GARIMPO


Dal 18 giugno al 5 luglio 1990 in un garimpo del Rio Madeira

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STATO DI RONDÔNIA  - BRASILE


Garimpo è parola brasiliana. Significa giacimento d’oro o di diamanti.

Però racchiude altri significati: è quasi sinonimo di una filosofia che, se per caso non abbraccia tutta la vita, senz’altro interessa un buon arco dell’esistenza. Per chi un po’ se ne intende, o per chi ha avuto la ventura di imbattersi in un documentario, garimpo significa vita dura, vita da cani, vita alienante, vita allucinante, dove unico miraggio è l’oro, o le pietre preziose.

Forse tutto questo è vero. Forse corrisponde solo in parte a realtà. Al garimpo bisogna viverci un po’. Quali siano effettivamente i suoi problemi si può dirlo solo dopo averne respirato l’aria per qualche giorno, ed essa non è sempre pesante e irrespirabile come si potrebbe credere. Si entra in un mondo in cui le dimensioni del tempo sono peculiari. La giornata non è scandita dalle lancette dell’orologio. Tutt’al più è misurata dal contaore del motore di una draga . Non certo dalla luce e dal buio.

Ma neppure dal contaore. Chi gestisce il tempo è l’oro.

Quando i tappeti, os carpetes, sono sazi di pagliuzze, allora cambia il tipo di attività. Tutto tace. Per poco tempo. Se si è soli sul fiume, si può allora percepire il fruscio della corrente, o il cozzo di un tronco sui galleggianti che reggono la draga, o il grido allegro e schiamazzante dei variopinti Ara .

Carpete, forse, è trasformazione della parola carpeta del Brasile del sud [1] . Carpeta è il tappeto verde con cui si coprono i tavoli da gioco; significa pure tavolo da gioco, bisca, gioco d’azzardo. Non è errato affermare che al garimpo si vive costantemente una situazione di questo tipo. Si tratta infatti di un’attività che ti dà le stesse ebbrezze e le stesse delusioni di una bisca.

Se invece fai parte di una fofoca, un assembramento di draghe, il silenzio cala solo sulla tua. Tutt’intorno i motori lavorano al massimo. Il tuo silenzio quasi ti infastidisce perché altre pagliuzze non possono raggiungere la luce del sole. A bordo la quiete non dura a lungo: poco dopo aver spento il motore della pompa succhiatutto, ecco entrare in azione il generatore d’elettricità per attivare la pompa sommersa e lavare la sabbia aurifera concentrata.

Giusto il tempo per cambiare i carpetes, e poi il 6 cilindri ricomincia a ruggire e a lottare con il greto del fiume, a strappare, fin dove è possibile, pagliuzza dopo pagliuzza: 18.000 per un grammo d’oro. Sembrano molecole, ma molecole non sono. Sono visibili dopo un certo allenamento, e i saggi sul flusso dell’oro sono indispensabili per sapere come affondare la lança. Il lungo tubo che convoglia in superficie le pagliuzze ha ricevuto il nome di lança e non si può negare che la draga sembri proprio un enorme guerriero armato, spesso vincitore, ma che talora vedi miseramente affondare nel tentativo di superare correnti impetuose.

Cuiar, vamos cuiar, dice il garimpeiro con il suo piatto concavo in mano . La cuia, che i nostri cercatori chiamano padella, è strumento indispensabile e usato a ogni piè sospinto. È mantenuta più pulita delle stoviglie. Con arte e pazienza il garimpeiro libera la cuia dalla sabbia e con occhio di falco individua le fagulhas - le scintille -: 2, 5, 8, 15.

Sono 15!

Allora la soddisfazione sale alle stelle, anche gli occhi si tingono del giallo della sabbia buona, del materiale che prorompe alla sommità dei piani inclinati sui quali sono distesi i tappeti. E avanti, per 10-15-20 ore, senza tregua. Se c’è tregua è per un guasto meccanico, per qualche cavo d’acciaio che si è impigliato nella punta rotante, l’abacaxi - l’ananas - , la punta che scava sempre più profondo finché il fiume non ha più nulla da dare. Allora è giunto il momento di cambiare postazione, è necessario fare un’altra ferita al già martoriato fondo di un fiume che vive la sua vita in modo indipendente dal garimpeiro.

Infatti il fiume si alza e si abbassa secondo le stagioni, trascina a valle tutto: alberi, mercurio, rifiuti umani e tecnologici, corpi senza vita. Questi sono uno degli argomenti dominanti nei racconti sul garimpo. Un colpo di una calibro 38 per oro, donne, rancori. Anche per nulla. E il fiume accetta tutto, ingoia tutto senza discutere.

Le donne al garimpo? Sì, sono le cuoche , quelle persone che in qualche modo accudiscono gente grezza che ha voluto dare l’addio a una società che era troppo stretta e vincolante. Avanzi di galera per lo più, si dice. Gente che non ha molto da perdere nella vita. Al garimpo nessuno li infastidisce, nessuno li cerca. La polizia interviene, nemmeno in modo esagerato, solo se ci scappa il morto.

Esistono due leggi al garimpo: una legge morale per la quale già sai cosa puoi aspettarti, e una legge economica. La legge morale può essere discutibile, ma quella economica dovrebbe riattivarsi qui da noi, per sanare i problemi di improduttività dei paesi industrializzati. È il sistema della libera assunzione e della libera dimissione da ambo le parti, della domanda e dell’offerta, della compartecipazione diretta sul ricavato.

La compartecipazione è psicologicamente utile e stimolante. Il 4% della dispescada è dell’operaio. In media sono quattro gli operai di una draga. Il 16% è per loro. Il rimanente è del proprietario che deve sostenere le spese di riparazione, di carburante, di vitto. Per l’alloggio basta un’amaca , o un pagliericcio, o il pavimento in legno. Non ci sono mobili da spolverare. Il corredo personale è inconsistente, contenuto al massimo in uno zainetto appeso a un chiodo. Tutti sanno che è un tipo di vita transitoria, il padrone sa che anche gli operai sono transitori. Oggi ci sono, domani il cast è completamente mutato. Le assenze dal lavoro per infortunio non esistono. Se la lesione è gravissima non è umanamente possibile arrivare in capo alla dispescada intrapresa. Altrimenti, ciascuno arranca sino alla fine del ciclo lavorativo, prende la sua quota e va a guarire.

Ma non bisogna credere che al garimpo si incontrino solo avanzi di galera. C’è gente fedele, gente magari fatta a suo modo che vuol gustare un pezzo di vita a contatto con una natura in parte contaminata, ma che, oltre le sponde del fiume, offre la foresta , una foresta coi fiocchi. C’è anche gente che in qualche modo vuole emergere da una situazione sociale precaria che i padroni politici cercano di imporre con scelte di potere e ricchezza personali.

Può essere facilissimo gestire una draga, ma ti può prendere lo scoraggiamento se l’oro è scarso, se la cucina si depaupera in breve delle provviste, se i guasti meccanici si susseguono rapidamente, se il fiume non vuol calare e lasciarti affondare la lança dove presumi di saturare rapidamente i carpetes. La musica non puoi ascoltarla, i discorsi sono fatti a voce alta per vincere quella dei motori, il sonno è una liberazione perché improvvisamente percepisci il silenzio.

Si dorme sulla draga, e si dorme anche profondamente. Tanto profondamente che, se cadi in acqua, nessuno sente le tue invocazioni soffocate dal motore.

Ogni tanto ti puoi concedere qualche svago: un giro d’ispezione lungo il fiume per sapere dove zampilla più oro, qualche battuta di pesca e di caccia. Non altro. Devi avere i nervi saldi e tanta pazienza per vivere questa vita sul fiume. Lo devi sentire amico, devi fartelo amico. Egli non perdona.

Esistono due modi per procurare oro alluvionale: lavare sabbie aurifere - - - oppure succhiare acqua e sabbia dal letto di un fiume.

In questo secondo caso l’oro può essere ricavato con draghe, oppure un sommozzatore scende sul fondo del fiume con un tubo flessibile aspirante e lì procede a far salire sabbia in superficie. Ma questo metodo è diventato sempre meno frequente per la sua pericolosità, e poi il sommozzatore vuole il 40%.

Le draghe la fanno da padrone. Tra le draghe si distinguono due tipi fondamentali. Quelle che suggono dal fondo tutto, anche i pesci: le draghe di lança, che hanno una torre molto alta per sorreggere una lança molto lunga . Le altre sono quelle che trivellano il fondo con una punta pluriacuminata rotante e perforata: l’abacaxi.

Parliamo di questa draga, della draga escariante. Escariar significa fare un buco col punteruolo. Il fondo del fiume è tappezzato da innumerevoli ferite che non possono essere viste direttamente. L’acqua è torbida per un costante colore giallognolo dovuto al limo, inoltre può essere profonda fino a 60 metri. Solo in modo indiretto si può sapere se esistono altre ferite del fondo: non c’è più oro.

Dal punto di vista pratico potrebbe essere facile censire le draghe scattando fotografie aeree a tappeto lungo i 200 chilometri del fiume Madeira in cui è permessa l’attività estrattiva. Dati del 1989 parlano di 10.000, stime di garimpeiros del 1990 parlano di 4.000. Come si vede, i dati sono discordanti. Sono moltissime, questo è certo. Stiamo ai valori più bassi: su ogni draga vivono 5 persone e queste in un anno sono in grado di pescare anche 10 chili d’oro; il calcolo del totale è presto fatto.

Ma non sono solo queste le persone che ruotano intorno al garimpo. Esistono sul fiume tutte le infrastrutture e tutti i servizi necessari sia al funzionamento della draga che alla vita dell’uomo. Porto Velho è la capitale dello stato di Rondônia staccatosi da quello dell’Amazzonia verso la fine del 1970; fondata nel 1919 durante i lavori per la ferrovia del caucciù che la collegava alla Bolivia - , è un porto fluviale e centro di riferimento importantissimo per il garimpo . Vi si trovano le banche, le officine, i supermercati, a ogni angolo si compra oro. Unica superstite di una ferrovia costata molto denaro e moltissime vite umane è una locomotiva, Maria Fumaça, - - che sui vagoni di recente sottratti alla foresta ti permette di effettuare un viaggio turistico domenicale fino a San Antonio, distante 9 chilometri.  

I garimpeiros cominciarono ad arrivare sul Madeira nel 1978 e da allora non hanno cessato l’attività, che pare tuttora florida. Dopo 12 anni anche le donne hanno preso piena coscienza della loro posizione sociale. Il 29 giugno 1990 è stata fondata l’associazione delle garimpeiras per abolire la discriminazione della donna nel garimpo nonché la violenza della quale è la vittima maggiore. Al garimpo esistono 2 figure femminili: la domestica e, più recente, la garimpeira vera e propria, l’impresaria, che contende un’attività fino a poco tempo fa privilegio del maschio.

Quindi anche la donna collabora all'arricchimento delle riserve auree del Brasile, che nel giugno 1990 erano di 120 tonnellate e delle quali il Brasile ha enorme bisogno per acquistare essenzialmente dollari per pagare i debiti con l’estero. Se non fosse così, non si capirebbe come mai l’oro del fiume venga pagato tanto bene.

Il Governo ha bisogno dei garimpeiros.

In marzo era successa una cosa molto curiosa e drammatica. Neppure i Verdi erano riusciti a spopolare i garimpos tanto rapidamente quanto la riforma economica del piano Brasil Novo, capeggiata dalla ministra Zelia Cardoso De Mello. Il prezzo dell’oro era passato, di colpo, da 900 a 150 cruzeiros, i carburanti erano rincarati. I proprietari avevano messo le draghe a tacere, custodite negli appositi parcheggi - , e ciascuno aveva raggiunto la sua famiglia, magari distante 5.000 km, in attesa di tempi migliori che in effetti non hanno tardato a venire.

Il 4 luglio 1990 queste erano le quotazioni: oro del fiume 10,3 US$ al grammo, quando in Italia, quello puro, si aggirava sugli 11,4 $. Alla stessa data, lo stipendio minimo garantito dallo Stato era di 45 $ mensili. Un operaio di draga può portarsi a casa, in un anno, anche 400 grammi d’oro (talora molto di più), che equivalgono a 4.000 $: circa 10 volte lo stipendio minimo. Ed è un guadagno praticamente netto, certamente esentasse.

Se sei proprietario di draga, pare assodato che in un anno, se lavori bene e duro, puoi vedere quasi raddoppiato il capitale impegnato. Perché è così remunerativo estrarre oro da un fiume? Perché nelle miniere, nei casi più fortunati, la resa non è superiore ai 100 grammi per ogni tonnellata di roccia lavorata.

Dopo questa doverosa digressione torniamo in draga.

Il perno di una draga è il motore diesel a 6 cilindri che aziona una pompa da 10 pollici. Ha una potenza di 265 HP, compie 1.800 giri al minuto e consuma 10 litri di gasolio all’ora. Le draghe escarianti più grandi possono portare tubi lunghi fino a 40 metri, ma più il tubo è lungo, più è facile che si danneggi per le violente sollecitazioni meccaniche. In media si tratta di tubi di 20-25 metri del diametro di 8 pollici, che tuttavia mettono in crisi quando l’acqua è alta e costringono a lavorare sottoriva, punto più facilmente sfruttabile e quindi meno remunerativo.

Inoltre sottoriva è più facile essere preda della malaria, perché le zanzare non amano spingersi al centro del fiume che talora può distare anche un chilometro.

I brasiliani hanno battezzato l’estremità escariante della lança col nome di abacaxi, ananas, ma che noi europei renderemmo meglio col termine di pigna. Si tratta di una parte metallica fatta di lega apposita perché sottoposta a facile usura e che somiglia a una pigna del pino marittimo. Le alette sono appoggiate su di una intelaiatura che lascia passare, oltre all’oro ovviamente, solo sassi di una certa dimensione. Quando il motore non sta arrancando, basta gettare un occhio sulla lança: è facile vedere l’operaio col martello in mano a fare l’equilibrista sul tubo per raggiungere l’abacaxi allo scopo di liberarlo dalle pietre che si sono incastrate nell’intelaiatura e che non permettono il normale flusso del materiale. Lo stesso fa l’operaio, stavolta con le cesoie in mano, per recidere cavi di acciaio o di plastica che si sono avviluppati durante il movimento rotatorio.

Ma il dramma non è quando il motore rimane in folle. È quando tace. Allora è successo qualcosa di serio. O il tubo ha qualche buco o qualche incrinatura per cui aspira aria , oppure, situazione molto più grave, è successo un danno alla marraca. La marraca è il tratto di giunzione tra l’abacaxi e il tubo, è il tratto su cui gira l’abacaxi mosso dalla pressione dell’olio della pompa idraulica. Il disastro è appunto quando l’olio fuoriesce dai tubi di andata e ritorno e si miscela all’acqua. I tappetini vengono inquinati perché l’oro, per il fenomeno della flottazione, scorre via con l’acqua.

È indispensabile far lavare i tappeti dalle ditte che se ne occupano, procedere al posizionamento di quelli di ricambio, sostituire la marraca e riprendere il ciclo lavorativo daccapo. E qui il tempo è oro, per antonomasia. Le condizioni igieniche sulla draga, forzatamente, sono al limite dell’accettabile nonostante gli sforzi individuali. Tuttavia, indispensabile è calpestare i tappeti a piedi nudi e ben lavati. L’unto è nemico acerrimo dell’oro.

Il compito dell’operatore al motore è quello di rendersi conto di quando qualcosa non gira nel verso giusto, nonché affondare lentamente la lança sorretta da una torre sulla cui carrucola scorre una fune d’acciaio. È sopratutto compito suo accelerare e decelerare in un senso o nell’altro il movimento rotatorio dell’abacaxi a seconda della resistenza offerta dal fondo. Se non si è accorti la draga può catapultarsi qualora l’abacaxi faccia perno su una roccia

Potrei dire che è un piacere sentire il motore scorrere liscio col materiale che scende in allegre cascatelle sui piani inclinati i quali si colorano di un biondo meraviglioso . Più faticosa è invece la fase iniziale, quando si inizia un nuovo buco. Si sente che il motore non gira giusto, i tappeti sono percorsi da rivoli grigiastri di sabbia grossolana, una cuiada non dà che una o due fagulhas, le pietre intoppano l’abacaxi, la draga viene percorsa da tremiti e scossoni, inevitabili per il faticoso affondarsi del tubo verso gli strati più morbidi e ricchi.

Se non si è particolarmente fortunati, dopo circa 20 ore di incessante lavoro e di turni notturni di 4 ore a testa, si procede al lavaggio dei tappeti, talora solo di quelli superiori dove si è depositato più oro. Vengono rimosse le traverse di legno che fissano i tappeti e che creano contemporaneamente un rallentamento della velocità delle pagliuzze, i carpetes sono arrotolati con cura , vengono posizionati quelli già lavati , la pompa ricomincia ad aspirare mentre gli altri operai si dedicano alla fase finale: alla concentrazione dell’oro.

Per prima cosa si prendono i tappeti per le orecchie e vengono violentemente sbattuti a faccia in giù in una grande vasca piena d’acqua , prima dal lato destro, poi dal sinistro e come atto finale - quasi un rituale propiziatorio - 10 colpi sull’acqua a tutta superficie . Sul fondo della vasca si raccoglie la sabbia aurifera concentrata frammista a sassolini che attraverso un setaccio viene fatta passare dentro a un recipiente colmo d’acqua. Questo recipiente è il tambor - , ottenuto per lo più da quei grossi bidoni per olio lubrificante, recisi a metà e accuratamente bruciacchiati con benzina prima dell’uso.

Quando la sabbia è in quantità sufficiente, nel tambor si introduce mercurio che forma con l’oro un amalgama. Naturalmente l’amalgama va favorito nella sua formazione. C’è chi usa delle betoniere per rimescolare, chi invece usa uno strumento che ricorda il frullatore . Mescola e rimescola, ogni tanto si controlla che l’amalgama sia al punto giusto e quando è pronto inizia il lavaggio che, per il fenomeno puramente fisico della differenza di densità, comporta l’allontanamento dei granelli di sabbia, mentre l’amalgama resta sul fondo del tambor.

Il tambor viene progressivamente inclinato col decrescere della sabbia, e il tubo di gomma continua a portare acqua sotto pressione che solleva via via le particelle sempre più pesanti, finché l’amalgama viene travasato in un secchio. È inevitabile che una quota di sabbia residua passi nel secchio. Riempito il tambor di acqua, il secchio vi viene progressivamente liberato dalla sabbia con ripetuti movimenti di saliscendi.

Infine, l’amalgama passa nella cuia, con un po’ di sabbia , e da questa cuia in un’altra cuia , finché c’è solo oro e mercurio. Allora si travasa l’amalgama in uno straccio a bassa porosità e il mercurio che non si è legato all’oro viene strizzato via e recuperato . Il residuo contiene il 70% di mercurio. Il resto è oro.

Già si potrebbe sapere l'entità della dispescada. Ma di norma si rimanda questo piacere alla fine della lavorazione. Infatti questa non è ancora terminata. L’amalgama viene lavato con aceto preferibilmente bianco , oppure con dentifricio.

A questo punto si posiziona la pallina, di dimensioni variabili a seconda della fortuna, in una scodellina di metallo sul cui fondo, umettato di olio o di burro, è stato steso un foglietto di carta. Il tutto va in un fornetto a gas e nel giro di 20 minuti i vapori di mercurio si sono ricondensati lasciando libero l’oro , che nel Rio Madeira è puro fino al 98%.

Un colpo di cannello ossidrico fino ad arroventare il sudato frutto e poi si passa alla bilancia . È il momento in cui tutti, padroni e operai, sono presenti. Forse per incompleta reciproca fiducia, ma anche perché finalmente si saprà quanto si può intascare. Al padrone toccherà la parte contabile e la frammentazione delle spettanze .

Ci sono punti del fiume in cui l’oro non è amarelo, giallo e compatto . Si tratta di oro nerastro, ouro preto, per la presenza di piombo. Ci penserà il botteghino che compra oro a purificarlo e ad allontanare l’intruso. Quando ho visto questo prodotto deludente della dispescada, deludente perché anche gli occhi vogliono la loro parte, ho capito perché c’è una città in Brasile che si chiama Ouro Preto. A proposito di impurità: è spesso usata una calamita per allontanare dall’amalgama forti quantità di frammenti pungenti di ferro. Si tratta per lo più di prodotti di disgregazione di cavi di acciaio che infestano il letto del fiume. Tra alcuni anni potrebbe quasi essere più redditizio estrarre ferro anziché oro.

La parte contabile non si è ancora esaurita. Bisogna annotare tutto sul registro per poter arrivare dall’oro bruto, il lordo, all’oro liquido, il netto. Sul registro si annota tutto in oro. Si può pagare tutto in oro. Dalla farmacia, al bordello (la zona, anch'essa galleggiante ), ai generi alimentari, che naturalmente sono tutti quanti alloggiati su zattere . E farmacia ed alimentari hanno in dotazione una bilancia da orafo la quale, attenti, non serve per pesare i piccoli acquisti, ma per i pagamenti.

Una cuoca percepisce 15 grammi al mese. Spesso però le spese sono di maggiore entità. Basta una saldatura un po’ importante alla lança per stornare 20 grammi d’oro, basta l’intervento di un rimorchiatore per superare le rapide - il rebocador - per sottrarre altri 100 grammi. Poi c’è il carburante per il motore e per il generatore d’elettricità, la dispensa, la benzina per la voadeira. Nessuna spesa per le bevande. Della voadeira parleremo dopo. Bisogna ricordare a proposito di bevande che su un fiume dall’enorme portata idrica manca acqua.

L’acqua del fiume serve a molti usi: lavare le verdure, le stoviglie, la sabbia aurifera, il corpo umano (eccetto la bocca). Per uso alimentare è necessario fare delle sortite di approvvigionamento - - : o in piccoli affluenti presumibilmente non abitati, o in piccole e rare sorgenti. Nessuno sta a calcolare la carica batterica: a occhio è un'acqua, anche se non sempre limpida, dall’aspetto per lo meno accettabile. E che Dio la mandi buona.

Nessuno si permette il lusso di comprare acqua minerale o birra, se non in casi eccezionali di follie spendaccione. Nell’acqua vengono sciolte bustine dal sapore variabile: estate, ananas, uva, arancia, limone. Un freezer, che funziona solo quando il generatore è in attività, assicura il gelo e il disgelo di bibite e alimenti. Gli alimenti non mancano sulla draga, salvo che le provviste al supermercato di Porto Velho siano state insufficienti, oppure che l’insaziabilità dello stomaco sia stata eccessiva.

C’è carne bovina talora integrata da quella di pesce (piranhas per esempio) e da quella di coccodrillo - o jacaré [2] - - o magari di scimmia, pasta, farina, cetrioli, cavoli, cipolle, caffè in abbondanza, zucchero e spezie.

Il riso è il re della tavola, onnipresente e immancabile, sostituto del pane. E che dire dei fagioli? Dalla mensa brasiliana non può mancare riso cotto in acqua su cui si versano fagioli cotti e insaporiti con qualche spezia. Si mangia non 3 volte al giorno, ma un po’ a tutte le ore. È sempre pronto qualcosa sul tavolo prospiciente i piani di scorrimento del materiale. Uno rosicchia qualcosa e intanto può succedere che la vista si bei di un bel colore giallo e allegro dell’acqua saltellante.

Di notte, poi, è indispensabile alleviare la monotonia delle ore con un boccone e un sorso di buon caffè sempre pronto in thermos a stantuffo di estrema praticità. Se si dispone di una cuoca come si deve, allora i pasti saranno variati, altrimenti ci si deve accontentare di una certa monotonia. Ma a un certo punto prevale l’esigenza di riempire lo stomaco e il resto passa in second’ordine. Talora l’estro di qualcuno si desta , per cui ti ritrovi una polenta a mo’ di pizza ricoperta di ottimo pollo al sugo, frammentato e disossato; oppure puoi avere la ventura di gustare un risotto all’italiana.

La voadeira è così denominata perché vola sull’acqua. È un’imbarcazione di metallo, nei casi migliori di alluminio, dotata di un motore di poppa in genere da 40 HP e che serve a mille usi. Diciamo che è indispensabile. La draga non dispone di un motore per compiere spostamenti. Al massimo la draga può fare uso delle ancore, as poitas, blocchi di cemento o enormi massi legati da cavi d’acciaio mossi da un verricello, per trascinarsi in su o lasciarsi scorrere in giù di pochi metri.

Due voadeiras sono capaci di spingere una grossa draga , anche per tragitti abbastanza lunghi se non esistono correnti impetuose. La voadeira serve per andare a fare rifornimento di acqua potabile e di carburante. Serve per andare a esplorare l’attività altrui. Serve per andare a caccia e pesca. Serve ancora, fatto molto importante, per mantenere i contatti con la civiltà.

Infatti chi ha una draga ha anche un’autovettura. Esistono i taxi del garimpo, ma avere un’auto significa disporre in qualunque momento della possibilità di uno spostamento improrogabile. Anche parcheggiare l’auto costa e se hai un pick-up costa anche di più: più di un dollaro al giorno nel primo caso, quasi 2 dollari nel secondo.

Si arriva con l’auto dalla città prescelta come punto base, la si lascia in parcheggio custodito, si prende un taxi fluviale, oppure c’è un tuo operaio ad attenderti con la voadeira se gli hai dato appuntamento, in genere due giorni prima. E, dal parcheggio, raggiungi la tua draga, che può distare anche un’ora di navigazione fatta magari con gli occhi fuori dalla testa per scorgere le rocce affioranti e che preferibilmente deve avvenire di giorno per motivi di sicurezza nautica e per non incappare in qualche malintenzionato. E, proprio ad evitare o per intimorire spiacevoli incontri, al garimpo si vive armati . Una pistola sotto il materasso non può mancare e te ne freghi del porto d’armi che è obbligatorio.

La voadeira serve anche per curiosare l’attività degli altri. Si parte come si trattasse di una spedizione. In genere bastano 3 persone. Giunti a una draga, uno pensa alla voadeira, un altro va a colloquiare - si fa per dire, visto il rumore assordante - con l’operatore al motore, il terzo, di soppiatto, prima che l’operatore se ne accorga e rallenti il motore e alzi la lança, va a cuiar.

Se le fagulhas sono in numero soddisfacente, allora si fa ritorno alla base e si dà inizio al procedimento della fofoca: la draga viene trasferita presso quella esplorata e comincia a formarsi l’assembramento. In poche ore non sei più solo. Come i funghi, le draghe spuntano dal nulla, da una curva, da dietro un’isola. È la fofoca, dove le draghe diventano sorelle perché si legano le une alle altre, non certo per amore, ma per non continuare a cozzare l'una contro l’altra.

Se la fofoca è grande, può capitare di agganciarsi nei cavi d’acciaio del vicino o del dirimpettaio. Ne conseguono manovre indaginose per svincolarsi, quasi manovre militari. Basta una piccola fofoca per avere la possibilità di fare una passeggiata passando da una draga all’altra, andando a casa d’altri con estrema indifferenza. E nessuno si lamenta. Per lo meno, non si lamenta apertamente. E di notte, quando dormi con la porta aperta per il caldo, potrebbe venire un vicino a farti visita. Ma questo non mi è mai successo. Esiste anche una legge morale positiva al garimpo.

La voadeira ti permette anche qualche svago. Puoi andare a pesca sulla riva del fiume , oppure inoltrarti in uno dei rami morti, gli igarapé , che a un certo punto diventano tanto stretti che il loro significato etimologico diventa chiaro: canali navigabili solo da igara, le canoe fatte di corteccia d’albero. Arrivati al punto prescelto per lanciare l’esca, il motore di poppa tace e allora puoi godere tutto il silenzio della foresta e renderti conto che il garimpo è uno dei luoghi più rumorosi del mondo. Puoi finalmente gustare i richiami degli uccelli, il frusciare delle ali delle rondini in volo radente a fior d’acqua, il salto dei pesci.

Talora ti godi le punture degli insetti. Per lo più non sono zanzare, che si scomodano solo all’alba e al tramonto, ma fastidiosissimi pappataci. Non ti importa che pesce abboccherà, ti importa goderti in silenzio i colori, la pace, i rumori della foresta.

Diversa è la situazione di caccia che è eminentemente notturna, col motore a basso regime, con un faro in mano a esplorare le rive. Ti trovi un enorme rospo che troneggia come un re, un jacaré con gli occhi rossi a fior d’acqua, qualche rapace notturno. Speri di incrociare una gustosa paca [3] , ma spesso torni a mani vuote. Tutto serve per distrarti un po’, per ridarti la carica, per alleviare un lavoro che, seppur remunerativo, è monotono, ma la cui monotonia è resa tollerabile dal miraggio che la dispescada di oggi sia migliore di quella precedente. E spesso succede.

Ma a costo di grandi sacrifici.

Così scrive Eduardo Tarcisio Cani, giovane garimpeiro padrone di draga:

"Quà, la gente è tanto stronza, non the educacione, rapinan, matam, soni os garimpeiros, gente sensa niente, e que no the niente a perdere, Perô, anche qui è um posto da vivere bene e guoaniar bonissimi soldi, basta non fare casino com la gente e lavorare bene. La malaria è una bruta roba, è anche pericolosa, perô è necessario ariscar. Une 3 ou 4 djorno, se vede una persona morta su l’aqua, per motivo de dona ou de ninhente, anche per ouro, les personas uchidanan a sancue fredo. Io ja o visto questo, è bruto, tanto bruto. El mio papa e mios fratelos, lavoranan comi cane, nensuno va a leto bene, è tanto e anche tropo sofrimento, non o cuore per abandona-li qua e lachalos da solo, nom è justo e nem anchi me sentireva bene. Io lavoro tanto quanto loro, ano bisogno de me, e io de loro. Quando ariva la cera vado a finestra de la minha câmera e vardo la natura , la aqua, las estrelas e le belas colores que la luna fa al paisageo. Ma è cera adesso, la gente dorme..., uno em terra, nantro em rede, nantri em câmara, tutti estanki, a espetare la sua hora de lavorar, io escrevo qua su, en la cuchina, la ju, uno huomo vekio com o motor de la makina ligado e lavorando , trovando agua e sabia del filme que adesso è um po furioso per obra de la natura com la sperança de trovare ouro, qualque volta trova, nantre volta nom se trova niente, e cosi è tutti il diorno, e tutti la cera..... ma nom se pò fermare. No se pò fermare perque qua la vita è cosi.... lavoro e più lavoro."



[1] Carpeta esiste anche in spagnolo, derivato dal francese carpette che a sua volta deriva dall'italiano antico carpita - coperta - risalente al latino carpere, cardare la lana.

[2] Jacaré: appartenente all'ordine dei coccodrilli, famiglia degli alligatoridi, genere caiman. Il suo nome scientifico è Caiman latirostris (dal muso largo). Può raggiungere una lunghezza di 2 metri e ½. I jacarés sono soliti trattenersi in bracci morti di fiumi o in corsi d'acqua molto lenti con fondo melmoso e con soffici banchi di sabbia.

[3] Paca: Capibara, o carpincho per i sudamericani di lingua spagnola. Appartiene all'ordine dei roditori, sottordine caviomorfi, unico rappresentante della famiglia degli idrocheridi. Il nome scientifico è Hydrochoerus hydrochaeris. Può raggiungere una lunghezza di 130 cm. La specie comprende diverse sottospecie, tra cui la paca o Cavia paca. Il termine capibara deriva dal linguaggio dei Guaranì (indigeni del Paraguay e delle province argentine Misiones e Corrientes) e significa signore dell'erba. Gli ambienti preferiti dalla paca sono i boschi con fitto sottobosco.