Metodica in vitro di tipo
enzimatico usata per replicare ripetutamente e in modo selettivo brevi
sequenze di DNA da una miscela di DNA, evitando i lenti procedimenti di
clonaggio attraverso i plasmidi. È pertanto un punto di partenza comune a
tutte le successive tappe analitiche di ingegneria genetica, come il blotting
e l’analisi degli RFLP. Il suo unico limite consiste nel fatto che deve
essere almeno in parte nota la sequenza del DNA da replicare.
Certamente la PCR, o Reazione
a Catena della Polimerasi, è importante sia come tecnica applicativa che
d’indagine, in quanto si tratta d’un metodo che permette una rapida ed elevata amplificazione in vitro di specifiche sequenze di DNA.
Essa consente di sintetizzare in poche ore oltre un milione di copie di uno
specifico oligonucleotide, rendendo possibile l’identificazione di quantità
estremamente piccole di DNA con importanti applicazioni nella diagnostica.
Questa reazione riesce ad attivare in provetta lo stesso processo di duplicazione del
DNA che si verifica nelle cellule vive.
Partendo da una sequenza di DNA conosciuta, vengono sintetizzati chimicamente
due frammenti di DNA lunghi una ventina di nucleotidi che funzionano da
innesco, o attivatori, complementari
ai due filamenti del DNA da amplificare. Gli oligonucleotidi che fungono da primers
sono necessari in quanto l’enzima di sintesi impiegato nella PCR è in grado
di lavorare su uno stampo solamente se ha già a disposizione i due estremi
del tratto da neosintetizzare. La reazione viene realizzata ripetendo più
cicli costituiti da tre fasi diverse:
Œ
Denaturazione: nella prima fase le due eliche del DNA da
amplificare vengono separate per effetto di elevate temperature.
Ibridazione: nella seconda fase i due DNA attivatori, presenti
in largo eccesso, si ibridano con le sequenze complementari del DNA bersaglio
a temperature basse.
Ž
Estensione: nella terza e ultima fase vengono sintetizzati
due nuovi filamenti di DNA complementari alla sequenza bersaglio a partire
dalle due molecole di innesco e dai precursori (nucleotidi trifosfati), grazie
all’enzima DNA
polimerasi.
Ripetendo 25-40 cicli delle tre operazioni descritte, si
ottengono diversi microgrammi della sequenza desiderata a partire anche da una
sola molecola di DNA bersaglio, con un’amplificazione dell’ordine di cento
milioni di volte.
Intorno al 1995, grazie allo sviluppo di apparecchiature
dedicate e di speciali strumenti in cui le variazioni cicliche della
temperatura sono controllate da un microprocessore programmabile, è stato
possibile automatizzare le operazioni, che sono divenute estremamente semplici
e rapide. Grazie alla PCR è possibile oggi amplificare frammenti di DNA evitando il laborioso e complesso clonaggio in
cellule ospiti mediante plasmidi o virus. Un altro dei grandi vantaggi
della PCR, rispetto alle procedure tradizionali, è costituito dal notevole
aumento di sensibilità che si può ottenere: è possibile ad esempio amplificare il DNA di una singola cellula o di
frammenti cromosomici microdissezionati o di un frammento di una
singola copia di un genoma virale, come quello dell’AIDS. Inoltre la PCR
può essere eseguita a partire da piccole quantità di materiale non
purificato, come ad esempio il DNA presente in un singolo capello o nelle
tracce di saliva di un mozzicone di sigaretta o in resti archeologici e
fossili.
Le numerose applicazioni della
PCR riguardano i settori della ricerca di base, la genetica evolutiva e di popolazioni, la
diagnostica di malattie genetiche e infettive, nonché la medicina legale.
Utilizzando la PCR è possibile inoltre studiare i DNA di organismi del passato
conservati nei musei o rinvenuti in particolari condizioni di fossilizzazione.
Si è riusciti per esempio ad amplificare una corta sequenza di circa 300
coppie di basi a partire dal DNA estratto da un coleottero fossile di 135
milioni d’anni fa conservato nell’ambra.
Nella diagnostica medica, con la PCR dovrebbe essere
possibile individuare qualsiasi tipo di difetto genico o di agente infettivo.
Le potenzialità della PCR in questo campo dovrebbero presto permettere di
conoscere in ogni individuo quali sono i fattori di rischio ambientale per lo
sviluppo di malattie genetiche molto diffuse.
Per quel che riguarda l’individuazione del genoma di
agenti infettivi, come il virus dell’AIDS o i virus delle varie forme di epatite, le procedure
basate sulla PCR sono molto più rapide e sensibili di quelle tradizionali e
permettono di identificare gli individui infetti prima che questi diventino
sieropositivi.
È recente l’impiego della PCR per titolare l’RNA del virus dell’epatite C, in quanto in almeno la metà dei casi di quest’epatite la trasmissione verticale madre-figlio sembra possibile. Attraverso tipizzazione dei ceppi materni e di quelli infantili con tecniche genomiche e analisi delle sequenze, si è calcolato che il rischio di trasmissione verticale esiste al 6%. Naturalmente, le ricerche sul genoma dei virus isolati da madre e figlio hanno dimostrato un’identità pari al 97-99%.