Fig. XX. 1 - Wilhelm Conrad Röntgen e i coniugi Pierre e Marie Curie. La fama dei Curie è legata alla scoperta del radio e a studi fondamentali sulla radioattività. Era il 1898 quando comunicarono al mondo scientifico le loro osservazioni che nel 1903, insieme a Becquerel, li portarono al premio Nobel per la fisica e Röntgen li aveva preceduti di 2 anni. Un fine secolo particolarmente radioso quello del 1800!
La quantità di radiazioni
assorbite da tessuti irradiati, detta anche dose
radiante, si misura con una delle numerose unità disponibili. Il röntgen, rappresentato dalla lettera r dovuta a Wilhelm Conrad
Röntgen
[1]
,
definisce la dose di raggi X o g
in base alla ionizzazione prodotta. Nei tessuti 1r
determina circa due ionizzazioni
[2]
per m³, equivalente a circa 1,6 X 1012 coppie di ioni per centimetro cubo. Nonostante si tratti di un numero
grande, in realtà è molto piccolo rispetto al numero di atomi presenti in un
centimetro cubo di tessuto, che è dell’ordine di 1023, cioè cento miliardi di volte più grande.
Il rad
è un’unità di dose assorbita, equivalente a 100 erg per grammo; questa
quantità di energia è lievemente più grande di quella assorbita in seguito
all’irradiazione con 1r.
Il
danno alle generazioni future si determina solo quando le gonadi vengono
direttamente irradiate, oppure quando vengono irradiate le cellule
destinate a produrre i gameti nelle prime fasi embrionali. L’irradiazione
per necessità mediche di varie parti del corpo con raggi X può comportare un
certo grado di esposizione delle gonadi, spesso riducibile usando lastre
fotografiche molto sensibili e una schermatura protettiva di tutte le aree che
non rivestono l’interesse del momento. Le ovaia, protette dai tessuti
pelvici, ricevono una dose più bassa rispetto ai testicoli.
Il numero di mutazioni indotte
dalle radiazioni è proporzionale alla dose e questa proporzionalità si
mantiene per dosaggi che siano compresi in un ampio intervallo. Gli insetti,
contrariamente ai mammiferi, dopo un’esposizione a molte migliaia di
roentgen possono sopravvivere. Non
esiste una dose soglia al disotto della quale non si producano mutazioni.
Quest’osservazione molto importante è in contrasto con le osservazioni
sugli effetti biologici di numerose sostanze chimiche, farmaci compresi, il
cui effetto è nullo a basse concentrazioni e diventa nocivo o letale al di
sopra di un certo limite.
In contrasto con la constatazione che l’irradiazione
degli spermi di Drosofila, sia acuta che cronica, ha un effetto mutageno
equivalente, Russell (1958) ha scoperto che una dose
somministrata agli spermatogoni del topo in forma cronica e a bassa intensità
produce un numero significativamente più basso di mutazioni rispetto alla
stessa dose somministrata in forma acuta e ad elevata intensità. Inoltre, le
cellule germinali maschili e femminili rispondono in modo differente a varie
intensità radianti.
Come conseguenza dell’irradiazione si attivano meccanismi di riparazione
che coinvolgono enzimi intracellulari. Se le radiazioni hanno modificato un
segmento di gene, il frammento danneggiato può essere tagliato e sostituito
da uno normale. Basse dosi permettono sovente alla cellula di riparare il
danno genetico indotto, mentre dosi di intensità elevata possono produrre
lesioni geniche tali che i processi riparativi risultano inefficaci, e talora
si verifica addirittura un danno a carico degli stessi meccanismi riparativi.
Nell’uomo, un esempio interessante di meccanismo di riparazione controllato geneticamente è fornito dalla mutazione recessiva Xeroderma pigmentosum, in cui la cute è estremamente sensibile alla luce ultravioletta, che causa un danno attinico seguito dallo sviluppo di tumori multipli. Quando si irradiano con luce UV colture di cellule cutanee di individui normali e di individui affetti da xeroderma, si può rilevare che spesso le cellule formano legami tra due pirimidine adiacenti, producendo così dei dimeri (pirimidine doppie).
Nelle cellule normali queste porzioni anomale della molecola vengono
prontamente tagliate, mentre le cellule dell’individuo con xeroderma
eseguono quest’operazione con un’intensità che è meno di un decimo
rispetto a quella normale. Inoltre, dopo irradiazione, le cellule normali
manifestano dapprima un aumento e poi una riduzione del numero di rotture del
DNA a singola elica, mentre nello xeroderma questi cambiamenti non si
manifestano, in quanto le cellule sono carenti di un enzima coinvolto nel
taglio delle eliche di DNA alterate, per cui sono preclusi sia l’escissione
dei dimeri anormali che la conseguente riparazione.
Poiché con dosi basse la
probabilità di rottura cromosomica è bassa, la probabilità di due rotture,
che corrisponde al quadrato della probabilità di una singola rottura, diventa
trascurabile. Un
aumento della dose determina un aumento proporzionale delle rotture singole,
ma anche un aumento esponenziale delle rotture multiple.
Per esempio, una dose che produca rotture singole nell’1%
delle cellule irradiate, produrrà due rotture in circa una cellula su 10.000.
Raddoppiando la dose, raddoppia il numero totale delle rotture singole (2%),
mentre il numero delle cellule con due rotture quadruplica: [2%]2
= 4/10.000. In accordo con la teoria, la
frequenza delle traslocazioni o delle altre aberrazioni derivanti da due
rotture, mostra di essere dose dipendere secondo un rapporto esponenziale
invece che lineare; cioè, la curva della frequenza delle traslocazioni
resta vicino allo zero per dosi basse, mentre cresce per dosi elevate con una
rapidità crescente.
Siccome le traslocazioni e altre aberrazioni dipendono da
due o più rotture, ciò implica che il frazionamento della dose, oppure l’irradiazione
per un periodo prolungato, non producono necessariamente altrettante
aberrazioni cromosomiche di questo tipo, come accade invece in seguito a brevi
irradiazioni concentrate.
Se si producono due rotture più o meno simultaneamente
nella stessa cellula, lo scambio delle estremità di rottura può determinare
una traslocazione.
Comunque, se le due rotture vengono prodotte l’una accanto all’altra, può
risultarne una traslocazione solamente se il frammento di cromosoma che deriva
dalla prima rottura è ancora disponibile per la saldatura al verificarsi
della seconda rottura.
In base a studi sulle rotture cromosomiche indotte negli
spermi maturi in Drosofila, si è giunti a concludere che le estremità di
rottura possono mantenere la propria capacità di fondersi sino alla
fecondazione, mentre, in base ad altri studi su rotture indotte in cellule
germinali immature, ovvero in cellule somatiche, particolarmente nelle piante,
risulta evidente che le estremità di rottura molto presto diventano non più
disponibili per le traslocazioni o per aberrazioni analoghe.
Questi fatti sono significativi, se si vuole giudicare l’effetto
sui cromosomi umani dell’irradiazione concentrata in un breve arco di tempo
o di un’esposizione protratta. Forse non esiste una grande differenza circa
la frequenza delle aberrazioni cromosomiche dovute a un urto singolo (200r in
una frazione di secondo per un incidente nucleare oppure nell’arco di mesi a
seguito di una pesante contaminazione radioattiva), mentre la frequenza delle
traslocazioni indotte e degli altri eventi dovuti a urti ripetuti potrebbe
essere considerevole nel primo caso, trascurabile nel secondo.
L’evoluzione delle specie procede servendosi delle mutazioni.
Senza variazioni genetiche in seno alle forme preumane non si sarebbe evoluto
l’uomo. In base a questa considerazione è nata la convinzione che l’aumento
artificiale del tasso di mutazione può essere desiderabile, in quanto può
servire ad accelerare ulteriori cambiamenti evolutivi.
Questo modo di vedere ignora il fatto che il pool genico
della popolazione umana è già estremamente diversificato, per cui è
improbabile che l’incremento di alleli mutanti sia in grado di aggiungere
nuovi tipi di alleli; per di più, ignora il fatto che l’evoluzione, cioè lo stabilizzarsi di nuovi sistemi organici dal
punto di vista genetico, è un processo molto differente dalla mutazione,
in quanto la mutazione si limita semplicemente a fornire alleli diversi.
Siccome il possedere numerosi alleli mutanti è
svantaggioso per il portatore, è
probabile che ogni specie disponga di un sistema di controllo genetico capace
di ridurre la frequenza delle mutazioni, capace anche di garantire una
flessibilità sufficiente per l’adattamento e l’evoluzione.
Se questo è vero, un aumento artificiale del tasso di mutazione nell’uomo
è indesiderabile, anche da un punto di vista evoluzionistico.
Nonostante siano state indotte mutazioni utili per l’uomo,
come nel caso del Penicillium notatum
allo scopo di produrre elevate quantità di penicillina, esse sono di gran
lunga soverchiate dalle mutazioni svantaggiose. Se poi si vogliono produrre
mutazioni favorevoli nell’uomo, ciò costerebbe caro per le numerose
mutazioni sfavorevoli inevitabili e il problema potrà essere affrontato in
modo sereno solo quando si potranno indurre mutazioni utili senza la
contemporanea presenza di mutazioni dannose.
[1] Wilhelm Conrad Röntgen nacque in Germania, a Lenden, nel 1845 e iniziò la sua carriera didattica di fisica nella scuola superiore di agricoltura di Hohenheim, sobborgo di Stoccarda. Nel 1895 scoprì casualmente i raggi denominati X in quanto di natura sconosciuta e misteriosa. Rinunziò a ricavare qualsiasi vantaggio economico derivante dalla scoperta, e ricevette il premio Nobel per la fisica nel 1901. Morì a Monaco di Baviera nel 1923, sua ultima sede universitaria.
[2] Ionizzazione: scissione di una molecola o di un atomo elettricamente neutri in due o più parti cariche di elettricità. Da ogni atomo o molecola si ottengono almeno uno ione positivo e uno negativo (in particolare un elettrone). Ione deriva dal greco, e precisamente da iøn, che significa colui che va, con allusione alla migrazione verso il polo positivo (anione) oppure negativo (catione) di un campo elettrico.