Lessico


Venere - pianeta

Il secondo pianeta del sistema solare. Pur essendo il pianeta che più si approssima alla Terra (0,27 U.A., pari a ca. 40 milioni di chilometri), è stato anche, fino a pochi anni or sono, uno degli oggetti celesti più misteriosi.

Il disco telescopico di Venere – anche a motivo dell'elevatissimo splendore (il pianeta riflette il 69% della luce solare che l'investe) – solo con difficoltà offre visione di qualche dettaglio, il quale, tuttavia, fin dai tempi delle prime osservazioni di Giovanni Domenico Cassini (1666), venne giustamente attribuito a formazioni temporanee dell'atmosfera planetaria.

Nel 1890, G. Schiaparelli credette di stabilire in 225 giorni il periodo della rotazione assiale di Venere (sincrono a quello di rivoluzione); un dato che rimase condiviso dalla maggioranza dei planetologi fin verso la fine degli anni Sessanta. Venne infatti rilevata una circostanza dall'apparenza paradossale, poiché osservazioni nell'ultravioletto sembravano denotare un periodo rotazionale di 3-4 giorni, in assoluto contrasto con quello di 243 giorni denotato dalle prime prospezioni radar.

Poiché le osservazioni ottiche si riferivano ai livelli atmosferici del pianeta – impenetrabili a causa della densa coltre nuvolosa che li occupa permanentemente (e che è responsabile dell'elevata loro riflettività) – laddove quelle in radiofrequenza utilizzavano gli echi riflessi dalla superficie solida, ne derivava che il corpo planetario godeva di una durata del “giorno” più lunga di quella annua; motivo per cui dalla superficie venusiana il Sole, se fosse visibile, sorgerebbe a W per tramontare a E.

 Dal canto suo, l'involucro aereo (o almeno i suoi strati superiori) viene trascinato dalle correnti con velocità 60 volte superiori. In concomitanza con i primi rilevamenti radar, nel 1962 ha avuto inizio l'esplorazione spaziale di Venere con le sonde sovietiche della classe Venera, le quali alla fine del 1983 annoveravano ben 22 missioni; le due sonde gemelle Vega (dicembre 1985) vi hanno sganciato moduli di atterraggio e palloni sonda.

Per la presenza della spessa coltre di nubi, la superficie di Venere è osservabile solo da veicoli che vi atterrino sopra o mediante scansione con onde radar. Le prime fotografie della superficie di Venere sono state inviate alla Terra dalle sonde Venera 9 e Venera 10. La prima carta abbastanza dettagliata del 93% della superficie di Venere è stata realizzata con le apparecchiature radar del veicolo statunitense Pioneer 12, messo in orbita attorno al pianeta il 4 dicembre 1978.

Due sonde sovietiche, Venera 15 e Venera 16, entrate in orbita attorno a Venere verso la metà dell'ottobre 1983, hanno realizzato una mappa radar con una risoluzione molto migliore della precedente, particolarmente dell'emisfero nord. Questo tipo di ricognizione ha comunque raggiunto le migliori definizioni spaziali (solo poche decine di km) grazie ai ripetuti scandagli da parte del modulo orbitante della missione N.A.S.A. Pioneer-Venus e della Magellano.

I dati oggi disponibili sull'atmosfera di Venere dimostrano che si tratta di una miscela gassosa composta per il 96% di CO2 e per il 4% circa di azoto N2: in tracce, sono presenti ossigeno molecolare O2, ossido di carbonio CO, vapor acqueo H2O (0,005%) e, in maggior percentuale, biossido di zolfo SO2 (0,02%). Argo e kripton sono anch'essi rilevabili.

Il limite superiore dell'atmosfera venusiana si pone a 115 km sul livello medio del suolo. A quelle quote, gli effetti fotochimici della radiazione solare producono una nebbia di goccioline (aerosol) d'acqua e di acidi (fluoridrico, cloridrico, solforico), che si raccolgono ai livelli inferiori. La nebbia diviene progressivamente opaca alla luce solare, fino a dar luogo (a ca. 80 km di quota) a una coltre di nubi color giallastro che sprofonda per 40-50 km e assorbe in modo completo la luce diretta del Sole, riflettendo verso l'esterno buona parte dell'ultravioletto.

Appunto, è solo in questa banda elettromagnetica che le sonde hanno rivelato le immagini delle formazioni nuvolose e della loro caratteristica disposizione a forma di Y, coricata sul piano equatoriale, le cui braccia appaiono divergere dal punto subsolare. Alla sommità delle nubi, la pressione e le temperature registrate dalle sonde che vi sono penetrate si aggirano rispettivamente sui 200 millibar e sui -40 ºC. È a questi livelli che sono state registrate le correnti aeree di 360 km/h alle quali va imputata la rapidissima rotazione generale delle nubi: essi delimitano una specie di stratosfera superiore rispetto alla troposfera sottostante.

Alla base di quest'ultima (e della coltre di nubi), le correnti si riducono a 120 km/h, per scendere rapidamente fino a 10-12 km orari al suolo. Pressione e temperatura aumentano di pari passo, fino a raggiungere le 7 atm e i 200 ºC a 30 km di quota, e 92 atm e 465 ºC, in media, a quota zero.

Lo strato aereo adiacente al suolo si presenta privo di nubi e perfettamente trasparente: esso contiene i tre quarti della massa atmosferica del pianeta e produce, verosimilmente, imponenti fenomeni di miraggi ottici a causa dell'estrema sua densità.

Il regime termico oltremodo elevato dell'ambiente venusiano fu per la prima volta registrato da C. Mayer (1958), che ne esaminò la radiazione termica dissipata sulla lunghezza d'onda di 3,15 m: l'enorme tasso di calore accumulato è conseguenza dell'imponente “effetto serra” sviluppatosi su scala planetaria. In realtà, l'intrappolamento della radiazione termica riemessa dal pianeta per effetto del riscaldamento da parte del Sole – al quale Venere è tanto più vicino che la Terra – non è apparso riconducibile alla sola presenza di CO2 (il quale agirebbe soltanto per il 55%), bensì anche a quella delle componenti nuvolose (acido solforico e cloridrico).

In ogni caso, l'eccessivo surriscaldamento è conseguenza dell'instabilità della molecola dell'acqua (i cui componenti vengono dissociati dall'azione fotochimica solare) e, quindi, dell'impossibilità che si formino e permangano bacini oceanici entro i quali l'eccesso di anidride carbonica aerea (e delle altre componenti molecolari) potrebbe disciogliersi, sottraendosi al contenuto atmosferico.