L’aumento del pigmento
melanico susseguente all’esposizione della pelle alla luce solare, o alla
luce UV di fonti artificiali, è dovuto a due distinti processi fotobiologici:
§
scurimento
immediato del pigmento: il pigmento, già presente nella cute, si
scurisce, e tale evento va sotto il nome di fenomeno
di Meirowsky
§
pigmentazione o melanizzazione
primaria: si tratta di un processo che si distingue in tre
fasi:
· risposta eritematosa
· melanogenesi, e quindi neoformazione di pigmento
· trasferimento dei melanosomi ai cheratinociti.
L’entità della melanogenesi secondaria all’esposizione della pelle umana ai raggi solari, varia in rapporto alla dose totale di radiazione ricevuta e all’entità del danno cellulare epidermico. La dose radiante che provoca solo un lieve danno epidermico promuove il processo pigmentante in modo più efficace rispetto a dosi dotate di effetto nocivo elevato.
Quando la cute è stata esposta a dosi radianti altamente
dannose, tutti gli strati delle cellule epidermiche vengono interessati e ne
consegue, a seconda dei casi, una discheratosi, una disorganizzazione
epidermica e persino una desquamazione di melanociti. In una cute così
colpita il contenuto in pigmento dei melanociti può non aumentare dopo
esposizione alle radiazioni, la melanogenesi può risultare scarsa e la
pigmentazione può non essere visibile in modo apprezzabile.
La melanogenesi si verifica invece quando l’epidermide
mostra solo focolai multipli di discheratosi senza giungere a una
disorganizzazione generale a carico dei vari strati cellulari. La melanogenesi
è preceduta da un’arborizzazione dendritica dei melanociti con ipertrofia
degli stessi, e successiva formazione di nuovi premelanosomi e melanosomi.
Lo scurimento immediato del
pigmento preesistente si manifesta senza
periodo di latenza dopo esposizione della cute alla luce,
raggiungendo il
massimo appena dopo la cessazione dello stimolo,
e si ritiene dovuta a modificazione del pigmento presente in forma incolore o
in uno stato ridotto dal punto di vista chimico.
Le aree che si sono scurite impallidiscono velocemente nel
giro di pochi minuti, e nel giro di 3 ore le aree irradiate non possono essere
individuate con sicurezza all’osservazione diretta, salvo si ricorra a una
lampada di Wood all’ultravioletto. Solo qualche volta, dopo un’intensa
esposizione alla luce solare, si può osservare una persistenza dello
scurimento cutaneo immediato per 24 ore o più. In questo caso pare entri in
gioco una ridistribuzione dei granuli di pigmento preformato, che dalle
cellule basali si sposta anche nelle cellule soprastanti.
Da notare che il numero dei melanociti rimane invariato, mentre la maggior parte dei melanosomi presenti nelle cellule epidermiche si congregano a formare un alone perinucleare per cui il nucleo viene circondato da un denso anello di granuli di melanina. Ciò starebbe a indicare che si verifica un rapido trasferimento dei granuli di pigmento alle cellule epiteliali attraverso i dendriti dei melanociti, oppure che si determina un aumento della densità elettronica a carico dei melanosomi. Pertanto, i granuli dapprima meno densi, sono diventati più elettrondensi in seguito a un processo ossidativo.
Questa sembra l’ipotesi più valida, in quanto non si
osserva una riduzione di melanosomi nel contesto dei melanociti, per cui i
granuli non hanno subito fenomeni di trasferimento dai melanociti alle cellule
epidermiche.
Da notare inoltre che lo scurimento della cute si instaura
senza che venga indotto un eritema. Le lunghezze d’onda per dare inizio a
questo fenomeno hanno un range di 0,3÷0,75 µm,
gli ultravioletti a lunghezza d’onda maggiore, > 0,32 µm,
sono più attivi di quelli a lunghezza minore.
È necessaria una precisazione circa il supposto fenomeno di ossidazione del pigmento che giustificherebbe lo scurimento cutaneo immediato. Quest’effetto della luce è più evidente nella cute già abitualmente pigmentata come quella dei Caucasici pigmentati, degli Orientali, dei Negri intensamente neri, mentre nella cute pallida il fenomeno è molto meno evidente, ovviamente a causa di una scarsa presenza di pigmento preformato.
I dati clinici e fotobiologici basati sull’osservazione
che i raggi UV a lunghezza d’onda maggiore e la radiazione visibile
provocano un aumento di radicali liberi derivati dalla melanina già presente,
suggeriscono l’ipotesi secondo cui lo scurimento immediato sia dovuto a una reazione ossidativa che determina la formazione in
seno alla melanina di radicali liberi instabili simil-semichinonici. Infatti,
se la melanina è un polimero complesso composto da monomeri di
5,6-diidrossindolo, queste unità possono andare incontro a fenomeni di
ossidoriduzione reversibile. L’assorbimento delle lunghezze d’onda pari a
0,32÷0,75 µm provocano un distacco di protoni e la formazione
di radicali simil-semichinonici, reazione che decade rapidamente con la
cessazione dell’irradiazione.
La melanogenesi stimolata dalla
luce comincia a rendersi apprezzabile
dopo 48-72 ore dalla cessazione dello stimolo luminoso.
L’iperpigmentazione persiste per un certo numero di giorni e scompare
gradualmente col trascorrere di parecchi mesi. L’induzione dell’eritema è
una fase preliminare necessaria perché si abbia un incremento della sintesi
di melanosomi. Le lunghezze d’onda più efficaci sono quelle più brevi di
0,32 µm,
che costituiscono il cosiddetto spettro eritemizzante. Non si tratta tuttavia
di una situazione rigida, in quanto si può osservare una stimolazione
melanosintetica in seguito a esposizione a raggi UV di lunghezza maggiore e a
radiazioni visibili.
L’esposizione al sole della
pelle umana induce svariate modificazioni che possiamo così riassumere:
§
dilatazione
delle arteriole e delle venule con susseguente eritema
§
infiltrazione
leucocitaria del derma superficiale
§
degenerazione
delle cellule spinose disseminate nella metà esterna del derma
§
desquamazione
§
mitosi
§
attiva
proliferazione dei melanociti con aumento delle loro dimensioni e della loro
densità cui si associa un’arborizzazione dei dendriti.
Senza dubbio queste modificazioni sono il risultato di un
complesso di reazioni fotolitiche indotte dalle radiazioni UV. Dal momento che
le reazioni fotolitiche coinvolgono invariabilmente
il meccanismo dei radicali liberi,
è probabile che l’esposizione ai raggi UV provochi la formazione di
radicali liberi a livello cutaneo.
I segnali di risonanza electron spin (EPR) prodotti dall’irradiazione
UV di proteine quali albumina, caseina, cheratina e gelatina, sono correlati
con l’assorbimento di energia da parte dei vari cromofori presenti nelle
proteine (tirosina, triptofano, cisteina, fenilalanina, istidina). Dal momento
che la cheratina è la principale proteina dell’epidermide soggetta all’insulto
fotolitico, la soluzione dei quesiti inerenti la natura delle modificazioni
fotolitiche rapportate ai costituenti epidermici può verosimilmente provenire
dallo studio dei radicali liberi che si generano durante l’irradiazione UV.
Inoltre, come accade per il radicale libero, anche la
melanina è dotata di azione fotoprotettiva. Si è potuto dimostrare che sia
la pelle bianca che quella scura, quando vengono irradiate con l
< 0,32 µm, presentano radicali liberi imputabili sia alla
cheratina che alla melanina intrinseca.
Le radiazioni con l < 0,32 µm sono in grado di generare radicali liberi nella cute bianca, mentre con quelle a l maggiore ciò non accade, o perlomeno non in quantità tale da poter essere svelata. Questo dato è interessante poiché l’eritema viene indotto da l con range pari a 0,25÷0,32 µm.
Vengono prodotti almeno due tipi differenti di
radicali liberi dopo irradiazione UV: un tipo origina dalle proteine
epidermiche specialmente in seguito a radiazioni con l
breve, l’altro tipo prende origine nella melanina grazie a l
UV sia brevi che lunghe nonché a radiazioni visibili.