Vol. 2° -  XV.2.2.

Fattori genetici nella variabilità del rapporto sessi

Si potrebbe spiegare la variabilità fra le diverse famiglie circa la probabilità di avere figli maschi e femmine ricorrendo all’ipotesi che tale variabilità sia dovuta a differenze genetiche o non genetiche, oppure a combinazioni di entrambe. Si può chiarire questo problema se si combinano i dati di fratrie i cui genitori sono imparentati fra loro.

Questo lavoro è stato effettuato da Nichols, il quale ha raccolto dati genealogici sul rapporto sessi tra famiglie del New England, principalmente riferiti al periodo 1600-1800. Si trattava di 40 gruppi di fratrie, tali che tutte le fratrie di un gruppo discendessero, per linea maschile, da un progenitore comune, e che fossero selezionate le fratrie che comprendevano 6 o più figli. Il rapporto sessi nei diversi gruppi presentava valori, calcolati su numeri di figli da 63 a 428, che variavano da 177 a 72 maschi per 100 femmine. Sebbene nella maggior parte dei gruppi il rapporto sessi non differisse in maniera significativa dalla media, ve ne erano alcuni nei quali la grande prevalenza dei maschi ovvero delle femmine era statisticamente significativa con elevata probabilità. Sembra che la tendenza a presentare valori del rapporto sessi piuttosto lontani dalla media fosse comune a numerose fratrie imparentate fra loro in generazioni successive.

È oscura la natura delle variazioni delle probabilità di procreare maschi o femmine. Famiglie diverse possono presentare valori diversi del rapporto sessi primario, oppure diversi tassi di sopravvivenza prenatale. Un alto numero di aborti e di casi di natimortalità precoce porterebbe a spostare il rapporto sessi secondario, ammesso che la mortalità agisca in maniera differenziale fra i due sessi in misura maggiore contro i maschi in alcune famiglie rispetto ad altre. Forse è verosimile che sia coinvolto più di un meccanismo nelle variazioni delle probabilità di procreare un bambino appartenente a un dato sesso.

Una fonte della variabilità del rapporto sessi alla nascita deriva dai gruppi sanguigni AB0. Come è stato dimostrato da Sanghvi, nelle popolazioni bianche la frequenza relativa dei maschi, tra i bambini di gruppo 0, è significativamente più elevata di quella che si riscontra tra i bambini di gruppo A, sia in generale, che tra figli di madri di tipo specifico; la stessa situazione si verifica per la frequenza relativa di figli maschi di madri di gruppo sanguigno AB rispetto a tutti gli altri. Se si ammette che questi dati sono definitivi, sembra verosimile che le interazioni immunologiche madre-feto per il sistema di gruppi sanguigni AB0 contribuiscano a modificare i valori del rapporto sessi secondario.

Gli studi sul rapporto sessi nel topo condotti da Weir forniscono prove sperimentali di una variabilità genetica significativa della probabilità di nascita di maschi e di femmine. Tra due ceppi diversi, uno presenta una frequenza relativa di maschi più elevata, mentre un altro ceppo presenta una frequenza relativa di maschi più modesta. Per mezzo di incroci reciproci fra i due ceppi è stato dimostrato che è il maschio ad essere responsabile del rapporto sessi fra i figli.

Esperimenti di fecondazione artificiale attraverso il prelievo di spermi dai dotti seminiferi di un esemplare di un ceppo, successivamente sospesi nel liquido seminale privo di cellule spermatiche prelevato da esemplari dell’altro ceppo, hanno dimostrato che il rapporto sessi nella progenie è uguale a quello del ceppo dal cui esemplare sono state prelevate le cellule spermatiche. È probabile che i due differenti valori del rapporto sessi alla nascita siano dovuti a differenze nel rapporto sessi primario, tuttavia non è stata tuttora esclusa la possibilità che vi sia una mortalità differenziale dei sessi nei primissimi stadi dello sviluppo.

 sommario 

 avanti