|
L’ultimo Inca fu Atahualpa,
che in sintesi significa pollo, per la cui etimologia si rimanda al vol.I - IX-8.6.c.
Se analizziamo i cognomi italici alla ricerca di gallo, gallina e pollo,
notiamo un’elevata incidenza sia delle forme pure che delle varianti, per
cui questo volatile appartiene da molti secoli alla nostra vita quotidiana,
spesso lavorativa, talora ladresca.
Non è escluso che i tratti fenotipici del genere Gallus siano stati talora impiegati per definire le caratteristiche
somatiche di popolazioni che hanno colonizzato la nostra penisola. A proposito
di motivazioni fenotipiche, ricordo che un amico di mio padre veniva
soprannominato Paruchìj,
Parrocchetto, in quanto fornito di un naso alquanto adunco, tanto da emulare
il becco di un pappagallo, di un parrocchetto. Un altro conoscente di mio
padre era il Sialì, Libellulino:
era tanto magro e snello, che per un incontro di boxe non sarebbe rientrato
neppure tra i pesi mosca. In merito al Pollo, che ci riguarda più da vicino,
ricordo che un mio coetaneo somigliava a un bel broiler,
da cui il soprannome Pulastrô,
accrescitivo di Pulaster, Pollo.
I soprannomi sono di uso universale e non sempre indicano
caratteristiche fisiche, in quanto non è raro che vengano impiegati per
sottolineare doti morali. Ne è un esempio il soprannome che in Kenya la
tribù Akamba attribuì a un glorioso missionario, Don Ezio Vitale
[1]
,che
non ebbe mai paura di nulla, neanche del machete, che una notte gli aveva
segnato il volto nella sperduta missione di Kathonzweni. Per i suoi
parrocchiani Don Ezio era Father Mugnambo, Padre Leone.
La ricorrenza di cognomi italiani apparentemente derivati
dal tacchino è una nullità rispetto a quelli dovuti al genere Gallus,
e ciò risulterà evidente dall’esiguo numero di famiglie italiane solo
apparentemente imparentate col Meleagris
gallopavo.
Si deve a Emidio De Felice se gli Italiani hanno il
piacere di addentrarsi nel campo affascinante dell’onomastica, scoprendo l’origine
talora gloriosa, talaltra meno, del proprio cognome e di quello di tante
persone che incontriamo quotidianamente.
Nessuno di noi può dubitare che se un giorno l’Italia
venisse invasa per l’ennesima volta da qualche filibustiere, continueremo
imperterriti a chiamare col loro cognome le varie famiglie che lo portano da
secoli in eredità. Gallo, Gallina e Pollo non verranno mai sostituiti da
nessun altro equivalente, come accadde invece in un periodo infelice e non
remoto, durante il quale si verificò l’idiota fenomeno delle Lingue Tagliate
[2]
.
Allo stesso modo, cioè senza ricorrere a cambiamenti
lessicali, si comportarono le antiche Popolazioni Sudamericane: non
aggiornarono il loro dizionario, in quanto possedevano già i loro svariati wallpa
molto tempo prima dell’arrivo di Colombo.
I linguisti ritengono che le
lingue oggi usate siano circa 3.000, senza tener conto delle parlate nelle
quali ogni lingua si spezzetta. Infatti, la classificazione linguistica più
recente (Ruhlen, 1987) fornisce un elenco di 4.736 lingue. La maggior parte
delle lingue è parlata da qualche decina di migliaia di persone, se non
addirittura da poche centinaia. Sono solo 13 le lingue che vengono parlate da
più di 50.000.000 di persone; eccole in ordine d’importanza:
cinese
- inglese - industano - russo - spagnolo - tedesco - giapponese - francese
malese - bengalese - portoghese - italiano - arabo.
Dal punto di vista geografico l’Europa
può essere considerata come una penisola occidentale dell’Asia, per cui è
possibile riunire i due continenti in uno solo, denominandolo Eurasia. L’influenza
asiatica sull’Europa si è fatta profondamente sentire attraverso tutta la
storia e si può affermare che quasi tutti gli Europei - più del 99% -
parlano lingue imparentate con lingue asiatiche. Infatti, le lingue romaniche,
slave e germaniche sono legate alle lingue iraniche, afgane e indiane dell’Asia
e i linguisti le considerano tutte come appartenenti al gruppo delle lingue
indoeuropee, parlate da circa il 94% degli Europei. Il 5,9% parla lingue
artico-altaiche, anch’esse imparentate con lingue asiatiche, e solo lo 0,1%
(Baschi e Caucasici) parla lingue specificamente europee, dette proto-europee.
Si deve tuttavia aggiungere che anche le lingue
proto-europee sembrano essere state imparentate con lingue asiatiche ormai
scomparse. Secondo studi recenti, il basco, che è una lingua proto-europea,
pare abbia indubbie analogie con il sumero, prima lingua scritta dell’Asia
sud-occidentale.
Riassumendo, per gli Europei:
- 0,1% parla lingue proto-europee
- 99% parla lingue euro-asiatiche: 94% indoeuropeo, 6%
artico-altaico
Le lingue proto-europee o garalditane (da gara =
montagna, aldi = regione) possono essere considerate come le più
vecchie lingue europee e affondano le loro radici nella civiltà degli
agricoltori neolitici.
Le lingue indoeuropee (romaniche, slave, germaniche) sono
le più diffuse in Europa e si estendono attraverso una grande fascia
geografica che va dall’Oceano Atlantico all’Oceano Indiano.
Le lingue artico-altaiche hanno anch’esse una diffusione
immensa: sono parlate attraverso una vasta area geografica che taglia l’Eurasia
da sud a nordest, dalla Turchia, attraverso gli altipiani centrali, al nord
della Siberia.
Se le proto-europee sono espressione della cultura degli
agricoltori neolitici, le altre lingue si sarebbero formate in tempi
successivi, e sarebbero espressione dell’occupazione politico-militare di
popoli guerrieri venuti dall’Asia.
Di tutte le lingue del mondo solo una parte può essere
raccolta in famiglie linguistiche genealogicamente ben definite: indeuropea,
camitica, semitica, uralo-altaica, dravidica, bantu, boscimana, ottentotta. Ci
sono poi gruppi di lingue per le quali non è ancora sicura la parentela
genealogica: mediterranee, caucasiche, paleoasiatiche, indocinesi, papuane,
munda, polinesiane, australiane, sudanesi, amerindie. Non si può inoltre fare
a meno di ricordare che ci sono lingue di cui non è stata ancora
sufficientemente chiarita la posizione e i cui rapporti di parentela con altre
lingue sono tuttora oggetto di aperta discussione: basco, coreano, giapponese,
andamanese, tasmaniano.
Fin da epoca antica ci sono state lingue che, per varie
ragioni di carattere storico e culturale, si sono imposte come mezzo di
comunicazione fra popoli diversi assumendo il ruolo di lingue plurinazionali
se non proprio internazionali in senso assoluto. Nell'antichità tale funzione
ebbero nel bacino orientale del Mediterraneo il greco e in quello occidentale
il latino, che continuò a svolgere questa sua funzione non solo durante tutto
il periodo medievale ma anche, limitatamente al campo scientifico, fino al XIX
secolo.
In epoca moderna hanno assolto più o meno parzialmente
questo compito l'italiano nei sec. XV e
XVI,
lo spagnolo nei sec. XVI e XVII, il francese nei sec. XVIII
e
XIX,
l'inglese nei sec. XIX e XX.
Limitatamente internazionali si possono considerare anche le varie lingue franche
e creole.
Per raggiungere lo scopo di fornire all'umanità uno
strumento di comunicazione linguistica veramente internazionale si fece anche
ricorso alla creazione di lingue artificiali che si possono distinguere in due
gruppi:
- lingue artificiali a priori, costruite non sulla base di
lingue naturali esistenti, ma strutturate secondo un'aprioristica
classificazione logica delle idee e basate non solo su lettere alfabetiche ma
anche su numeri e simboli matematici, o sulla combinazione di lettere e
numeri, e persino sulle note musicali (tentativi in questo senso furono fatti
da Bacone, Cartesio, G. Dalgarno, J. Wilkins, Leibniz, J. F. Sudre);
- lingue artificiali a posteriori, fondate su una o più
lingue moderne (Basic English, esperanto, interlingua o Latino sine flexione,
volapük). Ad eccezione dell'esperanto, tutte queste lingue artificiali
internazionali (se ne possono ormai contare circa mezzo migliaio) hanno avuto
uno scarso ed effimero successo.
L’onomastica è la scienza che
studia i nomi proprii, cercando di scoprirne l’appartenenza linguistica, l’etimo
e il significato, la tipologia, il momento della nascita e le tappe della
diffusione e della distribuzione in determinate aree. L’onomastica si
articola in due settori fondamentali:
Antroponimia: ha per oggetto lo studio di nomi di persone,
distinti in:
nomi
individuali: si tratta del nome, o prenome, e del soprannome
nomi
familiari: nome di famiglia o cognome.
Toponomastica: dal greco tópos,
che significa luogo, si interessa dei toponimi:
elementi
geografici: continenti, isole, montagne o rilievi, pianure e altre
zone con determinate caratteristiche geografiche, oceani e mari, golfi e
stretti, laghi e fiumi e altri corsi e specchi d’acqua
località
geografiche: stati, regioni, città, paesi e centri abitati minori,
località, strade, piazze e altri elementi urbani.
L’antroponimia è quel settore
dell’onomastica che, secondo il significato derivato dal greco ánthropos e ónoma,
si dedica allo studio dei nomi di persona e di gruppi di
persone.
I
nomi personali, o prenomi, hanno come scopo quello di distinguere una
singola persona all’interno di una collettività.
I
nomi di famiglia, o cognomi, hanno la duplice funzione di individuare e
distinguere una comunità minore, una famiglia o un gruppo familiare all’interno
della collettività, oppure di distinguere ulteriormente, insieme al nome
personale, un singolo individuo, specificandone l’appartenenza familiare.
I
soprannomi, pur partecipando alle due precedenti categorie
funzionali fondamentali, in quanto denominano e distinguono un individuo in
sostituzione, in alternativa o in aggiunta al nome e al cognome, presentano
tuttavia caratteristiche diverse: hanno soprattutto la caratteristica della non ufficialità, pur possedendo una
validità in seno alla collettività, però solo in un ambiente sociale e
geografico ristretto e solidale. Inoltre il soprannome è limitato solo ad
alcuni individui, è per lo più occasionale ed effimero, mentre nome e
cognome sono stabili e obbligatori. Il soprannome ha un significato ben
preciso quando bisogna subdistinguere gruppi familiari caratterizzati dallo
stesso cognome presente con elevata frequenza in seno a una popolazione. È
quanto accade per i Lenti, con
epicentro in Mugarone, frazione di Bassignana in provincia di Alessandria:
così si sono diversificati i Lenti
Cucalì, i Lenti la Püglia
(pulce), Lenti Bargnô (il frutto
del prugnolo selvatico)
[3]
.
Il nome personale è presente in
seno a tutti i Popoli del Mondo da quando è esistita una prima forma di
organizzazione sociale, insieme alla quale è sorto anche il linguaggio
simbolico umano, cioè da quando l’Uomo fu Uomo. La storia inizia dal
momento in cui esistono documenti scritti: dai primi secoli del III millennio
aC per la civiltà accadica, sumerica ed egizia.
Sumer
era il nome dato anticamente alla parte meridionale della Mesopotamia presso
il Golfo Persico. Fu culla della civiltà che cominciò a svilupparsi a
partire dal V millennio aC. I suoi abitanti, i Sumeri, popolo asiatico come
gli abitanti delle montagne dello Zagros e gli Elamiti del sud dell’Iran, si
organizzarono politicamente in città stato, che conducevano guerre continue
le une contro le altre, in quanto aspiravano all’egemonia. Verso il XXIII
secolo
aC il re di una di queste città stato, Lugalzaggisi di Uruk, costituì il
primo dei grandi imperi orientali, che pare si estendesse dal Golfo Persico al
Mediterraneo.
Tuttavia, all’incirca nella stessa epoca, i Semiti
provenienti dalla Penisola Arabica erano divenuti potentissimi nel paese di
Accad, a nord di Sumer. Sargon il Vecchio, fondatore della dinastia semitica
di Accad, conquistò il regno sumero fondato da Lugalzaggisi (2225?).
I Sumeri avevano sviluppato
le tecniche di irrigazione, l’architettura con l’impiego del mattone
grezzo, la scultura, i sistemi di lavorazione dei metalli.
Inventarono inoltre la scrittura cuneiforme e il sumero è
la più antica lingua scritta conosciuta. Verso gli inizi del II millennio fu
sostituita come lingua corrente dal semitico accadico, ma sopravvisse come
lingua liturgica fino alle soglie dell’era cristiana. Il semitico accadico
fu la più orientale delle lingue semitiche, parlata dalle popolazioni
semitiche che invasero la parte meridionale della Mesopotamia. È a noi nota
soprattutto nei suoi aspetti letterari e tecnici. Assunse tanto prestigio da
divenire la lingua internazionale e diplomatica dei Paesi del prossimo oriente
e la cancelleria faraonica l’usò nei suoi rapporti con l’estero. Quindi,
nelle grandi civiltà dell’area euro-afro-asiatica, la storia inizia con
documentazioni scritte del II e del I millennio aC.
Nelle civiltà europee ed extraeuropee di più recente
documentazione, il nome personale è sempre presente, con caratteristiche
culturali, sociali e religiose di organizzazione sistematica, differenti nei
vari popoli e secondo i tempi.
L’insorgenza del sistema nominale italiano si determina
negli ultimi due secoli dell’età di Roma Imperiale
[4]
,
quando una profonda crisi sconvolge il tradizionale sistema onomastico romano.
Alla formula trinòmia o quadrinòmia,
normale in Roma per le classi elevate e medie, costituita fin dall’età
repubblicana da:
praenomen - Cnaeus
nomen - Cornelius
cognomen - Scipio
supernomen
[5]
- Africanus
che nel sistema
italiano attuale corrispondono a:
nome personale
cognome
soprannome
ulteriore soprannome o determinativo aggiunto
si sostituisce progressivamente, negli ultimi due secoli
di Roma Imperiale, prima una formula binomia:
nomen - Iulius
cognomen - Nepo
quindi nasce il:
nomen unicum.
Il
nome unico, già promosso dall’estensione della cittadinanza
romana a tutti i liberi nel 212 grazie alla Constitutio
Antoniniana di Caracalla
[6]
,
attenua il prestigio sociale delle formule polinomie. Il nome unico si afferma
soprattutto con la diffusione del cristianesimo per il nuovo spirito di
uguaglianza e di umiltà.
Proprio dal nomen
unicum dell’ultima latinità nasce
il nuovo sistema italiano e romanzo, continuazione dei nomi latini
del tardo impero sempre più adattati, nella fonetica e nella morfologia, alla
struttura delle parlate neolatine, cioè dei volgari
in via di formazione. Tra il IV e il V secolo si continuano i seguenti tipi di
nomen unicum:
1
- Nomi unici che riflettono precedenti nomina
e soprattutto cognomina e supernomina. Tra i più diffusi, anche in ambiente cristiano,
troviamo: Antonio, Aurelio, Elio, Emilio, Giulio, Martino, Sabino, Severo,
Tullio, Valerio.
2
- Nomi cristiani ripresi, attraverso il latino, dall’Antico
e dal Nuovo testamento: Andrea, Giacomo, Giovanni, Matteo, Paolo, Pietro e
Anna Maria.
3
- Nomi cristiani, che in parte erano stati pagani, di
trasparente significato e valore augurale o di ringraziamento e dedica a Dio:
Abbondio, Donato, Eugenio, Felice, Fortunato, Gaudenzio, Renato, Vitale,
Vittorio, nonché Adeodato e Deodato, Domenico.
4
- Nomi pagani dei primi grandi martiri: Lorenzo e Stefano.
Il ristretto repertorio del nome
unico si arricchisce notevolmente nell’Alto Medioevo
[7]
con l’onomastica germanica importata in Italia e negli altri paesi della
Romània centro-occidentale dai popoli germanici che vi si insediano come
dominatori già a partire dal 476, data della presunta fine ufficiale dell’Impero
Romano d’Occidente (Eruli, Rugii, Sciri, e Turcilingi al comando di
Odoacre); soprattutto a partire dal 493 con gli Ostrogoti e quindi i
Longobardi e i Franchi, con frange di Alamanni, Bavari, Burgundi, Gepidi e
Sassoni.
L’onomastica germanica si impone per il prestigio delle
nuove classi dominanti anche se numericamente non rilevanti, nonché per il
culto di Santi dai nomi di matrice germanica. Dalla fine dell’Alto Medioevo
il tradizionale fondo onomastico latino è già nettamente in minoranza
rispetto al nuovo strato germanico, e molti di questi nomi hanno un’altissima
frequenza, che conservano spesso fino all’età moderna e contemporanea:
Adolfo, Alberto, Aldo, Anselmo, Arnaldo, Arnolfo, Berardo, Bernardo, Ermanno,
Franco, Gualtiero, Guido, Guglielmo, Lamberto, Leonardo, Roberto, Adele e
Amalia.
Successivamente l’onomastica germanica in Italia si
rafforza e si amplia tra il X e il XIII secolo
con la dominazione degli Imperatori Tedeschi, Re del Regnum Italicum, appartenenti alle case di Sassonia, Franconia e
Svevia, con la presenza dei loro feudatari e funzionari civili, delle loro
truppe. Si affermano nuovi nomi germanici come Arrigo o Enrico, Corrado, Enzo,
Ernesto, Federico, Riccardo, Ugo e Irma.
Nell’Alto Medioevo si
verificò anche un’influenza bizantina sull’onomastica personale italiana.
Si tratta sia di una presenza politica, in quanto il dominio di Bisanzio si è
esteso per periodi diversi dall’esarcato di Ravenna alla Pentapoli, dai
Ducati di Napoli, Puglia e Calabria alla Sicilia e alla Sardegna. Si tratta
inoltre di una presenza religiosa per la diffusione in queste aree del
cristianesimo greco-ortodosso. Questo apporto non è quantificabile con
esattezza, in quanto i nomi di stretta tradizione bizantina o neogreca spesso
non sono distinguibili da quelli greci mediati già dal latino. I nomi
propriamente bizantini sono pochi, qualche decina in tutto. I più sicuri sono
Agazio, Antioco, Apollonio, forse Avendrace, Basilio, Calogero, Cosma,
Demetrio, Filadelfo, Leonzio, Nicola, Oronzo, Pantaleo.
Nel sistema nominale italiano e
di altri paesi della Romània interviene una seconda crisi profonda,
accompagnata da un’identica trasformazione, tra il XII
e
il XIV
secolo.
Nei secoli intorno al Mille il repertorio latino e germanico si era impoverito
notevolmente per la progressiva perdita di prestigio dei modelli
politico-sociali e religiosi dell’Alto Medioevo. Tale repertorio non
rispondeva più alla nuova esigenza, quella cioè di individuare con esattezza
un numero sempre maggiore di soggetti attivi di una società più aperta, più
democratica e largamente partecipe alla vita pubblica e culturale, soprattutto
nelle Repubbliche Marinare e nei Comuni. In questo periodo infatti si ha il
declino del nomen unicum e la
nascita del cognome.
Il cognome si differenzia dal
nome individuale per tre motivi fondamentali:
1 - Mentre la scelta del nome è rimasta sempre
libera, con una continua modificazione del repertorio, il cognome, dopo
essersi istituzionalizzato e diventando così ereditario, è fisso. Salvo casi eccezionali, non consente scelte e non sussistono
modificazioni del repertorio degne di nota.
2 - Il cognome si differenzia dal nome per il
momento d’insorgenza, essendo più tardo di alcuni secoli, nonché per il
periodo di formazione, che fu poi interrotto con la sua fissazione come
indicativo familiare ereditario.
3 - Il cognome ha un etimo che è già in sé un
elemento onomastico (nome personale, soprannome, appellativo o determinativo
in funzione di nome proprio), mentre il nome personale può avere come etimo
diretto anche un elemento lessicale.
Sia
in Italia che in altre parti d’Europa il cognome insorge tra la fine dell’Alto
Medioevo e il Duecento,
si istituzionalizza e si fissa diventando ereditario fra il Trecento e il
Rinascimento, soprattutto dopo che il Concilio di Trento
[8]
impose ai parroci l’annotazione del cognome negli atti matrimoniali per
evitare matrimoni consanguinei, e successivamente con le prime forme di
registrazione dello stato civile e i primi uffici e archivi anagrafici. L’epoca
è diversa a seconda delle città e delle regioni, in quanto diverso nel tempo
è il determinarsi delle nuove situazioni sociali, economiche, politiche e
culturali che debbono quindi delinearsi in via preliminare per portare poi
alla fissazione dei cognomi.
La necessità di identificare il gruppo familiare per
individuare ulteriormente il singolo scaturisce nel momento in cui, superata
la struttura chiusa, aristocratica e verticistica del feudo, si affermano
nuove forme di vita sociale più democratiche, aperte alla partecipazione di
tutti i cittadini o perlomeno a una larga parte della collettività. Così il
cognome si afferma molto precocemente a Venezia (X secolo) per la sua più
antica struttura democratica. Quindi viene Genova, seguita dalle altre
Repubbliche Marinare e dai Comuni. Pertanto
il blocco del repertorio cognominale
si instaura in epoche diverse e in un arco di tempo compreso tra il
Tardo Medioevo e gli inizi dell’Età Moderna.
Il
cognome può essere distinto in alcuni tipi fondamentali:
1 -
Cognomi formati direttamente da un nome
personale da cui, per motivi vari, si cominciò a denominare anche
il gruppo familiare. È il caso di Martino, o più spesso Martini come plurale
di valore collettivo.
2
- Cognomi che hanno alla base un soprannome:
così il Rosso, si trasforma in
Rosso e nel regionale Russo nonché nel plurale collettivo Rossi.
3 -
Cognomi formati o derivati da determinativi
epitetici, ossia da determinazioni aggiuntive che avevano, e a
volte hanno ancora, la funzione di identificare un individuo, oltre che col
nome personale, anche con l’indicazione di una sua particolare condizione.
Questo è il tipo più complesso e richiede un’articolazione in almeno tre
sottotipi.
1 - Patronimici o matronimici:
i matronimici sono più rari rispetto ai patronimici. Si tratta dell’indicazione
del padre o della madre, espressa attraverso il loro nome personale, o il
soprannome, o l’appellativo. Questo sottotipo partecipa in gran parte fino a
sovrapporsi ai primi due tipi. Il rapporto figlio
di... può essere espresso con la preposizione di o de, anche nelle varie
forme articolate: Di Giovanni, De Luca, D’Angelo, Del Rosso, Della Vedova;
talora si ricorre al solo articolo: Lo Russo, La Rosa; oppure può essere
espresso con l’abbreviazione fi’
al posto di figlio, forma ormai
rarissima e propria della Toscana: Firidolfi, Fittipaldi (figlio di Tebaldo). La nostra cultura è essenzialmente maschilista,
capeggiata dalla Chiesa Cattolica che riserva pochissimo spazio alla Donna,
limitandosi a glorificare la Madre di Gesù e alcune sparute Donne, sparute in
rapporto al numero di Santi Maschi. Ben diversa è ancor oggi la cultura degli
Hopi del Nordamerica: il novello sposo può abitare per diversi mesi in casa
della suocera e quando è giunto il momento in cui sembra che il matrimonio
abbia buone prospettive, solo allora la coppia costruisce un proprio nido. Si
tratta di una derivazione del sistema
sociale matrilineo. Se si chiede a un Hopi di oggi dove abita, egli
risponde a casa di mia moglie, se
gli si chiede dove si trova la sua casa da scapolo, molto spesso risponderà dove
si trova la casa di mia madre. Ancor oggi, nonostante le amministrazioni
di molte città italiane siano da tempo in mano alle sinistre, l’atteggiamento
è quello del Vaticano. Uno studio personale (1994) sulle vie e piazze della città di Valenza (AL),
che sono 212, ha dato i seguenti risultati:
Vie e piazze della città di Valenza dedicate a un solo personaggio |
||||
Dedica |
Totale |
a un Uomo |
a una Donna |
% alla Donna |
A un solo personaggio |
107 |
101 |
6 |
5 |
A personaggi storici |
62 |
59 |
3 |
4 |
A personaggi non storici |
45 |
42 |
3 |
6 |
A personaggi uccisi |
4 |
3 |
1 |
25 |
A personaggi non uccisi |
103 |
98 |
5 |
4 |
A personaggi storici uccisi |
2 |
1 |
1 |
50 |
A personaggi storici non uccisi |
60 |
58 |
2 |
3 |
A personaggi non storici uccisi |
2 |
2 |
0 |
0 |
A personaggi né storici né uccisi |
43 |
40 |
3 |
6 |
Personaggio storico: persona che non appartiene alla cronaca, per esempio Anna Frank. Secondo l’Amministrazione Comunale le Donne hanno ben poco da insegnare alla Società. Infatti, di 212 articoli, oltre la metà è dedicata a una persona, ma solo il 5% di questa metà spetta alla Donna. |
Uno studio personale più
recente (1995) riservato a Santi e Sante - di qualche mese
antecedente alle pubbliche e ridicole scuse di Papa Giovanni Paolo II rivolte
finalmente al Gentil Sesso - hanno
fornito dati altrettanto interessanti, traumatici quando desunti dal
calendario liturgico. Vedremo se alle scuse del Papa farà seguito un
riarrangiamento del calendario della Chiesa, perlomeno sulla scia dei
calendari laici.
Le fonti sono state fornite da Don Angelo Vecchini e i calcoli sono stati eseguiti da Enza Pomara. Le ricorrenze dedicate alla Madonna sono state conteggiate come un unico nome per tutto l’anno. Da notare che nella Guida per la Liturgia le ricorrenze Mariane esistono a profusione, rubando spazio ad altre Donne, un pochino anche agli Uomini, ma non in modo consistente rispetto agli altri calendari.
Studio percentuale delle Sante e dei Santi |
||||
Fonte |
Sante |
% sante |
Santi |
% santi |
1 |
70 |
21,41 |
257 |
78,59 |
2 |
73 |
22,67 |
249 |
77,33 |
3 |
83 |
26,86 |
226 |
73,14 |
4 |
28 |
12,84 |
190 |
87,16 |
5 |
1240 |
14.91 |
7075 |
85,09 |
1 - Calendario 1994 - Associazione Culturale Ricreativa La Fenice - Pecetto (AL)
2 - Calendario 1995 - Cantina Sociale di Mantovana - Predosa (AL)
3 - Calendario 1995 - Associazione di Volontariato e Cooperazione Alito - Ancona
4 - Guida per la Liturgia dell’Eucarestia e delle Ore 1989-1990 - Regione Pastorale Piemontese
5 - Grande dizionario illustrato dei Santi - Abbazia sant’Agostino di Ramsgate
A fine novembre 2007, quindi dopo ben 19 anni dall'enciclica del 15 agosto 1988 Mulieris dignitatem di Giovanni Paolo II (un fatto a me ignoto ma ammirevole: enciclica reperibile solo in inglese, forse perché finalmente fu così stilata e poi pubblicata da www.vatican.va), dopo 19 anni dall'enciclica - e dopo 12 anni dalla mia ricerca - l'atteggiamento della Chiesa nei confronti della Donna non è affatto cambiato. Lo afferma Lucetta Scaraffia, docente di Storia Contemporanea all'Università La Sapienza di Roma. E lo afferma nientepopodimeno che sul numero 47 di Famiglia Cristiana del 25 novembre 2007 in un'intervista a proposito della protettrice delle femministe, Santa Teresa d'Avila, al secolo Teresa de Cepeda y Ahumada, riformatrice religiosa e scrittrice mistica spagnola (1515-1582) discendente da una famiglia ebrea di Toledo, della quale vale la pena leggere la biografia presente in tutte le enciclopedie. Consci della serietà delle affermazioni di Lucetta Scaraffia, dobbiamo concludere che forse le femministe invocano raramente Teresa, oppure che nell'aldilà la donna, anche se santa e dottoressa della chiesa, è trattata come nell'aldiquà. Ecco l'intervista.
Teresa
d'Avila - Santa dal 1622
Dottoressa della Chiesa dal 1970
dal 6 marzo 2008 Protettrice delle Femministe.
La sua festa si celebra il 15 ottobre.
Femminismo
è il movimento ideologico
che tende all'equiparazione della donna all'uomo
e alla sua conquista di tutti i diritti civili, politici ed economici.
2 - Etnici e toponimi:
indicazione del paese, della città o della località di residenza o di
provenienza della persona o del gruppo familiare: Lombardi, Napolitano,
Montanari, Alemagna, Milani, Monti, Ponte, Riva
[9]
.
3 - Indicativi del mestiere,
della professione, della carica, dell’ufficio e di altre particolari
condizioni e relazioni sociali e familiari della persona da cui deriva il
gruppo: Barbieri, Ferrari, Santi, Giudici, Podestà, Abate, Monaco, Preti
(ecco che ritorna in ballo lo ius primae
noctis!).
Esiste infine un gruppo che non
tutti ritengono tale:
4 -
Cognomi
imposti da parroci, da responsabili di
orfanotrofi e da ufficiali dello stato civile a bambini abbandonati e trovatelli, figli d’ignoti. Questi
cognomi non hanno uno specifico etimo onomastico, in quanto partecipano ora
dell’uno ora dell’altro dei tre tipi fondamentali. Quasi sempre questi
cognomi sono formati da elementi lessicali o da espressioni la cui semantica
linguistica è spesso trasparente: Esposito, Esposti, Proietti, Trovati,
Innocenti, Diolosà, Diolaiuti [un mio compagno di liceo], Diotallevi.
Le forme cognominali reali sono circa 130.000, escluse cioè quelle
rarissime, per lo più dovute a errori di denuncia o di trascrizione
anagrafica o a varianti formali del tutto casuali. Esse si riducono a circa
100.000 cognomi e a 20.000
gruppi cognominali.
Tipo
1°: rappresenta il 40% delle forme
e corrisponde al 32% della popolazione
Tipo
2°:
possiede il 19% delle forme e il 31% della popolazione, essendo quindi meno
numeroso rispetto al repertorio cognominale, ma con forme e gruppi ad
altissima frequenza (in decrescendo: Rossi, Bianchi, Ricci, Mancini, Bruno,
Galli, Gatti, Grassi, Negri, Mori, Biondi)
Tipo
3°:
al suo interno è arduo quantificare i tre sottotipi, e rappresenta il 41%
delle forme e il 37% della popolazione. Si tratta del tipo vincente come
forme, però non dal punto di vista della frequenza media, essendo inferiore a
quella del 2° tipo.
È estremamente arduo, se non
impossibile, dare una definizione esauriente e univoca del soprannome, sia in
sé, sia in rapporto alle altre due categorie di antroponimi, cioè nome e
cognome: si sovrappongono e si fondono processi di formazione e aspetti
funzionali identici, analoghi o comunque interscambiabili fra le categorie.
La tipologia dei soprannomi fondata sui tratti
caratterizzanti può essere articolata in tre tipi fondamentali:
·
Soprannomi derivanti da caratteristiche fisiche
sia generali sia particolari, che costituiscono un gruppo abbastanza numeroso.
Tra i più comuni e tradizionali soprannomi di questo tipo troviamo: Basso,
Lungo, Longo, Piccoli, Magro, Grasso, Grosso, Bello, Occhipinti, Barbarossa,
Mancino, Gobbo, Guercio, Torto, Gambacorta...
·
Soprannomi attribuiti in base a caratteristiche intellettuali, morali, culturali,
sociali: è un gruppo ovviamente e purtroppo esiguo per carenza
sempiterna di gente DOC! Troviamo Astuti, Ardito, Migliore, Villani...
·
Soprannomi che esprimono forme di comportamento, tendenze abituali, atti,
avvenimenti. È il più ricco in espressività nonché in allusività, spesso
non più evidente. È anche il gruppo che si è dimostrato più prolifico nei
riguardi di nomi e cognomi. Eccone alcuni esempi: Cane, Cagna, Corvo, Donnola,
Gatto, Grillo, Lupo, Merlo, Pica, Vespa, Volpe, Basadonna, Basamonica,
Bevilacqua, Pelagalli, Scannagatti, Scornavacca, Tagliavini, Cacadenari,
Malerba, Malasorte, Malatesta, Pappalardo.
Una quantificazione assoluta e
relativa dei soprannomi non è possibile, sia per la mancanza di fonti
ufficiali di rilevamento, sia per la scarsa stabilità nonché il loro
carattere occasionale ed effimero. Potrebbero limitarsi a qualche migliaio.
L’eponimo
è una parola che dà il nome a una città, a una famiglia, a un popolo.
Si intende per esponente una
parola o un nome che sta alla base di un lemma
[10]
,
di un articolo di dizionari, di enciclopedie, di repertori. Nel nostro caso un
esponente equivale al gruppo cognominale.
Agnello
Quest’animale è stato assunto
per alcuni cognomi soprattutto come simbolo di Cristo, in quanto esprime
purezza, innocenza, mitezza d’animo. Cristo fu anche la vittima immolata per
i peccati del Mondo, l’Agnello di Dio.
Astore
Deriva dal nome di vari uccelli
del genere Accipiter, spesso usato
nel senso di persona rapace, avida e scaltra. Vedi caso, è già documentato a
Genova nel XII secolo.
Basilisco
Animale fantastico, descritto
nella sezione IX - 12.
Beccaro
Questo soprannome ha dato
origine a tutta una serie di cognomi in quanto, come il toscano beccaio,
significava macellaio. A sua volta beccaio deriva da becco, capretto,
la cui carne era molto venduta nel Medioevo. Becco
deriva dal latino bechus, di
etimologia incerta, che oscilla tra una base onomatopeica bek e una voce preromana riflessa nel latino ibex, capra selvatica, camoscio. Becco non è solo il maschio della
capra, ma anche il marito di donna
infedele.
Berardi
Dal germanico beran;
vedi Orso.
Bernardi
Dal germanico beran.
Vedi Orso. La capitale della Svizzera è Berna, sul cui stemma
compare l’orso. In alcune aree dell’Italia Bernarda
ha il significato di vulva, tant’è che un mio conoscente si vergognava del
suo cognome Della Bernarda. Se ne
vergognava a tal punto che, durante lo scambio delle presentazioni, lo
pronunciava in modo tale da sfumare rapidamente il finale, lasciando la
controparte perplessa e senza che avesse l’ardire di pretendere un replay.
Anche Passera, che è il femminile di Passero, ha lo stesso
significato vulgaris di Bernarda.
Non è infrequente che cognomi di questo tipo vengano alterati con accenti o
con pronunzie particolari: Pàssera può diventare Passèra; Troia, cognome di un’altezzosa
signora meridionale, doveva essere perentoriamente pronunciato Troìa; Fecarotta si deve pronunciare con la O aperta di carota, non
con la O comunemente vocalizzata per l’aggettivo oppure per il sostantivo rotta.
Il Presidente della Repubblica dovrebbe intervenire d’ufficio e far piazza
pulita di simili cognomi. Che i cognomina
siano per forza immutabili non è assolutamente giusto per casi del genere,
visto che coloro che sono costretti a ereditarli talora preferirebbero
appartenere ai Paria
[11]
anziché esporsi al pubblico ludibrio.
Bombo
Il Bombus terrestris è un pacifico imenottero e in latino bombus
significa il ronzio delle api.
Bove
Deriva
dal genitivo latino di bos, che fa bovis:
bue. Sta alla base di vari soprannomi e nomi di mestieri già in epoca
medievale.
Buffa
Avevo tralasciato di includere
il cognome Buffa in questa lista, in quanto a me ispirava solo l’atto del
soffiare, dello sbuffare. Scorrendo il libro di toponomastica apprendo che in
siculo il rospo è detto buffa, e l’origine
della parola dialettale è alquanto semplice, in quanto il termine scientifico
impiegato per questo anuro è Bufo. Un mio compagno di scuola si
chiamava Buffa e, per quanto mi ricordassi, la sua famiglia era piemontese e
non di origine meridionale. Mi ero annotato il numero di telefono per mettermi
in contatto con lui, quando ebbi la fortuna di conoscere il Signor Giuseppe
Buffa, che mi ha fornito tutto quanto si può sapere sull’origine della sua
famiglia. La radice del cognome è storicamente e unicamente la seguente: dal
tedesco Büffel, cioè
bufalo. I Büffel erano famiglie bavaresi trasferitesi in Italia, esistenti
ancor oggi in Baviera con lo stesso cognome. Nel 1050 un Oddo Buffa si
distingueva già come guerriero. I Buffa si stanziarono e si diffusero nella
bassa Lombardia e nel Piacentino. Nel basso Medioevo i Buffa li troviamo nel
Pinerolese e a Mondovì. Buffa è una frazione di Mondovì ed è verosimile,
secondo Giuseppe Buffa, che la famiglia abbia dato il nome all’abitato. Lo
stesso si può dire per Buffalora. È possibile che dalla bassa Lombardia e
dal Piacentino scendessero per tutta l’Italia altre famiglie Buffa che
italianizzarono il cognome Büffel in altri modi: Bufalo (Messina), Bufalo o
Bufali (Velletri), Bufalini (Città di Castello), Bufarelli (Velletri),
Bufferi (Genova), Buffi (Pesaro). Tutti questi casati portarono nella loro arma
il bufalo, ed è storicamente onesto pensare che essi ne fossero dei grandi
allevatori. I Buffa sono presenti anche ad Alcamo.
Giuseppe Buffa pensa che le famiglie, che così numerose
si stabilirono a Sezzadio (AL) nel XII secolo, provenissero direttamente dalla
Baviera. Nel cimiero dello stemma dei Buffa di Sezzadio viene rappresentato il
nome del casato, in quanto buffa è
anche il nome dato alla visiera della celata e del guardacollo. Nello stemma
dei nobili di Rivalta Bormida provenienti da Sezzadio è ancora raffigurato il
bufalo invece del leone: certamente a un certo punto della storia i Buffa di
Sezzadio, e quindi di Ovada, Pinerolo e Mondovì, hanno pensato che il leone
rappresentasse una caratteristica tipica del casato, cioè l’aggressività
dell’operare, in quanto i discendenti erano tutti degli avanguardisti.
Cagnotto
Persona prezzolata al servizio
di un signore per compiere prepotenze e vendette. Il milanese cagnòn
significa larva d’insetto e il ris in
cagnòn, il riso in cagnotto, prende questo nome in quanto il grano di
riso viene paragonato alla larva. Penso che sia esperienza comune aver usato
come esca i cagnotti, che sono larve di mosca.
Ceva
In latino significa piccola
mucca (Columella
De re rustica VI,24). In certe aree del Piemonte significa capra. In Valle d’Aosta, per
esempio nella Valle di Courmayeur, la capra è detta cèvra,
che dovrebbe essere una trasformazione del francese chèvre. Tuttavia Ceva è anche una città della provincia di Cuneo.
Colombo
Continua il personale latino
Columbus e Columba, che si affermarono in ambiente cristiano in quanto
simboli, soprattutto la colomba, di innocenza, di purezza e di mansuetudine.
Corvo
Parecchi cognomi derivano da
questo uccello, ma non è escluso che certi cognomi in corb abbiano origine dalla voce toscana e settentrionale corba,
cesta o grosso canestro, equivalente al francese corbeille. In questo caso i Corbellini potrebbero essere coloro che
per tradizione facevano consegne a domicilio servendosi di ceste, oppure
fabbricavano ceste come i Cestari.
Cova
Cognome molto diffuso in
Lombardia e molto frequente a Milano. In lombardo significa coda.
Gatto
Soprannome usato con molteplici
significati, in quanto simbolo di agilità, flessuosità, furbizia,
comportamento sornione.
Delfino
Si tratta del cetaceo frequente
anche nel Mediterraneo - Delphinus delphis -, simbolo della bontà, dell’amicizia, della
gratitudine, della trasmigrazione o immortalità dell’anima. Era anche il
titolo del primogenito del Re di Francia a partire dal 1360, passato poi a
significare, a partire dal 1941, chi è considerato il probabile successore d’un
personaggio di rilievo, specialmente politico. Il Dauphin
francese, come signore del Delfinato, proviene dal nome del vescovo di
Bordeaux Delphin, vissuto nel IV secolo, cui fu attribuito il nome in
riferimento alle caratteristiche morali del cetaceo. Divenne poi cognome dei
Signori del Delfinato, quindi passò al primogenito del Re di Francia dopo che
il Delfinato fu ceduto alla Francia nel 1349.
Drago
Questo cognome ha come base nomi
e soprannomi già medievali nel senso proprio di animale favoloso.
Falco
Quest’uccello presso i Germani
era simbolo di forza, rapidità, coraggio, eroismo.
Fumagalli
Cognome lombardo, molto
frequente nel bergamasco e a Milano. Significa ladro di polli, poiché in
passato chi si dedicava a questa attività era solito affumicare il pollaio
con zolfo e foglie umide allo scopo di stordire gli animali impedendo così
che starnazzassero.
Gallo
Varianti: Galli, Gall, Gallis. Alterati e derivati: Gallelli e GalleIlo, Galletti
e Galletto, Gallini o Gallino,
Gallucci e Galluccio, Galluzzi,
Gallùs e Galliùssi, Gallozzi,
Gallotti, Galloni e Gallone,
Gallaccio e Gallàs; Gallarini,
Gallero. Diffuso in tutta l’Italia, con altissima frequenza per la
forma fondamentale Galli nel Nord e in Toscana, Gallo
nel centro-sud. Gall, Gallis, Gallùs,
Galliussi e Gallàs sono propri
del Friuli-Venezia Giulia, Gallero
è piemontese.
Alla base è il nome Gallo
(già documentato dall’VIII secolo come Gallus),
derivato da un soprannome talora scherzoso talora polemico, connesso con l’animale.
Altre volte ha un’origine etnica, nel senso di “abitante, oriundo della
Gallia, della Francia”. Il soprannome esisteva già come cognomen
romano in tutti e due i valori semantici: notissimo Cornelius Gallus, poeta,
oratore e amico di Virgilio, morto suicida. Galluzzi, in Toscana, è a volte
formato dal toponimo (il) Galluzzo,
presso Firenze.
Galli:
nome assunto dai Franchi, che chiamavano i Romani *Walha
[parola non attestata] proveniente dal nome della tribù celtica dei Volcae.
Se i Romani erano i Walha, gli antichi Francesi erano chiamati Galli in quanto
i Romani chiamavano Galli sia i Celti come altre popolazioni non celtiche.
Ciò non deve meravigliare in quanto le parole gallo
o allo sono indoeuropee e
significano straniero.
Quindi la parola gallo avrebbe avuto lo stesso significato che poi ha assunto
la parola barbaro. Una cosa è certa, quindi: l’equazione galli = celti non
può sussistere. Tutte le popolazioni alpine erano di stessa etnia, secondo
Harrieta a torto chiamata ligure, e
naturalmente queste popolazioni erano dei galli,
cioè degli stranieri agli occhi dei
Romani. Catone e Plinio pensavano che i Salassi e i Leponzi, come i Taurisci,
fossero popoli di stessa etnia, dei Liguri
secondo la loro definizione. Strabone e Giulio Obsequente sostenevano invece
che erano dei Galli, poiché erano stranieri.
E cosa significa Barbaro? Si tratta di una voce espressiva
che allude al balbettio,
in base al quale si poteva giudicare se un individuo era uno straniero.
Infatti, parlando costui fin dalla nascita un’altra lingua, balbettava
quando voleva cimentarsi in un discorso in latino. Il vino Barbaresco prende
il nome dall’omonimo comune in Piemonte, a sua volta così denominato in
opposizione a romano. Quindi, quelli di Barbaresco venivano subito individuati
come stranieri, come galli,
in quanto balbettavano non poco quando parlavano coi Romani.
Galli:
sacerdoti di Cibele, così chiamati dall’insana acqua del fiume Gallus.
Durante il delirio religioso giungevano a evirarsi.
Gallus:
il fiume Gallo, ora Mudurly-su. Corso d’acqua della Frigia che nasce presso
la città di Modra e che in Bitinia si unisce al Sangario. Le sue acque
rendevano pazzo chi le beveva.
Gallia: da Galatia.
La vasta regione della Gallia comprendeva Francia, Belgio, parte dei Paesi
Bassi, gran parte della Svizzera e la Germania a sinistra del Reno.
Gallicus:
gallico; in poesia si usava questo aggettivo nel significato di Frigio,
Troiano.
Gallo:
il termine latino gallus, usato per
designare l’animale che ci tanto tiene impegnati, sarebbe in relazione con
lo slavo golos = voce e con l’inglese
call = richiamo. Anche l’antico
francese geline, gallina, deriva da gallus.
Le parole hen, hoen, huhn e tante altre simili diffuse nell’Europa Nordica,
deriverebbero dal latino cano,
cantare, il cui participio passato è cantum.
Vedi anche vol.I - VIII-5.3.
Gazza
Vedi Pica.
Merlo
Uccello endemico in Italia, delizioso sia per il comportamento che per il
canto. Credo che il cognome non abbia nessun riferimento col Merlo Indiano
[12]
che attualmente rallegra le nostre case, forse in sostituzione del nostro
merlo indigeno del quale è stata fatta man bassa sia da bambini che da
adulti, quindi giustamente protetto. È strana comunque la legislazione, in
quanto si impedisce di catturare uccelli adattati ai nostri climi per tenerli
con noi, mentre permette l’importazione di milioni di volatili strappati
alla loro mamma e al loro nido quando sono poco più che implumi,
sottoponendoli a viaggi che pochi Italiani hanno fatto. Chi di noi è mai
stato in India? Eppure, il mio merlo indiano Memè
,
ha abbandonato le foreste per conoscere il nostro inverno nebbioso. Sono molto
felice di averlo con me, sono anche felicissimo che abbia imparato a dire
solamente ciao, mentre pretende
ingaggiare, appena possibile, delle gare di fischio dalle quali esce sempre
vincitore in quanto non riesco a raggiungere i suoi acuti. Preferisco così,
in quanto mi pare di rispettarlo e di ripagarlo, in parte, della schiavitù in
cui è venuto a trovarsi, schiavitù alquanto relativa in quanto svolazza per
casa, fa il bagno quotidiano nel lavandino, mangia dalla mia bocca e ogni 2-3
mesi si lascia vezzeggiare a pancia in su. L’idillio che si è instaurato
tra noi è pari alla gelosia che dimostra senza mezzi termini agli estranei.
Il cognome Merlo
dovrebbe derivare dal nostro merlo indigeno, Turdus merula, poiché dubito che prima della fissazione dei cognomi
esistesse la possibilità di importare su larga scala dall’India la Gracula
religiosa o Mainate in quanto, requisito fondamentale perché essa si affezioni,
è l’imprinting precoce. È ovvio
che solo il trasporto aereo permette un rapido trasferimento dal luogo di
cattura al futuro domicilio. Non escludo che qualche altro Marco Polo abbia posseduto una Gracula
religiosa prima del fissarsi dei cognomi, ma era senz’altro un uccello
personale e non alla portata di tutti.
Alla portata di tutti era invece una benemerita, la Ciapa
merlu, l’Acchiappa merli, concorrente della Figa
d’üsè che vedremo tra poco e di tutte le intrattenitrici
o, se volete un temine più fluido, les
entraîneuses
[13]
,
che hanno sempre alleviato gli affanni di mezzo mondo. La Ciapa merlu li
[14]
pigliava al volo, l’Elettrica li
fulminava dal piacere, il Setbel, il
Sette bello, era tutta truccata e vistosa come il 7 da denari, la Chiocciola,
che si dice avesse una malformazione facilmente immaginabile, pare
costringesse a contorsionismi da cavaturaccioli. Ecco in quest’ultimo caso
affiorare un altro animale come eponimo di un cognome derivato da un
soprannome: la lumaca.
Migliavacca
Forma ipercorretta di
mangiavacca.
Orso
Ebbe una notevole espansione
nell’Alto Medioevo per il prestigio e l’alta frequenza dei nomi personali
germanici formati col nome dell’animale, cioè con beran. È simbolo di forza e di coraggio.
È veramente interessante come alcune parole, col passare
del tempo, perdano di significato e vengano talora usate senza badare al loro
contenuto. Così, se facessimo notare a Mister Dogson che altri non è che Figlio
d’un Cane, credo ci rimarrebbe male, e ci guarderemmo dal lanciare tale
epiteto a chicchessia, riservandolo solo ai peggiori nemici. Lo stesso
accadrebbe al Signor Sozzigalli. Credo che il suono talora armonioso delle
campane non sia più in grado di rammentare a nessuno di noi che esse prendono
il nome dalla regione italiana dove un mestiere antichissimo è diventato
arte. Sono campane, e basta! La
perdita del significato originale di una parola si verificava anche in casa
mia. La mia famiglia è stata sempre abbastanza pudica, una famiglia dove
parolacce e bestemmie non erano di casa. Una famiglia di Valenza appartiene
agli Orsini. Ricordo benissimo in quale modo mia mamma spiegava a mio padre a
quale gentilizio appartenesse il tal Sandro Orsini:
- Oggi ho visto al mercato il Sandro Orsini…
- Quale Sandro Orsini?
- Quello che abitava, tanti anni fa, due portoni dopo il
nostro!
- Abbi pazienza, ma non mi ricordo.
- Hai proprio l’arterio!. Ma sì, il Sandro Figa
d’üsè…
- Se mi dicevi il Sandro Figa d’üsè capivo subito!
A quale componente femminile del casato risalga l’epiteto è una notizia incerta
[15]
che si perde nella notte dei tempi. Sta di fatto che il soprannome è passato
a tutti i discendenti, anche maschi, e in casa mia nessuno arrossiva
pronunciando questo appellativo, perché Figa
d’üsè suonava come parola unica, Figadüsè,
e aveva perso l’originario significato di strumento
di sollazzo.
Passera
Vedi Bernardo.
Pellicani
Variante di Pelacani,
quindi eufemistico, al fine di attenuarne il senso di persona rozza, villana e
volgare.
Pica
Cognome diffuso nel Sud dell’Italia,
con più alta frequenza in Campania, dove è proprio Picarello, mentre in Sicilia prevale La Pica. La voce centromeridionale pica significa gazza, attribuito in senso figurativo a una persona,
soprattutto a una donna, ciarliera, pettegola e maldicente, o ai vari
attributi che la gazza ha assunto attraverso leggende, superstizioni e
tradizioni popolari diverse. Si ricordi
La Gazza ladra di Giochino Rossini.
Pinto
Per lo più si trova nel
significato di dipinto. In qualche
caso nel sud continentale è possibile la derivazione dal napoletano e dal
meridionale pinto col significato di
tacchino. In portoghese il
primo significato di pinto è
pulcino, derivato dal latino volgare pinctus,
per pictus (forse perché i pulcini
sono spesso variopinti?). Ancora in portoghese pinto significa ragazzo; nel parlare familiare significa anche pene,
quindi equivale al nostro uccello.
Ragno
Ha dato luogo a numerosi
derivati in quanto il soprannome è stato attribuito con motivazioni varie.
Anche Aragni può derivare da ragno, che in latino è detto Araneus. Gli antenati di mia Moglie, per essere distinti dagli altri
Deambroggio già diversificati a iosa dagli errori anagrafici di trascrizione,
erano soprannominati gli Aràgn.
Ratto
Si tratta del ratto delle
chiaviche
[16]
,
con riferimento all’agilità e alla sveltezza o ad altre caratteristiche di
questi roditori.
Ricotta
Latticino ottenuto dalla
ricottura del siero di latte, a sua volta residuato dalla fabbricazione del
formaggio, con aggiunta di siero acido. È un cognome proprio del sud, che ha
come base un originario soprannome scherzoso o spregiativo (uomo debole, vile,
che si fa comandare o anche mantenere dalle donne), oppure il mestiere di chi
fa e vende la ricotta.
Tacchino
Da Tacco. Emidio De Felice scrive
testualmente:
“Varianti: Tacchi,
Tacca e Tàcchia. Alterati: Tacchèlli
e Tacchella, Taccarèlli, Tacchetto,
Tacchini, Tacchino, Tacconi e Taccone.
Diffuso con diversa distribuzione e frequenza secondo le varie forme dal Nord
al Centro (e per Taccone anche al
Sud peninsulare), presenta varie possibilità di derivazione etimologica e di
formazione, spesso confuse e non più distinguibili. Può innanzitutto
continuare il nome medievale di origine germanica Tacco
o Taccone, da *Takko, ipocoristico di personali germanici, formati con il 1°
elemento *thaka- (in tedesco Dach)
“tetto, copertura” e “riparo, protezione”, come Thacholf,
Tachipert, Tachimund: il nome è infatti documentato a partire dall’VIII
secolo, in zone con tradizione longobarda e poi francone, nelle forme Taco
e Tacco, Taccone, Taca
e Tacha. Ma può anche rappresentare l’ipocoristico aferetico Tacco
di Albertacco e Lambertacco, Robertacco,
Umbertacco e Bertacco, e
infine, per Taccone, un originario
soprannome formato da taccone (in
dialetti settentrionali tacòn, ecc.) “pezza, rattoppo di calzature e
vestiti”. Infine Tacchino a Genova
dove è molto frequente, potrebbe anche riflettere un antico nome Tacchino o Tachino
(documentato nel 1157 come Tachinus)
di origine araba (dall’arabo taqîyy [ad-dîn] “rispettoso, servante
[della religione]”).”
In base al momento in cui i cognomi sono divenuti
immutabili, si deve per forza convenire che all’inizio del 1500 non fu più
possibile assumere il cognome Tacchino
per analogia con l’animale americano.
Verro
È il maschio del maiale atto
alla riproduzione. Dal latino verres
che secondo i riscontri indoeuropei significa maschio, tant’è che in Veneto il termine maschio si usa anche per indicare il maiale. Tralasciamo di inserire
tra gli esponenti Maschio come derivato da Sus
scrofa, nonostante si tratti di un cognome frequente nel Veneto. Il De
Felice non accenna a questo significato e ci atteniamo a lui.
Aldrovandi dedica all’onomastica
il capitolo Denominata che inizia a pagina 249 del secondo volume di Ornithologia,
dove però riserva più spazio a piante che in qualche modo hanno tratto il
nome dal genere gallus. Ma le poche notizie di antroponimia sono
interessanti in quanto affondano le loro radici in opere di studiosi degni di
tutto rispetto, anche se talora un po’ fantasiosi come Ioannes Goropius.
Alektryonopølës
dicitur Polluci, qui eiusmodi aves vendit, quemque nos vulgo
pollarolum, quasi pullos venditantem appellamus. |
In Giulio
Polluce viene detto Alektryonopølës
colui che vende tali
volatili e che noi abitualmente chiamiamo pollarolo, come se vendesse
dei pulcini. |
Alektryonopølës:
questo vocabolo greco è composto da alektryøn =
gallo e pøléø =
vendo.
Giulio Polluce (in greco Ioúlios
Polydeúkës; in latino Iulius Pollux): retore e lessicografo greco del
II sec. dC. Nacque a Naucrati in Egitto, fu discepolo in Atene del retore
Adriano e ricoprì, dopo di lui, la cattedra di retorica. Ebbe molti
avversari, fra i quali Luciano e Frinico, contrari al suo genere di eloquenza.
La sua opera maggiore è l'Onomastikón in dieci libri, un elenco di
vocaboli e di sinonimi ordinati per argomento con una breve spiegazione del
significato, che negli estratti a noi giunti costituisce una preziosa fonte di
notizie erudite del mondo greco-ellenistico.
Danos
populos doctissimus Ioannes Goropius a Gallo Gallinaceo ideo sese
denominari ait voluisse, quod cum belli studiis
potissimum oblectarentur, atque in iis non tam avaritia, quam generoso
animo ducti, victoriam, et laudes potius quam divitias quaererent,
Gallinaceus Gallus inter omnia animalia naturae dotes ad hunc scopum
necessarias habere videretur. Ab hoc igitur, tum bellicae laudis, et
generosissimi animi, tum indolis regalis, et strenui militis, et ad
omnia momenta vigilis optimo exemplari nomen non solum mutuari voluisse,
verum pro symbolo, et synthemate quodam sibi accipere. Vocasse enim se
De hanen, et composite per concisionem Danen, aspiratione in media
litera de more eorum delitescente. Ingentes ergo animos, et vigiles
custodias, necnon summum erga suos amorem Dani, qui se hoc nomine
nuncuparunt, pollicebantur, unde hactenus in usu ipsis fuisse constat,
Gallos semper in militia habere binas maxime ob causas, nimirum, ut tum
virtutem eorum imitarentur, tum pro horologiis cantus eorum haberetur. |
Il
dottissimo Ioannes Goropius dice che i Danesi hanno voluto prendere il
nome dal gallo perché, sebbene si dilettassero soprattutto
nell'applicarsi alla guerra e vi fossero indotti non tanto dalla
cupidigia bensì dal loro spirito nobile cercando vittoria e lodi
piuttosto che ricchezze, sembrava loro che tra tutti gli animali il
gallo possedesse le doti naturali necessarie a tale scopo. Pertanto, da
questo ottimo modello sia di qualità guerresche e di spirito
nobilissimo, sia di indole regale e di strenuo combattente, e di
sentinella sempre pronta, non solo hanno voluto prendere il nome, ma
anche assumerlo come simbolo e come una specie di vessillo. Infatti si
chiamarono De hanen e con arte, ricorrendo a un taglio, Danen, con
caduta dell’aspirazione in mezzo alla parola come è loro costume
fare. Pertanto i Danesi, che si chiamarono con tale nome, si impegnavano
a possedere uno spirito forte, a essere delle sentinelle vigili, come
pure a nutrire un sommo amore nei confronti dei loro famigliari, per cui
fino a questo momento risulta che presso di loro è rimasta l’usanza
di avere i galli sempre nel loro esercito soprattutto per due motivi:
sia perché ne imitassero il coraggio, sia perché il loro canto
servisse al posto degli orologi. |
Ioannes Goropius Becanus - Jan van Gorp: nato il 23 giugno 1519 a Gorp - morto il 28 agosto 1573 a Maastricht. Becanus deriva dalla latinizzazione della città di Beek - oggi Hilvarenbeek - nei cui pressi si trova Gorp, nella provincia olandese del Brabante Settentrionale il cui capoluogo è 's-Hertogenbosch. Le notizie riferite da Aldrovandi sono contenute nel libro VII di Gothodanica, che è una sezione dell’opera di Goropius intitolata Origines Antwerpianae, sive, Cimmeriorum Becceselana, Novem Libros Complexa (Antwerp, Plantin, 1569). "In Origines Antwerpianae dimostrò su basi etimologiche che il linguaggio originale perfetto era stato l’olandese, in particolare il dialetto di Anversa. Gli antenati degli abitanti di Anversa erano i Cimbri, diretti discendenti dei figli di Iafet, il quale non era stato presente sotto la torre di Babele e che, di conseguenza, era stato risparmiato dalla confusione delle lingue. Goropius sostenne che una simile tesi era pure comprovata dal fatto che l’olandese possiede il più alto numero di parole monosillabiche nonché una ricchezza di suoni superiore a tutti gli altri linguaggi e che aveva favorito al massimo grado la formazione di parole composte." (da The Dream of a Perfect Language, a lecture presented by Umberto Eco, November 26, 1996) - “Goropius Becanus (Jan van Gorp) con Origines Antwerpianae (1569),dopo aver ammesso tutte le argomentazioni sulla perfezione lessicale dell'ebraico, le ritrova riflesse nella sua lingua madre, l'olandese. Dopo la dimostrazione genealogica, ponendo i discendenti di Iafet come antenati della civiltà neerlandese, seguono prove etimologiche talmente azzardate da essere chiamate ancora oggi "goropismi" o "becanismi". Più tardi, nel 1612, la tesi fiamminga viene ripresa da Abraham Mylius e da Adrian Schrickius protraendosi nel tempo fino al XIX secolo con il barone De Ryckholt che scrive nel 1868 La province de Liège…Le flamand langue primordiale, mère de toutes les langues. In esso si legge "il fiammingo […] solo è una lingua, mentre tutte le altre, morte o viventi, non ne sono che dei dialetti o dei gerghi più o meno mascherati". È evidente come i toni diventino più forti, e come con prepotenza si voglia dominare sulle altre lingue.” (da: Universal Networking Language: dal mito della Lingua Universale al "traduttore" globale - Tesi di Laurea in Scienze Politiche di Fabio Cabrini, 2001)
Danesi: l’individualità della Danimarca, anche dal punto di vista territoriale, è ben definita. Il confine terrestre, con la Germania, fu stabilito nel 1920 con un plebiscito che assegnò alla Danimarca lo Slesvig Settentrionale (Schleswig); ma esso corrisponde sostanzialmente al limite del regno dei Dani, cioè al Danevirk (vallo dei Dani), costruito dagli antichi re come linea difensiva contro l'espansionismo di Carlo Magno. In linguistica, il danese è una lingua germanica del gruppo settentrionale, oggi parlata in Danimarca, un tempo anche nello Schleswig (dove ancora esiste una minoranza danese in territorio tedesco) e nella Svezia sud-occidentale (province di Halland, Scania e Blekinge che conservano dialetti danesi). La preistoria e la protostoria del danese sono comuni a quelle delle altre lingue germaniche settentrionali (svedese, norvegese e islandese): è la fase dell'antico nordico (il gruppo delle lingue germaniche settentrionali che comprende l'islandese, il norvegese, il danese e il färingio, dal 1948 lingua ufficiale delle isole Fær Øer accanto al danese).
Subiungit
autem idem Goropius Gallorum mox nomen alios imitatos esse, sed qui a
Danis illis fortasse Cimmeriorum sobole, genus ducerent: illos, ut
nonnihil a parentibus distinguerentur, Alanen se nominasse, quasi
dicerent, se omnes aut omnino Gallos esse. Al enim omnem, Han
Gallinaceum notare: hinc Alani appellationem, quae gens Ptolomaeo
suprema fere ad septentrionem ponitur, a Suobenis non longe remota, et
rursus in Sarmatia Europaea sub eiusdem nominis montibus. Ait denique,
et probat ex eodem Galli etymo Albanos, {Alonorsos} <Alanorsos>, {Rosolanos}
<Roxolanos> eiusdem cum Alanis originis, et linguae fuisse;
Albanos vero dictos fuisse quasi montanos Gallos, ex Alb, quo montes
significant, et Han, quo Gallinaceus dicitur, {Alonorsos} <Alanorsos>,
quasi Alanos degeneres, et spurios ab Horson filium meretricis
significante; {Rosolanos} <Roxolanos> quasi equestres Alanos, a
Ros, quod equum denotat. Et quem admodum Sacae Alpini Sacalpini, ita
Alanos, sive Danos montanos, Albanos esse nominatos, atque hinc fieri
potuisse, ut post omnes se Alanos dixerint, eo quod omnes Gallinacei
nomen haberent, et id praesertim, cum iam Dani e Sarmatia in Cherronesum
{Cymbricam} <Cimbricam>, et Norvvegiam, et insulas vicinas
commigrassent, adeo ut tota fere Sarmatia et Asiatica, et Europaea
posterioribus temporibus Alania coeperit dici. |
Lo stesso
Goropius aggiunge che ben presto altri riprodussero il nome dei galli, e
precisamente coloro che traevano origine da quei Danesi forse
discendenti dai Cimmeri: essi, allo scopo di distinguersi un po' dai
loro progenitori, presero il nome di Alani, quasi a voler significare
che erano tutti quanti o del tutto dei galli. Infatti Al significa tutto
e Han significa gallo: da cui il nome di Alano, un popolo che da Tolomeo
viene collocato quasi all’estremo settentrionale, non molto lontano
dagli Sloveni e anche nella Sarmazia europea ai piedi delle montagne
dallo stesso nome. Dice infine, e ne dà la prova, che gli Albani, gli
Alanorsi e i Rossolani ebbero la stessa etimologia dal gallo, la stessa
origine e lingua degli Alani. Gli Albani vennero così denominati quasi
fossero galli di montagna, da Alb con cui indicano le montagne e Han con
cui viene chiamato il gallo, gli Alanorsi sono per così dire Alani
imbastarditi e fasulli che prendono il nome da Horson che significa
figlio di una meretrice; i Rossolani sono per così dire degli Alani a
cavallo, da Ros che denota il cavallo. E come i Saci Alpini sono i
Sacalpini, così gli Albani sono detti Alani o Danesi di montagna, e da
ciò può essersi verificato che successivamente si chiamarono tutti
quanti Alani in quanto tutti portavano il nome del gallo, e soprattutto
dal momento che i Danesi già erano emigrati dalla Sarmazia nel
Chersoneso Cimbrico [la penisola dei Cimbri, la Danimarca], in Norvegia
e nelle isole vicine, tant’è che nei tempi successivi quasi tutta la
Sarmazia, sia asiatica che europea, cominciò a essere chiamata Alania. |
Cimmèri: popolazione nomade proveniente dalla Russia meridionale. Stanziatisi sulle sponde del Mar Nero, i Cimmeri furono spinti dagli Sciti in Asia Minore dove penetrarono verso il sec. VII aC. Travolsero, pur senza annientarlo, il regno di Urartu e attaccarono gli Stati di Frigia, di Lidia e le città greche sulla costa. Nel 567 aC presero Sardi; ricacciati dal re dei Lidi Aliatte, si stanziarono definitivamente in Cappadocia. Omero menziona i Cimmeri come abitanti di remote terre settentrionali. - Popolo mitico che appare in molte leggende con diverse accezioni. Il paese della loro provenienza è quello dove non arriva mai il sole e quindi spesso indicato come paese del sonno, ma ora è identificato con il nord del Mar Nero, ora con l'estremo occidente e ora addirittura con la regione di Cuma in Italia. Sono descritti di solito come un popolo che vive sottoterra, in gallerie o miniere e che viene considerato come antenato ora dei Celti e ora degli Sciti. (Enciclopedia mitologica di Lycos)
Sloveni:
la
Slovenia prende il nome dalla tribù slava degli Sloveni che nel sec. VI,
cacciati dalla Pannonia dagli Avari, vi si insediarono. Proseguendo nella loro
offensiva gli Sloveni, invano contrastati da Bavari e Longobardi, occuparono
zone del Friuli sino al Piave e dell'Austria lungo la valle del Danubio (sec.
VII-IX). Ma l'insediamento a piccoli gruppi in queste vallate alpine,
isolandoli dalle altre genti slave dei Balcani, tolse agli Sloveni ogni
possibilità di mantenersi indipendenti. Caddero infatti sotto l'influenza dei
popoli germanici mentre le loro terre finirono sotto il dominio dell'Impero
asburgico. La Slovenia recuperò l'indipendenza soltanto nel sec. XX
nell'ambito del regno di Iugoslavia. Di quest'ultima, trasformata in
Repubblica federale nel 1946, ha fatto parte fino alla dichiarazione
d'indipendenza, nel 1991. - Unless we are to conjecture Stlavani for Ptolemys
Stavani, or to insist on the resemblance of his Suobeni to Slovene, the name
Slav first occurs in Pseudo-Caesarius (Dialogues, ii. 110; Migne, P.G.
xxxviii. 985,
early 6th century), but the earliest definite account of them under that name
is given by Jordanes (Getica, V. 34, 35, C. 550 A.D.) (da
http://45.1911encyclopedia.org)
Sarmazia: era la
vasta pianura a nord del Mar Nero abitata dai Sarmati. Secondo gli antichi il
Don (in latino Tanais) la divideva in Sarmazia europea e Sarmazia
asiatica.
Sàrmati: antica
popolazione iranica, abitante inizialmente nelle vaste pianure della Russia
meridionale a est del Don. Piccoli e di corporatura massiccia, biondi, nomadi,
abili cavalieri e arcieri (così li descrive Erodoto), i Sarmati erano affini
agli Sciti, anzi la tradizione, per spiegare la presenza delle loro donne a
fianco degli uomini in battaglia, li faceva derivare dall'unione degli Sciti
con le Amazzoni. Divisi in vari gruppi molto diversi tra loro, i più
importanti dei quali erano i Rossolani e gli Jazigi, i Sarmati, premuti a loro
volta dalle migrazioni dei popoli asiatici, andarono man mano avvicinandosi ai
confini dell'Impero romano, col quale vennero in conflitto a più riprese.
Entrati in rapporto di clientela coi Romani nel sec. I dC, all'epoca di
Nerone, fecero parte, nel secolo successivo, di quella vasta coalizione
barbarica che sconvolse per anni il confine danubiano e che fu poi respinta da
Marco Aurelio. Nel sec. IV, al tempo delle grandi migrazioni dei Goti e degli
Unni, vennero da questi assorbiti e scomparvero definitivamente.
Albània:
nome che fino al VII sec. dC fu dato dagli storici antichi alla regione
sulla riva occidentale del Mar Caspio, a est dell’Iberia e a nord del fiume
Cyrus (oggi Kura), sui due versanti della parte orientale del Caucaso,
corrispondente all’odierno Azerbaigian settentrionale e alla parte
meridionale del Daghestan. Non si hanno notizie certe sull’origine degli
abitanti - gli Albani -, ma sembra fossero caucasici.
Rossolani: potente tribù sarmatica stanziata nel sec. I aC tra il Dnepr e il Don. I
Rossolani si schierarono a favore di Palaco, comandante degli Sciti, nella
battaglia combattuta contro Diofante, generale di Mitridate. Dopo di allora si
spostarono verso Occidente: combatterono più volte contro i Romani premendo
sul confine danubiano, soprattutto dall'età di Marco Aurelio in poi.
Alani: popolo guerriero indeuropeo, del gruppo scitosarmatico. Sospinti dai Goti
dalle loro sedi caucasiche, si stanziarono nella regione danubiana, donde,
alla fine del sec. IV, vinti dagli Unni, emigrarono verso i territori
dell'Impero romano: parte, con gruppi di Vandali, in direzione della Spagna,
dove furono distrutti dai Visigoti (salvo poche schiere, passate in Africa con
Genserico), parte in Gallia nella zona della Loira e del Valentinois, dove,
col tempo, fondendosi con le popolazioni locali, perdettero la propria
fisionomia. Una loro frazione era anche penetrata in Italia, ma fu vinta nel
465 da Ricimero nei pressi di Bergamo.
Alanorsi e Massageti: Massageti in greco Massagétai, in latino Massagetae; popolazione seminomade di origine probabilmente scitica e identificata da Ammiano Marcellino con gli Alani, stanziata sulla frontiera nord-orientale dell'Iran antico, a est del Mar Caspio e del fiume Araxes. Sembra che i Massageti, il cui nome si trova solo nelle fonti greche e manca in quelle iraniche, appartenessero a una confederazione insieme ai Corasmi e ad altre tribù. Secondo Erodoto, Ciro il Grande perse la vita combattendo contro i Massageti, durante una spedizione effettuata contro la regina di questo popolo, di nome Tomiri. Secondo Soslan Tabuev (http://southosetia.chat.ru, 2000), quando l’antico popolo di lingua iraniana dei Massageti si mosse verso l’Europa, esso si suddivise in diverse branche etniche, dando luogo così alle tribù strettamente imparentate degli Jazigi, dei Sarmati, dei Rossolani, degli Aorsi, degli Alani, dei Saci. Nella maggioranza dei casi la distinzione in tribù era puramente convenzionale, tant’è che apparvero nomi di tribù come quella degli Alanorsi.
Saci - Saka: in persiano Saka; in sanscrito Saka. Popolazione
indeuropea, profondamente iranizzata, che dalle sue sedi dell'Asia centrale
giunse nella valle dell'Indo (sec. II-I aC), spinta dalla pressione degli
Yuehchih. Un gruppo dei Saci corrisponde a quelli che i Greci chiamarono
Sciti. Cacciati i Greci insediati nel Punjab occidentale, i Saci vi
costiturono uno Stato esteso anche al Gandhara, unitario sotto i re da Maues o
Moa (80-60 ca. aC) a Gondofare o Guduphara (ca. 20-50 dC), poi frazionato in
una serie di feudi sino alla sparizione definitiva a opera dei Kusana (seconda
metà del I sec.). Il loro territorio (Pakistan occidentale) era noto ai Greci
con il nome di Scizia.
Cimbri: antica popolazione di stirpe germanica. Dalle sedi originarie sulla
destra dell'Elba (Jylland o Jütland, Holstein e Schleswig), alla fine del sec. II aC mossero
contro i Teutoni verso il centro e il sud della Germania, ma, risospinti dai
Boi, penetrarono lungo la valle del Danubio sconfiggendo nel 113 il console
romano Papirio Carbone. Entrarono poi in Gallia, rafforzati da gruppi di
Elvezi, e sconfissero diversi eserciti romani. Fu Gaio Mario a stroncarne per
sempre la furia aggressiva con le memorabili sconfitte che inflisse nel 102 ai
Teutoni ad Aquae Sextiae (odierna Aix-en-Provence) e ai Cimbri nel 101 ai
Campi Raudii, presso Vercelli.
Quem
Procopius Honoricum vocat (qui Gizerici filius et Vandalorum imperii
h{a}eres, tyrannice atque immani saevitia per ignes atque alia
suppliciorum tormenta ad Ar{r}ianam sectam compulisse legitur) alii
Hunericum, nonnulli Heinricum, vel potiore scriptura Henricum appellant.
Hunericus autem teste Hadriano Iunio Gallinaceorum, Gizericus Anserum
copiis affluentem significat: Heinricus vero domiciliis divitem, aut
laris et sanguinis paterni magna progenie clarum. |
Colui che Procopio chiama
Onorico (che, da quanto si legge, era figlio di Genserico ed erede
dell’impero dei Vandali e che comportandosi da tiranno e con selvaggia
ferocia usando il
fuoco e altri tormentosi
supplizi costrinse ad abbracciare l’Arianesimo) altri lo chiamano
Unerico, alcuni Heinricus o, scrivendolo più correttamente Henricus.
Secondo Hadrianus Junius, Unerico significa colui
che possiede in abbondanza gallinacei, Genserico oche; Enrico significa ricco di dimore, oppure illustre per una numerosa progenie
derivata dal focolare e dal sangue paterno. |
Procopio di Cesarea: storico bizantino (Cesarea, Palestina, fine del sec. V - Costantinopoli
dopo il 563). Consigliere personale di Belisario, partecipò alle campagne in
Persia (527-531), Africa (533-534), Italia (535-540). Tornato a Costantinopoli
vi elaborò i dati della sua conoscenza diretta e indiretta degli avvenimenti
del tempo in una vasta opera storica, Sulle guerre (anche Storie),
in 8 libri, i primi 7 pubblicati nel 551, l'ultimo nel 553, divisa in Guerre
persiane, Guerre libiche e Guerre gotiche. L'opera, che per
la grandiosità del disegno ricorda la storiografia universalistica di
Polibio, è l'unica fonte importante sul regno di Giustiniano ed è molto
attendibile anche per l'immediatezza dell'informazione e la disponibilità
degli atti ufficiali da parte dello storico.
Onorico - Unerico - Unnerico: in greco Onōrichos; in latino Hugnericus, Hunerix. Morto nel 484. Re dei Vandali (477-484), figlio e successore di Genserico, applicò dapprima le clausole del trattato del 475 firmato da suo padre e dall’imperatore Zenone, fece cessare la persecuzione contro i cristiani, richiamò il clero in esilio e acconsentì a nominare un vescovo a Cartagine (481). Ma sotto l’influenza degli ariani riprese la persecuzione generale contro i cristiani, una delle più sanguinose che abbia dovuto subire la chiesa d’Africa. Si imparentò con Teodorico, re dei Visigoti, sposandone la figlia in prime nozze e con l'imperatore d'Oriente Valentiniano III sposandone in seconde nozze la figlia Eudossia.
Vandali: in origine denominazione comune alle popolazioni germaniche orientali,
ristretta poi ai soli Asdingi e Silingi che, verso la fine del sec. II dC, si
spostarono verso sud, stanziandosi i primi nella pianura pannonica e i secondi
nella Slesia. Nel 276, coi Burgundi, attaccarono la Rezia romana ma, sconfitti
sul fiume Lech dall'imperatore Probo (279), furono respinti oltre il Danubio e
costretti a fornire contingenti militari per le truppe ausiliarie romane.
All'inizio del sec. V, anche i Vandali, nel frattempo convertitisi
all'arianesimo, furono travolti dagli Unni: un'orda germanica, nella quale
erano pure gruppi di Vandali, nel 405 devastò la Rezia e il Norico, scese in
Italia, ma fu fermata presso Pavia da Stilicone che ne ricacciò una parte al
di là delle Alpi. Nel 406 un altro esercito di Vandali, Alani e Svevi, presso
Magonza, ruppe le difese romane sul Reno e dilagò verso il sud della Gallia
per poi passare in Spagna nell'autunno del 409. Qui i Vandali Asdingi si
stanziarono in Galizia e i Vandali Silingi nella Betica: battuti dal comes
di Spagna Asterio, i Silingi cessarono praticamente di esistere come popolo e
gli Asdingi si fusero con gli Alani, ritirandosi nella Betica. Nel maggio del
429, invitati dal comes d'Africa, Bonifacio, i Vandali, guidati ora dal
re Genserico, passarono lo stretto di Gibilterra e in breve occuparono la
Mauritania e la Numidia. Bonifacio cercò di farli rimpatriare, ma nel 435 i
Vandali ottennero come foederati la Numidia. Nel 439 però Genserico
s'impadronì di Cartagine. Valentiniano III, incapace di fronteggiarli,
cedette loro la provincia Proconsolare e la Bizacena. Nel 455 i Vandali
occuparono anche la Sardegna. Finalmente una flotta bizantina inviata da
Giustiniano e guidata da Belisario annientò nel 533 gli eserciti dei Vandali
distruggendo il loro regno e riconquistandone il territorio; dopo ripetuti
tentativi di rivolta, i Vandali furono deportati e dispersi in varie parti
dell'impero, perdendo così la loro fisionomia di popolo.
Genserico: detto anche Gizericus, Gaisericus, Geisericus,
Zinzirichus. Re dei Vandali e degli Alani, morto nel 477. Succeduto nel
428 al fratellastro Gunderico, l'anno seguente guidò i Vandali dalla Spagna
nell'Africa settentrionale, dove conquistò e devastò ampie regioni,
espugnando infine Cartagine nel 439. Attaccò anche Ippona, la cui strenua
resistenza fu animata dal vecchio Sant'Agostino. Dalle coste africane portò
duri attacchi alla penisola italiana spingendosi fino a Roma, che fu
barbaramente messa a sacco nel giugno del 455 sotto il pontefice Leone Magno.
Conquistò anche la Sicilia, che cedette poi a Odoacre.
Enrico: nel Medioevo si diffuse in Italia un nome di origine germanica, Enrico, che era portato da imperatori del Sacro Romano Impero e da alcuni re di Germania. Derivava dal germanico Haimrich, composto da haimi che significava casa, patria, e da rikja, ricco, potente, Sicché un re di nome Enrico è il potente in patria, ovvero, il signore della patria.
Arianesimo: dottrina ereticale promossa ad Alessandria dal prete Ario, tra il 318 e
il 323. Svolgendo temi già impliciti in Origene e in Luciano d'Antiochia,
Ario pervenne all'affermazione che il Verbo, ossia Cristo, non partecipa della
sostanza divina ed eterna del Padre, ma è creatura, uomo, sia pure eletto da
Dio a svolgere un compito straordinario e unico nell'economia della creazione.
Condannato dal vescovo d'Alessandria, Alessandro, ma difeso dal vescovo di
Nicomedia, Eusebio, Ario provocò una profonda divisione tra i cristiani
d'Oriente, sensibilissimi ai problemi teologici, tanto che l'imperatore
Costantino, sollecito non meno dell'unità religiosa che di quella politica
dell'impero (in effetti difficilmente separabili), intervenne nella
controversia e convocò nel 325 il Concilio di Nicea, con l'intento di
ricondurre la pace tra i cristiani. Verso il 370, tutto l'Occidente e
l'Illirico potevano dirsi liberi dall'arianesimo, sia pure con qualche
importante eccezione, come Milano, dove il vescovo ariano Aussenzio governò
fino al 374, quando, alla sua morte, gli succedette Ambrogio. La controversia
ariana si chiuse così sul finire del sec. IV, dopo sessanta-settant'anni di
dispute, di agitazioni, di conflitti anche cruenti, poiché investiva non solo
la dottrina, ma l'intera struttura della Chiesa e i suoi rapporti con
l'Impero. Tra le sue conseguenze più rilevanti, si devono segnalare un
approfondimento della divisione fra il cristianesimo occidentale e quello
orientale; l'instaurazione in Oriente di una forte tradizione cesaropapista;
la diffusione dell'arianesimo tra i Goti (da parte di Ulfila, seguace di
Eusebio di Nicomedia) e tra altri popoli germanici, prossimi a invadere
l'Impero d'Occidente.
Hadrianus Junius - Adriaen de Jonghe:
medico, storiografo e umanista olandese (Hoorn, 1 luglio 1511 -
Middelburg, 16 giugno 1575). I dati riferiti da Aldrovandi sono contenuti in Batavia
(1588), che è uno studio sull’antica Olanda, detta Batavia in latino.
I Batavi costituivano un’antica tribù di origine celtica che, in seguito a
divisioni interne, abbandonò le sue sedi per occupare un’isola alla foce
del Reno e della Mosa, l’odierna Olanda meridionale. Sottomessi da Druso,
tentarono invano di ribellarsi ai Romani (70) sotto la guida di Giulio Civile
che mirava a costituire uno Stato gallico. Assoggettati in seguito dai Franchi
(ca. 300), scomparvero come nazione sotto i Carolingi.
Galeazius
apud Italos maxime nomen proprium est: sed haud scio, an a Gallo: certe
tamen novi {Ma<t>thiae} <Matthaei> Vicecomitis cognomento
magni (nobilissima haec Mediolanensium familia est) primogenitum a Gallo
Galeazium, seu potius Galliatium nomen accepisse, quod haec ales tota
nocte, cum nasceretur, cantaret, quasi pater sub felicibus huius
volucris auspiciis natum significare vellet. |
Galeazzo per gli Italiani è
un importantissimo nome di persona, ma non so se deriva dal gallo. Di
certo tuttavia sono venuto a conoscenza che il primogenito del Visconte
Matteo soprannominato il grande (questa è una nobilissima famiglia di
Milanesi) prese il nome di Galeazzo, o meglio di Galliatius, dal gallo,
in quanto, mentre stava nascendo, questo volatile cantò per la notte
intera, come se il padre volesse alludere che era nato sotto i fausti
auspici di questo uccello. |
Galeazzo
Visconti I:
signore di
Milano (? 1277 - Pescia 1328). Figlio di Matteo I, divenne vicario imperiale
di Piacenza e nel 1313 sostenne una lunga guerra coi Guelfi e coi Torriani che
riuscì a bloccare in Monza (1323). Fatto prigioniero dall'imperatore Ludovico
il Bavaro, venne liberato per intercessione di Castruccio Castracani.
[1] Ebbi la fortuna di conoscere Don Ezio, nato ad Alessandria il 7 luglio 1937. Dopo anni di apostolato nella Diocesi alessandrina e nella città di Valenza, finalmente disubbidì alla Mamma e partì per l’Africa. Dopo dieci anni di dedizione completa ai suoi parrocchiani, ormai pronto per un breve periodo di riposo in Italia, morì tragicamente, ma gloriosamente, sotto l’abside della chiesa di Kyangini. Il crollo fu provocato da un albero sradicato dal vento. Era il 7 aprile, giorno di Pasqua del 1985.
[2] Chi vuol saperne di più può leggere il libro di Sergio Salvi Le Lingue Tagliate - Storia delle minoranze linguistiche in Italia - Lo sconvolgente rapporto sul genocidio bianco che condanna 2.500.000 Italiani di lingua diversa a vivere come in colonia - Rizzoli, Milano, 1975.
[3] Può risultare curiosa l’associazione tra persone con cognomi che si intensificano a vicenda oppure che si contrappongono in modo netto. Così in Valenza esisteva la ditta di oreficeria Lenti e Stanchi, mentre nel Collegio Emiliani di Genova Nervi, dove conseguii la maturità classica, era altrettanto classico il trio formato da Corti-Longhi-Stretti.
[4] L’Impero Romano comprende l’intervallo che va dal 29 aC, quando fu fondato da Augusto, al 395 dC, quando morì Teodosio.
[5] Il supernomen è presente solo in alcuni casi.
[6] L’editto di Caracalla fu promulgato allo scopo di concedere la cittadinanza romana a tutti i forestieri. Parecchie categorie ne erano escluse: i liberti latini, i barbari poco romanizzati stanziati alle frontiere, la maggior parte delle popolazioni rurali.
[7] Per storia dell’età medievale s’intende, almeno nei confronti del mondo romano-cristiano, quella degli avvenimenti compresi tra la fine dell’Impero Romano d’Occidente (476 dC) e l’Età Moderna, per la quale viene adottato come momento d’inizio il 1492, data della scoperta del Nuovo Mondo. La divisione tra Alto e Basso Medio Evo viene posta intorno all’anno Mille.
[8] Il Concilio di Trento fu il 19° concilio ecumenico, convocato nel maggio 1542 da Papa Paolo III. Rispondeva alla richiesta di un concilio generale formulato da Lutero fin dal 1518, ma giunse troppo tardi per permettere la conciliazione fra protestanti e cattolici. Le decisioni riguardanti il matrimonio avvennero durante la XXIV seduta del 15 novembre 1563, anno in cui il concilio si concluse.
[9] Mio padre Mario, nato a Mede in Lomellina (PV), era noto come Lümlì, e io sono il figlio d’Lümlì.
[10] Per lemma s’intende un teorema d’importanza secondaria che si premette alla dimostrazione di un altro. Lemma deriva dal greco lambàno, che significa io prendo; la stessa origine ha la parola dilèmma, nel senso di essere preso tra due proposizioni spesso contrastanti.
[11] Paria: dalla voce anglo-indiana pariah proveniente dal tamul parayan. In India paria significa persona appartenente alla casta più bassa, o esclusa da qualsiasi casta. Parayan a sua volta significa suonatore di tamburo, da parai tamburo.
[12] Alla famiglia degli Sturnidi appartiene il gruppo delle Gracule, che comprende 6 generi e 12 specie. Al genere Gracula appartiene il Mainate o Gracula religiosa, formata da 11 sottospecie diffuse da Ceylon a Hainan.
[13] Entraîneuse deriva dal verbo francese entraîner, che significa trascinare, tirarsi dietro, allenare. Probabilmente da quest’ultimo significato è nato il termine nave scuola per colei che avvia i giovani alla vita adulta secondo i suoi riti d’iniziazione.
[14] Credo sia interessante notare come il pene venga talora soprannominato con riferimento a volatili: l’italiano uccello è ovviamente onnicomprensivo, più restrittivo è il portoghese pinto, che significa pulcino, nonché l’italiano passerotto. Non dimentichiamo che lo Spirito Santo è raffigurato sotto forma di colomba e che Maria concepì per opera della terza Persona della Santissima Trinità.
[15] Unica fonte d’informazione della notizia incerta è mia mamma, in quanto altre persone interpellate non ne sanno nulla. È logico che la soluzione del problema esiste: chiedere direttamente a un Orsini, compito che lascio volentieri a voi.
[16] Chiavica: fogna, opera in muratura per regolare il deflusso delle acque. Dal latino tardo clavica, per il classico clovaca, col significato di chiudere. Non si tratta quindi di topi scopatori!