Lessico
Fascio
Nell'antica Roma il fascio consisteva in un mazzo di bastoni, quasi sempre di olmo o betulla, legati da corregge rosse, con in alto una scure, simbolo del potere che avevano i magistrati di fustigare e di giustiziare. Mai più avrebbero pensato che un giorno il fascio littorio avrebbe dato il nome alla città di Littoria - poi ribattezzata Latina - nonché a un prototipo di treno: la Littorina.
I fasci erano portati, sulla spalla sinistra, dai littori (lictores in latino, forse da ligare) che precedevano i magistrati, in numero di 12 quando scortavano il console, di 6 se scortavano il pretore. Il dittatore era invece preceduto da 24 littori in quanto assommava i poteri dei due consoli. Anche il pontefice massimo e le vestali erano scortati da littori con i fasci. In età repubblicana, dai fasci erano tolte le scuri dentro la città in quanto il cittadino aveva diritto di appellarsi al popolo contro le decisioni del magistrato.
Le fonti attribuiscono al fascio origine etrusca; da una tomba di Vetulonia, chiamata perciò tomba del Littore, ne proviene uno di verghe di metallo, con scure a doppia lama, risalente al sec. VII aC ca.
Nell'arte romana i fasci littori sono comuni nei rilievi storici ma compaiono anche, isolati, in altri monumenti, soprattutto funerari (sepolcro di Sulpicio Galba, rilievi del Campidoglio e del chiostro di S. Paolo a Roma , ecc.).
Rilievo sul mausoleo di Caio Ennio Marso a Sepino in provincia di Campobasso - Subito al di sotto dell'iscrizione, che descrive con dovizia di particolari il cursus honorum di Caio Ennio Marso, sono scolpiti i simboli del potere esercitato dal magistrato.
Si tratta della sella curulis, la sedia pieghevole che spettava ai magistrati romani, qui raffigurata frontalmente, con la spalliera ben visibile, decorata da due sfingi che si fronteggiano, ritratte lateralmente, separate da un cratere.
A ciascuna delle estremità della spalliera sono scolpite poi due teste, anch'esse viste di profilo e rivolte l'una verso l'altra. In basso, sotto la spalliera, i sostegni verticali della sella e, giù ancora, il suppedaneum o poggiapiedi.
A un lato della sella è infine visibile la cista, cioè il contenitore nel quale il magistrato riponeva i rotoli con i suoi documenti di lavoro. Sullo stesso lato della cista, ma piuttosto discosto dall'insieme fin qui descritto, è visibile un altro dei simboli del potere magistratuale: un fascio littorio. Manca, dal lato opposto, il corrispondente fascio che, sicuramente, completava la decorazione del monumento funebre. (da www.fotostorie.it)
Il fascio nella simbologia moderna
Il fascio come simbolo del potere statale o di unità fu ripreso nella Rivoluzione francese. In tempi più recenti, è stato infine insegna del Partito Nazionale Fascista e il termine fascio è stato usato per designare il movimento politico che si espresse in Italia in tale partito e nel regime da esso diretto (impiegato in assoluto, anche il partito stesso: essere iscritto al Fascio).
Cronologicamente antecedente al fascismo fu il Fascio parlamentare di difesa nazionale, raggruppamento politico, promosso da Maffeo Pantaleoni, costituito nel dicembre 1917 da deputati, senatori e uomini politici allo scopo di coordinare l'azione di tutte le forze politiche italiane in appoggio al governo per superare la crisi determinata nel Paese dalla sconfitta di Caporetto.
Con la fine della guerra cessò l'unità delle correnti che vi avevano preso parte e il raggruppamento si sciolse. Gli stessi Fasci di combattimento fondati da Benito Mussolini il 23 marzo 1919 ebbero un antecedente nel gennaio 1915, quando Mussolini usò le espressioni “Fasci interventisti” e “Fasci di azione rivoluzionaria” per definire quelle organizzazioni interventiste che egli stesso aveva costituito.
Quasi parallelamente ai Fasci di combattimento venne fondato nel 1919 da Gentile e Codignola il Fascio di educazione nazionale, organizzazione sindacale cui aderirono numerosi insegnanti medi usciti dalla Federazione Nazionale Insegnanti, con la partecipazione di personalità come Lombardo-Radice, Gobetti, Manara Valgimigli, Prezzolini e altri e l'appoggio di studiosi come Benedetto Croce. Nel 1922 l'organizzazione venne assorbita, e in pratica annullata, dal P.N.F.
Città del Lazio, capoluogo della provincia omonima. Comune di 277,78 kmq con 117.781 abitanti (2009) comprendente anche una decina di centri, disposti a semicerchio intorno al capoluogo, che sono sorti come borghi di servizio per favorire l'insediamento rurale nella prima fase della bonifica. Sorge a 21 m slm nel cuore della Pianura Pontina, alla destra del Canale delle Acque Medie. Fondata il 30 giugno 1932 con il nome di Littoria (l'attuale denominazione risale al 1945), e inaugurata il 18 dicembre dello stesso anno, presenta una regolare struttura ottagonale con due piazze centrali, quella del Popolo e quella della Libertà, su cui si affacciano i principali edifici pubblici.
La prima pietra della nuova città, il cui progetto era curato secondo i canoni dell'architettura razionalista da Oriolo Frezzotti che le diede una struttura ottagonale, venne posta il 30 giugno del 1932, nel totale silenzio dei giornali italiani come aveva disposto lo stesso Mussolini, fortemente contrario al progetto. La stampa estera, al contrario, esaltò la costruzione di Littoria dedicando a essa ampi articoli. Il Duce cambiò idea e il 18 dicembre dello stesso anno partecipò alla solenne cerimonia d'inaugurazione. La nascita della nuova città fece il giro del mondo.
Popolata all'inizio esclusivamente da coloni veneti, accolse successivamente, grazie al suo rilevante sviluppo economico, numerosi contingenti di immigrati provenienti da altri comuni del Lazio meridionale. Lo sviluppo demografico fu rapidissimo. Nel 1936, cioè appena due anni dopo la costituzione della nuova provincia, contava già 19.654 abitanti, quasi raddoppiati alla data del primo censimento del dopoguerra (1951). L'immigrazione si intensificò ulteriormente negli anni Cinquanta e Sessanta, in conseguenza del grande sviluppo economico del comune, favorito dalla disponibilità di fertili aree pianeggianti e di energia elettrica, dalla vicinanza del grande mercato di consumo di Roma e da una serie di agevolazioni legislative, fra le quali principalmente l'inclusione del territorio provinciale nell'area di intervento della Cassa per il Mezzogiorno.
Attualmente Latina è un importante centro industriale, con numerose imprese operanti nei settori alimentare, metalmeccanico, chimico, tessile, dell'abbigliamento, dei materiali da costruzione, del vetro, del legno e del tabacco, ma anche un fiorente mercato dei prodotti agricoli (ortaggi, frutta, cereali e barbabietole) e zootecnici provenienti da un vasto e ricco comprensorio agricolo. Alla formazione del reddito contribuiscono infine le attività connesse con il turismo estivo, specialmente nella frequentata stazione balneare del Lido di Latina.
Littorina trae anch'essa il nome dal fascio littorio. Durante il Fascismo col nome di littorina furono chiamate le prime automotrici ferroviarie, un termine coniato forse nel 1932 per il fatto che Mussolini fece visita alla città di Littoria - oggi Latina - il giorno in cui venne fondata, il 30 giugno 1932, giungendovi su una ALn 56 (Automotrice Leggera a nafta) della fiat ferroviaria. Quel termine rimase poi nell’uso popolare, esteso a tutto il materiale rotabile leggero, anche a trazione elettrica. Le automotrici vennero inizialmente progettate e realizzate soprattutto per risolvere una serie di problemi che affliggevano l'esercizio delle linee secondarie: il bilancio economico sempre più deficitario nonché l'eccessiva lentezza dei treni composti di materiale ordinario e locomotiva a vapore nelle tratte con molte fermate, cose che li rendevano sempre meno competitivi rispetto al crescente traffico su strada. Come testimonierà fra poco Fernando Civardi, durante il Fascismo le littorine recavano il fascio littorio, poi abolito come avvenne per tutti gli edifici pubblici - e non solo pubblici - che avevano l'obbligo di adornarsene.
Un
salto nel passato
La Littorina di Fernando Civardi
25 gennaio 2010
Tra i miei ricordi legati al secondo periodo bellico mondiale, c’è anche quello della “Littorina”. La conobbi alla fine del 1942. Era l’anno d'inizio dei bombardamenti aerei su Milano, e come tanti altri milanesi anch’io con la mia mamma eravamo stati mandati dagli uomini della famiglia presso conoscenti a Gropello Cairoli, in Lomellina. “Almeno voi due che siete liberi da impegni di lavoro dovete scappare dalla città e andare dalla Teresina. Laggiù sarete certamente più al sicuro, qui invece piovono, e fino a chissà quando pioveranno, bombe dal cielo...”. Con la ferrovia andammo prima a Pavia e, cambiato convoglio, proseguimmo sulla linea Pavia-Mortara fino alla nostra destinazione prestabilita. Era un tipico paese agricolo, piantato nella pianura padana della zona delimitata dai due grandi fiumi Po e Ticino; tra pioppeti, filari di gelsi, risaie, coltivi di altri cereali e prati.
Non avevo impegni di lavoro ma, a quattordici anni, il proseguimento nel percorso d’istruzione mi obbligava a riprendere gli studi. La città più vicina era Pavia e fu lì che trovai la possibilità di iscrivermi al nuovo istituto. Cominciò così la mia avventura di pendolare: al mattino alle 6, andata con uno sferragliante convoglio trainato da una vaporiera sbuffante, e rientro per le 19 con lo stesso mezzo che era l’unico a percorrere quel tratto di ferrovia.
Fu in quel periodo che la conobbi. Era bionda, tutta d’un pezzo ma nello stesso tempo aggraziata. Stavamo sotto la stessa pensilina, io sul binario 4 e lei sul binario 5. La sua destinazione era verso Alessandria; tuttavia per un primo tratto i nostri percorsi sarebbero stati identici e solo oltre il Ticino le nostre strade si sarebbero divise.
Aveva un che di moderno, elegante e sbarazzino. Nel confronto con le sue simili risultava più minuta e agile. L’abito chiaro, color panna, la fasciava uniformemente; era priva di fronzoli, tranne che ostentava, peraltro con un certo garbo, due applicazioni una sul petto e una identica sul sedere che permettevano di riconoscerla sia che si muovesse verso di me, sia che se ne allontanasse. Evocava l’immagine bifronte di un Giano. Aveva una ricca e nera capigliatura che le usciva dal centro del capo e fluiva ai lati come una nuvola nerissima, il cui volume ben si adattava al suo aspetto, e prima di muoversi aveva l’abitudine di crearsi intorno un po’ di trambusto, emettendo una ‘fischiata’ inconfondibile. La vedevo, anzi la contemplavo ogni sera, se ne andava così come era venuta nella stessa direzione; ma in senso opposto, allontanandosi cinque minuti prima e lasciandomi dentro il vuoto della giornata che finisce.
Un giorno non la rividi, mi informai sul perché delle sua assenza e seppi, con dolore, che era stata intercettata, mitragliata e incendiata durante la sua corsa tra i prati da un cacciabombardiere: sul suo scheletro di automotrice a elevata velocità con motore diesel alimentato a nafta erano rimasti alle due estremità i distintivi fasci littori che le avevano dato il nome, e il cognome della sua casata fiat.