Lessico


Crisoterapia

La crisoterapia o auroterapia è una terapia a base di prodotti contenenti sali d'oro. Alcuni composti solubili di oro sono stati impiegati sin dall'antichità nelle malattie della pelle e come farmaci antipruriginosi. In seguito alle ricerche di Robert Koch (Clausthal, Hannover, 1843 - Baden-Baden 1910), che ne evidenziò l'azione inibente lo sviluppo dei micobatteri tubercolari, alcuni sali d'oro vennero utilizzati nella terapia della tubercolosi. In seguito, nonostante i risultati modesti, il loro impiego fu esteso alla terapia della sifilide e dell'artrite reumatoide.

I risultati molto favorevoli nella cura di quest'artrite hanno rilanciato nel XX secolo i sali d' oro quali presidio terapeutico di grande importanza per il controllo permanente della malattia. I principali composti aurici adoperati in terapia sono l'aurotioglucosio, l'aurotiomalato sodico e l'aurotiosolfato sodico, nei quali l'oro è presente in percentuale variabile dal 30% al 50%. Altre indicazioni terapeutiche si riferiscono al lupus eritematoso, alle uveiti, all'uso dell'Au198 quale antineoplastico, specie nel trattamento delle infiltrazioni tumorali metastatiche della pleura e del peritoneo.

Il trattamento con sali d'oro richiede prudenza e il controllo diretto dello specialista, potendo provocare reazioni allergiche, manifestazioni irritative a carico dell'apparato digerente, danni a carico del rene e del sistema emopoietico. Nel caso dell'artrite reumatoide i sali d'oro si fissano nel sistema reticolo-endoteliale, dove sembra che il metallo agisca inibendo i lisosomi, i macrofagi e ostacolando l'azione dei mediatori dell'infiammazione.

Oro

Una pepita d'oro

Elemento chimico con simbolo Au (dal latino aurum), peso atomico 197,20 e numero atomico 79. Nella crosta terrestre, che ne contiene in media 0,005 g/t, è largamente diffuso ma quasi sempre in quantità tanto piccole da non renderne possibile una conveniente estrazione: ciò vale anche per l'acqua di mare, che ne contiene 1 g ogni 2000 m3.

In natura l' oro si rinviene quasi esclusivamente allo stato nativo, disperso in rocce quarzifere (filoni auriferi) generalmente sotto forma di minute pagliuzze o, più raramente, in masserelle dette pepite. In Italia si rinvengono sabbie aurifere, sfruttate in passato ma molto povere, soprattutto lungo il corso di alcuni affluenti di sinistra del Po come il Ticino, il Sesia e la Dora Baltea. Nella zona del Monte Rosa si trova il giacimento di solfuri (pirite e arsenopirite) di Pestarena in Valle Anzasca, sfruttato fino al 1961 e ormai inattivo.

Per tutta l'antichità, e in pratica fino all'inizio del sec. XX, l'oro è stato estratto quasi esclusivamente dalle sabbie aurifere e solo in seguito si è diffuso lo sfruttamento delle rocce aurifere primarie che, estratte attraverso pozzi o gallerie, vengono poi finemente macinate per poter procedere al recupero dell'oro.

Il classico metodo di estrazione tramandato dall'antichità è quello del lavaggio delle sabbie aurifere, basato sulla forte differenza di peso specifico tra l' oro (19,32) e il quarzo e i silicati delle sabbie, assai più leggeri (2-4): una corrente di acqua asporta più facilmente questi ultimi concentrando le particelle d'oro più pesanti.

L'oro puro si presenta come un metallo lucente di colore giallo caratteristico, assai tenero, duttilissimo ed estremamente malleabile , tanto da poterne ottenere fogli semitrasparenti alla luce; fonde a 1063 ºC e bolle a 2970 ºC. È un ottimo conduttore del calore e dell'elettricità. Per la sua grande inerzia agli agenti chimici, lo si considera il metallo nobile per eccellenza: esso non viene infatti minimamente attaccato dall'ossigeno atmosferico, dagli alcali anche concentrati, o dagli acidi inorganici quali il cloridrico, il nitrico, il solforico, ecc.

Per attaccarlo e trasformarlo in composti solubili il reagente più usato è la cosiddetta acqua regia, costituita dalla miscela di 3 parti di acido cloridrico concentrato e di una di acido nitrico concentrato, la quale trasforma l'oro in acido tetracloroaurico, HAuCl4, denominata regia in quanto attacca facilmente anche l'oro che per gli alchimisti era il re dei metalli.

Arsenopirite
detta anche mispickel
solfuro di ferro e arsenico di formula FeAsS

Storia di una miniera

Un pregevole resoconto storico di Sandro Dalmastro

 www.minieredoro.it

Secondo la tradizione i più antichi sfruttatori dei giacimenti auriferi di Pestarena, nell'alta Valle Anzasca, furono i Celti prima e i Romani poi. Tuttavia occorre arrivare fino al 1291 perché la leggenda su questa celebre miniera d'oro diventi storia. È di quell'anno, infatti, il trattato di pace stipulato fra il Conte di Biandrate e gli abitanti delle valli dell'Anza e di Saas, in cui si fa per la prima volta cenno a dei non meglio precisati "homines argeatarii" cioè "uomini dell'argento".

Sul finire del '700 la resa media delle miniere di Pestarena si aggirava sui 12-18 grammi di oro puro per quintale e la coltivazione in galleria interessava ormai anche le valli confluenti fino alla notevole profondità di 400 metri sotto il livello del suolo. In quegli anni le principali difficoltà erano costituite dalle frequentissime infiltrazioni d'acqua in galleria, comprensibili se si pensa che alcuni pozzi dei più profondi raggiungevano il livello del torrente Anza nel fondo valle e che le opere idriche erano ancora molto embrionali e poco pratiche.

Verso gli ultimi decenni dell'800 le miniere vennero sfruttate, senza molta fortuna, da una finanziaria inglese per passare, poi, all'inizio del nostro secolo, in concessione alla Società Ceretti di Villadossola che vi realizzò alcune importanti opere di scavo e di consolidamento, estendendo la rete delle gallerie a oltre cinquanta chilometri.

Nel 1938 gli impianti passarono all'Azienda Minerali Metallici Italiani, una società statale che li sfrutterà con alterna fortuna fino al 1954, anno della loro prima chiusura.

Persa la signoria della valle alla fine del 1700, i Borromei riuscirono tuttavia a conservare la "decima" sulle miniere, che nel frattempo erano state concesse in sfruttamento al capitano Bartolomeo Testoni. È certamente questa una delle figure più leggendarie tra quelle che popolano la storia della ricerca dell'oro nella valle dell'Anza. Dotato di un fiuto nella ricerca e di un dinamismo imprenditoriale davvero inusuali per l'epoca, fu un vero e proprio ingegnere minerario "ante litteram", coltivando nuovi filoni con grande profitto e arricchendosi in breve tempo. Non minore fortuna toccò, alcuni anni più tardi, a un altro capitano minatore: Pietro Giordano di Alagna, appaltatore dei lavori di scavo che iniziarono vicino al ponte, nella frazione di Borca. Con questo nome erano verosimilmente indicati i minatori che impiegavano il mercurio ("argentum" nel latino volgare dell'epoca...?) per estrarre, con il metodo dell'amalgamazione, l'oro dal materiale sterile.

Solo all'inizio del 1400, però, con l'avvento in valle del capitano di ventura Facino Cane, ha inizio l'epoca del vero e proprio sfruttamento razionale dei filoni auriferi. È questo il periodo in cui la coltivazione dei giacimenti subisce un netto incremento, grazie a geniali innovazioni nella tecnologia estrattiva e nell'arricchimento del minerale.

Scacciati i discendenti di Facino Cane intorno al 1430, arrivarono in valle i Borromei, che avevano nel frattempo acquisito il diritto di concessione su tutte le miniere dal duca Gian Galeazzo Visconti. Pare, tuttavia, che la qualità della loro gestione "mineraria" della Valle Anzasca fosse nettamente inferiore a quella politico-militare, cosicché fino a tutto il '700 gli impianti lavorarono a ritmo ridotto, con rese assai meno proficue di quelle ottenute due secoli prima dai loro predecessori.

A cavallo del periodo bellico la produzione raggiunse i massimi vertici nella secolare storia della miniera, grazie a un aumento considerevole della mano d'opera; tuttavia la gestione statale non fu certo un modello di efficienza e di sicurezza e l'assoluta mancanza delle più elementari misure profilattiche causò in quegli anni un aumento impressionante dei casi di mortalità per silicosi. Nel dopoguerra la produzione riprese tra molte difficoltà, dovute soprattutto all'equilibrio tra i prezzi di costo e quelli di realizzo e alla mancanza degli iperbolici premi di produzione che la Banca d'Italia aveva continuamente elargito nel periodo autarchico del regime. Così, dopo alterne vicende, nel 1961 si giunse alla definitiva chiusura degli impianti.

Pestarena

Macugnaga è un centro del Piemonte nordoccidentale, nella provincia di Verbano-Cusio-Ossola. Sorge alla testa della valle Anzasca, una delle valli laterali della val d’Ossola. Situato sulle pendici nordorientali del massiccio del Monte Rosa, Macugnaga è un frequentato centro di sport invernali e di villeggiatura. Il comune è formato dalle quattro frazioni di Pestarena (1.035 m), Borca (1.195 m), Pecetto (1.362 m) e Staffa (1.327 m). La produzione di burro e formaggi sono, accanto al turismo, le principali attività economiche del piccolo centro montano. Abitanti (macugnaghesi): 626 (1996).