Lessico


Luigi Deambrogio

Il padre della distomaina

Candia Lomellina - 7 aprile 1906
Alessandria - 24 luglio 1981

Biografia

Questa non è propriamente una biografia rispettosa dei canoni classici, ma piuttosto una “memoria” sentimentale da parte dell’unica figlia del Dott. Luigi Deambrogio, medico veterinario, nato a Candia Lomellina (PV) il 7 aprile del 1906 e deceduto ad Alessandria il 24 luglio del 1981.

Proverò a ripercorrere l’itinerario della sua vita con la delicatezza del ricordo personale, ma anche con il timore di non saper restituire compiutamente i tratti della sua personalità e la pienezza dei momenti più determinanti della sua vita che è stata dominata da alcune costanti: l’entusiasmo, un indistruttibile ottimismo e la fiducia che gli proveniva da una profonda fede cristiana.

È stato così fin dall’infanzia trascorsa serena nel suo paese natale, circondato dall’affetto della sua famiglia, non proprio benestante, ma decorosa e laboriosa. Era studioso, ma senza eccessi, amava tantissimo giocare a calcio, sempre partecipe alle partite della squadra locale. La frequenza delle scuole superiori a Casale Monferrato (AL) imponeva agli studenti di partire prima delle cinque del mattino e di rientrare a sera, dal momento che ai tempi i collegamenti ferroviari non erano molto numerosi. Spesso ricordava che nelle giornate in cui le lezioni finivano anzitempo, ritornava a casa a piedi, seguendo la linea della ferrovia.

Il suo paese gli sarebbe rimasto sempre nel cuore, anche quando se ne sarebbe definitivamente allontanato, ma vi ritornava frequentemente e sempre volentieri. Ha frequentato la facoltà di medicina veterinaria a Torino cui seguì un periodo di ricerca presso l’Università di Milano. Qui il Prof. Finzi, autorevole esponente dell’Ateneo milanese, più volte tentò di convincerlo a non allontanarsi dalla ricerca, ma si vede che il destino aveva per lui deciso diversamente. Net 1936 diventô veterinario condotto e direttore del Civico Mattatoio di Valenza e qui rimase per sempre. Qui si sposò nel 1943. La sua famiglia, insieme a quella di origine e la mia nascita costituiranno la luce della sua intera vita.

Era un apprezzato professionista, conosciuto anche fuori dei confini della sua città. Il lavoro in un territorio collinare, caratterizzato dalla presenza di piccoli o piccolissimi allevamenti, non era dei più facili. Era in continuo movimento da una cascina all’altra. Talvolta, d’inverno, era costretto a lasciare l’auto nel fondovalle e salire in collina a piedi.

Ricordo ancora le scarpe infangate, lavate e messe ad asciugare da mia mamma. Ricordo anche che il periodo più faticoso per lui era quello della vaccinazione antiaftosa dei bovini, proprio per la dispersione delle stalle sul territorio. Seguiva una tabella di marcia ed era per lui un gran sollievo depennare ogni giorno una tappa.

Non era soltanto un bravo veterinario, era soprattutto una persona particolare per la sua umanità. Non si è mai tirato indietro quando qualcuno si rivolgeva a lui per un aiuto in campi anche lontanissimi dalla sua professione. Tutti sapevano che la sua competenza era poliedrica ed offerta volentieri, senza risparmio di impegno ed energia e senza chiedere nulla in cambio.

È stato così sempre ed ancora oggi le persone che lo hanno conosciuto (ormai purtroppo in numero sempre più esiguo) non lo hanno dimenticato, contenti di averlo incontrato, di aver avuto esperienza della sua bontà e della sua intelligenza e tutti, parlandomene, mi invitano ad averne coscienza, quasi un invito ad essere io il custode di un bel ricordo. Ne sono felice, ma anche intimorita, consapevole di non aver le qualità per farlo.

Un altro grande suo impegno ha riguardato la difesa della categoria dei medici veterinari, in particolare nei riguardi della normativa pensionistica. In questo campo il suo apporto è stato sempre a livello dirigenziale nelle Associazioni di Categoria (fnovi e federspelv). Ugualmente dirigenziale il suo contributo nella gestione del periodico “Il Progresso Veterinario”, edito a Torino.

Quest'attività unita a quella più strettamente professionale, lo portarono ad avere amici e collaboratori in tutta Italia con i quali i contatti erano frequentissimi.

Tanto agire non gli ha mai però sottratto spazio ai libri, non solo scientifici, ma anche letterari, in particolare storici. Net tempo aveva acquisito una profonda conoscenza della Rivoluzione Francese. Curava l’aggiornamento medico-scientifico, studiava, osservava, meditava ogni momento del giorno ed anche parte della notte sottratta ad un sonno breve e leggero.

Così un giorno l’intuizione: un modo per combattere un male subdolo e crudele come ii cancro. È  il 1966. In un primo tempo l’obiettivo specifico fu la leucemia. Studi accaniti, documentazioni approfondite, ulteriori riflessioni hanno condotto alla formulazione della Distomaina. Non voglio parlarne specificatamente; le sue pubblicazioni (Leucemia: questa grande nemica, Il Progresso Veterinario, 1966, Ed. Emilio Bono, Tonino; La Distomaina, ricerche sperimentali e cliniche in campo oncologico, Il Nuovo Progresso Veterinario, 1974, Ed. Emilio Bono, Torino; L'azione della Distomaina nella terapia dell'epitelioma a cellule basali, Il Nuovo Progresso Veterinario, 1977, Ed. Emilio Bono, Torino) parlano da sole, ma voglio ricordare che fondamentale è stata la fiducia e l’apporto offerti dal Dott. Adriano Vaccari, originario di Valenza che a quel tempo esercitava la professione medica a Genova, che sull’argomento pubblicò: Nota preventiva sull'uso della Distomaina, Il Nuovo Progresso Veterinario, 1979, Ed. Emilio Bono, Torino. Il Dott. Vaccari fu il primo ad essere convinto che si trattava di una strada molto promettente. Dopo di lui ve ne saranno altri e soprattutto vi saranno persone guarite o alleviate nella sofferenza.

Una malattia cardiaca, palesatasi nel 1977, gli impose un modo di vivere che mal tollerava, perché troppo restrittivo della sua libertà di azione. Quando la prudenza avrebbe consigliato un risparmio di energie più rispettoso delle circostanze, la voglia di vivere lo spingeva a ribellarsi ai consigli del medico.

Era difficile trattenerlo in casa e spesso io, un po’ complice, gli alleviavo almeno la fatica di guidare l’auto e lo accompagnavo.

Il 24 luglio 1981, mentre era ricoverato in Alessandria per sottoporsi ad alcune analisi, un’embolia polmonare gli è stata fatale.

Valenza, 8 settembre 2006

La figlia
Enrica Deambrogio


Distomaina
Fasciola hepatica
Distomatosi

La distomaina – denominazione adottata dal Dr Luigi Deambrogio – è l'escreto della Fasciola hepatica associato a bile colecistica dei bovini.

Fasciola hepatica

Dal latino fasciola, piccola fascia. Verme trematode dell'ordine Digenei, che allo stadio adulto vive nelle vie biliari di bovini, ovini ed equini, presentando allora un corpo fogliforme lungo sino a 3 cm, che si prolunga in una sorta di collo in corrispondenza del quale si apre la bocca.

La fasciola è responsabile di una patologia del bestiame (in particolare di bovini e ovini) chiamata cachessia ittero-verminosa. Questa malattia, spesso diffusa in forma epidemica in Europa e in Australia, ha un elevato tasso di mortalità.

Il verme adulto, presente nell'intestino dell'animale infestato, disperde le uova nell'ambiente emettendole insieme alle feci dell'ospite. Se ciò avviene in acqua, le uova si schiudono liberando larve ciliate chiamate miracidi, che nuotano liberamente finché non vengono ingerite da una chiocciola (solitamente Limnaea truncatula).

Il miracidio penetra, quindi, nei tessuti della chiocciola e si trasforma in sporocisti. All'interno della sporocisti ha luogo l'amplificazione larvale, con la formazione di decine di larve dette redie; queste a loro volta producono nuove forme giovanili, dette cercarie, simili a girini di anfibio in miniatura, che escono dal corpo della chiocciola e, attaccate a qualche substrato (in genere a piante acquatiche), si incistano sotto forma di metacercarie, andando incontro a un periodo di quiescenza.

Le metacercarie restano quiescenti finché non vengono ingerite da una pecora o da un altro mammifero; in tal caso la cisti si rompe e libera la larva, che migra nel fegato dell'ospite, dove si sviluppa in un trematode adulto, chiudendo il ciclo. La parassitosi da fasciola appartiene alle distomatosi.

Limnaea

In Summa Gallicana si parla della Limnaea peregra a proposito dell'effetto materno dell'ereditarietà controllato dal genotipo nucleare della madre. Ecco alcune immagini di Limnaea così importante nella trasmissione della Fasciola hepatica.

L'ultima immagine è di una Limnaea stagnalis

Distomatosi

La distomatosi, dal greco dístomos, a due bocche, è una malattia causata nell'uomo e in animali domestici e selvatici da infestazione di Elminti (per es. Clonorchis sinensis, Fasciola hepatica, Distoma heterophyes, Paragonimus westermanni).

Le distomatosi nell'uomo possono essere classificate, secondo la loro localizzazione, in bucco-faringea, epatica, intestinale, polmonare, ecc.

La distomatosi bucco-faringea è provocata dalla Fasciola hepatica che si localizza nel primo tratto del tubo digerente: è endemica in Siria e insorge dopo l'ingestione di fegato di capretto infetto, con disfagia, disfonia, edema del faringe, dispnea e ronzii d'orecchio. Per la terapia si impiegano emetici per bocca e gargarismi alcolici.

La distomatosi epatica è causata da vari Distomidi. Durante la fase di invasione le larve danneggiano il parenchima epatico, del quale si nutrono. Dopo una o due settimane dalla penetrazione del verme, si ha epatite con febbre, subittero, epatomegalia, dolori all'ipocondrio destro. Si possono associare orticaria e crisi asmatiche. Successivamente l'elminta si localizza a livello della colecisti e dei dotti biliari dando origine a colangite e cirrosi biliare: è diffusa in Estremo Oriente e si manifesta in seguito a ingestione di pesce crudo o poco cotto. La terapia si avvale essenzialmente dell'uso della 2-diidroemetina. Può essere efficace anche la clorochina.

La distomatosi intestinale, provocata in genere da Distoma heterophyes, si manifesta con diarrea cronica, disturbi renali e cardiaci. La terapia è a base di antielmintici.

La distomatosi polmonare o emottisi parassitaria, causata dal Paragonimus westermanni, è diffusa in Estremo Oriente, mentre casi isolati si sono verificati anche negli Stati Uniti e Brasile. L'infezione avviene con l'ingestione di crostacei parassitari. Nell'uomo e in altri animali domestici e selvatici, il verme adulto si localizza a livello bronchiale e le uova vengono eliminate con l'espettorato. La sintomatologia è simile a quella di una bronchite cronica con bronchiettasie che porta a insufficienza respiratoria e cuore polmonare. Si possono avere localizzazioni atipiche a livello sottocutaneo, muscolare e talora cerebrale. Viene curata con il biotonolo e il praziquantel.

La distomatosi degli animali è causata dai trematodi - classe del phylum dei platelminti - Fasciola hepatica, Fasciola gigantica, ecc.. Ospiti intermedi di questi parassiti sono i Molluschi Gasteropodi acquatici, mentre ospiti definitivi sono bovini, ovini, cervi, conigli, ecc.

I parassiti sessualmente maturi che si trovano nei dotti biliari emettono uova che arrivano al duodeno fuoriuscendone con le feci. Come già detto, le uova, in ambiente umido e palustre, si schiudono liberando embrioni ciliati (miracidi) i quali si trasferiscono nell'ospite intermedio trasformandosi in sporocisti. Le sporocisti producono le redie dalle quali si generano le cercarie che abbandonano l'ospite intermedio raggiungendo l'ambiente esterno: qui si trasformano in metacercarie.

Gli ospiti definitivi si infestano ingerendo foraggi inquinati da metacercarie che, una volta giunte nell'intestino dell'animale, liberano giovani distomi i quali, perforando le pareti intestinali, penetrano nel fegato provocando un'epatite traumatica che si trasforma in angiocolite cronica allorché vengono invasi i dotti biliari.

Le lesioni a carico del fegato provocate dai parassiti producono anemia, dimagramento, talvolta itterizia ed eccezionalmente la morte.

È opportuno cospargere i pascoli infestati con calciocianammide; evitare i pascoli autunnali in luoghi umidi, irrigati o paludosi e l'uso di foraggi provenienti da tali località; bonificare e prosciugare i pascoli (la malattia infatti non esiste nei luoghi asciutti). La terapia si effettua con cloroderivati degli idrocarburi ed estratti eterei di felce maschio.