Vol. 1° -  IX.1.2.

El Dorado

Nel 1512 il navigatore spagnolo Vasco Nuñez de Balboa guidava una spedizione a sud di Panama nel vasto bacino che si estende fra la Cordigliera occidentale e i rilievi costieri del Pacifico. Voleva scoprire la provenienza dei manufatti d’oro che erano stati scambiati lungo il fiume Atrato. Circolava sempre più insistente la voce che laggiù esisteva un Paese dove l’oro scorre a fiumi: il mitico El Dorado.

El Dorado era il mito dell'uomo d'oro, diffuso fra i primi conquistadores spagnoli del continente sudamericano e, quindi, anche nell'Europa del Cinquecento. Voci raccolte fra i Chibcha [1] favoleggiavano di un cacique di Guatavita - attualmente in Colombia - il quale durante un'offerta rituale, dopo essere stato cosparso di resina impastata di polvere d'oro, s'immergeva più volte l'anno in un lago. La conquista di Guatavita, povero villaggio di 150 abitanti, non portò alla scoperta di alcun uomo d'oro, ma la fantasia e l'avidità dei conquistadores rifiutarono di accettare la realtà. Così l'El Dorado venne cercato in lungo e in largo e sotto diverse forme: un capo indigeno, una valle, una città, un lago, un paese meraviglioso, costituendo uno dei miti più singolari e duraturi.

Un giorno un capo indio, esasperato dall’insaziabile cupidigia degli Spagnoli insediati a Panama sotto il comando di Balboa, esortò gli invasori a cercare l’oro più a sud raccontando di un misterioso regno in cui il prezioso metallo era tanto comune da servire come materia prima per gli oggetti d’uso quotidiano. Ma Balboa, vittima di un complotto, morirà decapitato nel 1517 senza realizzare il suo sogno.

Nel 1522 è la volta di Pascual de Andagoya, che intraprese una spedizione verso sud lungo la costa dell’odierna provincia colombiana di Chocó. Non giunse alla meta, ma durante il lungo viaggio i mercanti indigeni lo informarono che a sud si estendeva, per migliaia di leghe, un impero immensamente ricco. Andagoya approdò a sud di Baudo e marciò verso l’interno per circa una settimana finché giunse in una terra che battezzò Biru, nome che da lì a poco andò a designare l’ignota contrada.

Una pausa etimologica. Incerta è l’origine del nome Perù, che non era noto agli Amerindi, ma che fu usato soltanto dagli Spagnoli i quali lo applicarono a tutte le terre conquistate a sud di Panama, traendolo, sembra, dal nome di un fiumiciattolo, Birú o Pirú, sfociante nell’Oceano Pacifico presso Punta Piñas a 7°34’ N, cioè poco a sud della Baia di San Miguel. È da notare che nella Cedola Reale del 1529, con la quale si concede a Pizarro la facoltà di esplorare e popolare le nuove terre scoperte, queste sono chiamate col nome di Pirú. Esistono altre due interpretazioni: potrebbe essere l’adattamento di Birú, un importante cacique Inca; potrebbe pure derivare da una parola incaica che significa terra di ricchezza e di speranza.

Pizarro non poté fare a meno di lanciarsi in quell’avventura. Una prima spedizione del 1524 si risolse in un autentico fiasco: mangrovie e zanzare a non finire, nessuna traccia dell’El Dorado decantato da Andagoya. Pizarro fece ritorno a Panama, ma solo per riorganizzarsi, ripartendo nel 1526; questa volta al largo dell’odierna Tumaco (2 gradi a nord dell’equatore) avvenne l’incontro con un natante a vela adatto alla navigazione d’altura e simile a una grande zattera. È la prima nave indigena che gli Spagnoli incrociano nel Nuovo Mondo, in quanto i Messicani non si spingevano in altomare. Con l’aiuto di interpreti originari dell’istmo, Pizarro apprende dai marinai che quella zattera è partita da un porto detto Tumbes, 4 gradi a sud dell’equatore, frontiera tra gli attuali Perù ed Ecuador.

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[1] Chibcha: importante famiglia etno-linguistica dell'America Centromeridionale la cui lingua e buona parte della cultura sono scomparse, mentre permane un'ampia diffusione di idiomi affini al chibcha. I Chibcha in senso stretto - i quali opposero scarsa resistenza agli Spagnoli - erano di stanza nella regione centro-orientale dell'odierna Colombia; di idiomi affini al chibcha sono vari gruppi etnici stanziati nell'America istmica e dal Perù al Venezuela. Le più recenti indagini archeologiche ed etnologiche hanno rivelato che quella dei Chibcha fu la quarta grande civiltà precolombiana: agricoltori, metallurgisti e tessitori, colonizzarono terre e addomesticarono varie piante (mais , cacao, cotone). Al tempo dell'invasione spagnola i Chibcha erano organizzati in città-stato; quella corrispondente all'odierna Bogotá era retta da un capo elettivo, zipa, con funzioni sacerdotali, la cui investitura - durante la quale veniva cosparso di polvere d'oro per esser poi lavato nelle acque sacre del lago Guatavita - diede origine alla leggenda dell’El Dorado. Questa è un'altra delle tante versioni mitologiche.