Guido Comasini
e
Bill
Plant
Ricordo sempre con molto piacere la primavera del 1996 perché è stata veramente intensa, spontanea e ricca di emozioni.
È stato in questa occasione che ho conosciuto Bill, l’Uomo della Pekin.
Era impossibile non avere rispetto e stima di un uomo che aveva dedicato metà della sua vita all’amore per i Polli. Non è una cosa molto comune una tale passione che viene dal cuore, e non tutti possono capire. Dipende da che punto guardi il mondo, tutto dipende.
Quando Bill è morto, parte della sua passione per gli animali è emigrata in me. Infatti è durante quel periodo che ho iniziato ad appassionarmi prima dei polli (Pekin, Giava, Appenzeller spitzhauben, Combattente inglese moderno nano), poi è arrivata la passione della mia vita, insieme ai fiori e alle piante: le oche, le anatre, i cigni .
Bill era una persona molto tranquilla, serena e molto educata. Io ho potuto fare un viaggio con lui e col Dr Elio Corti attraverso le bellezze d’Europa. Era una persona con la quale si poteva parlare di tutto: unico neo per me era l’inglese. Peccato. Avrei potuto imparare molto, anche sui palmipedi.
Se gli allevatori italiani si dedicassero con metà dell’interesse che sprigionava Bill, l’avicoltura italiana troverebbe un posto di tutto rispetto nei confronti dei Paesi più sviluppati nel settore avicolo, come Germania, Olanda, UK, USA, Australia. Ma, ahimè, non è così.
Le poche persone - e io ne conosco una - che potrebbero aiutare tutto il sistema, non possono farlo, non per mancanza di volontà, ma perché è difficile avere dei riconoscimenti, e col tempo, visto che l’uomo vive anche di gratificazioni, si perde la fiducia e tutto va a rotoli.
È un vero peccato. Adesso, dopo 4 anni, molte cose nella mia vita sono cambiate, ma le persone speciali come Bill rimangono sempre vicino a noi con i nostri ricordi e le nostre speranze.