessi nei riguardi delle carni che venivano vendute nelle macellerie perché avevano capito che gli animali, allevati in quelle enormi strutture senza terra adeguata per il loro sostentamento, di certo non avrebbero potuto fornire carni di qualità. Lo scrivente, osservando le carni e perfettamente ricordando la abissale differenza tra queste e quelle che da bambino vedeva sui banchi dei macellai, decide di compiere studi approfonditi in merito.

In campo agricolo e zootecnico la prima regola fondamentale è l’osservazione giornaliera di quanto ci circonda. Ho potuto fare delle interessanti scoperte nei riguardi dei bovini. Sono gli stessi animali che mi hanno aiutato a risolvere molti interrogativi. Negli anni settanta sono stato uno dei pionieri a tirare fuori dalle stalle i bovini piemontesi e a lasciarli liberi dalla primavera all’inizio dell’inverno. Se non avessi fatto questo, non avrei avuto dagli animali le informazioni che ancora oggi sono scarsamente conosciute dagli allevatori. Ho potuto sapere che i bovini conoscono le erbe e le piante del mondo antico dove si sono originati, sia quelle commestibili che quelle velenose che riconoscono dall’olfatto, sanno distinguere i funghi eduli dai velenosi, sanno che le foglie e i semi delle erbe di cui si cibano sono fonte di proteine.

Quando si alimentano, prima vanno alla ricerca della fonte  proteica e poi ingurgitano la fibra. Ma la cosa più importante è che nel loro bagaglio di informazione sono assenti tutte le erbe e le piante originarie del nuovo mondo che si sono diffuse nei vecchi continenti, naturalmente compreso il mais. Da esperimenti che ho eseguito nel corso degli anni ho potuto constatare che il seme di granturco è per i bovini del tutto sconosciuto e ricusato. È stato dall’uomo del ventesimo secolo fatto accettare, con sotterfugi, come alimento. Bisogna sapere che il mais, quando fu scoperta l’America, era utilizzato dalle popolazioni indigene come alimento per gli umani e quando fu importato in Europa continuò ad essere usato per alimentare la popolazione. Divenne un alimento di uso così comune e a basso prezzo che i poveri lo utilizzavano come unico cibo. Per questo motivo tra i poveri si diffuse una grave malattia, la pellagra, con un tasso di mortalità del 97%, che fu poi debellata dalla niacina o vitamina B3 assente nel mais.

A quei tempi nessuno si era mai sognato di alimentare i bovini con il granoturco anche perché era vitreo, non adatto a essere assimilato dai ruminanti. Le eventuali eccedenze erano usate per allevare gli avicoli da cortile. È solamente nei primi anni del novecento che fu inventato negli Stati Uniti il mais ibrido dentato a polpa farinosa. Si sarebbe così potuto impiegarlo in grande quantità per la produzione di carne bovina. Entrò quindi come componente dei mangimi per bovini, ma il risultato fu molto deludente perché alla macellazione si riscontrò un eccessivo accumulo di grasso nelle carni prima mai visto.

Anche in Italia si trovano dei trattati di quell’epoca che consigliano gli agricoltori di escludere il granoturco dalla dieta per l’ingrassamento della specie bovina, sopratutto per i vitelli. Infatti fino agli anni 50 il mais ibrido difficilmente era impiegato nell’alimentazione bovina, perché gli ibridi erano poco diffusi nelle campagne italiane. Solamente intorno agli anni 60 le grandi multinazionali sementiere  americane, titolari del brevetto della semente ibrida del cereale, iniziarono una martellante propaganda in Europa, così persuasiva che tutti gli allevatori furono convinti a usare il mais dentato nell’alimentazione dei loro animali. Addirittura grandi gruppi mangimistici americani impiantarono nei paesi europei e anche in Italia stabilimenti che fornivano mangimi per tutte le specie animali da reddito con formulazioni che prevedevano l’impiego di grandi quantità di granoturco.

Lo scrivente è ben informato in merito a quelle formule perché negli anni 60 è stato allevatore di galline ovaiole a terra e per l’alimentazione acquistava i mangimi da un’industria americana. Mangimi che nella formula prevedevano il 60% di mais. Le carni delle galline a fine carriera risultavano talmente grasse che l’unico impiego era inviarle agli stabilimenti che le trasformavano in dadi di pollo. È da quell’esperienza nel settore avicolo che ho capito che la granella del mais ibrido dentato non è assolutamente idonea per gli animali che entrano nella catena alimentare umana.

Così, quando ho iniziato l’allevamento dei bovini piemontesi, il mio obiettivo fu quello di voler produrre la carne bovina naturale come quella di 500 anni fa. Bisogna sapere che dagli anni 60 del secolo scorso i bovini furono costretti ad alimentarsi, oltre che col mais, con ogni genere di scarti delle industrie agroalimentari, come panelli e farine di estrazione di semi oleosi, polpe di barbabietole, pellicole di pomodoro, bucce d’uva, trebbie di birra, polpe di patate, farine di carne, grassi essiccati, biscotti, cioccolato e in aggiunta vitamine e integratori ecc., addirittura nelle formule fu introdotta l’urea, che come si sa è un concime minerale, per non parlare dei famosi ormoni che in certi stati del mondo sono legali.

Come è possibile che la carne prodotta con simili metodi venga poi dichiarata di qualità, con vari nominativi riconosciuti dalle Istituzioni? È solamente uno specchietto per le allodole al fine di gabbare i consumatori, che ormai da decenni hanno perso l’abitudine di alimentarsi naturalmente. Pertanto ritengo opportuno, dopo quarant’anni di studi ed esperimenti, di fare chiarezza sui due tipi di carne bovina, quella artificiale e quella naturale.

Qualche allevatore potrebbe obiettare che la carne ottenuta con alimentazione biologica sia da considerarsi naturale. Voglio ricordare che le regole del biologico prevedono di alimentare gli animali anche con mangimi composti. A questo punto anche tali carni sono da considerarsi costruite artificialmente. Prima di trattare l’argomento carni, parliamo di animali vivi e quali differenze li caratterizzano.

Bisogna ricordare che tutti i bovini che vengono esposti alle manifestazioni zootecniche sono allevati con alimenti super proteici, che nulla hanno a che vedere con l’alimentazione erbivora. Chi, come lo scrivente, ha visto i bovini allevati nelle aziende agricole 60 anni fa e oltre e quelli odierni, nota la grande differenza. Gli animali alimentati con metodo naturale non potrebbero nemmeno partecipare alle mostre perché non possono competere con i propri simili costruiti con nutrimenti estranei alle leggi della natura. Non è possibile mettere in competizione, a parità di età, animali allevati a erba, che crescono in media 500 grammi al giorno, con animali pompati che crescono giornalmente 2 kg.

I bovini costruiti dagli allevatori odierni sono anche esteriormente diversi da quelli naturali. Mentre questi ultimi si presentano con corporatura asciutta e soda, gli altri hanno corporatura flaccida, obesa e sono lenti nei movimenti. Purtroppo non sono solo gli allevatori ad aver adottato metodi di alimentazione bovina innaturale. Questi metodi sono ormai stati adottati da tutti i centri istituzionali di genetica bovina in Italia. Pertanto i risultati ottenuti da questi centri con una impropria alimentazione non hanno alcun valore per gli agricoltori che allevano i propri animali secondo natura.

È interessante segnalare che l’errata alimentazione integrata con additivi chimici ha una influenza negativa sul comportamento intellettuale degli animali. Infatti i bovini costruiti artificialmente sono in uno stato permanente di torpore, quasi in uno stato di demenza. Bisogna sapere che il bovino che vive naturalmente è un animale molto intelligente e curioso. Dopo tanti anni di osservazione quotidiana sui miei animali, posso dire che la loro intelligenza è sempre in evoluzione. Ritengo che i bovini odierni, che vivono liberi in strutture adeguate, abbiano un’intelligenza alquanto superiore ai loro simili di sessant’anni fa, quando erano costretti a vivere in totale prigionia. Ho notato che comunicano tra loro mediante particolari suoni e grugniti. Altri avvisi acustici emettono, per comunicare con le persone che si prendono cura di loro, quando c’è qualche problema, come l’inquinamento dell’acqua prodotto da deiezioni, o quando un vitellino sfugge al controllo della madre, o quando un animale rimane bloccato in posizione scomoda, o quando un foraggio non è gradito ecc.

Voglio qui riportare un aneddoto che la dice lunga sull’intelligenza bovina. La mia azienda è situata in un territorio che, durante l’estate, per il passato, era flagellato da massicce invasioni di zanzare che attaccavano uomini e animali. Gli uomini si salvavano rifugiandosi nelle abitazioni ma per i bovini era un inferno. Con la coda scacciavano gli insetti fin dove questa arrivava, ma sulla schiena in prossimità del collo gli animali erano privi di qualsiasi difesa. Un giorno vedo una vacca che con la bocca raccoglie del fieno molto lungo e poi lo passa sulla schiena per scacciare le zanzare. Quell’esempio fu in seguito adottato da altri animali che poi col tempo insegnarono ai discendenti quella tecnica per difendersi dalle zanzare. Questo episodio fa capire che anche gli animali sanno con intelligenza adeguarsi alle situazioni ostili degli ambienti in cui vivono.

Ora veniamo all’argomento carne che vede coinvolti in primis gli allevatori e di riflesso i consumatori. Lo scrivente, frequentando da 25 anni i macelli, si è fatto una cultura straordinaria sulle carni artificiali e naturali. Cominciamo col dire che su 100 bovini macellati 99 sono stati allevati artificialmente. Le carni naturali sono solo l’1%. Questo perché? La risposta è semplice. Gli allevatori sono stati convinti da incompetenti informatori che gli animali allevati con mangimi complessi diano sia da vivi che alla macellazione una resa nettamente superiore a quelli allevati a erba.

Se le rese fossero così eclatanti come propagandato, perché nelle macellerie le carni vendute ai consumatori sono così care rispetto alla cifra percepita dagli agricoltori con la vendita del vivo? Qualcuno potrebbe ipotizzare che i macellai vogliano guadagnare troppo. Non è così. Bisogna assiduamente frequentare i macelli per capire che la colpa è purtroppo degli allevatori che da decenni alimentano i bovini in maniera errata. Quando i loro nonni vendevano un vitellone, che allora era alimentato naturalmente, il prezzo della carne in macelleria era calcolato nel seguente modo: calo naturale da macellazione, spese di macellazione e lavorazione carne, utili d’impresa.

Oggi invece, a causa dei gravi errori commessi nell’alimentazione dei bovini, il calo naturale e le spese di lavorazione delle carni sono raddoppiate. In più vanno aggiunte notevoli spese per smaltimento rifiuti speciali, che sessant’anni fa non esistevano. È doveroso dare una precisa spiegazione. Come si sa, i bovini sono animali erbivori, cioè si alimentano con sostanza verde, ma oggi per gli ingrassatori la parola erbivoro è sconosciuta. Conoscono solo la frase: alimentazione secca e mangimi secchi complessi. Credono che mettendo a disposizione degli animali acqua a volontà si creino le stesse condizioni del nutrimento verde. Grave errore, perché il bovino, anche a causa dei sali e altre sostanze contenute nelle razioni, è invogliato a bere un quantitativo di acqua molto superiore a quello necessario per l’idratazione della sostanza secca.

Questo porta a un notevole accumulo di acqua nei tessuti che appaiono piuttosto turgidi. Quando l’animale viene macellato, nella fase di raffreddamento della carcassa rilascia decine di litri di acqua che vanno ad aumentare il calo normale da macellazione. Il bovino allevato al naturale invece ne rilascia 4 o 5 litri. Da esperimenti che nell’arco degli anni ho condotto, risulta che un bovino adulto alimentato a sostanza verde, in condizioni climatiche normali, praticamente non sente la necessità di bere. E nel periodo estivo, quando il caldo è forte, al massimo beve 25 o 30 litri di acqua al giorno per compensare la sudorazione. Invece un bovino alimentato  con razioni secche, quotidianamente beve tra i 50 e 60 litri che nella stagione estiva arrivano a 80 litri e oltre.

Ma è nella lavorazione delle carni delle mezzene – ognuna delle due parti in cui viene diviso, nel senso della lunghezza, un animale macellato – dei bovini allevati artificialmente che si riscontrano ingenti spese di manodopera e notevoli cali di sostanza da immettere sul mercato. Bisogna sapere che la carne proveniente da quelle mezzene, per poter essere presentabile per i consumatori, deve essere preventivamente sgrassata, operazione che non avviene sulle mezzene degli animali allevati naturalmente perché il grasso è quasi inesistente.

Questa prerogativa fa sì che le carni naturali non si deteriorino facilmente, come invece avviene per quelle costruite. Resistono molto all’ossidazione, mantenendo la normale colorazione, mentre le altre in poco tempo dalla lavorazione assumono colorazioni negative per la presentazione agli acquirenti.

Un’altra interessante particolarità è quella di conservarsi nei congelatori per molti anni senza perdere le caratteristiche organolettiche, mantenendo la colorazione naturale. Quando vengono scongelate, resistono in frigorifero all’ossidazione per circa una settimana.

Le operazioni di sgrassatura sono imputabili agli allevatori che alimentano i bovini con prodotti che vengono dagli animali trasformati in grassi anziché in carne. Come ho già riferito in precedenza, il prodotto colpevole al 90% dell’ingrassamento eccessivo dei ruminanti è il mais ibrido dentato che gli agricoltori impiegano in grandi quantità,con ostinazione, nell’allevamento degli animali. Ma nonostante si cerchi di eliminare più grasso possibile, le carni artificiali ne contengono al loro interno ancora notevoli quantità che entrano nell’alimentazione umana. L’accumulo nei macelli di enormi quantità di grassi ha portato alla formulazione di leggi per lo smaltimento. Per legge il grasso è un rifiuto speciale e come tale deve essere smaltito a carico dei macellatori. Qualcuno potrebbe pensare che queste onerose operazioni di sgrassamento siano fatte in funzione della tutela della salute dei consumatori. La verità è un’altra. Nella catena alimentare il grasso esce dalla porta e entra dalla finestra.

La spiegazione non è così sibillina. I macellai si vedono costretti a pulire le carni dalle materie grasse perché, se non lo facessero, non ne venderebbero un grammo. Le ingenti quantità di grassi che si accumulano nei macelli vengono raccolte da ditte autorizzate al trasporto di rifiuti prodotti dalle macellazioni e convogliati in stabilimenti costruiti ad hoc dove queste materie grasse vengono lavorate, raffinate, stabilizzate con procedimenti chimici per poterle immettere nella catena alimentare umana e animale. Ormai sono decenni che la cosa va avanti e, come si dice, occhio non vede cuore non duole, naturalmente con le relative autorizzazioni di legge rilasciate dalle Istituzioni preposte alla tutela della salute.

Ora voglio fornire un dato che potrà far riflettere gli allevatori che adottano le moderne tecniche di ingrasso. Una mezzena di 100 kg di un bovino allevato naturalmente fornisce 80 kg di carne da vendere, una mezzena di 100 kg di un bovino allevato artificialmente ne fornisce 60 kg. Ma quello che nessuno sa è la resistenza dei due tipi di carne alla cottura. Gli 80 kg pesati dopo la cottura sono calati del 25%, quindi 60 kg di carne cotta. I 60 kg di carne artificiale pesati dopo la cottura sono calati del 50%, quindi 30 kg di carne cotta. Ricordo che l’esperimento è stato eseguito con carni di razza piemontese, una delle migliori a livello mondiale.

Si evince pertanto che il voler andare contro natura è dannoso per tutti: macellatori, allevatori, consumatori. Ma è l’utilizzatore finale il più danneggiato economicamente, perché nel piatto trova solo la metà della carne che ha acquistato. Probabilmente gli allevatori non sanno che per arrivare a produrre carni con simili risultati si spende il doppio di quanto è necessario per produrre carni naturali.

Oggi a causa della crisi economica, destinata a durare a lungo, ma sopratutto a causa del mercato globalizzato, la bovinicoltura da carne intensiva italiana è destinata sicuramente al ridimensionamento. Gli allevatori italiani in nessun modo potranno mai competere col mercato internazionale che fa arrivare in Italia carni a meno della metà del prezzo di produzione di quelle nazionali. La zootecnia italiana, se vorrà salvarsi, dovrà abbandonare il concetto di quantità e ritornare alla qualità dei tempi passati, quando la carne consumata con moderazione non procurava allarmi alla salute dei consumatori, a differenza delle statistiche odierne verso il consumo di carni costruite artificialmente.

Le ricerche e le analisi sulle carni, finora ampiamente divulgate, sono state eseguite partendo da carni manipolate dall’uomo odierno che vive nella così detta era tecnologica. Si è voluto far credere agli ignari consumatori che non vi è possibilità di scelta sulle carni: o si acquistano quelle che il commercio globale mette in vendita o si rinuncia.

Per particolari interessi economici, non sono mai state divulgate sugli organi di informazione pubblica le ricerche sulle carni naturali che invece in passato sono state eseguite e comparate alle carni artificialmente prodotte. È stato appurato che i bovini e gli altri animali di interesse zootecnico, allevati come natura comanda, producono carni, latte, burro, formaggi ecc. ricchi di acidi grassi omega 3, vale a dire gli omega 3 dell’erba passano in tali prodotti. Gli animali in allevamento intensivo sono invece mantenuti quasi esclusivamente con grandi quantità di mais e soia che sono privi di omega 3 ma ricchissimi di omega 6. Tanto gli omega 3 quanto gli omega 6 sono detti acidi grassi essenziali in quanto non possono essere prodotti dall’organismo. Gli animali che mangiano erba forniscono carne, latte ecc. perfettamente bilanciati tra omega 3 e omega 6,vale a dire 1 a 1. Se invece sono alimentati a mais, soia, abbiamo uno squilibrio che può raggiungere il livello di 1 a 40. Gli omega 3 limitano la formazione di cellule adipose, quindi alimenti magri, gli omega 6 stimolano la formazione di cellule adipose e favoriscono l’accumulo di grasso nocivo per gli animali e per l’uomo.

Questo articolo vuole rappresentare la reale situazione della bovinicoltura italiana superintensiva, ma spesso la semplice verità non è credibile. Sarebbe ora che i consumatori smettessero di accettare tutto quello che passa il convento e si organizzassero in modo da tornare ad una alimentazione naturale.