Lessico


Paninari e Squinzie

Kir- kar- kur e Atahualpa si aggiornano

Il gallo dei Paninari

Negli anni '80 era in voga uno stile di vita tra i giovani – abbigliamento nonché modo di apparire sotto il profilo esistenziale – per cui essi venivano chiamati Paninari, essendo anche l'epoca dei primi fast food in Italia. Per il paninaro un gallo era colui che aveva successo con le donne, nelle contese agonistiche e più in generale nella vita. Non necessariamente acculturato o intelligente, il paninaro partoriva comunque agli occhi dei suoi confratelli le scelte migliori, dette gallate. Tra i capi d'abbigliamento preferiti vi era il piumino invernale della ditta francese Moncler che aveva come stemma un gallo tricolore stilizzato che si deliziava dei colori della bandiera francese. - Questo aggiornamento iconografico e storico di kir-kar-kur lo dobbiamo ad Alfredo Colella, futuro discepolo di Esculapio (domenica 25 marzo 2007).

Con il termine paninaro si identifica una sottocultura giovanile nata a Milano nei primissimi anni ottanta e diffusasi in seguito in tutta Italia e in alcuni Paesi europei. Tra le caratteristiche di questa sottocultura vi erano l'ossessione per la griffe nell'abbigliamento e in ogni aspetto della vita quotidiana, il rifiuto della politica e l'adesione a uno stile di vita fondato sul consumo, il divertimento ad ogni costo e la spensieratezza. Per i primi anni fu una sottocultura totalmente apolitica, vero punto di rottura con i super-politicizzati anni settanta. Solo a metà degli anni ottanta una pseudo ideologia di estrema destra e neofascista si fece strada nella sottocultura dei paninari.

Storia del movimento paninaro

Il movimento paninaro nacque e fu piena espressione dell'ondata di riflusso e disimpegno che seguì i turbolenti e politicizzati anni settanta. Lo stile di vita dei paninari rifiutava di occuparsi degli aspetti angoscianti dell'esistenza e, più in generale, di ogni forma di impegno sociale: l'obiettivo primario dei paninari era godersi la vita senza troppe preoccupazioni e in tal senso si trovavano perfettamente a loro agio nell'adeguarsi ai modelli del cinema americano di consumo e ai consigli degli spot pubblicitari.

La moda paninara nacque tra il 1982 e il 1983 in alcuni licei privati di Milano (Oppenheimer, Gonzaga, Studium, Leone XIII) con una base di nemmeno un centinaio di giovani che avevano in comune le vacanze estive in Liguria (Santa Margherita Ligure, Rapallo, Camogli) e quelle invernali a Madonna di Campiglio o Courmayeur. Questo gruppo iniziò a vestirsi in modo simile acquistando nei negozi del centro cittadino capi di abbigliamento di origine statunitense e iniziò a ritrovarsi i pomeriggi nel centro di Milano nella zona di Piazza Liberty dove si trova il bar Al Panino, che fornì il nome al movimento.

Piazza San Babila, luogo che storicamente radunava i giovani della borghesia di destra e dove sorse il primo ristorante della catena Burghy (acquisita negli anni novanta dalla McDonald's), diverrà solo un paio di anni dopo luogo di ritrovo dei paninari che arrivano dalle periferie e dalla provincia, spinti lì dai primi articoli di giornale che associarono i paninari ai sanbabilini degli anni settanta. I primi seguaci di questa moda furono i figli delle classi più agiate della borghesia milanese, ma tra il 1984 e il 1985 la moda dilagò in tutta Milano e anche in tutta la Lombardia e zone limitrofe, coinvolgendo decine di migliaia di giovani. Con il dilagare della moda si formarono dozzine di compagnie differenti, ciascuna dotata di una propria "base" costituita da un bar e da un relativo territorio nel quartiere. Alcune delle compagnie più grandi superavano il centinaio di appartenenti. Il sabato pomeriggio e la sera erano il luogo deputato al ritrovo in massa con successivo trasferimento in una delle discoteche che ben si prestavano a sfruttare questo fenomeno. Ciascuna compagnia era conosciuta con un nome che faceva riferimento o al bar dove si radunava o alla via ove era sito tale bar. Le compagnie più numerose e importanti erano conosciute anche e soprattutto per i propri "capi", giovani ragazzi (raramente sopra i 22-23 anni) noti per i modi di fare violenti o per una fama sinistra che li circondava. I capi erano quasi sempre erano conosciuti attraverso il proprio nome associato ad un soprannome.

Le discoteche aprivano e chiudevano in pochi mesi e altrettanto rapidamente erano di moda o diventavano "out". Tra le tante si possono ricordare: Shocking Club (uno dei pochi che esisteva prima ed esiste ancor'oggi), Le Cinema, Central Park, Merry Go-Round, Nephenta, Linea Club.

Altri luoghi di ritrovo erano le palestre (tra cui la Palestra Doria, molto rinomata) e i centri abbronzatura.

A metà degli anni ottanta molti paninari di Milano ebbero una svolta politica, avvicinandosi alla destra, esibendo simboli fascisti e neofascisti. Il frequentare luoghi come la Palestra Doria - famosa per essere un luogo di estrema destra - e la giovanissima età portarono quindi ad avere un fenomeno di estrema destra in tutta la città. A esso si contrapposero immediatamente altri gruppi giovanili come i cosiddetti China (anche detti "cinesi"), che si rifacevano all'estrema sinistra, eredi delle mode degli anni settanta. Il diverso stile di vita, la costante esibizione di abiti firmati - vista come un adesione al modello consumista - e le idee politiche del tutto antitetiche portarono i paninari a essere osteggiati da tutti i gruppi giovanili di Milano di quegli anni quali Punk, Metallari, Dark e Rockabilly. Innumerevoli casi di violenza, rapine, pestaggi avvennero nella metà degli anni ottanta, soprattutto all'uscita dai licei e fuori dalle discoteche.

Dato tuttavia il carattere disimpegnato della compagine giovanile anni '80, nonché un'ignoranza diffusa su qualsiasi argomento di natura politica, la caratterizzazione destrorsa dei paninari era puramente di facciata, così come quella opposta delle altre frange giovanili. Gli episodi di cronaca scaturivano da pura rivalità tra gruppi che non da una vera contrapposizione ideologica. Nota infatti la spartizione territoriale attorno alla chiesa milanese di Santa Croce, con l'omonima piazza, tempio paninaro, e la retrostante Piazza Vetra, relegata agli antagonisti.

Lo stile si diffuse al di fuori della Lombardia e delle zone direttamente confinanti, mescolandosi a tendenze comunque già in atto in altre città. A Bologna: per esempio, già da tempo si chiamavano zanarini i gruppi di ragazzi - omologhi dei paninari milanesi - che si ritrovavano regolarmente in centro al bar Zanarini, poco distante dal palazzo dell'Archiginnasio mentre a Roma vi erano i tozzi.

Questi ultimi, dal look austero, piumone Ciesse, zucchetto "watchcap", pantaloni jeans "501", camicia dello stesso tessuto (tutti rigorosamente blu scuro) accompagnati dalla cintura da mandriano dalla vistosa fibbia, scarponcini da boscaiolo e caratteristico incedere con le punte allargate, sembravano l'antitesi della ricercatezza degli amici milanesi. Come l'aggettivo inglese tough, il termine "tozzo" dava l'idea di prestante, gagliardo ma anche di rozzo. L'abbigliamento di molti "tozzi" ricordava quello dei detenuti americani.

Dopo circa quattro anni dalla sua nascita, per merito della pubblicazione di alcuni fumetti dedicati ai paninari e del personaggio interpretato da Enzo Braschi in Drive In, vengono conosciuti a livello nazionale. Nel 1986 i Pet Shop Boys, a seguito di una visita nel centro di Milano, incisero il singolo Paninaro, che permise alla moda di valicare i confini nazionali. I protagonisti del videoclip, girato a Milano, erano alcuni ragazzi perfettamente vestiti secondo i dettami del movimento paninaro.

Una moda interamente fondata sul consumo era destinata a divenire ben presto oggetto di sfruttamento da parte del mercato: nel giro di pochi mesi fiorirono le riviste dedicate ai paninari (tra di esse "Il Paninaro", capace di vendere per un periodo più di 100.000 copie a numero, "Wild Boys", "Zippo Panino", "Il Cucador", "Preppy" e "Sfitty" - queste ultime dedicate alle ragazze) e il mondo della moda si gettò su questi adolescenti creando ad hoc linee firmate. Accanto a esse nacquero anche una serie di marche che plagiavano le firme più in voga nel mondo dei paninari, anche se chi ne faceva uso, solitamente per motivi economici, veniva immediatamente bollato dai "paninari doc" come gino o truzzo.

La moda paninara si spense a Milano tra il 1987 e il 1988 e un paio di anni più tardi nel resto dell'Italia, sostituita da altre sottoculture che riflettevano la fine di un decennio consumato all'insegna dell'ottimismo. Ma più in generale si può ben dire che la moda dei paninari è stata una moda prettamente legata ai giovanissimi delle scuole inferiori e delle scuole superiori. Perlomeno a Milano i paninari erano quasi totalmente assenti nelle università. Una moda nata nei licei e che lì è morta.

Dai primi anni del 2000 a Milano sono sempre più frequenti le feste nelle discoteche a tema "paninaro", dove i frequentatori sono ultratrentenni e quarantenni, ex-paninari che vengono esortati a presentarsi con indumenti della moda dell'epoca, tolti dalla naftalina. La musica ballata è ovviamente un revival anni ottanta. Queste feste hanno un costante ed enorme successo in tutta la città e stanno iniziando ad avere una diffusione anche nel resto della Lombardia.

Slang paninaro

Il parlato degli strinxxx è modellato sul linguaggio giovanile dei giovani milanesi dei primi anni ottanta. Sono frequenti le abbreviazioni (es. Le Timba, Faccio il week a Curma, La squinzia ha imposto il cappuccio) e i vezzeggiativi (es. Panozzo), così come i continui ricorsi, spesso maccheronici, all'inglese (es. Una sfitinzia arrapation, Very original, Il mio boy, Arrivano i Ciàina) o ad altre lingue (I sapiens, Mi gusti mucho).

Bisogna però aggiungere che il cosiddetto "linguaggio dei paninari" è stato spesso profondamente influenzato dalle invenzioni degli autori delle riviste paninare e dal personaggio di Enzo Braschi, che veniva ritenuto (a torto) un "ideologo" del movimento. Nella realtà ben pochi utilizzavano quello slang.

Oggetti paninari

Il paninaro coltivava una maniacale attenzione per il proprio look, rigorosamente di marca. L'abbigliamento del paninaro prevedeva giacconi imbottiti (es. Moncler), stivali da cow-boy (es. Fry o Durango), jeans (es. Levis , Stone Island o Armani), felpe (es. Best Company), maglioni (es. Marina Yachting), cinture di pelle (es. El Charro), camicie a quadri (es. Naj Oleari), calzini decorati a rombi della Burlington e scarponcini (es. Timberland). Alcune marche di moto erano solitamente collegate al mondo dei paninari: ad esempio i motocicli Zündapp 175 o i primi enduro della Honda e della Yamaha come il Parigi-Dakar.

La moda dei paninari nasce in ogni caso partendo dal fondo. Il primo indumento comune ai primi paninari furono gli scarponcini di lavoro color arancione della Timberland, seguiti poi dal giubbotto da aviatore "bomber", poi dal giubbotto di jeans foderato di finto pelo all'intero della Levis, dal Moncler, da altri tre tipi di giubbotti da aviatore (Scott, bomber canadese e Raff), dalla giacca da vela Henri Lloyd. Per circa tre anni impazzarono anche le toppe sui jeans della Naj Oleari, così come le sue borse e parecchi accessori per le ragazze. Il negozio di El Charro in via Monte Napoleone divenne una sorta di paradiso degli acquisti, importando dozzine di indumenti in stile texano. Altri negozi di riferimento erano Di Segni e Conforti.

Ma il vero feticcio dei paninari era il cibo fast food, consumato presso alcune catene di ristoranti che proprio in quegli anni iniziano a diffondersi in tutta Italia. A Roma, ad esempio, la nascita del primo ristorante McDonald's (nel 1986, a Piazza di Spagna) fu un evento memorabile per i paninari della capitale. A Milano al contrario la maggior parte delle varie compagnie di paninari si ritrovavano in normali bar sparsi in tutta la città e le decine di fast-food di Burghy (a eccezione di quello di Piazza San Babila e di Corso Vittorio Emanuele), Wendy, Burgher King non erano perlopiù frequentati dagli appartenenti a questa sottocultura giovanile.

Musica paninara

Quella dei paninari è stata la prima sottocultura italiana a poter eleggere i propri idoli musicali attraverso la televisione. La rete televisiva Videomusic e il programma di Italia Uno Deejay Television diffondevano i videoclip di alcuni gruppi e solisti pop, in gran parte britannici, su cui conversero i gusti dei paninari italiani: sorse, ad esempio, un'agguerrita competizione tra i fan dei Duran Duran e degli Spandau Ballet. Tra gli altri musicisti preferiti dai paninari c'erano gli Wham!, i Simple Minds, i Frankie Goes to Hollywood, Boy George e naturalmente i Pet Shop Boys. Il paninaro, solitamente, non amava la musica italiana. Jovanotti era il più detestato dei cantanti italiani.

Cinema paninaro

I gusti cinematografici dei paninari si orientavano sui film blockbuster americani: erano molto apprezzate, ad esempio, le saghe di Rocky, Rambo e il romantico azione Top Gun. Nel 1986 venne girato un film tratto da un libro dell'adolescente milanese Clizia Gurrado dal titolo Sposerò Simon Le Bon, che descriveva gli sforzi della protagonista (che vive nel periodo di massima esplosione del movimento paninaro) per incontrare il suo idolo Simon Le Bon.

Donna Quinzia
e sua figlia
qui e altrove detta squinzia

Squinzia: "La categoria femminile più diffusa del momento. Hanno tutte un imprinting, quello televisivo degli show della seconda serata, vestiti, toni di voce, lunghezze, cortezze e tacco a spillo: nella squinzia tutto è esagerato. La squinzia è quella che vorrebbe beccare di più e becca di meno, è l'eterna tacchinata e mai presa." (Lina Sotis)

Ci sono espressioni, familiari a tutti noi sin dall'infanzia, ma molti triestini giudicherebbero una mancanza di riguardo lasciarsele sfuggire discorrendo con un «foresto». Parolacce? Niente affatto: semplicemente termini creduti autoctoni al cento per cento e, come tali, incomprensibili a chi non sia nato da queste parti. Convinzione non infondata, dato che vocaboli del genere trovano ampia ospitalità e accurato corredo di chiose in tutti i dizionari del nostro dialetto, ma verrebbero cercati invano in quelli della lingua italiana, a cominciare dal Tommaseo.

È il caso, per esempio, di «squinzia», parola verosimilmente non ignota alla malizia del Gran Dalmata, così come fu ben conosciuta da Italo Svevo, il quale, ritenendola anch'egli estranea al linguaggio letterario, si limita a inserirla in un proprio testo dialettale citato nel ventesimo volume del Dizionario Battaglia: «Go giusto mi bisogno dei tuoi sugerimenti, Siora Squinzia...» la cui triestinità è, peraltro, inquinata sia dal «tuoi», in luogo di «tui» (dovuta, forse, a un errore di stampa), sia dai «sugerimenti» che, seppur scritti con una sola «gi», suonano assai poco vernacoli.

La presenza di «squinzia» nel monumentale Battaglia non certifica ancora l'inclusione ufficiale di questa parola nel patrimonio linguistico comune a tutti gl'italiani, in quanto viene lasciata nel limbo dei vocaboli seguiti dall'avvertenza «regionale».

La regione in cui la si confina non è tuttavia soltanto la nostra, ma un'«area centro-settentrionale» ben più vasta che va dal Lombardo-Veneto al Lazio, tanto da far registrare squinzie, squinziette, squinziate, nonché il maschile «squinzio» firmati da Goldoni, Buzzati e Arbasino. Da ricordare altresì una commedia del Seicento di Carlo Maria Maggi, fustigatore dell'«affettazione linguistica e del leziosismo in genere», intitolata a tal «Donna Quinzia», dalla quale taluni fanno discendere la definizione di «donna svenevole, smorfiosa, volubile» e persino «di malaffare».

Così in passato. Oggi per squinzia s'intende soprattutto colei che si comporta con alterigia, ostentando diffidenza, disprezzo per il prossimo e cronica incontentabilità. L'epiteto sarebbe anche entrato «nel linguaggio giovanile» e pare lo si usi per gli approcci con le ragazze. Anche a Trieste? Non risulta. A parte «Donna Quinzia» che, così a occhio, non sembra la madre etimologica ma piuttosto la figlia della squinzia, la parola viene ragionevolmente fatta derivare da «squincio» o «sguincio», vale a dire «traversa, sbieco, obliquità», donde «donna che storce il viso in una smorfia». (Da segnalare inoltre «mettersi in squinci e squindi» per darsi arie).

Un'altra parola sulla cui appartenenza esclusiva al dialetto più d'un triestino metterebbe la mano sul fuoco, ma che si trova in tutti i vocabolari dell'italiano letterario, è «pittima», cioè «molestia più o meno affannosa; uomo troppo attaccato al denaro; noioso che non vuole mai spiccicarsi d'attorno». Così il Fanfani del 1894. Stesso significato anche a Trieste, Istria e Dalmazia per la «pitima» con una sola «ti», che viene dal greco «epithema», empiastro, cataplasma, tuttora sinonimi di persona dalla quale è arduo staccarsi. A buon intenditor...

Il Piccolo di Trieste
14 Dicembre 2002