Vol. 2° -  XVI.4.

GENI MODIFICATORI

Vengono detti modificatori particolari gruppi di geni che modificano l’espressione di un carattere semplice, che di solito dipende da una coppia di alleli.

La concezione mendeliana del carattere-unità, cioè del carattere determinato esclusivamente da un solo gene, deve essere abbandonata. Nella grande maggioranza dei casi i caratteri sono determinati da più geni, le cui azioni si completano o interferiscono in vario modo. Molto spesso l’espressione di un gene è preminente nei riguardi di un certo carattere, e si parla di gene principale o maggiore secondo la terminologia proposta da Mather.

Ma spesso l’espressione genica viene variamente alterata da un numero più o meno grande di geni modificatori i quali possono agire esaltando o riducendo l’intensità del carattere. Il bilancio finale di queste molteplici azioni fra geni sarà poi a sua volta modificato dai fattori ambientali.

I geni modificatori, dotati di scarsa espressione singola, esercitano tipicamente un tipo di interazione che per lo più è di tipo additivo, cioè vengono sommati i singoli effetti di ognuno di essi. Se il risultato finale è l’accentuazione di un fenotipo, si tratta di geni intensificatori. Talvolta il risultato consiste in un’attenuazione dell’effetto del gene principale. Anche se abitualmente i geni modificatori determinano tutta una gamma di fenotipi, riescono talora a cancellarli completamente. Hanno inoltre la caratteristica di influire sui caratteri quantitativi.

Fig. XVI. 8 – Polish arricciata argento orlo nero

Un gene singolo dotato di un’espressione molto variabile è quello che determina le penne arricciate, penne che sono senz’altro migliori negli eterozigoti Ff+. Esse possono quasi appiattirsi sotto l’influenza del modificatore mf se è presente allo stato omozigote, condizione caratterizzata da una lieve increspatura della penna. In alcuni genotipi F/f+_mf/mf la presenza del gene F potrebbe passare inosservata, in quanto se mf è omozigote riesce a ridurre in modo quasi totale l’arricciatura di un genotipo F/f+, mentre si limita a ridurla del 40% in un genotipo F/F.

Teoria dell’evoluzione della dominanza di Fisher

In condizioni naturali ogni mutazione dominante dannosa riesce a mantenersi nei soggetti selvatici
e si trasmette alla generazione successiva più facilmente negli individui dotati di geni modificatori
che ne riducono o ne eliminano gli effetti nocivi.

In seguito alla continua selezione naturale e all’accumulo di geni modificatori nel corso di centinaia di generazioni, i caratteri nocivi possono venir soppressi nella maggior parte degli individui, tanto da essere riconoscibili solo in pochi soggetti che siano privi di geni modificatori. Così nel tipo selvatico una mutazione dominante potrebbe diventare funzionalmente recessiva. Quest’ipotesi è confermata dal caso del gene modificatore dell’arricciatura. Siccome l’arricciatura ha degli effetti collaterali negativi, è chiaro che il gene F contribuisce a ridurre fortemente le probabilità di sopravvivenza di un animale che presenti tale caratteristica e che viva in un ambiente naturale. Il gene mf in pratica elimina gli effetti negativi di F, che non sono trascurabili, in quanto gli arricciati non sono in grado di volare sui posatoi, di notte rimangono accovacciati uno accanto all’altro diventando facili vittime dei predatori. È probabile che il gene F, presente in 11 razze, fosse frequente in un’elevata percentuale d’antenati.

L’accumulo di geni modificatori è una prassi cui fanno ricorso gli allevatori per ottenere i migliori risultati sul colore del piumaggio e sulla sua distribuzione. Tutti i Plymouth Rock barrati hanno il gene B, ma solo alcuni presentano una barratura netta ed evidente, mentre in altri è così indistinta da farli apparire fumés. A partire dal 1920, quando lo standard di questa razza limitò a due le varietà ammesse, una con ampie barrature bianche, l’altra con bande strette, gli allevatori hanno cominciato a produrre le 2 varietà quasi su ordinazione. Tutti gli individui possedevano lo stesso gene della barratura, ma presentavano una diversa quantità di geni modificatori.

Fig. XVI. 9 – Pollo scodato omozigote per il gene Rp, cioè rumpless, cioè senza culetto.

Anche Dunn e Landauer, coi loro studi sull’ereditarietà della mancanza di coda, dimostrarono la possibilità di accumulare geni modificatori mediante selezione. Gli eterozigoti per il dominante Rp presentano talora un aspetto intermedio, in cui le penne della coda sono ridotte di numero ma non mancano totalmente. Attraverso questo studio si è visto che geni modificatori sono in grado di mascherare il carattere non solo negli eterozigoti, ma anche in alcuni omozigoti per Rp.

I soggetti dotati di geni modificatori che provocano la comparsa di un tipo intermedio debbono quindi possedere quello che gli evoluzionisti definiscono capacità di sopravvivenza, in grado di assicurare la perpetuazione della specie. In molti casi, tutti gli individui portatori della stessa mutazione possono differire ampiamente nell’espressività, cioè circa il grado di manifestazione fenotipica della variazione. La polidattilia presenta una grande variabilità, e siccome spesso gli eterozigoti non presentano alcun segno della mutazione, essa è stata qualche volta ritenuta a dominanza incompleta. Landauer identificò tuttavia individui omozigoti che non manifestavano alcun segno di polidattilia.

Gallus et Gallina ex Persia – Aldrovandi, 1600

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