Le eumelanine vengono
frequentemente estratte attraverso un trattamento idrolitico con acidi
minerali - come HCl concentrato - protratto per parecchi giorni o per
ebollizione con HCl 6 M.
L’estraibilità tanto delle feomelanine come delle
ossimelanine dipende dalla compattezza delle strutture cornee. Durante l’estrazione
con alcali diluiti le piume dei polli liberano una quantità relativamente
elevata di pigmento in breve tempo, e durante il trattamento perdono il loro
colore rosso. Peli e capelli richiedono tempi di estrazione lunghi, durante i
quali una parte di pigmento può decomporsi all’interno della struttura
anatomica, cui si può ovviare attraverso agenti cheratinolitici.
Per i tricocromi contenuti nelle piume si fa ricorso alla
procedura originale messa a punto da Prota e Nicolaus (1967):
acidificazione dell’estratto alcalino portandolo a pH 1 per rimuovere la
quota di feomelanine acido insolubili, seguita da cromatografia del
supernatante su una resina a elevato scambio cationico. In queste condizioni i
pigmenti vengono fortemente adsorbiti dalla resina e vengono separati nei
singoli componenti attraverso cromatografia.
I metodi istochimici per studiare la pigmentazione
eumelanica si basano sulla proprietà posseduta dai granuli di eumelanina di
ridurre il nitrato d’argento ammoniacale ad argento metallico. Invece, per
mettere in evidenza le feomelanine in seno ai tessuti, non sono disponibili
metodiche di colorazione e bisogna ricorrere al colore dei pigmenti nonché
all’ultrastruttura dei melanosomi per differenziare la feomelanina dall’eumelanina.
La presenza di feomelanina è indicata dalla solubilità dei granuli in alcali
diluiti, ma questo criterio può indurre in errore in quanto non permette di
distinguere le feomelanine autentiche dalle ossimelanine.
Facendo ricorso alla risonanza elettronica paramagnetica (EPR)
delle proprietà dei radicali liberi, è possibile svelare e identificare le
eumelanine nei tessuti e nei liquidi organici. Questo metodo si è dimostrato
utile nell’identificare tracce di eumelanina nei melanosomi amelanotici, nel
dimostrare che il pigmento isolato dall’occhio umano azzurro o da quello
marrone è prevalentemente di tipo eumelanico. Particolarmente interessante è
la possibilità di distinguere eumelanine da feomelanine ricorrendo alla
spettroscopia con EPR.
Senza dover ricorrere all’isolamento dei pigmenti
melanici dai tessuti, è possibile eseguire una loro analisi diretta
attraverso l’ossidazione dell’eumelanina con permanganato di potassio, che
produce acido pirroltricarbossilico (PTCA) come principale prodotto di
degradazione, mentre l’idrolisi delle feomelanine con acido idroiodico
produce prevalentemente aminoidrossifenilalanina (AHP) unitamente ad altri
aminoacidi fenolici.
Tutti i tipi di melanine contengono elevate quantità di acqua legata chimicamente, che pare essenziale nel conservare in stato di turgore le molecole di pigmento. Risulta che 1 ml di granuli di pigmento allo stato nativo non contiene più di 10 mg di sostanza secca, la quale, se risospesa in acqua oppure lasciata all’aria, non si gonfia facilmente, per riguadagnare eventualmente solo in parte l’acqua originariamente legata ai granuli di pigmento.
Queste nozioni debbono essere tenute ben presenti, in
quanto conviene evitare di disidratare le melanine poiché vengono intaccate
le proprietà del polimero, che diventa maggiormente aggregato ed
eventualmente inerte dal punto di vista di interazioni fisicochimiche. A pH
fisiologico le melanine non sono assolutamente solubili e al massimo formano
un sistema colloidale carico negativamente. Il raggio medio delle particelle
di eumelanina in sospensione è nell’ordine di 1-2 nm.