Vol. 2° -  XXVIII.15.

CONTROLLO ORMONALE della melanogenesi

Se oggi possiamo comprendere il controllo ormonale della pigmentazione dobbiamo ringraziare i piccoli vertebrati, specialmente gli anfibi, che sono stati oggetto di intenso studio. Nel 1916 Smith, dell’Università della California, e Allen, dell’Università del Kansas, trovarono che la rimozione dell’ipofisi ai girini e alle rane si traduceva in uno spiccato schiarimento della cute, mentre l’iniezione di estratto ipofisario la rendeva scura. Inoltre, aggiungendo estratto ipofisario bovino all’acqua in cui i girini vivevano, la loro pelle diventava così trasparente da rendere chiaramente visibili cuore e intestino.

L’ormone che determinava queste alterazioni cromatiche, per aggregazione o per dispersione del pigmento in seno ai cromatofori, ricevette il nome di intermedina, in quanto estraibile dalla parte intermedia dell’ipofisi, battezzato successivamente melanocitostimolante (MSH) per indicare l’azione scurente sulla pelle dell’uomo. Solo grazie a 200.000 ipofisi bovine messe a disposizione dalla Armour & Co. fu possibile isolare 100 µg di ormone puro, identificato come 5-metossi-N-acetiltriptamina, detta melatonina o melanotonina per la capacità di far impallidire i melanofori del derma.

Tra i vertebrati inferiori, sembra che l’ipofisi sia in grado di controllare le modificazioni cromatiche solo sui melanofori degli anfibi. Nei teleostei, l’aggregazione dei melanosomi nei melanofori è mediata dall’ipofisi attraverso il rilascio di un altro ormone, MCH o melanin concentrating hormone, peptide come l’MSH. L’esistenza di tale ormone è interessante in base alla teoria del controllo biumorale dei cambiamenti cromatici elaborata da Hogben & Slome (1931), secondo cui è coinvolto un ormone antagonista di quello ipofisario, capace di annullare gli effetti dell’MSH a livello dell’effettore cellulare. È altresì interessante il fatto che i pesci, grazie all’MCH, sono in grado di adattarsi agli sfondi chiari.

Lo studio morfologico dei melanociti e della melanina dell’epidermide umana e della cavia mettono in evidenza alcuni punti fondamentali:

·   il numero dei melanociti attivi e la loro attività melanosintetica differiscono da un soggetto all’altro

·   numero e grado d’attività dei melanociti variano da una regione all’altra del soma dello stesso soggetto

·   i melanociti presenti in qualsiasi regione cutanea non producono tutti la stessa quantità di pigmento

·   numero e attività dei melanociti cambiano col variare dell’età e con l’instaurarsi della gravidanza

·   anche una semplice biopsia cutanea è in grado di stimolare attivamente la melanogenesi nelle aree circostanti.

Da notare che in passato gli studiosi paragonavano grado e tipo di pigmentazione cutanea facendo riferimento a una scala colorimetrica basata su puri e semplici dati visivi. Successivamente si è resa disponibile la spettrofotometria, rendendosi così possibile l’identificazione di ognuno dei pigmenti principali della cute attraverso la loro caratteristica banda d’assorbimento, ottenendo altresì dei dati quantitativi attraverso la misurazione dell’entità dell’assorbimento luminoso.

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