Lessico
Persio
Aulo
Persio Flacco
Aulus Persius Flaccus, poeta latino (Volterra 34 - Roma 62). Di ricca famiglia equestre, a dodici anni, dopo la prima istruzione in patria, giunse a Roma e studiò grammatica con Remmio Palemone e retorica con Virginio Flavo. Fu legato da amicizie al circolo stoico dell'età neroniana e allievo, dal 40 fino alla morte, del filosofo Anneo Cornuto, che venerò sempre moltissimo e che curò la pubblicazione postuma delle sue satire. Ne lasciò sei, che costituiscono, con un breve carme introduttivo in coliambi, un libellus di 650 esametri, satira contro i vizi del tempo ed esaltazione della virtù e della vita semplice.
Giovane dalla vita breve e aspra, dal carattere austero, Persio è poeta difficile, con scarse attrattive formali e di contenuto. La sua è una continua predicazione morale, con poche concessioni stilistiche, pochi abbandoni lirici, pochi squarci di descrizioni paesaggistiche. Lo svolgimento delle satire è a singhiozzo, con divagazioni e riprese, frasi brevi, discussioni, massime e richiami filosofici. Le metafore abbondano, le allusioni dotte s'incontrano con colloquialismi. Il linguaggio è anch'esso stentato e contorto. Abilissimo è però l'uso della metrica ed efficaci i suoni e le risonanze dei versi. Le caratteristiche della satira di Persio tanto più risaltano dal confronto con l'altro satirico latino, di pochi decenni a lui anteriore, Orazio, tutto pieno di umorismo e di indulgenza per gli uomini.
Aulo Persio Flacco
Aulo Persio Flacco (Volterra, 4 dicembre 34 – Roma, 24 novembre 62) è stato un poeta satirico latino di età imperiale aderente allo stoicismo. Il poeta nasce a Volterra (Pisa), in Etruria, da una famiglia piuttosto agiata, non di nobili origini, appartenente all'ordine equestre. All'età di dodici anni si trasferisce a Roma per seguire le lezioni di celebri maestri tra cui principalmente Quinto Remmio Palemone. Dopo soli quattro anni diviene allievo del filosofo stoico Lucio Anneo Cornuto, un liberto di Seneca, a cui si deve non solo l'impronta stoica nella futura formazione di Persio, ma gli offre anche l'occasione di conoscere intellettuali come Lucano, Seneca, Trasea Peto, Cesio Basso, i quali influiscono notevolmente sulla sua persona sotto ogni aspetto culturale.
Dal carattere piuttosto sensibile e riservato, con una buona dose di forte rigore morale, si dedica completamente ai suoi studi supportato dalla madre, dalla sorella e da una zia paterna, nella sua biblioteca contenente più di settecento volumi. Nel 62 dC muore presso una sua villa a La Spezia in seguito a una grave malattia che colpisce lo stomaco, all'età di 28 anni. La sua opera viene in seguito revisionata da Cesio Basso e Lucio Anneo Cornuto prima di essere pubblicata. Molte parti, ritenute pericolose a causa del carattere fortemente polemico verso la politica neroniana, sono state di conseguenza eliminate.
Del suo ampio corpus poco ci è giunto: scrisse sei satire su vari argomenti tra cui la vera religione, il conosci te stesso, l'avarizia, la libertà del sapiente, la funzione della poesia, la presunzione dei potenti. I coliambi (14 vv) hanno un vero e proprio valore programmatico: l’autore vi sostiene che il suo intento è quello di educare moralmente i suoi lettori, polemizza aspramente contro le mode letterarie del tempo, volte esclusivamente a scopo di piacere e intrattenimento, e rivendica orgogliosamente l’originalità della sua poesia e della sua ispirazione.
Nella prima satira ripudia la consuetudine delle declamationes (esecuzioni pubbliche in cui si faceva sfoggio della propria conoscenza letteraria fine a sé stessa). Nella seconda satira attacca le incoerenze dei religiosi che ripongono tutto nei loro Dei senza tentare essi stessi di liberarsi del male che li attanaglia. Nella terza satira propone la necessità di studi rigidi e severi perché possano essere formativi. Nella quarta satira sottolinea l'importanza di conoscersi secondo i principi stoici, e la futilità degli affari pubblici. Nella quinta satira riprende i precetti stoici e da suggerimenti sul come liberarsi delle passioni. Questo è uno dei tratti caratteristici di Persio, che nelle sue satire racchiude anche una funzione pedagogica. Essa si configura come un elogio al maestro Anneo Cornuto. Nella sesta satira afferma che la vera libertas non è un dato esteriore, proprio di un particolare ceto sociale o politico, bensì essa dipende dall'anima. Affermazione che richiama la frase di Seneca: « La libertà è affrancamento dalle passioni »
La satira di Persio si pone dunque come fustigazione del malcostume della società del suo tempo. Auspica un ritorno in sé e manifesta l'importanza di conoscere sé stessi, prima di intraprendere qualsiasi cosa e in particolare di criticare gli altri, cosa che i Romani di allora sanno fare fin troppo bene.
La lingua di Persio si definisce ordinaria e scabra. Ordinaria perché non ricerca stupefazioni stilistiche, scabra perché la iunctura acris produce una sonorità quasi fastidiosa. Questi aspetti verranno poi ripresi nel '900 dal poeta Eugenio Montale.
«
Tremuli schicchi di cicale dai calvi picchi »
(Eugenio Montale, Meriggiare pallido ed assorto, Ossi di seppia, 1925)
Il suo stile è spesso volutamente sentenzioso e oscuro pur usando parole del sermo humilis grazie alla iunctura acris, cioè l'accostamento insolito di termini per suscitare l'attenzione nel lettore. Tuttavia il suo stile non appare affatto sciatto. Persio adotta nella sua satira una voce misurata ma ben definita. Queste caratteristiche rendono i testi stilisticamente originali. Il suo è un realismo esasperato che mette in luce solo gli aspetti peggiori della società in cui vive, tende per certi versi al surrealismo. I suoi accostamenti oscuri, le sue metafore complesse, i suoi passaggi dal generale al particolare, lo hanno reso uno degli autori più difficili della latinità. Lo hanno inoltre anche accostato a uno stile barocco.
La triade chirurgica - Persio per definire il suo stile si serve di una metafora chirurgica. A suo parere il poeta con la poesia deve radere, defigere, revellere, vale a dire "raschiare via e incidere per asportare". Il suo intento morale è la critica dei costumi corrotti della società del suo tempo, infatti tramite la satira ci presenta individui deformati nel corpo e nell'anima.
Diversamente da Lucilio, che postulava un pubblico totale, il pubblico di Persio, come quello di Orazio, è selezionato, in quanto l'autore presuppone una cultura medio-alta. Si scorge anche una sorta di fastidio per il volgo e la persona comune. Si rivolge a un ceto che l'imperialismo ha messo in ombra e che cerca riscatto nello stoicismo.
Persius, in full Aulus Persius Flaccus (Volterra, 34-62), was a Roman poet and satirist of Etruscan origin. In his works, poems and satires, he shows a stoic wisdom and a strong criticism for the abuses of his contemporaries. His works, which became very popular in the Middle Ages, were published after his death by his friend and mentor the stoic philosopher Lucius Annaeus Cornutus.
According to the Life contained in the manuscripts, Persius was born into an equestrian family at Volterra (Volaterrae, in Latin), a small Etruscan city in the province of Pisa, of good stock on both parents' side. When six years old he lost his father; his stepfather died a few years later. At the age of twelve Persius came to Rome, where he was taught by Remmius Palaemon and the rhetor Verginius Flavus. During the next four years he developed friendships with the Stoic Lucius Annaeus Cornutus, the lyric poet Caesius Bassus, and the poet Lucan. Lucan would become a generous admirer of all Persius wrote. He also became close friends with Thrasea Paetus, the husband of Arria, a relative of Persius; over the next ten years Persius and Thrasea Paetus shared many travels together. Later, he met Seneca, but was not impressed by his genius.
In his boyhood, Persius wrote a tragedy dealing with an episode in Roman history, and another work, probably on travel (although this would have been before the travels with Thrasea Paetus). Reading the satires of Lucilius made Persius want to write like him, and he set to work on a book of his own satires. But he wrote seldom and slowly; a premature death (vitio stomachi) prevented him from completing the book. He has been described as having "a gentle disposition, girlish modesty and personal beauty", and is said to have lived a life of exemplary devotion towards his mother Fulvia Sisenna, his sister and his aunt. To his mother and sister he left his considerable fortune. Cornutus suppressed all his work except the satires, to which he made some slight alterations before handing it over to Bassus for editing. It proved an immediate success.
The scholia add a few details - on what authority is, as generally with such sources, very doubtful. The Life itself, though not free from the suspicion of interpolation and undoubtedly corrupt and disordered in places, is probably trustworthy. The manuscripts say it came from the commentary of Valerius Probus, no doubt a learned edition of Persius like those of Virgil and Horace by this same famous "grammarian" of Berytus, the poet's contemporary. The only case in which it seems to conflict with the Satires themselves is in its statement as to the death of Persius' father. The declaiming of a suasoria in his presence (Sat. 3.4 sqq.) implies a more mature age than that of six in the performer. But pater might here mean "stepfather," or Persius may have forgotten his own autobiography, may be simply reproducing one of his models. The mere fact that the Life and the Satires agree so closely does not of course prove the authenticity of the former. One of the points of harmony is, however, too subtle for us to believe that a forger evolved it from the works of Persius: the Life gives the impression of a "bookish" youth, who never strayed far from home and family. This is also the picture drawn by the Satires; many of the characters that Persius creates have the same names as characters found in Horace.
A keen observer of what occurs within his narrow horizon, Persius does not shy away from describing the seamy side of life (cf. e.g. such hints as Sat. iii.110); he shows, however, none of Juvenal's undue stress on unsavoury detail or Horace's easy-going acceptance of human weaknesses. Perhaps the sensitive, homebred nature of Persius can also be glimpsed in his frequent references to ridicule, whether of great men by street gamins or of the cultured by Philistines. Montaigne mentions Persius several times.
The chief interest of Persius' work lies in its relation to Roman satire, in its interpretation of Roman Stoicism, and in its use of the Latin tongue. The influence of Horace on Persius can, in spite of the silence of the Life, hardly have been less than that of Lucilius. Not only characters, as noted above, but whole phrases, thoughts and situations come direct from him. The resemblance only emphasizes the difference between the caricaturist of Stoicism and its preacher. Persius strikes the highest note that Roman satire reached; in earnestness and moral purpose he rises far superior to the political rancour or good natured persiflage of his predecessors and the rhetorical indignation of Juvenal. From him we learn how that philosophy could work on minds that still preserved the depth and purity of the old Roman gravitas. Some of the parallel passages in the works of Persius and Seneca are very close, and cannot be explained by assuming the use of a common source. Like Seneca, Persius censures the style of the day, and imitates it. Indeed in some of its worst failings, straining of expression, excess of detail, exaggeration, he outbids Seneca, whilst the obscurity, which makes his little book of not seven hundred lines so difficult to read and is in no way due to great depth of thought, compares poorly with the terse clearness of the Epistolae morales. A curious contrast to this tendency is presented by his free use of "popular" words. As of Plato, so of Persius we hear that he emulated Sophron; the authority is a late one (Lydus, De mag. I.41), but we can at least recognize in the scene that opens Sat. 3. kinship with such work as Theocritus' Adoniazusae and the Mimes of Herodas.
Persius' satires are composed in hexameters, except for the scazons of the short prologue above referred to, in which he half ironically asserts that he writes to earn his bread, not because he is inspired. The first satire censures the literary tastes of the day as a reflection of the decadence of the national morals. The theme of Seneca's 114th letter is similar. The description of the recitator and the literary twaddlers after dinner is vividly natural, but an interesting passage which cites specimens of smooth versification and the languishing style is greatly spoiled by the difficulty of appreciating the points involved and indeed of distributing the dialogue (a not uncommon crux in Persius). The remaining satires handle in order (2) the question as to what we may justly ask of the gods (cf. Plato's second Alcibiades), (3) the importance of having a definite aim in life, (4) the necessity of self-knowledge for public men (cf. Plato's first Alcibiades), (5) the Stoic doctrine of liberty (introduced by generous allusions to Cornutus' teaching), and (6) the proper use of money.
The Life tells us that the Satires were not left complete; some lines were taken (presumably by Cornutus or Bassus) from the end of the work so that it might be quasi finitus. This perhaps means that a sentence in which Persius had left a line imperfect, or a paragraph which he had not completed, had to be omitted. The same authority says that Cornutus definitely blacked out an offensive allusion to the emperor's literary taste, and that we owe to him the reading of the manuscripts in Sat. i.121,--"auriculas asini quis non (for Mida rex ) habet!" Traces of lack of revision are, however, still visible; cf. e.g. v.176 (sudden transition from ambition to superstition) and vi.37 (where criticism of Greek doctores has nothing to do with the context). The parallels to passages of Horace and Seneca are recorded in the commentaries: in view of what the Life says about Lucan, the verbal resemblance of Sat. iii.3 to Phars. x.163 is interesting. Examples of bold language or metaphor: i.25, rupto iecore exierit caprificus, 60, linguae quantum sitiat canis; iii.42, intus palleat, 81, silentia rodunt; v.92, ueteres auiae de pulmone reuello. Passages like iii.87, 100 sqq. show elaboration carried beyond the rules of good taste. "Popular" words: baro, cerdo, ebullire, glutto, lallare, mamma, muttire, obba, palpo, scloppus. Fine lines, etc., in i.116 sqq., ii.6 sqq., 61 sqq., 73 sqq., iii.39 sqq.
The manuscripts of Persius fall into two groups, one represented by two of the best of them, the other by that of Petrus Pithoeus, so important for the text of Juvenal. Since the publication of J. Bieger's de Persii cod. pith. recte aestimando (Berlin, 1890) the tendency has been to prefer the tradition of the latter. The first important editions were: with explanatory notes: Isaac Casaubon (Paris, 1605, enlarged edition by Johann Friedrich Dübner, Leipzig, 1833); Otto Jahn (with the scholia and valuable prolegomena, Leipzig, 1843); John Conington (with translation; 3rd ed., Oxford, 1893), etc; but there are several modern editions.