Negli anni più recenti la
genetica molecolare ha fornito potenti mezzi per decifrare la storia evolutiva
della vita. Dal momento che l’evoluzione è definita come variazione
genetica, le relazioni genetiche sono di primaria importanza nel tracciare gli
alberi evolutivi.
Fino a poco tempo fa era impossibile esaminare
direttamente i geni. I
biologi evoluzionisti del passato erano costretti a basarsi completamente solo sul
confronto tra fenotipi per sottolineare le somiglianze
e le differenze dal punto di vista genetico. Si assumeva che, se i fenotipi
erano simili, anche i geni codificanti per quei fenotipi erano simili, e
pertanto negli studi sull’evoluzione venivano impiegati i fenotipi.
Inizialmente i fenotipi esaminati si basavano quasi
esclusivamente su differenze anatomiche macroscopiche; in seguito vennero
anche studiate caratteristiche comportamentali, ultrastrutturali e
biochimiche. Il confronto di tali caratteri venne usato con successo per
tracciare gli alberi evolutivi di molti gruppi di piante e animali che, in
verità, rivestono ancora importanza basilare in molti studi odierni sull’evoluzione.
Basarsi
sullo studio del fenotipo comporta delle limitazioni:
alcune volte possono evolversi fenotipi simili in organismi tra loro distanti.
Ad esempio, se un ingenuo biologo tentasse di costruire un albero evolutivo
basato sulla presenza delle ali, potrebbe collocare nello stesso gruppo
evolutivo uccelli, pipistrelli e insetti, dato che sono tutti alati. In questo
caso particolare risulta abbastanza evidente che questi tre esseri non sono
strettamente imparentati: sono diversi sotto molti aspetti al di fuori della
presenza di ali, e le stesse ali sono molto diverse tra loro. Questo esempio
estremo mostra come i fenotipi possano talvolta fuorviare circa le relazioni
evolutive, e le
somiglianze fenotipiche non riflettono necessariamente similarità genetiche.
Un altro problema dovuto al confronto tra fenotipi deriva
dal fatto che non
tutti gli organismi
sono dotati di numerose caratteristiche fenotipiche che possano essere
facilmente studiate:
per esempio, lo studio delle relazioni evolutive fra batteri è sempre stato
problematico, perché essi possiedono pochi caratteri evidenti che siano
correlati con il grado di parentela genetica. Un terzo problema insorge quando
si cerchi di confrontare organismi distanti: come confrontare batteri e
mammiferi, ad esempio, che hanno così poche caratteristiche in comune?
I metodi per il sequenziamento del DNA e per l’analisi
dei polimorfismi nella lunghezza dei frammenti generati da enzimi di
restrizione, forniscono informazioni riguardo la sequenza del DNA. Le sequenze di DNA danno l’informazione più
accurata e affidabile in base alla quale impostare delle inferenze circa le
relazioni evolutive. Esse permettono il confronto diretto delle
differenze genetiche tra organismi, sono facilmente quantificabili, e tutti
gli organismi le possiedono in quanto, come minimo, tutti gli organismi hanno
in comune alcuni geni, quali i geni per i tRNA, gli rRNA e alcune proteine.
Per questi notevoli vantaggi molti biologi evoluzionisti si sono rivolti alle
sequenze di DNA per stabilire relazioni evolutive e costruire alberi
filogenetici.
Un caso nel quale i dati di
sequenza hanno fornito nuove informazioni sulle relazioni evolutive consiste
nella comprensione delle divisioni primarie degli organismi viventi. Molti
anni fa i biologi divisero tutte le forme di vita in due grandi gruppi: piante
e animali. Man mano che si scoprivano nuovi organismi e le loro
caratteristiche venivano studiate con dettaglio maggiore, questa semplice
divisione dicotomica divenne insostenibile. Si riconobbe successivamente che
gli organismi possono essere divisi, in base alla struttura cellulare, in
procarioti ed eucarioti. Più recentemente sono state riconosciute diverse
divisioni a livello primario del vivente, come i 5
regni proposti da Whittaker:
I
cinque regni di Whittaker |
Negli ultimi 10 anni le sequenze
di DNA e di RNA sono state usate per scoprire le linee primarie della storia
evolutiva di tutti gli organismi. In uno di questi studi, Norman Pace e i suoi
collaboratori hanno costruito un albero evolutivo della vita basato sulle
sequenze trovate a carico dell’RNA 16S, di cui tutti gli organismi sono
dotati. Il loro albero evolutivo rivela 3 gruppi evolutivi principali:
Eubatteri |
Eucarioti |
Archeobatteri |
i
tradizionali procarioti |
|
gruppo
non troppo conosciuto |
Si è trovato che gli Eubatteri
e gli Archeobatteri, nonostante siano entrambi procarioti, sono diversi dal
punto di vista genetico quanto lo sono gli Eubatteri e gli Eucarioti. Le profonde
differenze evolutive che dividono gli eubatteri dagli archeobatteri
non erano evidenti sulla base del fenotipo, mentre divenne chiaro solo dopo il
confronto delle loro sequenze nucleotidiche. L’ipotesi che esistano tre
gruppi evolutivi principali in seno agli organismi è confortata anche dalle
sequenze di altri geni, tra cui gli rRNA 5S, i grossi rRNA e i geni per alcune
proteine di base.
Un altro campo, dove le sequenze di DNA vengono usate per
lo studio delle relazioni evolutive, è quello dell’evoluzione umana.
Nonostante le notevoli differenze osservabili nelle dimensioni e nella forma
del corpo, nei tratti somatici e nel colore della pelle, le differenze
genetiche tra le popolazioni umane sono relativamente ridotte. Ad esempio, l’analisi del DNA mitocondriale dimostra che la
differenza media tra le sequenze di due popolazioni umane è circa 1/3 dell’1%.
Altri primati mostrano differenze molto più grandi: ad
esempio, le due sottospecie di Orangutan
differiscono
del 5%. Questo indica che tutti i gruppi umani sono strettamente imparentati.
Nondimeno, tra gruppi umani diversi esistono alcune differenze genetiche:
sorprendentemente, le differenze maggiori non si riscontrano tra popolazioni
poste su continenti diversi, ma tra popolazioni africane. Tutte le altre
popolazioni umane mostrano differenze inferiori rispetto a quelle trovate nel
contesto delle popolazioni d’Africa.
Molti esperti hanno interpretato queste scoperte nel senso che la specie umana abbia avuto origine in Africa e lì abbia sperimentato per la prima volta divergenze dal punto di vista genetico. Si ipotizza inoltre che, dopo l’evoluzione in Africa di un certo numero di popolazioni differenziate dal punto di vista genetico, un piccolo nucleo sia emigrato da questo continente dando origine a tutte le altre popolazioni umane.
Quest’ipotesi è detta teoria
out of Africa.