Lessico


I GRANDI SPRECHI
NEL COMPARTO AGRICOLO ITALIANO ODIERNO

di Giorgio Scelsi

2016

In un periodo così critico di crisi economica a livello internazionale, anche in Italia i vari comparti in cui è diviso il lavoro,industriale, commerciale, artigianale, dei servizi, hanno preso delle drastiche misure per contenere qualsiasi genere di spreco, tranne il comparto agricolo che vergognosamente se ne infischia e così contribuisce a danneggiare se stesso e l'Italia.

Non mi riferisco ai singoli agricoltori che impiegano tutte le energie per mantenere le loro famiglie, ma a chi ha potere decisionale nella gestione del comparto. Diamo ora una chiara e particolareggiata spiegazione.

Come si sa, la superficie italiana agricola sfruttabile per le produzioni agricole impiegate per l'alimentazione della popolazione e degli animali è di circa 12 milioni di ettari, e altri 10 milioni di ettari sempre attinenti al comparto agricolo sono occupati da boschi e foreste.

Cominciamo col prendere in esame queste risorse legnose. Fino a oltre gli anni 60 del secolo scorso, le superfici boschive e forestali erano sfruttate con intelligenza per ricavarne legname sia da lavoro che da energia. Durante la stagione invernale quando il lavoro nei campi era fermo, gli agricoltori occupavano il tempo a pulire il sottobosco dagli arbusti infestanti e contemporaneamente praticavano il diradamento degli alberi dove erano troppo fitti per incrementare la crescita di quelli più robusti. Si ricavavano grandi quantità di legname da ardere, che veniva impiegato non solo nelle zone rurali ma anche in città dove nei mesi invernali veniva impiegato per il riscaldamento di molte abitazioni, quelle dove non c'erano gli impianti centralizzati che invece usavano il carbone.

Nelle città c'era una categoria di commercianti che trattava solo carbone e legna. Con l'avvento della grande industrializzazione e la costruzione di grandi raffinerie di petrolio greggio, il consumo di legna da riscaldamento diminuì drasticamente perché il mercato dell'energia termica fu invaso da sottoprodotti della raffinazione degli idrocarburi così a basso prezzo che divenne anche per gli abitanti delle campagne più conveniente convertire i loro riscaldamenti a oli combustibili. Si cominciò pertanto ad abbandonare la pratica della pulizia annuale delle zone boscose che furono lasciate alle leggi della natura. E quando i prezzi dei carburati fossili divennero proibitivi e per di più si ebbe la consapevolezza del grave inquinamento raggiunto con simili utilizzi, i politici pensarono di metanizzare tutto il territorio nazionale, comprese le zone rurali.

In sostanza l'Italia dimenticò il suo patrimonio boschivo e forestale. Sperperare un simile patrimonio è risultata una prerogativa esclusivamente italiana perché gli altri popoli europei hanno sempre avuto la consapevolezza che i loro patrimoni legnosi sono una grande risorsa da sfruttare sia per i consumi interni che per l'esportazione.

Praticamente l'Italia per i consumi di legname da lavoro e da energia si è negli ultimi 50 anni sempre rivolta alle importazioni, con grave danno economico. Con l'avvento in Europa della crisi economica e della consapevolezza che l'uso massiccio dell'energia fossile comporta un dannosissimo inquinamento a livello mondiale con l'emissione di enormi quantità di CO2 che provocano gravi variazioni climatiche sul nostro pianeta con danni incalcolabili all'ambiente, si pensò di sostituire in parte le materie fossili con energie rinnovabili con 0 emissioni di CO2 in atmosfera. E così gli Stati, che già si avvantaggiavano dei loro patrimoni legnosi, affinarono le tecniche di sfruttamento del legno e inventarono macchine per il recupero degli scarti delle lavorazioni legnose e macchine speciali per la combustione di questi scarti.

Anche l'industria italiana non volle perdere il passo con i tempi e si ingegnò per costruire caldaie e stufe di ogni dimensione per sfornare sul mercato prodotti validi alla pari di quelli stranieri. Però la nostra industria ha dimenticato una cosa fondamentale, come far funzionare le caldaie e le stufe con materiale legnoso italiano. Gli italiani hanno acquistato milioni di impianti a pellets, ma per farli funzionare sono costretti a alimentarli con pellets provenienti quasi tutti dall'estero, mentre le nostre risorse legnose continuano a essere abbandonate a marcire nelle ormai impenetrabili nostre foreste.

Ma queste foreste abbandonate dall'uomo sono diventate rifugio incontrastato di animali dannosissimi per l'agricoltura, come gli ungulati che nel corso dei decenni si sono moltiplicati a milioni e per sopravvivere invadono nottetempo le coltivazioni arrecando enormi danni agli agricoltori che risultano impotenti di fronte a simili invasioni. Gli ungulati che oggi la fanno da padroni sono i caprioli e i porcastri erroneamente chiamati cinghiali.

Bisogna aprire una parentesi riguardo la proliferazione di tali nocivi. Trent'anni fa gli agricoltori non avevano problemi con questi animali perché sia i caprioli che i veri cinghiali erano dislocati in zone montuose con popolazioni limitate. Era però un periodo in cui tra gli Italiani era in auge lo sport della caccia. Oltre 2 milioni di cacciatori riuniti in varie associazioni, percorrendo a tappeto le campagne italiane, fecero sparire la già esigua selvaggina. Quindi, per venire incontro alle esigenze dei cacciatori, che per esercitare il loro hobby versavano alle casse dello stato annualmente consistenti tasse, si pensò di creare delle zone protette di ripopolamento in ogni provincia e ivi trasferire famiglie di caprioli e cinghiali che riproducendosi avrebbero fatto la felicità dei cacciatori.

Si scoprì però che i cinghiali non si riproducevano al ritmo desiderato. Con l'aiuto di genetisti si pensò di incrociare i nostri cinghiali con i maiali e con altre razze di cinghiali dell'est europeo. Si creò un ibrido fertile che dal maiale ottenne la prerogativa della grande prolificità e la stazza. Le femmine partoriscono 2 volte all'anno con figliate composte da una dozzina di individui ogni parto. Questo ibrido, liberato dapprima in zone di ripopolamento, ha in seguito colonizzato tutto il territorio nazionale e ha provocato l'estinzione del vero cinghiale. Purtroppo oggi, a causa dell'incremento delle tasse per esercitare la caccia, i cacciatori da oltre 2 milioni si sono ridotti a circa 600.000 e non possono contrastare la proliferazione dei porcastri, i quali essendo animali onnivori sono in competizione con l'uomo per la sopravvivenza, tenendo presente che avendo mediamente un peso oltre il doppio di quello umano, hanno bisogno giornalmente di razioni doppie di quelle umane.

Ma di questo problema i politici a tutti i livelli se ne infischiano dicendo che quando le nostre derrate mancano, si acquistano all'estero. Con questa mentalità non si va da nessuna parte.

Chiusa la parentesi sui nocivi, torniamo agli sprechi in agricoltura. La superficie agricola italiana viene impiegata per la produzione di alimenti, destinati alla popolazione e agli animali, che a loro volta entrano nella catena alimentare umana. Le maggiori coltivazioni sono frumento tenero e duro per l'alimentazione umana, orzi, mais e cereali minori per la zootecnia, foraggere per gli animali, ortofrutta per l'alimentazione umana e altre piccole colture che però sono irrilevanti.

In Italia il frumento o grano è sempre stato la base dell'alimentazione dei popoli che si sono nei millenni succeduti nella nostra penisola dalla preistoria, tanto è vero che in Puglia sono state trovate, durante scavi archeologici, farine di grano macinate ben 32.000 anni fa. Quindi il grano è sempre stato un alimento prezioso per il nostro Paese fino a qualche decina di anni fa.

Da una statistica pubblicata in occasione dell'EXPO 2015 si affermava che prima della seconda guerra mondiale, nel 1938 l'Italia, con una popolazione di 35 milioni di abitanti, era per il grano autosufficiente, pur avendo solo produzioni di 15-20 quintali per ettaro. Accanto a questa c'era l'elogio della genetica cerealicola italiana che in fatto di miglioramento delle varietà di grano aveva fatto passi da gigante con la introduzione di ibridi di frumento che oggi consentono produzioni medie di 80 quintali per ettaro. Di seguito era pubblicato quanto grano è necessario oggi in Italia per una popolazione di 60 milioni di abitanti. Si diceva che oltre ai 10 milioni di tonnellate di grano tenero e duro che annualmente produciamo ne vengono importate quasi altrettante per soddisfare i bisogni.

Questa enorme quantità di grano importata mi ha insospettito perché oggi, con produzione quadruplicata rispetto al 1938, anche con una popolazione di 60 milioni di persone dovremmo essere del tutto autosufficienti. Ho approfondito l'argomento e così sono venuto a comprendere quanti sprechi di grano vi siano in Italia.

Gli agricoltori italiani sono convinti che il grano che annualmente producono vada impiegato per l'alimentazione umana, ma non si sono mai domandati perché 60 anni fa il grano in Italia avesse una quotazione di mercato assai soddisfacente, mentre oggi, nonostante l'enorme aumento delle spese di produzione, i prezzi sono così bassi che chi coltiva frumento è quasi in passivo.

Quello che ho scoperto è vergognoso. È stata messa in circolazione ad arte una fandonia che dice che il grano prodotto in Italia non ha i requisiti necessari per la panificazione e la produzione di pasta, per cui ci si deve rivolgere all'estero per importare grani idonei, però a un prezzo quasi doppio del nostro. Così il nostro raccolto annuale di frumento va per la maggior parte destinato all'alimentazione zootecnica con prezzi irrisori.

Si dovrebbe approfondire la cosa, visto che negli anni 50-60 del secolo scorso con i nostri raccolti annuali producevamo pane e pasta molto migliori in qualità e sapore di quelli odierni e i contadini potevano contare su prezzi remunerativi della materia prima.

Lo scrivente ricorda perfettamente i centri di ammasso del grano sparsi in Italia dopo la seconda guerra mondiale, dove per legge ogni produttore annualmente doveva consegnare una percentuale del grano prodotto come riserva nazionale e gli amministratori degli ammassi dovevano averne cura affinché non si deteriorasse, e se questo avveniva venivano processati e sanzionati. Non era tollerato che il grano venisse impiegato per uso zootecnico, o peggio, distrutto.

Sempre attinente alla produzione del frumento un altro grande spreco, che si può evidenziare, è quello di lasciare i terreni improduttivi dopo la raccolta. Tranne le zone irrigue, che dopo il grano producono secondi raccolti, tutte le altre zone vengono lasciate incolte.

Non sarebbe opportuno produrre foraggi stagionali per alimentazione animale data la scarsità in Italia di foraggi a causa della penuria di terreno agricolo, sempre più ridotto per una selvaggia e incontrollata urbanizzazione?

Ricordo che il cemento e l'asfalto non sono in grado di saziare uomini e animali.

Un altro cereale che viene sempre più coltivato nelle nostre campagne è il mais o granoturco. Questo cereale non è più quello che veniva coltivato negli anni 40 del secolo scorso, la cui produzione annuale era per i due terzi impiegata per l'alimentazione umana e solo un terzo veniva usato in zootecnia, esclusivamente nel comparto avicolo. Era in pratica il mais vitreo, migliorato nel tempo,importato dalle Americhe quando furono scoperte. Le produzioni per ettaro si aggiravano mediamente sui 20-30 quintali e in Italia se ne producevano annualmente da 30 a 40 milioni di quintali. Solo dopo la seconda guerra mondiale, dagli anni 50 in poi, si cominciò a seminare il mais ibrido dentato, inventato dagli americani nei primi anni del novecento.

Ricordo che gli agricoltori erano entusiasti dei raccolti del granoturco ibrido, perché le produzioni per ettaro raddoppiavano. E così a poco a poco i contadini furono convinti ad abbandonare la produzione di mais vitreo a favore dell'ibrido, con la prospettiva di poterlo usare per alimentare tutte le specie animali facenti parte della catena alimentare umana.

Le antiche sementi di mais scomparvero e inconsapevolmente gli agricoltori divennero schiavi delle multinazionali sementiere detentrici dei brevetti delle sementi ibride, e in Italia questa forma di schiavitù dura ormai da circa 60 anni. L'impiego di questo tipo di mais favorì enormemente lo sviluppo della zootecnia industriale nel nostro Paese, tanto che gli allevamenti di tutte le specie animali crebbero a dismisura e le carni divennero alimento alla portata di tutti. Con il massiccio impiego di questo ibrido oltre alle carni si incrementarono gli allevamenti di vacche da latte con conseguente aumento dell'industria casearia, furono allevate decine di milioni di galline per la produzione di uova da consumo, furono allevati molti milioni di polli e tacchini per la produzione di carni avicole, furono impiantati enormi allevamenti suini per alimentare grandi salumifici industriali ecc. Questo sviluppo è stato inarrestabile sino a oggi.

La produzione italiana odierna di granturco ibrido non è più in grado di soddisfare i consumi interni e ne dobbiamo importare il 40% in più. Purtroppo, come si dice, non sempre le ciambelle riescono col buco. Sappiamo per esperienza che il mais esprime le sue potenzialità solamente in terreni fertili ben concimati con sostanza organica e concimi minerali e con abbondanti irrigazioni. Oltre a ciò bisogna combattere i suoi principali nemici, cioè erbe infestanti e parassiti animali e fungini. E così nei territori dove ormai si produce mais da oltre 50 anni, l'ambiente risulta fortemente inquinato, non solo a livello del terreno ma anche nelle falde acquifere sottostanti per il percolamento di diserbanti, pesticidi e nitrati.

Ma nella produzione del mais l'inquinamento ambientale risulta come minore negatività, perché questo ibrido è praticamente il maggior responsabile di malattie alimentari sviluppatesi nell'uomo negli ultimi 60 anni. Quindi è doveroso dare una appropriata spiegazione. Quando il mais ibrido fu inventato negli USA, fu sperimentato sugli animali a livello universitario nei centri studi un po' ovunque. Anche in Italia fu studiato e furono scritte delle relazioni sull'alimentazione degli animali con questo tipo di mais.

Purtroppo, come spesso accade, queste relazioni rimasero nella cerchia universitaria e i comuni mortali non ne vennero a conoscenza. Parliamo degli anni 20-30 del secolo scorso. Poi negli anni 50 si iniziò in Italia la produzione dell'ibrido dentato che divenne alimento importante in zootecnia. Lo scrivente ebbe modo di sperimentarlo negli anni 60 nell'allevamento del padre di galline ovaiole a terra per uova da consumo. Le galline alimentate con mangimi formulati dagli americani, composti dal 50% di granturco ibrido e dopo un anno di intensa deposizione, avevano carni talmente grasse che non potevano essere vendute nelle macellerie a beneficio dei consumatori, ma dovevano essere inviate alle industrie che, dopo sgrassatura, trasformavano le carni in dadi di pollo, mentre i grassi erano impiegati per la preparazione di margarine di origine animale.

Poi, al principio degli anni 70 iniziai l'allevamento di bovini da carne e anche su questi ho voluto sperimentare il mais che allora producevo nella mia azienda agricola. Anche con questo allevamento il mais si rivelò assai deleterio. Mi accorsi che i bovini digerivano questo cereale solo in piccola parte e la frazione che digerivano non concorreva a formare carne,ma sostanza grassa che si depositava dentro le carni e ne avvolgeva le stesse. A questo punto mi venne in mente di consultare gli archivi dove erano conservate le relazioni con i risultati delle sperimentazioni degli anni 20 di alimentazione con mais ibrido dentato sugli animali di interesse zootecnico. Quello che ho letto non era per nulla a favore dell'alimentazione con mais ibrido. Per i bovini da carne era caldamente sconsigliato l'uso della granella di mais, per i suini se ne consigliava al massimo 1/6 della razione giornaliera, per gli avicoli era consigliato il 25% della composizione del mangime, escluso per gli equini. Si diceva che il mais era composto in prevalenza da zuccheri che negli organismi animali si trasformavano in grassi e non in carne. Si consigliava di sostituire il mais con leguminose.

Di fronte a queste relazioni viene da pensare che quelle esperienze degli anni 20 di alimentazione col nuovo mais ibrido da poco inventato siano state volutamente nascoste da quegli organismi che ne avrebbero avuto un forte danno economico. Per obbligare gli agricoltori allevatori ad utilizzare grandi quantità di mais, si fece opera di convincimento verso le categorie di commercianti, mediatori, macellatori ecc. che avevano stretti contatti con i produttori agricoli.

Sono ormai 60 anni che queste persone costringono gli allevatori a rendere i loro animali obesi per il mercato. In sostanza, solo gli animali fortemente ingrassati vengono senza fatica collocati. Gli altri, cioè quelli normali, rimangono invenduti o fortemente deprezzati. Siamo all'assurdo, gli animali con carni magre non trovano mercato, mentre le carni degli animali volutamente resi obesi vengono fatte consumare, attraverso diversi canali di vendita, agli ignari cittadini con tutte le conseguenze connesse.

Le negatività dell'impiego di mais nell'alimentazione animale, che io avevo riscontrato negli anni 60 e 70 del secolo scorso, sono state evidenziate nel 2015 da ricercatori dell'università della California, che hanno trovato che le carni oggi in commercio provenienti da allevamento intensivo con impiego di mais ibrido contengono grandi quantità di zuccheri, che, a loro dire, addizionati ad altri zuccheri della dieta, hanno portato allo sviluppo odierno nell'uomo di gravi patologie che all'inizio del secolo scorso erano in percentuale insignificante. Lo studio è stato pubblicato su internet, ma, come era prevedibile, dopo un paio di giorni è scomparso.

Già in passato scienziati americani ed europei avevano scritto articoli sulla pericolosità del mais, ma erano stati ferocemente boicottati e alcuni addirittura dovettero abbandonare gli incarichi pubblici che ricoprivano. L'aver nascosto le negatività del mais ibrido ha fatto sì che questo cereale sia diventato il primo cereale coltivato nel mondo, superando anche il riso. Ma mentre il riso, che l'uomo coltiva da migliaia di anni, non ha mai dato problemi all'umanità, il granoturco ibrido in 100 anni dall'invenzione ha portato molti problemi alla salute delle persone e degli animali di questo mondo.

Mi sembra opportuno ricordare che la nostra famosa dieta mediterranea, risalente alle popolazioni antiche colonizzatrici della nostra penisola e oggi tanto celebrata dai nostri nutrizionisti all'estero, è stata stravolta con l'introduzione del mais ibrido nella catena alimentare. Oggi la nostra dieta mediterranea è tutta contaminata dal mais e dai prodotti estratti da questo cereale, pericoloso per una sana alimentazione.

Qualcuno potrebbe obiettare che io abbia esagerato nell'affermare che il mais concorre allo sviluppo di malattie alimentari a causa degli zuccheri in esso contenuti che vengono trasformati in grassi. Per darmi ragione dovrebbe, come lo scrivente, aver frequentato negli ultimi 30 anni i macelli e essersi informato della sgrassatura degli animali macellati prima degli anni 60 del secolo scorso, comparandola con la sgrassatura dopo l'introduzione del mais nell'alimentazione degli animali facenti parte della catena alimentare umana.

Desidero ricordare che il grasso è considerato un rifiuto speciale. I macellatori devono pagare per smaltirlo. Non viene distrutto ma trasformato di nuovo in alimento per uomini e animali. Tutto legale, perché le leggi nazionali e comunitarie lo permettono. In questo caso calza a pennello il famoso antico detto "del maiale non si butta nulla". Questo detto poteva essere condiviso quando gli alimenti seguivano le leggi della natura, non oggi che alla natura si sono sostituiti regolamenti umani che remano contro la salute delle persone.

Con le conoscenze sul mais ibrido che oggi abbiamo,mi sembra proprio un grosso spreco continuare a coltivare un cereale che inquina l'ambiente delle campagne e che serve solo a produrre sostanze grasse che la moderna medicina ritiene responsabili di gravi patologie. Nei terreni adibiti per decenni alla produzione di mais dovrebbero essere coltivati grani e legumi per la popolazione e foraggi per il bestiame oggi così scarsi in Italia. In sostanza si dovrebbe produrre una parte dei grani e dei foraggi che oggi acquistiamo all'estero con notevole esborso economico.

Ho appena detto che in Italia abbiamo una grande penuria di foraggi per l'alimentazione del bestiame, sopratutto per i ruminanti. Ebbene, bisogna sapere che ogni anno nel nostro Paese vengono lasciati a marcire in campo milioni di quintali di erba. Parlo degli ultimi tagli dei prati stabili e dei medicai che vengono abbandonati a causa dell'impossibilità di essicazione in autunno avanzato. Tutto questo però non succedeva negli anni 60 del secolo scorso, principalmente per 2 motivi.

Il primo motivo era che quasi tutte le aziende agricole allevavano bovini e così l'erba autunnale veniva utilizzata sia per alimentazione verde o insilata per l'inverno. Il secondo motivo era legato in un certo modo al famoso "Piano Verde" varato dall'Italia dopo la nascita della Repubblica e che si riferisce agli interventi statali in Agricoltura degli anni 50-60. Allora c'era la consapevolezza da parte dei dirigenti del comparto agricolo che bisognasse sfruttare al meglio le produzioni foraggere nazionali senza perdite per l'alimentazione zootecnica che in quegli anni si stava espandendo. Perciò si incrementarono aiuti economici a fondo perduto per la realizzazione di impianti di essicazione artificiale dei foraggi con lo scopo di avere alimenti con il massimo di sostanze proteiche, sostanze che invece con l'essicazione naturale venivano in gran parte distrutte dall'insolazione e dagli eventi atmosferici.

Nacquero così grandi impianti di essicazione sia cooperativi che privati in tutta Italia che in quegli anni permisero di sfruttare al meglio le produzioni erbacee nazionali, compresi gli ultimi raccolti autunnali che venivano trasformati in farine proteiche da utilizzare per l'alimentazione animale. Questi impianti di essicazione dei foraggi funzionarono per una ventina di anni, poi furono smantellati e si preferì importare i foraggi disidratati dall'estero, con la scusa che i nostri impianti erano troppo costosi. Scusa inaccettabile se pensiamo che la maggior parte delle nostre risorse foraggere autunnali vengono distrutte dalle intemperie.

Perché dobbiamo disprezzare i nostri foraggi, quando uno Stato come la Spagna riesce a vendere foraggi disidratati in ben 30 Paesi del Mondo? Evidentemente in Italia oggi qualcosa non funziona o non si vuol far funzionare. Infine voglio ricordare i grandi sprechi nel comparto dell'ortofrutta oggi. Questo comparto per il passato era molto attivo perché i nostri prodotti erano esportati dappertutto. Poi è arrivata la famosa globalizzazione voluta dai politici, che in fatto di agricoltura sono male informati e il nostro Paese si è ritrovato invaso da prodotti ortofrutticoli provenienti da tutto il mondo a prezzi così ridicoli che hanno distrutto il nostro mercato interno e di conseguenza oggi annualmente in Italia centinaia di migliaia di quintali di frutta e verdura sono lasciati marcire nei campi perché il nostro prodotto non può in nessun modo essere economicamente in concorrenza con il mercato mondiale per motivi che non sto qui a elencare.

Una sola cosa è certa: la globalizzazione sta distruggendo l'agricoltura italiana, compresi i prodotti di eccellenza che vengono contraffatti e importati in Italia per gabbare i consumatori.

Ho scritto questo articolo perché non mi sembra che mai nessuno si sia preoccupato di segnalare all'opinione pubblica come realmente è gestita l'agricoltura italiana. Ci preoccupiamo del cibo che annualmente i consumatori buttano via con danno economico per tutta la collettività, ma si dimentica che tutto ciò è dovuto alla negativa gestione del comparto agricolo da parte di chi di dovere. Sappiamo che in Italia vi sono 3 o 4 milioni di persone indigenti che non riescono quasi a sopravvivere. Però si importano assurde quantità di cereali e legumi che vanno ad alimentare gli animali erbivori che non ne hanno bisogno, ma sopratutto si pretende di trasformare cani e gatti che tutti sanno essere animali carnivori, in fruitori di cereali e legumi a loro insaputa. Basta leggere la composizione dei mangimi per cani e gatti per inorridire.

La morale richiederebbe di pensare prima alla sopravvivenza delle persone. Spero che le future generazioni di agricoltori diano una svolta decisiva per la ricerca di un’agricoltura senza sprechi e più sana per i consumatori.