Vol. 1° -  IV.2.

Il primo uccello domestico

Si rende necessaria una premessa se vogliamo affrontare un argomento che ha quasi il sapore di polemica. Per ragioni di chiarezza sarò schematico, anche se di norma preferisco il metodo discorsivo.

Colombo: nome di vari uccelli appartenenti all’ordine dei Columbiformi e alla famiglia Columbidi, talora usato come sinonimo di piccione.

Colomba: femmina del colombo.

Filippo Capponi: l’origine della forma latina columba e della voce greca kólymbos è comune: probabile è la radice kel- scuro (vedi il greco kelainós) per cui columba e columbus indicherebbero un uccello grigio, scuro. Il nome Columba usato dagli antichi autori latini non indica soltanto forme o varietà domestiche, ma anche le sottospecie selvatiche come il Colombaccio, Columba palumbus palumbus L., il Piccione selvatico e il Colombo torraiolo, che è la varietà semidomestica.

Piccione: nome con cui vengono designati sia il piccione selvatico, Columba livia livia Gmelin, 1789, appartenente ai Columbidi, sia le razze domestiche derivate da questo. Piccione è anche sinonimo di colombo. Il nome sarebbe di origine onomatopeica, dal latino tardo pipio -onis, a sua volta da pipiare, cioè pigolare.

Tortora: il latino turtur è voce onomatopeica che esprime fonicamente il richiamo della sottospecie Streptopelia turtur turtur L.. La Tortora comune, Streptopelia turtur, è simile a un colombo di conformazione allungata, con coda graduata nera a bordi bianchi; lunga poco più di 25 cm, ha il piumaggio superiormente rossastro, con il centro delle piume nero; gli occhi sono orlati di rosso. È diffusa in Europa e in Asia occidentale da dove, verso l'autunno, migra in Africa; vive in gruppi nelle zone boscose nutrendosi di semi, germogli e piccoli invertebrati.

Abbiamo fatto questa premessa in quanto non possiamo soprassedere all’addomesticamento del piccione, non certo per curiosità storica, quanto per ragioni campanilistiche. Da taluni il colombo è ritenuto l’uccello che superò tutti gli altri in quanto a precocità di convivenza con l’uomo. Le notizie in proposito, sia bibliche sia della letteratura profana, sono oltremodo abbondanti, senza contare che documenti mesopotamici del 3000 aC rappresentano dei colombi sacri destinati ad Ishtar, dea dell’amore, della fecondità e della prostituzione sacra.

C’è chi attribuisce queste rappresentazioni del 3000 aC alla dea Astarte. Cerchiamo di capire perché quest’affermazione non è del tutto corretta. Astarte, in ugaritico 'ttrt, è una divinità femminile siro-palestinese attestata dalla prima metà del II millennio aC. La corrispondenza etimologica con l'accadica Ishtar e con il sudarabico 'ttr mostra che la dea Astarte discende dal comune fondo semitico. Sarebbe pertanto più corretto parlare di colombi sacri destinati a Ishtar, meglio ancora, di colombi sacri destinati a Nana in quanto la più antica apparizione nella mitologia mesopotamica di Ishtar è rappresentata da Nana, dea della vita e della natura, in tutto equivalente a Ishtar e poi ad Astarte. Nana era venerata a Uruk, nella Babilonia meridionale, dove sorgeva il suo tempio fondato intorno al 3000 aC. Pertanto, Nana generò Ishtar, Ishtar generò Astarte che in Grecia si trasformò in Afrodite e quindi in Venere a Roma.

Sia Ishtar che Astarte, dee dell’amore e della voluttà, ebbero per emblema la colomba, per cui, ecco il ruolo rivestito da quest’uccello nella leggenda di Semiramide. Infatti furono le colombe a nutrire la futura regina di Babilonia durante i primi anni di vita, che si trasformò in colomba sacra quando cedette il trono al figlio Ninia. Dietro la figura leggendaria di Semiramide sembra celarsi la principessa babilonese Shammuramat (moglie del re assiro Samsi-Adad V), che fu reggente dall'810 all'805 aC in nome del figlio Adad-nirari III.

I sostenitori del primato di domesticazione della colomba citano a suo favore anche il diluvio universale. Credo valga la pena di riportare, ovviamente in forma condensata, sia il testo biblico che quello della tavola XI del poema di Gilgamesh, la meglio conservata di tutta la serie composta da 12 tavole in caratteri cuneiformi, che narra del diluvio, uno degli avvenimenti più importanti dell’età leggendaria della Caldea.

Gilgamesh è l'eroe più famoso della mitologia mesopotamica; il suo mito è stato fissato in forma di poema nell'Epopea di Gilgamesh, giunta a noi in redazioni diverse e in frammenti di varia epoca: i testi più antichi sono del III millennio aC e in lingua sumerica; i più recenti sono traduzioni semitiche (babilonesi e assire) ma non prive di una loro creatività e indipendenza dall'originale. Gilgamesh, re di Uruk, è legato da amicizia a Enkidu, altro valoroso eroe. I due lottano per l'immortalità, ma si tratta di un'immortalità ancora intesa in senso eroico, che consiste nel compiere imprese la cui fama sopravviva alla breve permanenza su questa terra. Enkidu muore e Gilgamesh, affranto dal dolore, vorrebbe riportarlo in vita. Gli si pone così il problema dell'immortalità in senso concreto, ossia come fare per continuare a vivere. Si mette perciò alla ricerca dell'unico uomo sfuggito alla morte: Utnapishtim [1] , scampato al diluvio con tutta la famiglia.

La narrazione è fatta dallo stesso Utnapishtim, re di Suruppak [2] , il quale, oltre ad essersi salvato dal diluvio, aveva conseguito l'immortalità e viveva su un’isola misteriosa, lontano dal mondo degli uomini. Lì lo raggiunse Gilgamesh per farsi svelare il segreto della vita eterna.

Testo biblico del diluvio universale

Allora Iddio disse a Noè: la fine di ogni mortale è giunta dinanzi a me, perché la terra è piena di violenza. Fatti un’arca di legno resinoso, falla a celle e spalmala di bitume di dentro e di fuori. Ecco di quali dimensioni la devi costruire: la lunghezza dell’arca dovrà essere 300 cubiti [3] , la larghezza 50, e l’altezza 30.

Noè così fece ed eseguì tutto quello che Dio gli aveva comandato. Poi il Signore disse a Noè: entra nell’arca tu con tutta la tua famiglia, perché ti ho riconosciuto giusto nel mio cospetto in mezzo a questa generazione. Di tutti gli animali puri prendine 7 paia, maschio e femmina; e degli animali impuri un paio, il maschio e la sua femmina.

Noè aveva 600 anni quando venne il diluvio, che continuò sulla terra per 40 giorni, e le acque rimasero alte sopra la terra per 150 giorni. Le acque andarono ritirandosi a poco a poco dalla terra e passati 150 giorni cominciarono a scemare. Al 17 del settimo mese l’arca si fermò sulle montagne dell’Ararat [4] e le acque continuarono a scemare fino al decimo mese. Il primo giorno del decimo mese apparvero le vette dei monti.

Trascorsi ancora 40 giorni Noè aprì la finestra che aveva fatto nell’arca e mandò fuori il corvo [5] , il quale uscì, andando e tornando, finché le acque non si furono prosciugate sulla terra.

Dopo mandò fuori la colomba, per vedere se le acque fossero diminuite sulla superficie della terra. Ma la colomba, non trovando dove posare la pianta del piede, tornò da lui nell’arca, perché vi erano ancora delle acque sulla superficie di tutta la terra; ed egli stese la mano, la prese e l’accolse con sé nell’arca. Aspettò ancora 7 giorni, poi fece uscire di nuovo dall’arca la colomba, la quale tornò da lui verso sera; ed ecco, essa aveva nel becco una foglia fresca d’ulivo. Noè comprese allora che le acque erano diminuite sopra la terra. Tuttavia aspettò ancora altri 7 giorni, poi mandò fuori la colomba, ma essa non tornò più da lui.

L’anno 601 di Noè le acque si erano prosciugate sulla terra e Noè scoperchiò l’arca, guardò ed ecco che la superficie della terra era asciutta.

Testo del diluvio universale dall’Epopea di Gilgamesh

Suruppak, la città che tu, Gilgamesh, conosci, giacente sulla riva dell’Eufrate, questa città era già antica quando gli dei, che in essa tengono loro stanza, il loro cuore li spinse a suscitare il diluvio. Il maestro della saggezza, Ea, mi fece sapere: uomo di Suruppak, fabbrica una casa, costruisci una nave, salva la vita e porta tutti i semi della vita sulla nave. Della nave che tu devi costruire siano esattamente misurate le proporzioni, poi lanciala in mare. Io intesi e dissi ad Ea: quello che tu, così, o mio signore comandi, io terrò in gran conto ed eseguirò. Ea aggiunse: colui che manda la pioggia una sera farà cadere sopra di voi una pioggia formidabile; al primo apparire dell’aurora comincerà il diluvio nel quale troveranno la morte tutti gli esseri.
Attesi alla costruzione della nave: i fianchi misuravano 140 cubiti, la sua coperta aveva 140 cubiti di larghezza, tutte le commessure erano chiuse con pece e bitume. Di tutto ciò che io avevo in semi della vita d’ogni genere, la riempii; feci salire sulla nave tutta la mia famiglia e la mia servitù, bestiame dei campi, bestie selvagge dei campi, i costruttori dell’arca: tutti insieme io feci salire dentro.
Colui che manda la pioggia fece cadere durante la notte una pioggia formidabile. Prima dello spuntar del giorno io tremavo, il giorno io avevo paura di vederlo; entrai nella nave e chiusi la mia porta.
Al primo apparir dell’aurora salì dalle fondamenta del cielo una nera nube. Un giorno intero imperversò l’uragano e le acque soverchiarono i monti. Sei giorni e sei notti il vento infuriò, il diluvio e la tempesta imperversarono. Al sopraggiungere del settimo giorno l’uragano rallentò, cessò il diluvio, il mare rientrò nelle sue rive, la procella svanì, il diluvio ebbe termine.
Io spinsi lo sguardo sul mare e feci sentire alta la mia voce; ma tutti gli uomini erano di nuovo diventati terra, monti e piani non si distinguevano più gli uni dagli altri.
Io aprii lo spiraglio e la luce cadde sulle mie guance; mi curvai su me stesso, mi accasciai, piansi, e le mie lacrime corsero giù per le mie guance, come io vidi il mondo tutto terrore e mare.
Dopo 12 giorni un lembo di terra emerse dalle acque; la nave toccò fondo nel paese di Nisir. Il monte [6] del paese di Nisir trattenne la nave e non la lasciò più galleggiare.
Allo spuntare del settimo giorno feci uscire una colomba e la lasciai libera. La colomba volò qua e là, ma poiché non c’era luogo ove posarsi ritornò. Poi feci uscire una rondine e la lasciai libera. La rondine volò qua e là, ma poiché non c’era luogo ove posarsi ritornò. Poi feci uscire un corvo e lo lasciai libero. Il corvo volò via, vide che le acque si erano abbassate, si ravvicinò alla nave battendo le ali e gracchiando, ma non ritornò. Allora io lasciai uscire tutti gli abitanti dell’arca ai quattro venti e offrii un sacrificio agli dei.

Preferisco nettamente il racconto di Utnapishtim, molto più incisivo. Inoltre, il suo diluvio si svolge in un lasso di tempo ragionevole, mentre la durata biblica dell’evento oltre ad essere troppo schematica è eccessiva, implicando una tale abbondanza di viveri che, a quei tempi, solo parecchi raccolti erano in grado di fornire. Abitare un anno intero sull’arca non è cosa da poco. Lascio ad altri il compito di verificare se per caso Noè non avesse problemi di stoccaggio delle derrate alimentari, in quanto mi permetto di far notare che il fieno occupa parecchio spazio.

La sequenza degli animali liberati da Utnapishtim è più lineare, e molto più naturale è il loro comportamento. Da notare che il suo corvo e la sua rondine dovevano essere domestici al pari della sua colomba, e il corvo forse li superava entrambi, in quanto tornò gracchiando e sbattendo le ali come per annunciare che finalmente si poteva scendere a terra. Invece il corvo di Noè sembra la tessera di un collage, messa lì senza un significato preciso e solo in ossequio alla tradizione. Se il corvo viene umanizzato da Utnapishtim, a quello biblico spetta lo stesso destino, in quanto ha tutta l’aria di un profittatore, il cui andirivieni ricorda quello di quei figli che rincasano solo per mangiare e dormire, senza aprir mai bocca.

Lasciamo da parte queste idee peregrine e veniamo al dunque: la colomba di Noè fece ritorno all’arca mentre poteva benissimo non farlo, visto che il maltempo era cessato. Ciò dovrebbe deporre per un animale che aveva perso il timore dell’uomo.

L’argomentazione del diluvio, sfruttata da una frangia di colombofili, mostra un punto debole, vulnerabile quanto il tallone d’Achille, in quanto non è la forma del racconto ad avere significato, bensì il suo contenuto. Monsignor Enrico Galbiati, in Secoli sul Mondo, ci spiega che l’evento del diluvio universale, come altri avvenimenti della preistoria biblica, fu reale e tale da giustificarne l’insegnamento religioso, centrato sulla punizione collettiva e sulla salvezza di qualcuno capace di realizzare i disegni di Dio. Quindi, la narrazione della catastrofe deve raggiungere questo scopo e null’altro. Il rimanente fa parte di abbellimenti e fronzoli che servono solo ad inculcare ciò che Dio pretende da noi.

Come testimonia l'Epopea di Gilgamesh, un racconto del diluvio era diffusissimo in Mesopotamia, e diversi testi, sia sumerici che accadici, l’hanno tramandato. Quindi, l’autore del racconto biblico, conoscendo la tradizione del diluvio attraverso narrazioni fissate ormai da secoli in uno schema artistico e drammatico, conservò tale modulo pur di insegnare al popolo eletto che bisogna rigare dritti se si vuole meritare l’amore di Dio.

La storia del popolo eletto ha inizio solo con Abramo, poiché la Bibbia presenta i suoi avi come politeisti. Di conseguenza, tutto quanto riguarda gli avvenimenti che precedono Abramo non costituiscono una storia di famiglia gelosamente custodita e trasmessa, come accade per il resto della Genesi, ma è un insieme di elementi che gli Israeliti presero a prestito da altri popoli. Perciò, i dati riferiti hanno una minore garanzia per quanto riguarda i singoli avvenimenti, i nomi, le genealogie e, forse, anche i vari animali.

Buon per noi, tifosi del pollo, che in Italia non esistono tanti anatrofili quanti sono i colombofili. Perché? Innanzitutto, perché di una sommersione temporanea della terra non si parla solo nella Bibbia. Ne parlano antiche tradizioni sia del mondo classico che dei popoli orientali e primitivi; essa non si verificò ovunque, per cui non può essere considerata una leggenda comune a tutta l’umanità.

Infatti, le leggende del diluvio vengono tramandate nelle regioni fluviali e costiere esposte alle inondazioni, come Mesopotamia e rive del Nilo, sul litorale della Grecia e dell’Europa del nord, nel Pacifico meridionale e in molti punti dell’America, anche del Sud, specialmente presso i grandi fiumi, ben poco invece nel resto dell’Africa. A voler essere precisi, le leggende possono essere così classificate: Babilonia, Bibbia, Egitto, India ed Estremo Oriente, Americhe, Grecia, Europa settentrionale.

Ymir appartiene al mito germanico e non è il caso di farne la genealogia. Viene narrato che nel sangue di Ymir, che era servito per generare il mare, morirono affogati tutti i giganti della prima generazione meno Bergelmir e sua moglie, che si erano salvati su di un ludhr. Cosa fosse questo ludhr hanno discusso non poco germanisti e archeologi. Infatti, il vocabolo ha molteplici significati: tronco cavo, imbarcazione, cesto, bara, arca, corno da guerra. Ognuno di questi oggetti potrebbe inserirsi a pennello nella vicenda, per cui la scelta del significato rimane difficile.

I Maya dello Yucatán settentrionale credono tuttora che siano esistiti tre mondi diversi prima dell’attuale. Il primo sarebbe stato abitato da nani, creatori delle prime città. Distrutto il primo mondo da una valanga d’acqua sopra la Terra, il secondo mondo avrebbe visto il trionfo delle stirpi guerriere e anch’esse sarebbero state decimate da un diluvio. Seguì il mondo di coloro che erano uomini nel senso pieno della parola e di costoro i Maya si ritenevano e si ritengono la parte più intera e rappresentativa. Il mondo degli uomini, i mazehualob, sarebbe stato frantumato anch’esso dalle acque, non più cadute dal cielo, bensì per innalzamento dei mari e conseguente sommersione delle terre. Infine, sarebbe nato il mondo attuale, inestricabile mistura dei precedenti tre mondi e dei loro popoli, ma anch’esso destinato a perire a causa di un nuovo diluvio e della lotta finale tra gli dèi del bene e del male.

Manu, uomo prototipo, nell’antica mitologia indiana è il progenitore del genere umano. Il nome Manu viene attribuito a quattordici successivi progenitori e sovrani della terra, i quali hanno governato o governeranno per un lunghissimo periodo di tempo, detto manvantara, cioè età di un Manu, ciclo cosmico della durata di 4.320.000 anni. Il primo progenitore fu denominato Svayambhuva, l’Esistente per se stesso, e rappresenta una specie di creatore secondario in quanto viene dopo Brahma che è il dio creatore per eccellenza. Il progenitore dell’attuale umanità fu il settimo Manu della serie, chiamato Vaivasvata, Nato dal Sole, legislatore primordiale della civiltà indiana attraverso il Codice di Manu (Manavadharmaçâstras o Manusmrti). È a lui che si riallaccia la leggenda del diluvio verificatosi in India, dal quale scampò su un'imbarcazione che lui stesso aveva costruito, con l’aiuto di un pesce in cui la tradizione religiosa ravvisa l’incarnazione di Visnu o di Brahma.

E ora viene il bello. Si narra presso i Montagnais [7] del Nordamerica che l’uomo salvato dal diluvio, per poter saggiare il fondo delle acque, prima usò il castoro, quindi fu la volta della lontra, venne il turno del topo muschiato e, dulcis in fundo, lo scopo fu raggiunto con l’anatra. Quindi, fu l’anatra l’uccello ad essere addomesticato per primo. Lo fu in assoluto o solo nel territorio dei Montagnais? Credo che qualsivoglia commento sia superfluo.

Il racconto biblico e l’epopea di Gilgamesh, forse l’uno più dell’altra, hanno un piacevole sapore di favola e di leggenda. Altra cosa è la solidità del pensiero di Platone come scaturisce dai suoi Dialoghi, i quali, nel loro genere, sono il monumento più insigne che l’antichità ci abbia tramandato. Il Dialogo è la riproduzione fedele delle geniali conversazioni allora di moda in Atene, durante le quali si dibattevano problemi filosofici e politici, alle quali tutti si abbandonavano volentieri nei ginnasi, nelle piazze, sotto i portici, nei peristili dei templi, durante i banchetti, insomma, in ogni luogo di ritrovo e convegno.

Il Timeo ha come tema la natura e tramanda una conversazione che sarebbe avvenuta ad Atene nel 421 aC fra Socrate e taluni suoi discepoli. Uno di questi, Crizia, nipote di Solone, nel rifarsi a una precedente discussione di filosofia politica intorno al governo che si conviene alla città ideale, è indotto da Timeo e da Ermocrate a ripetere a Socrate l’antica storia già narrata agli amici e che aveva udito da suo nonno novantenne, anch’egli di nome Crizia, durante una festa della gioventù ateniese. Tale storia aveva come protagonista l’antenato Solone, che aveva avuto modo di recarsi in Egitto e di conoscervi numerosi sacerdoti. Ora avvenne che Solone, desideroso di spezzare una certa riservatezza dimostrata dai rappresentanti della casta sacerdotale della città di Sais...

«...una volta, volendo trascinarli nel discorso intorno alle antichità, cominciò a parlare di quelle cose, proseguiva Crizia, che da noi passano per antichissime, di quel primitivo Foroneo leggendario, e di Niobe, e dopo il diluvio ancora a favoleggiare di Deucalione e Pirra, come si erano salvati, e a fare la genealogia dei loro discendenti e, degli anni loro, quanti erano, per mezzo dei quali diceva che s’era provato di fare il computo cronologico. Ma uno dei sacerdoti, che era ben vecchio, gli disse:  
"O Solone, Solone, voi Greci siete sempre fanciulli, e un Greco vecchio non c’è."
E sentendo ciò: ‘Come mai mi dici questo?’ disse egli.
"Giovani siete, rispose, di anima tutti. Perocché non avete in essa udita alcuna antica opinione, né scienza che per il lungo tempo sia diventata canuta. E il perché di ciò è questo: molte volte e per molti modi avvennero sterminii di uomini e ne avverranno, per mezzo del fuoco e dell’acqua i maggiori, e per infinite altre cause altri più lievi...  
"...Le genealogie pertanto dei fatti nostri, o Solone, che ora ci stavi facendo, differiscono poco dalle favole dei fanciulli, poiché innanzitutto
voi non ricordate che un solo cataclisma della terra, mentre ve ne furono molti altri prima; e inoltre non sapete che nel paese vostro fu la gente migliore e più bella che mai sia stata al mondo a perire, dalla quale tu e tutta la vostra cittadinanza di adesso deriva essendosene salvato una volta un piccolo seme."...».

Forse, sia dalla Bibbia che dalla tradizione mesopotamica, nonché dai sacerdoti egiziani, possiamo dedurre che le glaciazioni e i periodi interglaciali sono effettivamente esistiti. Ma non possiamo sapere quando la colomba fu effettivamente addomesticata, in quanto non è noto a quale periodo interglaciale si riferisca il diluvio universale, se cioè quest’evento fosse antecedente o posteriore al Würmiano. L’Homo sapiens neanderthalensis, vissuto da 130.000 a 35.000 anni fa, conosceva l’incastro. Il penultimo periodo interglaciale seguì la glaciazione di Riss e occupò uno spazio di tempo che va da 119.000 a 76.000 anni fa. L’Homo sapiens sapiens, che venne alla luce durante l’ultimo periodo glaciale, quello di Würm, era più evoluto del suo diretto antenato, ma non vide fondere i ghiacci se non intorno al 10.000 aC.

Non è obbligatorio che il diluvio si sia scatenato durante una fase postglaciale, in quanto non si può escludere che l’arca di Noè altro non fosse che una delle imbarcazioni approntate dal popolo di Atlantide per sfuggire al grande subbuglio dovuto a un meteorite, previsto da tempo. Di questo evento sapevano qualcosa anche gli storiografi greci e dovrebbero saperne molto di più quei mammut [8] morti improvvisamente mentre brucavano erba nei pascoli siberiani, che alcuni millenni fa non erano desolati come adesso.

A questo proposito alcuni ricercatori appartenenti a varie discipline, coordinati da Alexander Tollmann dell'Università di Vienna, hanno potuto stabilire l'esistenza di prove geologiche che 7 frammenti principali di una cometa caddero sulla Terra circa 10.000 anni fa, causando l'estinzione di molte forme viventi, come appunto il mammut, quando la notte durò una settimana intera mentre un improvviso inverno si protrasse per tre anni. Tutti i risultati di decine di distinti metodi di datazione - su depositi geologici contenenti frammenti delle meteoriti, su alberi uccisi dagli impatti, su depositi fossili di pollini, su campioni di ghiaccio estratti dalle calotte glaciali - convergono nell'indicare che la catastrofe avvenne circa 9.600 anni fa, quando nell'emisfero boreale cadeva l'equinozio d'autunno e in quello australe iniziava una primavera che di colpo si tramutò in inverno.

La colomba, che nella nostra cultura esprime pace e serenità, potrebbe essere l’elemento mitologico più carico di simbolismo che l’autore biblico si è concesso, sfrondando invece tutto il racconto dagli elementi chiaramente fantastici.

Ma attenzione, mitologici sono senz’altro anche tutti gli altri animali presenti sull’arca, in quanto addomesticati tutti d’un colpo, si fa per dire, fatto possibile di certo, ma che avrebbe richiesto un’infinità di tempo e una tale dovizie d’uomini da superare di gran lunga gli animali salvati.

Solo reperti fossili o storici indiscutibili permetteranno al piccione di occupare il primo posto nella hit parade della domesticazione.

Come abbiamo detto, la preistoria non ha compiuto passi uguali in tutti gli angoli del mondo. Così, il Germano reale fu addomesticato in Europa occidentale a partire dal Medio Evo, mentre è noto che i Cinesi l’avevano fatto molto tempo prima. Le scoperte che provengono dalla preistoria non possono pertanto confermare un ordine di addomesticamento valido per tutti i popoli, e diventa quasi lapalissiano sottolineare ai colombofili italiani che il diluvio biblico si verificò in un’area che non era né il bacino Mediterraneo né l’Europa settentrionale, entro i cui confini è rinserrata l’Italia. Al massimo la Bibbia darebbe ragione ai colombofili di altre nazioni, ma neppure a costoro, e vedremo perché.

Se restiamo entro i suddetti confini italici, allora le cose volgono al peggio, poiché né il mito di Deucalione e Pirra [9] , e neppure quello di Dardano [10] parlano di colomba, tanto meno le leggende del diluvio che costituiscono il patrimonio dell’antico Egitto, del Mare del Nord e del Baltico. Anzi, in nessuno di questi racconti si fa il minimo cenno ad animali destinati a salvarsi con l’uomo.

È d’obbligo riservare le sorprese alla fine, altrimenti la lunga chiacchierata non avrebbe senso. Phyllis Glazer puntualizza che, in realtà, il testo biblico si riferisce probabilmente alla tortora, tor, un uccello selvatico con forti istinti migratori, che non è domestico come lo è il piccione comune, yonah.

Nelle traduzioni italiane della Bibbia il vocabolo tor, tortora, è quasi sempre tradotto con colomba: così, ad esempio, nel Cantico dei Cantici lo sposo dice alla sposa: I suoi occhi sono come colombe (5, 12) Aprimi amata mia, colomba mia (5, 2). Ma ciò è fuorviante.

Quindi, quella di Noè non era una colomba,
bensì una tortora.

 sommario 

 avanti 



[1] Utnapishtim, denominato Xisutro dallo storico caldeo Beroso (fine del IV sec. aC), fu l’ultimo di una dinastia di dieci re favolosi. Costoro, secondo Beroso, regnarono per un totale di 432.000 anni. Il primo monarca, Alulim, governò per ben 28.800 anni.

[2] Suruppak: antica città sumerica vicina all'odierna Farah, i cui ritrovamenti più antichi risalgono al periodo Gemdet Nasr (ca. 2800-2700 aC).

[3] Il cubito caldeo, di cui probabilmente si parla, era duplice: quello comune di circa 50 cm e quello reale di 55. Per la costruzione dell’arca pare sia stato usato quello comune, per cui risulterebbe lunga 150 m, larga 25, alta 15, con una superficie di 3750 m² e un volume di circa 56.000 m³.

[4] Secondo alcuni non si tratterebbe del Monte Ararat, in quanto la Bibbia vorrebbe solo indicare che l’arca si posò in Armenia, detta Ararat in ebraico. Ararat è un massiccio vulcanico della Turchia, nell'Anatolia orientale, al confine con l'Armenia e l'Iran. Morfologicamente è costituito da un enorme cono trachitico che si eleva al di sopra della piana di Dogubayazit, raggiungendo i 5.165 m nel Grande Ararat (in turco, Büyük Agri dagi), la più alta vetta del Paese, e i 3.925 m nel Piccolo Ararat (in turco, Kücük Agridag): esso conclude quella serie di vulcani che si susseguono in direzione SW-NE a N della linea di frattura in gran parte occupata dal lago Van. Nelle alte terre sottostanti sono stati individuati strati riferibili a un'epoca del Quaternario corrispondente a una fase climatica umida, forse il diluvio universale, lasciando emergente al di sopra delle acque l'Ararat, su cui si sarebbe arenata l'arca di Noè. Nonostante le segnalazioni di resti dell’arca risalenti già al II secolo dC ad opera di Abideno, le ricerche sull’Ararat sono state sempre infruttuose: si cimentarono gli Americani nel 1949 e i Francesi nel 1952.

[5] Il testo ebraico riferisce del corvo che andava e veniva, mentre, secondo la versione greca e l’attuale testo latino, il corvo uscì e non tornò mai più.

[6] Si tratta del Monte Nisir che si trova in Kurdistan, quella regione resa tristemente famosa dalla recente guerra del Golfo, situata in Asia Anteriore e compresa fra il Tauro orientale esterno, la catena degli Zagros e le alte vallate dei fiumi Tigri ed Eufrate.

[7] Montagnais: nome dato dai coloni francesi a una tribù affine ai Nascapi, che un tempo era stanziata fra il San Lorenzo, il San Maurizio, l'Atlantico e la baia di Hudson (Canada).

[8] Mammut: dal russo mamout, tramite il francese mammouth. Si tratta di un Proboscidato, Elephas primigenius, della famiglia Elefantidi, vissuto durante la fase fredda del Quaternario in tutta l'Europa e nell'America Settentrionale. Si è estinto 10.000 anni fa e ne sono stati trovati esemplari, completi delle parti molli, nei terreni ghiacciati della Siberia. Il corpo era ricoperto da una folta e lunga peluria e la testa presentava dimensioni più grandi di quelle del suo predecessore Elephas meridionalis. Somigliante all'elefante indiano, era alto alla spalla circa 3 m e possedeva lunghissime zanne fortemente ricurve.

[9] Deucalione e Pirra sono i protagonisti del mito greco del diluvio. Figlio di Prometeo e di Climene (o di Celeno), Deucalione viene risparmiato da Zeus che manda un diluvio per distruggere l'umanità vivente nell'Età del Bronzo. Egli si salva restando in arca per nove giorni con la sposa Pirra, fino alla riemersione delle terre. Il ripopolamento loro affidato avviene con un'azione magica consigliata dal dio Ermete: gettando sassi alle loro spalle, questi si trasformano in uomini o donne a seconda che siano stati lanciati da Deucalione o da Pirra. --- Il diluvio universale di Zeus e la colomba di Deucalione - Diluvio deriva dal latino diluvium, inondazione, a sua volta derivato dal verbo diluere: lavare, annacquare. La tradizione del diluvio universale è comune a tutti i popoli del mondo, con le caratteristiche fondamentali praticamente uguali nelle diverse leggende: collera della divinità per la malvagità degli uomini, salvataggio di un gruppo più o meno grande di persone, spesso con l’aiuto di una divinità, ripopolamento della terra per vie naturali o miracolose. La mitologia greca racconta che Zeus, nell'Età del Bronzo (epoca in cui gli uomini erano crudeli e sanguinari e trascorrevano la loro vita a uccidere ogni essere vivente che incontravano), disgustato dalla natura stessa dell'uomo, decise di cancellare l'umanità dalla terra allagandola tutta con un diluvio universale. Prometeo, amico del genere umano, avendo appreso dell'imminente diluvio che Zeus aveva deciso di scatenare sul mondo, corse da suo figlio Deucalione per avvertirlo di ciò che stava per accadere. Deucalione, che all'epoca era re della Tessaglia, costruì allora un'arca nella quale si rifugiò con la moglie Pirra prima che iniziasse il diluvio. Appena ebbero finito di costruirla iniziò il diluvio universale che implacabile spazzò ogni forma di vita sul pianeta abbattendosi per nove giorni e per nove notti. Il decimo giorno, cessata la pioggia, l'arca andò a posarsi sul monte Parnaso o, come altri dicono, sul monte Etna o sul monte Athos. Si dice che Deucalione fu rassicurato da una colomba che aveva mandato ad esplorare in volo la regione circostante. La prima cosa che fecero i due naufraghi, non appena misero piede sulla terra ferma, fu di offrire un sacrifico in onore di Zeus per ringraziarlo di averli salvati e andarono a pregare nel santuario di Temi presso il fiume Cefiso. Zeus, commosso, disse a Deucalione che avrebbe esaudito un suo desiderio. Costui, allora, chiese che la terra fosse ripopolata. La sua preghiera fu tanto accorata che Zeus consigliò a Deucalione di andare a Delfi per interpellare l'oracolo. Una volta presso l'oracolo, Deucalione lo interrogò, e questi gli consigliò di camminare al fianco di Pirra su di una pianura e di gettarsi alle spalle "le ossa dell'antica madre". Deucalione e Pirra, rispettivamente figli di Prometeo e Epimeteo, erano due anziani coniugi senza figli, scelti per salvarsi dal diluvio che sarebbe caduto sulla terra e per far rinascere l'umanità. Su ciò che avviene dopo il diluvio esistono due versioni, che comunque portano allo stesso epilogo. Secondo la versione di Igino Astronomo, nelle Fabulae (153) i due coniugi, come premio per la loro virtù, hanno diritto a un desiderio, ed essi chiedono di avere con loro altre persone; Zeus consiglia allora ai due superstiti di gettare pietre dietro la loro schiena, e queste non appena toccano terra si mutano in persone, in uomini quelle scagliate da Deucalione, in donne quelle scagliate da Pirra. Invece secondo il racconto di Ovidio (Metamorfosi I, vv. 347-415) l'idea di gettare pietre deriva da una profezia dell'oracolo di Temi, che indicava ai due di lanciare dietro di loro le ossa della loro madre: essi comprendono allora che l'oracolo si riferisce alla Terra. Il mito è spesso collocato nell'Epiro, sull'Etna o in Tessaglia. --- Con il nome di Igino Astronomo (... – ...) viene chiamato il mitografo romano, autore di due raccolte di leggende a noi pervenute con il solo nome di Igino (Hyginus) e che sono probabilmente assegnabili, per ragioni di lingua e stile, all'età degli Antonini (I-II secolo dC). A volte viene confuso con il bibliotecario augusteo Gaio Giulio Igino. Le opere sono: De astronomia o Astronomica, raccolta in quattro libri delle leggende mitologiche collegate agli astri. – Fabulae, raccolta delle narrazioni fondamentali del mito greco per cicli, in una sequenza di 277 racconti in cui l'erudito si accosta al mito con il rispetto del raccoglitore.

[10] Dardano, figlio di Zeus e di Elettra, era il mitico capostipite della dinastia di Troia, giunto da Samotracia nella Troade dopo un diluvio. Secondo la tradizione italica, che tende a stabilire rapporti ancestrali con Troia, sarebbe giunto a destinazione provenendo dalla città etrusca di Cortona.