Combattimento di galli
Mosaico romano del I secolo
dC
Napoli - Museo Archeologico nazionale
È evidente che si tratta di due Bankivoidi dalle fattezze che non ricordano assolutamente la Livorno. Ma, data la scarsa mole, non dovrebbe trattarsi neppure di quei combattenti particolarmente apprezzati dagli allevatori di Delo, cioè le razze di Tànagra e di Rodi, i quali però non sottovalutavano nemmeno quelle di Calcide e della Media. Sullo sgabello, il sacchetto dei denari e il caduceo di Mercurio, dio dei mercanti, al quale il gallo era sacro, così come lo erano l'ariete e il maiale.
Plinio chiama il Gallus gallinaceus L., forma domestica, con i nomi gallus e gallinaceus. Ricorre, talvolta, a circonlocuzioni: nostri vigiles nocturni o a nomi di senso traslato: mariti. Lungo tutta la latinità, per non confondere l'uccello domestico con il popolo dei Galli (gallus), si è preferita la forma gallus gallinaceus.
J. André, in risposta a G.P. Shipt, il quale sostiene che l'aggiunta di gallinaceus aveva il fine di distinguere il bipede dal sacerdote di Cibele (gallus), giustamente afferma che il nome, in tal senso, trovasi usato per la prima volta nella Rhethorica.
Lo studioso francese alla tesi di K. von Ettmayer, seguita da Walde-Hofmann, favorevole a un’origine micro-asiatica del latino gallus e del greco kalaís (gallina), la cui origine, secondo H. Frisk, sarebbe oscura, oppone l'interpretazione di B. Schlerath il quale “rappelle fort opportunément que la plupart des peuples indo-européens ont nommé le coq le chanteur ou le crieur et on rapprochera dès lors de gallus l’allemand Hahn, de l’indo-européen *can- chanter et l’ancient irlandais cailech...”
Sulle razze dei Galli, allevati a scopo di spettacolo per le lotte, che ingaggiano tra loro, rimandiamo il lettore all'articolo sulla Gallina.
Nella Naturae Historiarum [1] (N.H.) di Plinio non troviamo alcuna descrizione anatomo-morfologica dei Galli, che potevasi attingere alla Animalium Historia (A.H.) di Aristotele.
Il naturalista latino osserva l’ornamento più notevole, la cresta: compatta, dentellata, né carnosa, né cartilaginea, né callosa, particolare, in realtà, nella forma: Sed spectatissimum insigne gallinaceis, corporeum, serratum; nec carnem ita esse nec cartilaginem nec callum iure dixerimus, verum peculiare datum.
L'osservazione non pare tratta dalla A.H., anche se Aristotele accenna alla singolarità della cresta rispetto al ciuffo degli altri uccelli e dice che essa non sia di carne, ma di una materia che a questa si avvicina.
La cresta è, in verità, un’escrescenza carnosa. Ma l’imprecisione di Aristotele dimostra un tentativo di ricercare la vera natura della cresta: l’osservazione è più prudente della notizia di Plinio, che ripete le esperienze infondate della sua fonte diretta.
I caratteri sessuali secondari non ci vengono indicati direttamente, ma nei paragrafi dedicati al combattimento: i tela agnata cruribus suis (Plinio X,47) sono gli sproni, che spuntano sulle sue gambe, di norma assenti nelle Galline; ardua cervix, il portamento altezzoso, cauda falcata, la coda falcata, sono ornamenti e caratteri propri del maschio.
Plinio si compiace di descrivere il comportamento dei Galli, vincitori e vinti, nelle loro cruente battaglie. La sovranità, che essi conseguono sui loro congeneri in qualunque casa si trovino, è il risultato delle lotte, condotte nella consapevolezza delle armi, delle quali sono munite le zampe: Imperitant suo generi et regnum in quacumque sunt domo exercent. Dimicatione paritur hoc inter ipsos velut ideo tela agnata cruribus suis intellegentium. (X,47)
Ma spesso il combattimento è senza risultato, in quanto i due rivali muoiono entrambi: nec finis saepe commorientibus. Se, poi, arride la vittoria, i vincitori tosto cantano ed essi stessi proclamano la loro sovranità: Quod si palma contingit, statim in victoria canunt; il vinto si nasconde in silenzio e sopporta a malincuore la servitù: victus occultatur silens aegreque servitium patitur.
Plinio passa, quindi, a osservare il comportamento della plebs prima di dare la classificazione dei Galli da combattimento:
Et
plebs tamen aeque superba graditur ardua cervice, cristis celsa,
caelumque sola volucrum aspicit crebra, in sublime caudam quoque
falcatam erigens. Itaque terrori sunt etiam leonibus ferarum
generosissimis. (X,47) |
Tuttavia
anche il popolo, ugualmente superbo, cammina a testa alta, con la
cresta eretta, e il gallo è il solo fra gli uccelli a guardare spesso
il cielo, alzando verso l’alto anche la coda ricurva come una falce.
Pertanto incutono terrore anche ai leoni che sono i più coraggiosi
tra le fiere. |
Infine, Plinio ritiene utile informarci, forse perché nella campagna romana si preferiva l’allevamento utile all’economia agricola, che:
Pergami
omnibus annis spectaculum gallorum publice editur ceu gladiatorum.
(X,50) |
Tutti
gli anni a Pergamo viene allestito a spese pubbliche uno spettacolo di
lotta fra galli come se si trattasse di gladiatori. |
L'autore della N.H. ama le notizie strane, soprattutto se esse sono narrate da Aristotele. Leggiamo, infatti:
Narrantur
et mortua gallina mariti earum visi succedentes in vicem et reliqua
fetae more facientes abstinentesque se cantu. (X,155) |
Si narra anche che dopo la morte di una gallina si sono visti i loro maschi darle il cambio e compiere come una puerpera le cose rimaste da fare e astenersi dal canto. |
Ma solo i Polli castrati diventano, di fatto, delle Galline e, in determinate circostanze e con qualche accorgimento, possono anche covare e guidare una covata di pulcini.
I poeti accennano a movimenti connessi strettamente col canto - Ennio (Scenica, 219-221):
...favent
faucibus russis missis cantu plausuque premunt alas;
…mostrano
approvazione emettendo il loro canto attraverso le rosse fauci e
applaudono sbattendo le ali;
Lucrezio (De rerum natura, IV,710):
...gallum
explaudentibus alis
...il gallo, sbattendo le ali
e con la ricerca di cibo in terra - Plauto (Aulularia, 467):
...occepit
(gallus gallinacius) ibi scalpurrire ungulis
...e
il gallo cominciò lì a raspare con le unghie
II canto, che il Gallo emette plausu laterum, sbattendo le ali, è considerato da Plinio in relazione all'attività degli uomini. Hi nostri vigiles nocturni, infatti, chiamano gli uomini al lavoro, svegliandoli; conoscono le costellazioni e dividono, con il loro canto, la giornata in quattro parti di tre ore ciascuna [2] :
Proxime
gloriam sentiunt et hi nostri vigiles nocturni, quos excitandis in
opera mortalibus rumpendoque somno natura genuit. Norunt sidera et
ternas distinguunt horas interdiu cantu. Cum sole eunt cubitum
quartaque castrensi vigilia ad curas laboremque revocant nec solis
ortum incautis patiuntur obrepere diemque venientem nuntiant cantu,
ipsum vero cantum plausu laterum. (X,46) |
Quasi
allo stesso modo dei pavoni sentono il desiderio di gloria anche
queste nostre sentinelle notturne, che la natura ha creato per
richiamare i mortali al lavoro e per interrompere il sonno. Conoscono
le stelle e sono capaci di distinguere col canto, nell’arco del
giorno, periodi di tre ore ciascuno. Vanno a dormire col sole e al
quarto turno di guardia ci richiamano alle occupazioni e alla fatica, e non permettono che il sorgere del sole ci colga
alla sprovvista; annunziano col canto che il giorno sta giungendo ed
il loro stesso canto viene annunciato sbattendo le ali. |
Plinio confessa di conoscere un solo individuo di gallinaceus che avrebbe avuto la facoltà di parlare:
Invenitur
in annalibus in agro Ariminensi M. Lepido Q. Catulo cos. in villa
Galerii locutum gallinaceum, semel, quod equidem sciam. (X,50) |
Si
legge negli annali che nel territorio di Rimini, durante il consolato
di Marco Lepido e Quinto Catulo [78 aC], nella proprietà di Galerio
un gallo ha parlato una volta sola, per quanto ne so. |
Plinio riporta in quale modo fu aggirata la legge che poneva delle restrizioni all’uso in tavola di soggetti ingrassati:
Inventumque
deverticulum est in fraudem earum gallinaceos quoque pascendi lacte
madidis cibis: multo ita gratiores adprobantur. (X,140) |
Si
trovò una scappatoia a queste restrizioni allevando anche i galli con cibo
inzuppato nel latte: gli animali vengono così considerati di sapore
molto più raffinato. |
Per l’ingrassamento i Galli venivano castrati. Secondo Plinio, l’operazione sarebbe stata effettuata con due diversi metodi: con un ferro incandescente si bruciavano i lombi e la parte più bassa della gamba:
Desinunt
canere castrati, quod duobus fit modis, lumbis adustis candente ferro
aut imis cruribus, mox ulcere oblito figlina creta; facilius ita
pinguescunt. (X,50) |
Una
volta castrati smettono di cantare; l’operazione avviene in due
modi: bruciando loro i lombi con un ferro infuocato oppure bruciando
la parte più bassa delle zampe, e subito dopo la ferita viene
spalmata con creta da vasai. Così ingrassano più facilmente. |
Plinio, a nostro avviso, non avrebbe conosciuto esattamente i due modi di castrazione. Aristotele indica la regione vicina alla cloaca, in cui si opera il taglio per estrarre i testicoli, quindi informa come la ferita venga cauterizzata.
Plinio avrebbe usato lumbus molto probabilmente col valore di addome, sul quale si sarebbe effettuata la cauterizzazione: l’autore latino non accenna né all'estrazione dei testicoli, né al taglio dell’addome.
Nel testo della N.H. sembrerebbe che il secondo modus di castrazione si sarebbe eseguito imis cruribus (adustis): tale metodo parrebbe confermato da Varrone (Rerum rusticarum, III,9,3): Gallos castrant, ut sint capi, candenti ferro inurentes ad infima crura, usque dum rumpatur, et quod extat ulcus, oblinunt figlina creta. Ma se infima crura ha lo stesso valore di calcaria, termine che è usato da Columella (De re rustica, VIII,2,3) per indicare la regione in cui la cauterizzazione viene operata
...semimares
capi, qui hoc nomine vocantur, cum sint castrati libidinis abolendae
causa. Nec tamen id patiuntur amissis genitalibus, sed ferro candente
calcaribus inustis, quae cum ignea vi consumpta sunt, facta ulcera,
figulari creta linuntur... |
...i
capponi semimaschi, che vengono chiamati con questo nome in quanto
vengono castrati per eliminare la libidine. Ma non dovevano sopportare
solo questo una volta persi i genitali, in quanto venivano loro
bruciati gli speroni con un ferro rovente, e una volta distrutti con
la forza del fuoco, fatta la ferita, venivano spalmati con creta da
vasaio... |
non abbiamo alcun dubbio a ritenere che la cauterizzazione degli "sproni", anche se veniva considerata un'operazione complementare della castratio, doveva essere, originariamente, eseguita per distinguere nei pollai i Capponi dai Galli ed anche per eliminare, nel caso in cui i castrati covassero, un'arma nociva (lo sperone) all'incubazione.
Plinio si limita ad osservare, come conseguenza dell'incapponatura, la cessazione del canto: desinunt canere castrati; Aristotele precisa che la cresta del maschio già adulto diventa giallastra, il canto viene a cessare, il tentativo di coprire viene a mancare; nel giovane i caratteri sessuali secondari non appaiono.
Ad integrazione dell'osservazione aristotelica, aggiungiamo che la castrazione provoca nel Gallo la repressione della cresta e dei bargigli; l’una e gli altri diventano più piccoli e più scoloriti di quelli della Gallina, durante il periodo di attività ovigera. Il Cappone perde, inoltre, gli istinti battaglieri del Gallo e, come osservano Aristotele e Plinio, le caratteristiche del canto. Infine, come abbiamo già sopra detto, il Cappone può anche covare ed allevare i pulcini.
Plinio ricorda un piatto creato da Messalino Cotta: zampe d'Oca arrostite erano accomodate in casseruola con creste di Gallo:
Sed,
quod constat, Messalinus Cotta, Messalae oratoris filius, palmas pedum
ex iis torrere atque patinis cum gallinaceorum cristis condire
repperit. (X,52) |
Ma,
per quanto è dato sapere, Messalino Cotta [I sec. dC], figlio dell’oratore
Messalla, inventò la ricetta delle zampe d’oca arrostite e condite in padella con le creste di gallo. |
Plinio dedica un intero paragrafo ai presagi dei Galli:
Horum
sunt tripudia solistima, hi magistratus nostros cotidie regunt
domusque ipsis suas claudunt aut reserant. Hi fasces Romanos inpellunt
aut retinent, iubent acies aut prohibent, victoriarum omnium toto orbe
partarum auspices. Hi maxime terrarum imperio imperant, extis etiam
fibrisque haut aliter quam opimae victimae diis grati. Habent
ostenta et praeposteri eorum vespertinique cantus: namque totis
noctibus canendo Boeotiis nobilem illam adversus Lacedaemonios
praesagivere victoriam, ita coniecta interpretatione, quoniam victa
ales illa non caneret. (X,49) |
A
essi sono dovuti i tripudi dei presagi favorevoli [se lasciano cadere
il cibo che beccano avidamente], essi ogni giorno guidano i nostri
magistrati e fanno sì che le loro case siano chiuse o aperte, essi
trattengono o incitano i fasci littori [frenano o spingono alle alte
cariche], comandano o proibiscono schieramenti di truppe, àuspici di
tutte le vittorie conseguite in tutto il mondo. I galli soprattutto
dominano sul dominio del mondo, graditi agli Dei per quanto riguarda
le viscere e le interiora, non diversamente da quanto lo sono le
vittime opime. Il
loro canto viene anche considerato annuncio di fatti straordinari se
si verifica fuori dell’ora consueta o la sera: infatti cantando per
notti intere predissero ai Beoti quella loro famosa vittoria contro
gli Spartani; e
l’interpretazione che è stata ipotizzata è questa, in quanto
quell’uccello se sconfitto non canta. |
[1] Altre fonti usano Naturalis historia per l’opera di Plinio.
[2] La giornata dei Romani si apriva alle 6 del mattino quando iniziava il computo delle ore: ora prima dalle 6 alle 7; ora nona dalle 14 alle 15. La notte, che andava dalle 6 del pomeriggio alle 6 del mattino successivo, era divisa in quattro turni di guardia detti vigiliae, di tre ore ciascuno.