Termine del sec. XIII che deriva dall’arabo al-kimiya, pietra
filosofale, a sua volta derivato da una voce copta chama - nero
- oppure dal greco chymeía - mescolanza di liquidi - e quindi
una specie di reagente universale.
Perciò la latinizzazione del
termine può essere sia alchimia/alchimya se ci basiamo
sul solo termine arabo, sia alchymia se accettiamo che il
termine arabo derivi dal greco chymeía . L’assonanza di
alchimia con chimico rispecchia un’etimologia che è forse comune.
Infatti chimico è un termine del sec. XVI; dal francese chimique,
che risale al greco chymikós, da chymós, succo. Per
cui la latinizzazione di chimico dovrebbe essere inequivocabilmente chymicus.
L'alchimista
in cerca della Pietra Filosofale
Joseph Wright - 1771
La pietra filosofale
- o elisir
- era quella pietra che gli alchimisti ricercavano
credendo avesse la virtù di trasformare in oro ogni metallo; ma era
anche un’essenza immaginaria che, sempre secondo gli alchimisti,
sarebbe stata capace di trasformare i metalli in oro e di produrre
l'elisir
di lunga vita.
In
un’antica lettera che parla della pietra filosofale si tratta di una
femmina che genera sette figli che sono i sette metalli. Due di essi,
l'oro e l'argento, divengono re; gli altri rimangono servi. Un giorno
uno di questi si reca dalla madre per lamentarsi della sua sorte; e la
madre, mossa a pietà, gli dice che sciogliendosi nelle ultime
particelle che lo compongono e ritornando nel seno materno esso potrà
giungere alla perfezione. Come si vede, è una specie di parabola che
adombra la trasmutabilità dei metalli; ma la pietra filosofale,
secondo i suoi ricercatori, avrebbe avuto il potere di trasmutare in
oro non soltanto i metalli vili, ma anche ogni altra sostanza. Formule
magiche e procedimenti che la chimica moderna ha poi adottato si
intrecciano in una confusione per noi assurda lungo il cammino
romanzesco dell'alchimia.
L’alchimia
era una dottrina magico-religiosa che conferiva carattere di sacralità
alle primitive esperienze artigianali connettendole con i problemi
dell'origine del mondo e dell'uomo e del loro rapporto con Dio e
avanzando soluzioni taumaturgiche per dare all'uomo la sperata felicità.
Il fenomeno riceve una prima conferma nell'antico Egitto, dove i
segreti artigianali degli orafi, dei tessitori e dei tintori, nel
tempo, vanno caricandosi di significati occulti, che troviamo ormai
codificati nel sec. II aC. Fondamento dell'alchimia è l'ipotesi del
progressivo mutarsi e affinarsi dei metalli vili in nobili. Alla base
di ogni passaggio è l'unione fra l'elemento maschile e quello
femminile. Alla fine di questa evoluzione perfettiva si trova l'oro,
il primo dei corpi elementari, quello che, secondo Ermegisto, dà la
vita ai metalli, ai vegetali e agli animali.
Cesare Ripa (1560?-1625)
Iconologia del Cavaliere Cesare Ripa
Perugino
Perugia, Stamperia di Piergiovanni Costantini, 1764-67
Mezzo per raggiungere
questa perfezione è la Grande Opera (l'alchimista, seguendo
una sua via segreta, realizza in un tempo breve il processo che la
natura ha compiuto in tempi lunghi), che ripete la creazione dei
metalli. Condizione sine qua non per nobilitare i metalli è però la
loro riduzione alla materia originaria, l'acqua divina, che
sarebbe la matrice di tutte le cose.
Nei confronti degli alchimisti
diversi furono gli atteggiamenti nelle varie legislazioni: Carlo V di
Francia nel 1380 proibì il possesso di apparecchi alchimistici ai
privati; Enrico IV d'Inghilterra, nel 1404, comminò contro i cultori
dell'alchimia pene varianti dalla confisca alla morte. Uguali pene
furono inflitte a Venezia nel 1418. Poco dopo invece in Inghilterra
furono rilasciati permessi di praticare l'alchimia. L'incertezza
giuridica era motivata dal fatto che, non esistendo una vera
legislazione in materia, si colpiva piuttosto la falsificazione delle
monete.
La Chiesa non condannò mai il principio della trasformazione
dei metalli come criminoso, ma punì la produzione di monete false e
di oro alchimistico, che reputava di qualità inferiore a quello
naturale (vedi Costituzioni estravaganti di Giovanni XXII del
1325).
Patria originaria dell'alchimia è ritenuto l'Egitto, ma essa
comparve presto anche in Cina dove gli alchimisti ricercarono a lungo
un “elisir di lunga vita” che desse all'uomo l'ambita immortalità.
Frutto di queste ricerche fu l'opera di Je Hong (254-334), il Bao Puzi,
libro fondamentale dell'alchimia cinese.
In Grecia la ricerca
alchimistica si sviluppò dal sec. III aC al III dC, combinando
l'influenza dei presocratici con gli apporti dell'Egitto e di
Babilonia. Trasmessa nel nuovo centro culturale di Alessandria,
l'alchimia trovò numerosi cultori come Komarios, Cheymes, Petresios,
la mitica Maria l’Ebrea sorella di Mosè (colui che guidò
l’Esodo, la cui data può approssimativamente situarsi tra la fine
del XIV e l'inizio del XIII sec. aC – vedi bagnomaria),
Zosimo di Panopoli con la sorella Teosebeia, ecc. Il sincretismo
alessandrino operò una sintesi della filosofia e della scienza greche
con le tecniche artigianali egizie, passando attraverso tre momenti:
1)
l'alchimia è una tecnica che ripete quelle degli artigiani egizi;
2)
l'alchimia diventa una filosofia alla ricerca della materia prima, che
si vuole identificare nello stato fluido dei metalli;
3)
la riduzione dell'alchimia tecnica a metafisica comporta uno
slittamento nel campo religioso, come puntualmente accadde nei secoli
successivi.
Prevalsero
forme mistiche a carattere esoterico, folte di riti misterici e la Grande
Opera diventò Via alla Vita attraverso la fusione della
precedente speculazione filosofica con l'ermetismo gnostico.
In campo
pratico gli alchimisti alessandrini inventarono l'alambicco e le varie
tecniche per le leghe con l'oro. In questa simbiosi fra l'ermetismo
gnostico e la precedente speculazione filosofica l'alchimia passò,
attraverso le traduzioni in arabo di testi alessandrini, nel mondo
islamico.
La figura più influente fra gli alchimisti arabi fu Gabir
ibn Hayyan, conosciuto in Occidente come Geber. Ad Abu Bakr Muhammad
ibn Zakariyya' (Razi)
si deve il tentativo di liberare l'alchimia
dall'ermetismo e di estenderne gli esperimenti a tutte le
scienze con un chiaro intento pratico. Alla progressiva sconsacrazione
dell’alchimia darà un valido apporto Avicenna
sostenendo l'impossibilità di tramutare un metallo in un altro. Ibn
Khaldun concluderà una lunga analisi delle teorie pro e contro
l’alchimia affermando che essa non è una vera scienza.
L'Occidente
era stato tributario, per le tecniche artigianali, di Bisanzio. In
progresso di tempo esse si erano caricate di significati magici, senza
però arrivare a una tematica mistica. Nuovo apporto alla propagazione
dell’alchimia in Occidente darà la Spagna musulmana con la
traduzione di opere alchimistiche in latino (l'Almagesto, il Libro dei
Settanta, il Liber de Aluminibus, ecc.). La corrente più razionalista
ed esperimentalista si richiamava alle opere di Abu Bakr Muhammad ibn
Zakariyya'.
Comune agli alchimisti medievali fu il tentativo di
spiegare la mutazione dei metalli attraverso la pietra filosofale.
Alchimisti autorevoli furono Arnaldo da Villanova,
Raimondo Lullo, T. Norton, Nicolás Valois, Basilio Valentini, Limojon
de Saint-Didier e altri.
Nel Rinascimento l’alchimia si spogliò dei
suoi caratteri sperimentali ed esaltò la sua copiosa simbologia come
“mistero salvifico cristiano”, che finirà nella teosofia dei
Cavalieri di Rosa Croce, da cui germinarono correnti pseudomistiche.
The
Alchemist
William Fettes Douglas - XIX sec.
Pur non essendo mai assurta alla dignità di scienza, l’alchimia ha
dato un non trascurabile contributo alla ricerca chimica, sia
inventando tutta una gamma di apparecchi da laboratorio che sarebbero
poi serviti al Lavoisier per le sue ricerche scientifiche, sia
sviluppando le tecniche della distillazione, sublimazione,
calcinazione e filtrazione attraverso innumerevoli esperienze. Gli
alchimisti scoprirono le proprietà dello zolfo, dell'arsenico, del
mercurio, del piombo, dello stagno, del rame, del nichel, del carbone,
del borace, del ferro, dell'argento, dell'oro, del platino,
dell'acqua, del carbonio, del tartaro, della soda, degli acidi nitrico
e cloridrico.
Ai nostri tempi l’alchimia sopravvive come metachimica,
scienza che si prefigge di rompere i limiti della materia. A Goethe e
a Marlowe dobbiamo la creazione dell'alchimista Faust, ricordato per
la sua insonne ricerca e l'instancabile sete di sapere.
Gli
alchimisti chiamavano uovo dei filosofi la stufa, dove
tentavano la fusione delle più varie sostanze.
Alchimista
al lavoro (affresco del XV secolo)
Un
altro mitico padre dell'alchimia: Morieno Romano (Viridarium
Chymicum). A questo personaggio la tradizione attribuisce la
trasmissione del sapere alchemico al principe arabo Calid. Il trattato
che espone il presunto colloquio tra Morieno e Calid fu tradotto
dall'arabo in latino nel XII sec., probabilmente da Roberto di Chester:
quest'episodio è posto da taluni studiosi come l'inizio
dell'effettiva diffusione dell'alchimia nell'occidente
medievale
Foglio
di un manoscritto alchemico arabo del XVII secolo
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