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Il comportamento è una caratteristica fondamentale nella
vita degli animali. Qualsiasi forma di comportamento rappresenta una reazione
a uno stimolo - semplice o complesso - che può essere innato, cioè programmato automaticamente, oppure può essere
appreso, quindi modificato dall’ambiente.
Non mancano certo le polemiche sulla distinzione tra ciò che è innato e ciò
che proviene dall’ambiente. Un tempo lo studio del comportamento degli
animali fu retaggio degli psicologi, mentre recentemente è diventato parte
integrante della biologia. L’etologia,
dal greco éthos che significa
costume, è pertanto lo studio biologico del comportamento animale.
Il fondatore degli studi scientifici sul comportamento fu
Darwin, le cui osservazioni sono ancor oggi attuali e significative. Il
contributo maggiore lo diede con la sua teoria della selezione naturale che è
servita da impalcatura su cui si è sviluppata tutta la moderna biologia. Agli
inizi del XX secolo l’osservazione del comportamento animale
è stata influenzata dall’americano John Watson, la cui opera fondamentale, Behaviorism,
fu pubblicata nel 1924. Un’altra scuola contemporanea degna di nota fu
quella europea diretta da Jakob von Uexkull.
Il fondamento dell’etologia - nata fra il 1930 e il 1950
grazie soprattutto a Konrad Lorenz e Nikolaas Tinbergen - è rappresentato dal
principio secondo cui gli
adattamenti comportamentali sono di aiuto agli individui per riprodursi con
successo. Questi biologi hanno potuto osservare che le varie
specie di uccelli, pesci e insetti, poste nel loro ambiente naturale,
posseggono ognuna un ben definito repertorio di modelli comportamentali.
Al fine di spiegare perché le specie differiscono dal
punto di vista comportamentale, gli scienziati hanno tracciato due diverse
linee di ricerca: per prima cosa si trattava di determinare in ciascuna specie
il significato del modello comportamentale in relazione all’adattamento; il
secondo traguardo consisteva nella comprensione di come i meccanismi su base
genetico-fisiologica posseduti da un individuo siano in grado di generare i
suoi modelli comportamentali.
Gli etologi hanno messo in evidenza che il sistema nervoso
di parecchie specie è composto da parti che hanno come finalità quella di
svelare e di suscitare una risposta a segnali semplici. Un pettirosso europeo
aggredirà con violenza un ciuffo di piume rosse appese a un ramo di un albero
presente nel suo territorio, come se si trattasse di un maschio intruso. Le
piume rosse servono da stimolo-segnale che attiva un meccanismo cerebrale e fa
scattare una risposta programmata.
Queste due linee di ricerca, l’una che mette a fuoco le
proprietà adattative o evoluzionistiche del comportamento e l’altra che
vuole mettere in luce i meccanismi che stanno alla base del comportamento,
continuano a essere i due maggiori interessi dell’etologia. Siccome l’etologia
è strettamente legata alla genetica, alla fisiologia, all’ecologia e alla
biologia evoluzionistica, sono state migliorate le conoscenze in tutti questi
campi e senza dubbio tutto ciò sarà utile per conoscere meglio il
comportamento dell’uomo. Nel 1973 Konrad Lorenz, Nikolaas Tinbergen e Karl
von Frisch furono insigniti del Premio Nobel per fisiologia e medicina.
In seguito ai risultati dello
studio circa le basi genetiche e fisiologiche del comportamento, parecchi
scienziati sono dell’avviso che non è più tempo di suddividere i modelli
comportamentali nelle due classiche categorie dell’istintualità e dell’apprendimento.
I genetisti del comportamento hanno chiaramente dimostrato che il
comportamento non è puramente determinato geneticamente, né che è
esclusivamente determinato dall’ambiente: si tratta invece del concorso di
queste due forze operanti sul soggetto e si potrebbe affermare che i tratti
del comportamento sono influenzati in modo sostanziale da fattori non
genetici, tanto che l’ereditarietà raramente contribuirebbe oltre il 50%.
Conviene inoltre aggiungere che il comportamento e i suoi disordini sono
probabilmente influenzati da molti geni, ognuno dei quali produce piccoli
effetti (Plomin, 1994).
Infatti, perlomeno in campo umano, essendo il
comportamento molto complesso, è errato pensare a un singolo gene per un
singolo tratto, in quanto non esiste evidenza concreta per una semplice
correlazione fra un gene e un tratto comportamentale. È più corretto pensare
al coinvolgimento di un certo numero di geni nella suscettibilità individuale
a possedere un particolare tratto.
Inoltre, una
complicazione ulteriore proviene dal fatto che verosimilmente un gene o un
gruppo di geni sono in grado di influenzare più di una caratteristica
comportamentale.
1.1.
Istinti
chiusi
Una categoria comportamentale
più frequente può essere definita col termine di istinti chiusi: si tratta
di modelli comportamentali che vengono espressi in forma completa e funzionale
la prima volta che essi vengono scatenati, e che non possono venir alterati
dalle esperienze associate alla loro messa in opera. Le attività, e la
sequenza secondo cui tali attività si susseguono, sono invariabili. Sembra
quasi che l’animale sia dotato di un disco insensibile alle modificazioni
che può essere suonato migliaia di volte.
1.2. Istinti aperti
Alcune risposte innate sono
invece aperte ai cambiamenti. Gli istinti aperti possono venir alterati con
una gratificazione o una punizione conseguenti a un determinato comportamento.
Verosimilmente il circuito neuronale posto alla base di tutto ciò è in grado
di immagazzinare le informazioni circa gli effetti del comportamento e di
modificarlo di conseguenza, in modo che il soggetto, in seguito alle sue
azioni, venga più spesso lodato che redarguito.
Strettamente connessi con gli istinti aperti sono i casi
di apprendimento limitato. In alcuni animali un modello comportamentale può
svilupparsi appieno solo se l’individuo viene esposto a un’esperienza
speciale di apprendimento. Un esempio classico è costituito dall’imprinting: poco dopo la nascita gli
anatroccoli seguono la madre e dimostrano un attaccamento che dura per tutto
il periodo della dipendenza materna. Seguendo continuamente la madre,
apprendono a riconoscere visivamente i tratti caratteristici delle femmine
della loro specie e i maschi faranno uso di quest’informazione acquisita
quando, parecchi mesi dopo, daranno inizio ai corteggiamenti che preludono all’accoppiamento.
Se un maschio giovanissimo di anatra o di oca viene sperimentalmente
allontanato dalla madre e gli si permette di seguire un pollo o un uomo,
tenterà di corteggiare e di accoppiarsi con membri di queste specie quando
avrà raggiunto la maturità.
Un’altra forma altamente specializzata d’apprendimento,
che si verifica durante il breve ma critico periodo delle prime fasi della
vita di un uccello, è l’apprendimento
del canto. L’esperimento più interessante è stato condotto sul
passero dalla testa bianca, che impara solamente il canto del suo territorio,
caratteristico della sua specie, e può apprenderlo solo durante le prime 8
settimane di vita. Questo passero, se viene isolato dalla sua specie, non
imparerà mai il canto della specie d’appartenenza.
Altri tipi di apprendimento sono ancora più aperti dell’apprendimento
del linguaggio. Per esempio, un’ampia gamma di animali ha la capacità di
immagazzinare informazioni su confini visivi e su altre indicazioni associate
alla loro casa. Anche il condizionamento, o apprendimento del tentare e
sbagliare, ricade nella categoria dell’apprendimento flessibile. Parecchi
animali possono essere condizionati, attraverso la gratificazione e la
punizione, ad associare certi segni con una vasta categoria di azioni. Così
un piccione può essere allenato a danzare in circolo se riceve cibo solo dopo
aver portato a termine le sue manovre. In campo umano con un opportuno
addestramento si può far rallentare la frequenza cardiaca e si possono
modificare le onde dell’elettroencefalogramma.
Le ricerche sul significato adattativo del comportamento
suggeriscono che i vari tipi di comportamento, nonché i vari meccanismi
neuronali e ormonali sottesi e associati, hanno potuto evolversi in quanto i
diversi comportamenti sono in grado di risolvere problemi di tipo diverso.
2. GLI UCCELLI PER LO STUDIO DELL'ETOLOGIA
Gli uccelli occupano un posto
importante nell'etologia poiché molte espressioni del comportamento sono
state osservate per la prima volta proprio tra i volatili. Già sul finire del
secolo scorso l’americano Whitman ha condotto studi comportamentali
comparativi sui piccioni. Oskar Heinroth pubblicò nel 1911 le sue
osservazioni sugli anseriformi. Julian Huxley, osservando l’accoppiamento
dello svasso maggiore, ha descritto nel 1914 il principio della
ritualizzazione. La famosa opera Uccelli
dell'Europa centrale di Heinroth rappresenta ancor oggi una miniera di
conoscenze sullo sviluppo giovanile e sull’etologia degli uccelli: molte
future scoperte erano già state intuitivamente anticipate. Negli anni '30 del
secolo scorso Konrad Lorenz proseguì sulla scia di Heinroth le indagini sugli
anseriformi, ma ne intraprese anche altre sul comportamento delle taccole e di
altre specie di uccelli. Nikolaas Tinbergen è diventato celebre soprattutto
per le sue geniali indagini sperimentali a pieno campo sul comportamento dei
gabbiani. Quali oggetti della ricerca scientifica, gli uccelli svolgono oggi
un ruolo importante per esempio nella bioacustica, nella sociobiologia e nell'ecoetologia.
Perché un uccello si comporta in un certo modo e non in
un altro? Questa domanda richiede una risposta sia che ci si occupi del
comportamento degli uccelli, sia che li si osservi da semplici appassionati.
La risposta può variare a seconda delle esigenze: circa la filogenesi le
domande che possiamo porci riguardano lo sviluppo evoluzionistico del
comportamento, soprattutto il suo valore di adattamento, compreso il ruolo che
i comportamenti svolgono nella costituzione della specie e nella filogenesi
delle caratteristiche; dal punto di vista dell'ontogenesi possiamo indagare
come nello sviluppo individuale il patrimonio ereditario si trasformi nel
fenotipo con la partecipazione dell'ambiente. A questo scopo l’ambiente
fornisce informazioni importanti, soprattutto per quanto riguarda i processi
di apprendimento.
Mentre l’etologia, cioè lo studio comparato del
comportamento, attraverso una metodica comparativa e sperimentale cerca di
dare una risposta sulla natura del comportamento dell’animale preso
globalmente, le finalità della fisiologia comportamentale fondata da von
Holst si riferiscono più alle condizioni interne che guidano il comportamento
dell’organismo, per esempio delle modalità di funzionamento del sistema
nervoso e ormonale. Col concetto di comportamento intendiamo tutte le
manifestazioni motorie dell'organismo animale osservabili dall'esterno,
comprese le espressioni sonore e le variazioni cromatiche. Da questa
definizione sono quindi esclusi processi interni, come il battito cardiaco e
la peristalsi intestinale.
Invece, quando nella stagione degli amori le rose
poste sugli occhi dell'urogallo, Tetrao
tetrix, si gonfiano per l’apporto di sangue e diventano di un rosso
violento, questo fenomeno fa parte del comportamento. Quasi tutto quello che
finora abbiamo detto sul comportamento è valido per tutti gli animali e non
per i soli uccelli. Per la classificazione del comportamento degli uccelli
esistono diverse possibilità. Perciò si tratta di inserire in un sistema di
classificazione i comportamenti riconosciuti come tipici della specie. A
questo scopo si sono stabiliti i cosiddetti ambiti funzionali:
·
Locomozione: per esempio camminare,
arrampicarsi, volare, nuotare, tuffarsi. Questi comportamenti si trovano
spesso al servizio di altri ambiti funzionali.
· Acquisizione del cibo: ricerca del cibo, cattura della preda, rielaborazione e assunzione del cibo.
·
Riproduzione: formazione della
coppia, corteggiamento, accoppiamento e cura della prole.
·
Aggressione e fuga:
comportamento antagonistico.
·
Benessere personale:
bagno, cura del piumaggio, movimenti stiratori.
Esistono però dei problemi nell'uso di questo schema. Per
esempio, se un giovane barbagianni, Tyto
alba, pulisce le piume del capo di un suo fratello, non è immediatamente
chiaro se questo comportamento, oltre ad avere una funzione igienica, realizzi
anche la comunicazione e il rapporto con l’altro individuo. Lo stesso
comportamento negli animali adulti potrebbe servire a formare la coppia per
raggiungere la riproduzione e la perpetuazione della specie.
Spesso non si può riconoscere l’appartenenza funzionale
di una sequenza comportamentale, o la si può riconoscere solo dopo
circostanziati lavori di ricerca sperimentale. In qualche caso una
classificazione affrettata può creare dei pregiudizi nel ricercatore o
distogliere la sua attenzione da questioni rilevanti.
Infine, durante la filogenesi la funzione di un
comportamento ha subito spesso dei mutamenti attraverso la ritualizzazione,
cioè la creazione dei segnali, fatto che può accadere perfino
nell'ontogenesi. Con l’aiuto dell’analisi motivazionale classica si può
stabilire l’affinità dei comportamenti. Attraverso ciò è possibile
accertare in che modo si susseguano i comportamenti. Però questi dati non
sono probanti della funzione svolta.
La genetica comportamentale è
lo studio degli organismi che si avvale dell’analisi sia comportamentale che
genetica. L’analisi genetica descrive l’architettura genetica di ciascuna
specie e viene usata per studiare le differenze individuali nell’espressione
di un tratto, in questo caso il comportamento. L’analisi
genetico-comportamentale è un metodo per determinare l’entità dell’influenza
genetica su un particolare tratto. Non bisogna tuttavia dimenticare che nella
valutazione non si deve perdere di vista l’importanza dei fattori ambientali
nel modificare l’espressione fenotipica di un gene.
Qualsiasi capacità comportamentale, dall’istinto
territoriale del pettirosso all’abilità umana nell’apprendere il
linguaggio, dipende da fattori genetici che ne stanno alla base. Il
comportamento animale non è altro che il risultato dell’attività di
cellule nervose e muscolari: è più che evidente che lo sviluppo di questi
tessuti dipende dai geni presenti nella cellula. I geni contengono
informazioni per la sintesi di proteine chiave nella vita cellulare, cioè gli
enzimi, che regolano le reazioni chimiche in seno alla cellula e ne
condizionano il destino attraverso lo sviluppo.
Il grado di responsabilità da parte di geni o di batterie
di geni sul controllo dei modelli comportamentali individuali è un argomento
irrisolto che fa parte del campo esplorativo della genetica comportamentale. I
genetisti del comportamento hanno potuto dimostrare che la manipolazione di
certi geni è in grado di influenzare lo sviluppo di specifiche abilità del
comportamento. Hanno scoperto che le differenze comportamentali tra alcuni
individui può essere il risultato di una singola differenza genetica, cioè
della differenza a carico di un solo gene.
I risultati stanno altresì a dimostrare non solo che
esiste un singolo gene per ogni modello comportamentale o per una data
abilità: attestano pure che i prodotti molecolari derivanti da un gene sono
talmente importanti per lo sviluppo dei muscoli e delle cellule nervose che,
se tale prodotto viene alterato, lo sviluppo della piattaforma per l’abilità
comportamentale verrà mutata.
Anche se i geni sono importanti per lo sviluppo del
comportamento, tuttavia l’ambiente gioca il suo ruolo in questo processo.
Gli scienziati interessati in questa branca dell’etologia hanno inoltre
dimostrato che certi tipi di esperienza non sono privi di influenze. D’altra
parte è ormai noto che lo sviluppo funzionale del sistema nervoso e endocrino
necessita di un’integrazione fra substrato genetico e ambiente.
I genetisti del comportamento sono appena agli inizi delle
loro indagini sulle relazioni tra il gene e lo sviluppo del meccanismo
fisiologico del comportamento. In passato i fisiologi avevano dimostrato il
modo in cui alcuni meccanismi nervosi e ormonali controllano certi modelli
comportamentali. Trovarono neuroni sensoriali specializzati in una varietà di
animali che reagiscono preferenzialmente a importanti stimoli biologici. Così
nella retina della rana leopardo - Rana
pipiens, cioè pigolante - esistono cellule che producono impulsi in
quantità maggiore quando un oggetto piccolo, scuro e rotondo attraversa in
modo erratico il campo visivo della rana. Siccome la cimice - bug in inglese - è in grado di stimolare l’occhio della rana in
questo modo, tali cellule retiniche sono state denominate bug detectors e sono proprio esse a dare il contributo maggiore alla
sopravvivenza della rana leopardo, in quanto le cimici sono basilari nella sua
dieta.
Il cervello sembra dotato di speciali batterie di cellule
nervose responsabili dell’individuazione di determinati stimoli e della
messa in opera di risposte biologicamente corrette. Gli animali sono inoltre
in grado di decidere quale tra i loro modelli comportamentali debba essere
impiegato in un certo frangente, anche se in quel momento essi stanno
ricevendo informazioni sensoriali provenienti da vari oggetti che potrebbero
far scattare attività contradditorie. Le reti nervose responsabili dei
differenti modelli sono organizzate secondo il modello delle schede di
priorità. Per esempio, il comportamento di fuga ha priorità sugli altri,
per cui raramente gli animali si impegnano a compiere azioni differenti tutte
in un volta.
Di speciale interesse sono i comportamenti ciclici annuali
caratteristici di parecchie specie, spesso regolati dal cambiamento della
situazione ormonale: la durata maggiore dell’illuminazione diurna
primaverile è un importante stimolo per gli uccelli migratori; dopo la
migrazione una nuova situazione ormonale determina lo sviluppo delle gonadi
sopite, nei maschi si innesca la territorialità e il corteggiamento, quindi
nelle femmine compare l’istinto di cova associato a quello di nutrire i
neonati. Solo la fine regolazione e interazione tra ormoni e attività nervosa
permette che la riproduzione abbia successo.
È interessante notare come la selezione favorisca quei
tratti che aiutano un individuo ad avere più discendenti di un altro. I casi
in cui un individuo commetta un suicidio
pongono quesiti particolari ai teorici dell’evoluzionismo, in quanto un
simile comportamento potrebbe comparire col fine di eliminare quei geni che
veramente contribuiscono allo sviluppo del comportamento. Tuttavia, per fare
un esempio, una formica operaia suicida è innanzitutto sterile; il suo altruismo, o comportamento di autosacrificio, aiuta in modo
indiretto a propagare i geni della sua specie proteggendo i proprii compagni e
quindi favorendo la riproduzione di quei soggetti che condividono gli stessi
geni.
4. IL COMPORTAMENTO DEL GENERE Gallus
L’interesse dell’uomo per il
comportamento del pollo è antico di millenni e la genetica del comportamento
ha notevolmente influenzato l’allevamento, specie industriale, in quanto gli
studi si sono essenzialmente concentrati sull’effetto dei geni relativo al
consumo e all’utilizzazione della razione alimentare convertita in petti e
coscette.
L’addomesticamento del pollo fu reso possibile da
caratteristiche peculiari che erano favorevoli a questo processo:
·
struttura
gerarchica di gruppo, in seno al quale i sessi possono essere mischiati e il
numero dei soggetti può essere variato
·
comportamento
sessuale caratterizzato da maschi dominanti sulle femmine, con segnali d’accoppiamento
forniti dall’atteggiamento, quando cioè la femmina s’acquatta
·
vincoli
precoci tra giovani e meno giovani
·
esigenze
dietetiche non specifiche
·
propensione
a interagire positivamente con l’uomo
·
facile
adattabilità agli ambienti più disparati.
L’addomesticamento è un processo continuo che implica l’adattamento
degli animali alle situazioni ambientali definite dall’uomo. Quando un
animale viene trasferito da un ambiente a un’altro, il fenotipo
comportamentale può presentare variazioni a carico di qualche tratto. Alcune
specie, come la quaglia giapponese, in condizioni naturali sono monogame,
mentre in laboratorio sono promiscue; il germano reale in ambiente selvatico
ha un periodo riproduttivo e di incubazione più breve rispetto ai soggetti
semiaddomesticati.
La relazione tra genetica e comportamento comprende due
aspetti principali:
·
analisi genetica dei tratti comportamentali
·
influenze del comportamento sul patrimonio genetico delle
generazioni successive.
La popolazione dei nostri polli si è sviluppata per
intervento umano prima che si scoprisse la divisione cellulare e prima che le
leggi mendeliane fossero recepite. Per i tratti soggetti a variazioni
genetiche si sono verificate della risposte al procedimento selettivo e le
mutazioni in seno a una popolazione sono diventate permanenti. Un esempio è
fornito dal comportamento aggressivo e submissivo nei galli da combattimento;
un altro esempio lo troviamo nella durata del canto.
L’analisi genetica del comportamento non può
prescindere dal concetto che, fatto salvo l’intervento d’una mutazione, il
genotipo di un individuo viene fissato al momento della fecondazione e che le
variazioni genetiche vengono misurate in seno alla popolazione cui il soggetto
appartiene. Al contrario del genotipo, il comportamento degli individui e
delle popolazioni, quindi il fenotipo, sono variabili. Le interazioni sociali,
le esperienze del passato, le interazioni tra genotipo e ambiente: sono tutti
fattori che possono sommarsi per determinare una variazione a carico del
fenotipo.
Talora è difficile definire e misurare il comportamento,
tuttavia può essere quantificato se i tratti caratteristici sono ricorrenti,
identificabili con sicurezza e classificabili. Come altri tratti
caratteristici, anche l’espressione fenotipica del comportamento si basa sul
patrimonio genetico globale che fa da sfondo, sull’ambiente e sulle
interazioni tra ambiente e patrimonio genetico. Le procedure analitiche
qualitative e quantitative utilizzabili nella genetica del comportamento non
differiscono da quelle impiegate nell’analisi di caratteristiche
morfologiche e fisiologiche.
Capacità depositiva, fertilità, schiudibilità,
vitalità: sono alcuni fattori che contribuiscono a differenziare gli
individui circa le loro capacità riproduttive. Tuttavia il comportamento
sessuale, la cova e l’allevamento dei neonati hanno altrettanta importanza
nel successo riproduttivo, anche se ciascuno di questi comportamenti ha un
peso diverso a seconda delle situazioni.
Consideriamo il tacchino dal punto di vista commerciale:
il corteggiamento e la copula non sono meno importanti dei muscoli pettorali
ampi, ma proprio selezionando per un petto largo si sono create barriere
anatomiche e meccaniche per un accoppiamento naturale, richiedendo così un’inseminazione
artificiale. La cova, essenziale in natura, non diventa più necessaria con l’uso
degli incubatoi: attraverso la selezione, l’istinto di cova del pollo è
stato praticamente annullato, come nella quaglia giapponese, elevando la
soglia per l’espressione del tratto comportamentale; invece l’eliminazione
di questa caratteristica nel tacchino rimane ancora una sfida per gli
allevatori.
Il comportamento sessuale, che coinvolge una sequenza di
stimoli e risposte intercorrenti tra maschio e femmina, è stato oggetto di
studi approfonditi. La stretta relazione tra comportamento aggressivo e
corteggiatore, nonché le ampie differenze presentate dal dimorfismo sessuale,
contribuiscono a rendere complessa la scelta del partner. Nel pollo le lievi
differenze di peso corporeo non influiscono sulla scelta; quando le differenze
di stazza sono notevoli, le preferenze esistono e dipendono dal tipo di
dimorfismo. I maschi e le femmine dotati di mole grande, nonostante abbiano
generalmente una scarsa libido, si
preferiscono tra loro; i galletti spesso corteggiano femmine che sono per loro
quello che per noi è la Donna Cannone,
ma l’accoppiamento è raro; al contrario è infrequente l’interesse dei
maschi giganti per le femmine minute quando la differenza di peso va al di là
di 1/3. In una comune di maschi e femmine, un maschio castrato socialmente
si accoppia con le femmine se si trova da solo senza gli altri pretendenti;
ciò può riflettere una dominanza passiva dei maschi nei confronti delle
femmine. In alcuni gruppi numericamente scarsi, i maschi che occupano il rango
più alto spesso sciupano più energia nelle lotte coi rivali di quella
dedicata al sesso.
La colorazione del piumaggio, caratteristica genetica
facilmente identificabile e spesso molteplice, è stata impiegata per studiare
le preferenze sessuali. Il policromatismo provoca una stratificazione nella
gerarchia sociale del tacchino e del pollo Fayoumi, dove l’accoppiamento non
avviene a caso. Anche la quaglia giapponese riesce a distinguere i soggetti in
base alla colorazione del piumaggio e proprio in base a ciò mostra specifiche
preferenze: mettendo insieme soggetti dalla colorazione selvatica con mutanti
albini e gialli, le femmine albine vengono evitate sia che i maschi abbiano o
non abbiano avuto precedenti contatti con soggetti albini; non esiste invece
differenza di comportamento tra soggetti selvatici e gialli; al contrario, i
maschi albini non mostrano preferenze particolari.
Nel pollo, la testa con le sue appendici cutanee sono
importanti per il riconoscimento individuale e di gruppo: quando in un gruppo
sono presenti soggetti con differenti tipi di cresta, la posizione sociale
più elevata viene assunta da quelli con cresta semplice e questi maschi si
accoppiano più frequentemente; il rango più elevato permette inoltre di
essere privilegiati nell’accesso al cibo e all’acqua, e ciò si riflette
in un incremento ponderale e in una produttività maggiori.
4.1. Loci specifici del comportamento nel genere Gallus
Gli alleli generalmente non sono
dotati di un solo effetto. Quelli relativi al comportamento vengono
abitualmente classificati in base all’effetto diretto o indiretto.
Effetti
indiretti sono quelli che, modificando la morfologia e le
necessità metaboliche, sfociano in una modificazione comportamentale. Un
esempio è dato dalla colorazione del piumaggio e dalle appendici del capo.
Possiamo aggiungere la cecità da displasia e degenerazione retinica parziali
(vedi XVII-5.4) e il diabete insipido: i maschi ciechi sono
desiderosi di corteggiamento, ma vanno incontro a insuccesso quando vogliono
completare l’atto sessuale; tuttavia, con la continua esposizione alla
presenza femminile, alcuni di questi maschi riescono nel loro intento, frutto
della pratica; i polli con diabete insipido sono handicappati a causa della
loro continua necessità di bere.
Effetti
diretti sono quelli che dipendono dall’influenza specifica e
primaria di un allele. Molte mutazioni del comportamento riducono la capacità
riproduttiva, hanno una certa percentuale di letalità, sono recessive e si
trovano frequentemente sul cromosoma Z.
Le mutazioni recessive legate al sesso sono le seguenti:
ce |
cerebellar hypoplasia |
ipoplasia cerebellare |
ga |
gasper |
boccheggiante |
j |
jittery |
nervoso |
px |
paroxysm |
parossismo |
sh |
shaker |
agitato |
xl |
sex linked lethal |
letale legato al sesso |
Le mutazioni recessive autosomiche comprendono:
cq |
congenital quiver |
tremito congenito |
cy |
crazy |
pazzo |
epi |
epileptiform seizures |
crisi epilettiformi |
fs |
faded shaker |
scolorito a scossoni |
lo |
congenital loco |
loco congenito o sindrome da
astronomo |
pir |
pirouette |
piroetta |
tip |
tipsy |
ubriaco |
Nonostante parecchie mutazioni che interessano il
comportamento abbiano influenza sul sistema nervoso, si conosce ben poco sul
meccanismo attraverso il quale determinano le modificazioni fenotipiche. A
questo proposito si rimanda alla specifica sezione dedicata alla genetica del
sistema nervoso. Alcune mutazioni, come loco,
sono state descritte nel pollo, nel tacchino e nella quaglia giapponese. Lo
sfondo genetico e l’ambiente sono in grado di influenzare l’espressione di
un gene: l’incidenza dell’atassia è stata accresciuta dalla selezione e
dal ridotto apporto minerale alle fetatrici; l’esposizione a luce intensa
dello spettro visibile impedisce l’espressione del bobber (muoversi di scatto), che è una mutazione recessiva legata
al sesso causa di atassia del collo nel tacchino.
Differenze di comportamento secondo la razza - nonché a
seconda dei ceppi in seno alle razze - sono di comune riscontro, e includono
alcuni tratti come l’appollaiarsi, la durata del canto e l’immobilità
tonica. Nonostante le differenze fenotipiche suggeriscano una possibile
variazione su base genetica, non aiutano a spiegare la base genetica di tali
comportamenti.
Un dato interessante, che forse può gettare un po’ di
luce anche sull’istinto aggressivo del Combattente, già presente quando i
soggetti sono ancora pulcini, è la constatazione che lo scarso desiderio
sessuale non è correlabile coi tassi di testosterone circolante, per cui si
deve supporre l’intervento di differenze localizzate a livello dei recettori
cerebrali. Credo che ognuno di noi sia conscio di come la libido sia
essenzialmente una caratteristica psichica, in quanto sono favorevoli al suo
estrinsecarsi non tanto le terapie ormonali sostitutive, bensì una corretta
igiene psichica quotidiana, scevra di preoccupazioni e di frustrazioni.
4.2. Stimolazione della corteccia cerebrale nel Pollo
Quando uno stimolo si presenta
sempre sotto la stessa forma, molto spesso muta la frequenza e l’intensità
del comportamento che ne deriva. Allo stesso modo questi fenomeni si possono
riconoscere se si programmano degli stimoli cerebrali. I risultati di questo
tipo d’indagine condotta sui polli domestici d’allevamento sono stati
descritti nel 1960 da Holst & Saint Paul nel loro famoso lavoro Vom Wirkungsgefüge der Triebe:
Sulla struttura d'azione dell'istinto.
Il pollo è stato preparato all'esperimento asportando in
anestesia un frammento di volta cranica e nell'apertura così ottenuta è
stato inserito un elettrodo in plexiglas. A quel punto era possibile infiggere
nel cervello dei sottili filoelettrodi assolutamente indolori, che non
causavano alcun danno meccanico, e ai quali era possibile applicare una debole
corrente di stimolo. Quando gli uccelli si risvegliavano dall'anestesia erano
tranquilli e potevano sopportare gli elettrodi per settimane senza conseguenze
spiacevoli. Inoltre gli animali mostravano un comportamento normale.
Se con un debole impulso elettrico venivano stimolate solo
determinate sezioni cerebrali, gli uccelli adottavano dei comportamenti del
tutto tipici e specifici, come schiamazzare, accogliere i piccoli sotto l’ala,
attacco e fuga, senza che però fossero presenti i rispettivi input
appropriati o stimoli-chiave.
A volte è possibile indurre lo stesso comportamento, per
esempio uno schiamazzo, stimolando due diversi punti del cervello. Se si
fornisce in uno dei punti un debole stimolo subliminale non accade nulla. Lo
stesso avviene stimolando l’altro punto. Se invece lo stesso impulso
subliminale viene contemporaneamente applicato a entrambi i punti sensibili,
si ottiene una reazione completa.
Due impulsi subliminali si sommano nel cervello a
costituirne uno più forte: si tratta della sommazione. Un impulso protratto
nel tempo perde lentamente il suo effetto, vale a dire che nel nostro caso lo
schiamazzo si sopisce. Se ora però stimoliamo con l’altro elettrodo, non
compare nessuna traccia di adattamento. Evidentemente l’adattamento è
specifico per il punto stimolato e si trova prima del punto in cui si
congiungono le informazioni dei due impulsi subliminali.
Quando lo stimolo non è molto forte, il suo effetto può
rinforzarsi progressivamente. Se a ciò si aggiunge l’azione su un altro
punto di stimolo, la reazione raggiungerà un’intensità piena. Il
cambiamento è un processo superiore più organizzato e abbassa lentamente la
soglia che scatena lo schiamazzo. Cambiamento e adattamento possono agire
anche contemporaneamente quando uno stimolo è molto duraturo. In questo caso
l’intensità o la frequenza del comportamento dapprima aumenta lentamente
(cambiamento), ma dopo diminuisce di nuovo (adattamento). Con questi pochi
esempi forse riusciamo a farci un'idea del funzionamento del sistema nervoso
centrale ricorrendo a esperimenti relativamente semplici.
L’aggressività è un
comportamento d’attacco che può essere sia autoprotettivo che
autoaffermativo, oppure ostile sia verso gli altri che verso se stessi. Il
comportamento aggressivo può andare da una pura autoaffermazione fino alla
lesione o alla totale distruzione degli altri individui.
L’aggressività ha due aspetti principali: il proposito
di compiere un atto e l’azione in sé. Le azioni che sembrano essere ostili,
alla fin fine possono non essere determinate dell’intenzione di infliggere
una lesione, ma solo dal desiderio di stabilire una posizione di dominio sugli
altri. Il mezzo abituale cui si fa ricorso per stabilire un rapporto di
dominanza consiste abitualmente nella minaccia piuttosto che in un’aggressione
vera e propria. Negli animali la maggior parte dei comportamenti che sembrano
aggressivi sono in realtà una minaccia.
Tra gli animali le forme di gran lunga più comuni del
comportamento aggressivo non coinvolgono né il combattimento, né la
violenza, né la lesione fisica, e neppure il contatto fisico. L’aggressività
viene invece ritualizzata e
comprende la ritirata, la fuga, come pure la minaccia. La ritualizzazione,
comportamento che consiste in segnali sociali che vengono riconosciuti e che
suscitano una risposta appropriata, mette al riparo dalla necessità di
scendere a una lotta in campo aperto.
Gli studiosi distinguono ben 12 tipi di aggressività in accordo con gli stimoli che sono in grado di suscitarla:
1 - l’aggressione predatoria è evocata dalla presenza di un oggetto naturale da preda
2 - l’aggressione antipredatoria viene stimolata dalla presenza di un predatore
3 - l’aggressione territoriale nasce quando un intruso invade il territorio personale
4 - l’aggressione per il dominio è in grado di insorgere quando viene lanciata una sfida al rango del soggetto oppure quando insorge il desiderio di un oggetto da possedere
5 - l’aggressività materna viene stimolata dall’approssimarsi di una minaccia per la prole
6 - l’aggressività dei piccoli nasce come conseguenza di un aumentato senso d’indipendenza nei confronti dei genitori che minacciano o talora - con le dovute limitazioni - attaccano la prole
7 - l’aggressione disciplinare genitoriale viene suscitata da svariati stimoli, come può essere un piccolo non ben accetto, uno scherzare grossolano o protratto, il vagabondare della prole; talora entra in gioco anche l’antipatia personale
8 - l’aggressività sessuale viene creata dalle femmine col proposito di accoppiarsi o per stabilire un’unione prolungata col partner
9 - l’aggressività sesso-dipendente riconosce gli stessi stimoli che producono il comportamento sessuale
10 - l’aggressione che si scatena tra i maschi riconosce come causa la presenza di un maschio della stessa specie che possa mettersi in competizione
11 - l’aggressività da paura nasce in seguito al confinamento dell’individuo o dalla presenza di qualche agente minaccioso
12- l’aggressività da irritazione viene stimolata dalla presenza di qualche organismo oppure da qualche oggetto con caratteristiche tali da stimolare una risposta di attacco, come accade in presenza di particolari colori o di movimenti a scatto.
Nessun tipo tra le aggressività elencate ne esclude un’altra. D’altro canto, ciascun tipo ha delle basi nervose e endocrine peculiari. I vari tipi di aggressività non si possono applicare alla stessa maniera sia all’uomo che agli animali. Non si tratta di un fenomeno puro e semplice, in quanto il suo significato va compreso nel contesto delle caratteristiche di una specie.
Così, il comportamento predatorio negli animali non va
interpretato come segno di ostilità, bensì come necessità di procurarsi il
cibo. Gli psicologi e gli etologi sono dell’avviso che negli animali più
evoluti, specialmente nell’uomo, l’apprendimento gioca un ruolo
fondamentale nello sviluppo del comportamento aggressivo. Ciò sarebbe in
contrapposizione con il concetto espresso da Konrad Lorenz - secondo cui gli
esseri umani avrebbero tendenze omicide innate derivanti dal loro passato
animalesco - e con la tesi di Freud secondo cui l’aggressività umana
riconosce un’origine istintuale.
5.1. La psicochirurgia
Si dispone di un’enorme
quantità di dati che riguardano gli effetti sull’emotività esplicati dalla
stimolazione e dalla lesione di particolari aree del cervello. Si tratta di
dati provenienti dalla sperimentazione animale, ma anche in campo umano si è
fatto qualche tentativo che ha portato alla nascita della psicochirurgia.
Bisogna tenere presente che il comportamento emotivo di un essere umano è
talmente più complesso di quello degli altri animali che anche la più
accurata diagnosi e il miglior intervento chirurgico possono determinare
risultati imprevedibili.
Le tecniche psicochirurgiche sono state impiegate per
eliminare il dolore nelle fasi terminali del cancro, per guarire stati d’ansia
particolarmente gravi insensibili alla psicoterapia, per risolvere alcuni casi
di psicosi e, per ricollegarci ai galli combattenti, in alcuni casi
particolarmente gravi di comportamento violento. È ovvio che esiste il
rischio di un uso improprio di questa branca chirurgica: si potrebbe giungere
a trascurare la vera causa del comportamento violento, cioè le situazioni
sociali, che sono le cause scatenanti.
Mark e Irwin cercarono di eliminare il comportamento
violento associato all’epilessia del lobo temporale, ottenendo in vari casi
un discreto successo. Sono state effettuate lesioni della regione del cingolo
per eliminare comportamenti aggressivi o ossessivi. Si ritiene che le lesioni
dell’ipotalamo laterale siano in grado di eliminare gli stati d’ansia e il
comportamento aggressivo.
6. Genotipo e comportamento umano
Le attività mentali si
esprimono nel comportamento e sono strettamente collegate all’attività del
cervello e del sistema nervoso. La distruzione di piccole o grandi aree
cerebrali può dar luogo a cambiamenti mentali. Alterazioni biochimiche delle
cellule nervose e modificazioni delle loro interazioni sono spesso
accompagnate da variazioni del comportamento. Il comportamento dipende anche
dall’organizzazione degli organi di senso che convogliano al sistema nervoso
segnali dal mondo esterno e interno; dipende inoltre dalle reazioni dei
tessuti agli stimoli nervosi, i quali possono scatenare secrezioni ormonali e
contrazioni muscolari che si esprimono negli stati mentali, nei movimenti e
nel modo di parlare.
Dato che i geni svolgono la loro azione sullo sviluppo di
svariate strutture biologiche e su innumerevoli processi biologici, è logico
aspettarsi che influenzino anche quelle strutture e quelle funzioni da cui
dipendono i caratteri psichici, e che le differenze genotipiche si manifestino
attraverso differenze del comportamento. Le prove degli effetti svolti dai
geni sul comportamento umano provengono da fonti diverse.
Che il genotipo possa
influenzare la psiche e il comportamento è dimostrato dal mongolismo:
è dovuto a una trisomia del
cromosoma 21, che è di piccola taglia, acrocentrico, a forma di
lettera V, e che in uno dei due genitori non si è separato dal cromosoma
gemello durante la formazione del gamete
[1]
.
Talora non si tratta di una trisomia, in quanto il corredo cromosomico è
numericamente normale. Si tratta invece di una traslocazione sbilanciata del
cromosoma 21 su uno dei seguenti cromosomi acrocentrici: 13, 14, 15, 22, o
addirittura su un altro cromosoma 21. Lo sviluppo e le funzioni di un
organismo diploide sono basati sul bilanciamento dell’azione dei geni, in
maniera tale che la normalità è determinata dall’attività di due alleli
per molti loci; invece, essendo la maggioranza dei geni presente due volte, se
alcuni lo sono una volta sola oppure tre volte, allora l’azione complessiva
dei geni è sbilanciata e nascono fenotipi anormali.
I soggetti affetti da mongolismo hanno un cervello piccolo,
con certe parti - quali i lobi frontali, il tronco cerebrale e il cervelletto
- sproporzionatamente ridotti. Secondo Penrose, tipici individui affetti da
sindrome di Down hanno una personalità allegra e amichevole. Non solo: i
mongoloidi hanno una loro particolare intelligenza, insomma, non sono
assolutamente dei fessi come farebbe
intendere l’uso corrente del termine; soprattutto sono dei micioni, sono degli affettivi che ti si strofinano addosso come i
gatti quando fanno le fusa. Nel 50% dei mongoloidi sono presenti malformazioni
cardiache congenite, con una maggior incidenza di mancanza del setto
interventricolare, da cui derivano situazioni patologiche che compromettono
molto presto l’esistenza dei bimbi.
Sono affetti da mongolismo 1 su 600 neonati; 1,3 su 1.000
nati vivi presenta una trisomia 21. Se la madre ha un’età inferiore a 20
anni, il rischio di generare un bimbo anormale è di 1:1.800, mentre se la
madre ha un’età ³ a 45 anni l’incidenza
è di 1:25 in quanto il fenomeno della non disgiunzione meiotica si verifica
con frequenza elevata nel tessuto ovarico delle donne in età avanzata.
La mancanza di circa la metà
del braccio corto del cromosoma 5
è responsabile della cosiddetta sindrome del cri du chat, cioè del grido
del gatto: i bambini, oltre a un grave ritardo mentale, presentano anche
un pianto lamentoso simile al miagolio del gatto, che pare venga generato da
meccanismi neurologici piuttosto che da anormalità anatomiche della laringe.
A parte le aberrazioni cromosomiche, anche gli effetti di
singoli geni sono responsabili di alterazioni del comportamento.
La malattia di Tay-Sachs è frequente tra gli ebrei Askenazi
[2]
- come nell’area urbana di New York e tra i canadesi di ceppo francese - a
causa dei dettami religiosi che impongono da molte generazioni il matrimonio
tra individui di una popolazione relativamente ristretta. Dipende dall’omozigosi
di un gene recessivo che causa nelle cellule cerebrali un anormale metabolismo
degli sfingolipidi, necessari a una corretta funzione nervosa, per mancanza
della esosaminidasi A, e che si esprime in una degenerazione mentale dei
bimbi, che alla nascita sembrano normali.
Il gene autosomico dominante
responsabile della corea di Huntington
comporta processi degenerativi del sistema nervoso per cui si va incontro alla
perdita di cellule in quell’area cerebrale rappresentata dai gangli della
base, in particolare a carico dello striato. Questo danno anatomico coinvolge
le capacità cognitive (pensiero, giudizio, memoria), il controllo emotivo e
il movimento, rappresentato dai cosiddetti movimenti coreici che vanno sotto
il nome di ballo di San Vito. Per lo più i sintomi compaiono
gradualmente fra i 30 e i 50 anni d’età, anche se talora la malattia può
manifestarsi sia a 2 come a 90 anni.
Esiste un gene recessivo legato
al sesso e localizzato sul braccio lungo del cromosoma X che condanna i suoi
portatori - quasi tutti maschi omozigoti - a una grave paralisi cerebrale, a
deficienze mentali e a un innato comportamento aggressivo diretto sia contro
se stessi che contro gli altri; inoltre conduce generalmente a morte precoce.
I bambini affetti si mutilano mangiandosi le labbra e le dita, e il
comportamento verso gli altri include lo sputare, il mordere e il picchiare.
La sindrome di Lesch-Nyhan risulta dalla mancanza genetica dell’enzima ipoxantina-guanina fosforibosiltransferasi (HPRT)
necessario
per un normale metabolismo delle purine. Di conseguenza i bambini hanno un
eccesso di acido urico nel sangue, che causa pure una grave sindrome gottosa.
Non è conosciuta la relazione esistente fra l’anormalità biochimica e il
comportamento. Questo esempio estremo di un comportamento antisociale
dipendente da un gene potrebbe suggerire che altri genotipi siano magari la
causa di gradi minori e di tipi diversi di comportamento anormale.
Questa sindrome è la causa di
ritardo mentale ereditario più frequente: circa 1:4.000 maschi della
popolazione generale ne è affetto. Il nome X fragile deriva dal fatto
che la mutazione del DNA provoca una modificazione della struttura del
cromosoma X che, visto al microscopio, presenta una strozzatura, dove è
situato il gene FMR1. Nella maggior parte dei casi l’alterazione
responsabile della sindrome è l’espansione di una sequenza ripetuta di 3
basi nucleotidiche - e precisamente della tripletta Citosina - Guanina -
Guanina, o tripletta CGG - a livello del gene FMR1. Tale sequenza è
particolarmente instabile durante il passaggio da una generazione all’altra.
Nelle persone normali la tripletta CGG è ripetuta un
numero variabile di volte - da 6 a 55 - e viene trasmessa stabilmente
attraverso le generazioni. Quando il numero di triplette CGG supera le 55
ripetizioni, la sequenza di DNA diventa instabile e durante il passaggio alle
generazioni successive si espande il numero di ripetizioni della tripletta.
Le persone dotate di un numero di ripetizioni comprese fra
56 e 200 vengono definite portatori sani e l’espansione della tripletta
consente al gene FRM1 di funzionare ancora in modo corretto, senza cioè
provocare alcun sintomo clinico.
Nelle persone affette da sintomi clinici il numero di
ripetizioni CGG supera il valore di 200 e comporta il mancato funzionamento
del gene FRM1. Tutti i maschi sono affetti dalla sindrome clinica, mentre ne
sono affette solo circa la metà delle femmine.
Il primo segno della malattia è il ritardo dello sviluppo
psicomotorio, in particolare dell’apprendimento del linguaggio. Il
ritardo mentale è di grado variabile e spesso si associa ad anomalie
comportamentali come irrequietezza, instabilità psicomotoria e incapacità a
fissare l'attenzione. Queste caratteristiche persistono con l'avanzare
dell'età.
Il comportamento delle persone affette da FraX può andare
da un carattere estroverso e sociale a comportamenti simili all'autismo
(iperattività, incapacità di fissare negli occhi gli altri, avversione
all'essere toccati, comportamento stereotipato). A volte possono manifestarsi
episodi convulsivi.
Molte persone affette da FraX hanno tratti somatici
tipici: viso stretto e allungato con fronte e mandibola prominenti, orecchie
più grandi e più basse della media e, nei maschi, ingrossamento dei
testicoli (macrorchidismo). Le persone affette da FraX possono presentare
anche altri sintomi, come l'iperestensibilità delle articolazioni, il piede
piatto e il prolasso della valvola mitrale.
Mongolismo e sindrome dell’X fragile non sono
paragonabili dal punto di vista genetico e cromosomico. Tuttavia non può non
saltare all’occhio che, come nel mongolismo, nella sindrome dell’X fragile
non è compromessa solamente la quota comportamentale del soggetto, ma sono
alterati altri tratti somatici che non hanno apparente relazione con il
sistema nervoso: cuore, volto, articolazioni.
Per contro, visto che il soggetto affetto da Fra-X può
presentare comportamenti simili all’autismo, pare che nel caso dell’autismo
puro sia sempre più probabile che le anormalità del patrimonio
genetico giochino un ruolo centrale.
Nel luglio 1993 la rivista Science
pubblicò uno studio di Dean Hamer secondo il quale esisterebbe una
preponderanza di parenti gay da parte materna per i maschi gay, i quali
presenterebbero certi markers a livello della regione Xq28 del cromosoma X,
più di quanto ci si sarebbe potuto aspettare da una semplice casualità. Si
concluse che il frammento cromosomico deve contenere un gene in grado di
predisporre i maschi all’omosessualità. Alla stessa conclusione condusse un
secondo studio pubblicato nel 1995 da Hamer e la sua équipe. Un successivo
studio di George Rice e George Ebers giunse a conclusioni opposte. La diatriba
non è ancora approdata a una soluzione. A questo proposito bisogna rammentare
quanto abbiamo già affermato, e cioè che l’ambiente partecipa in larga
misura all’espressione di un tratto comportamentale. Bisogna inoltre
sottolineare che ereditabile non significa ereditato. Infatti ereditato
significa che un tratto viene direttamente e completamente determinato da un
gene, senza possibilità di una sua modificazione agendo sull’ambiente.
Si tratta di esempi estremi, ma
possiamo pensare che esista tutta una serie di influenze genetiche attive sul
comportamento, passando da casi estremi di comportamento abnorme a tutte le
possibili varianti classificabili nell’ambito della normalità.
Maschi aventi l’inusuale assortimento di cromosomi
sessuali XYY sono molto rari nella popolazione generale, ma si riscontrò che
essi costituivano una percentuale discreta tra gli internati di un ospedale
britannico per criminali molto pericolosi. In media sono individui molto alti,
alcuni straordinariamente aggressivi, e si pensò che fosse la loro
costituzione XYY che li rendeva particolarmente aggressivi, e che questa fosse
quindi l’origine della loro condotta antisociale. Dal momento della
pubblicazione dei primi lavori sulla sospetta tendenza verso attività
criminali di individui XYY, sono sorti parecchi dubbi sulla validità di
questa presunta associazione. I primi studi furono svolti su popolazioni
preselezionate, e sembrerebbe necessario studiare dei campioni di grandi
dimensioni scelti a caso sia di adulti che di neonati per ottenere dati validi
sulla frequenza degli adulti XYY e sullo sviluppo sociale dei neonati XYY. Dai
dati disponibili nel 1971 non vi sono prove sufficienti con le quali si possa
decidere pro o contro l’ipotesi che maschi XYY siano predisposti allo
sviluppo di una personalità psicopatica e di un conseguente comportamento
aberrante e di una condotta antisociale (Court Brown).
[1] Il 2000 ha violato la privacy anche del cromosoma 21, quello implicato nella sindrome di Down. 18 maggio 2000: il braccio lungo del cromosoma 21 contiene 33.546.361 bp; il braccio corto 281.116 bp, in totale vi sono allocati 127 geni noti, 98 geni previsti e 58 pseudogèni.
[2] Gli Ashkenazim rappresentano uno dei due maggiori gruppi in cui vengono suddivisi gli Ebrei, essendo l’altro gruppo rappresentato dei Sefardim. Questa suddivisione si basa su differenze geografiche, linguistiche e culturali. Il termine Ashkenazim deriva da Ashkenaz, pronipote di Noè. Infatti la Genesi, 10-1, dice “Discendenti di Sem, Cam e Jafet figli di Noè. Essi ebbero dei figli dopo il diluvio. I figli di Jafet sono: Gomer, Magog, Madai, Javan, Tubal, Mosoc e Tiras. I figli di Gomer sono: Ashkenaz, Rifat e Togorma.” Ashkenaz secondo la Bibbia indica una nazione discendente da Jafet stanziata a nord della Siria, forse gli Ascani di Frigia. I Rabbini medievali, per spiegare l’insediamento ebraico nell’area renana antecedente l’Impero Romano, hanno affermato che Ashkenaz era immigrato in Germania dopo il diluvio universale. La cultura Ashkenazim si identifica con la lingua Yiddish, un misto di tedesco antico, laaz, slavo ed ebraico, che viene scritta con caratteri ebraici. Attualmente sono detti Ashkenazim quegli ebrei i cui antenati vivevano in Germania, mentre i Sefardim sono quelli i cui ascendenti risiedevano nella penisola iberica. Gli Askenazi costituiscono più dell’80% della popolazione ebraica mondiale. In ebraico il termine laaz indica tutte le lingue non ebraiche e in particolar modo quelle di origine latina.