Lessico


Saraceni

Pare che in origine fosse il nome di una popolazione (in greco Sarakën, Saraceni in latino) stanziata sulle coste del golfo di Aqaba (insenatura del Mar Rosso settentrionale, prolungamento della fossa giordana) nella parte meridionale della penisola del Sinai. Meno probabile l’altra etimologia, dall’arabo šarqī, orientale.

Negli scritti della tarda antichità e del Medioevo il nome venne esteso a designare l’intera stirpe degli Arabi nomadi e in genere i Musulmani, specialmente quelli stanziati sulle coste del Mediterraneo centro-orientale, in Spagna e in Sicilia.

Per i Romani i Saraceni abitavano l’Arabia felix o Arabia Petrea, antica regione dell'Asia sud-occidentale comprendente la penisola del Sinai e i territori situati a est del Giordano e del Mar Morto (odierna Giordania) sino alla Siria meridionale, così chiamata dalla città di Petra.

L’Arabia Petrea formava il Regno dei Nabatei prima che Traiano la costituisse in provincia romana (106 dC). Trasse floridezza dai traffici che si svolgevano lungo la via che collegava il Mediterraneo all'Oriente: infatti, i numerosi ritrovamenti testimoniano una floridezza mai più raggiunta.

Petra

In greco Pétra, in arabo Al-Batra: antica città della Giordania, le cui rovine si trovano nei pressi dell'attuale centro di Wadi Musa. Sede di popolamento già nell'Età del Ferro (sec. XII-X aC) fu poi territorio edomita finché i Nabatei (sec. IV), a opera di un mitico re Rekemos, vi fondarono la città – loro capitale – che gli indigeni pare chiamassero Rekeme. La penetrazione dell'ellenismo a Petra avvenne a opera dei Tolomei che monopolizzarono il ricco commercio carovaniero dei Nabatei. Alla caduta del regno nabateo, Petra fu incorporata (106 dC) nella provincia romana d'Arabia. Nel sec. IV fu sede vescovile ma, abbandonata dopo la conquista araba come centro carovaniero, la città cadde rapidamente in rovina. Rimase dimenticata sino alla prima metà del sec. XIX e i primi scavi sistematici iniziarono nel 1929. La città è famosa per la sua architettura rupestre, con edifici e tombe scavati nella roccia e caratterizzati da facciate monumentali. I luoghi cultuali erano all'aperto. La città romana, di cui restano ampie rovine, si estese nella zona pianeggiante, organizzata secondo il tipico impianto regolare a vie ortogonali.

Arabia felix
e la regina di Saba

Un’altra regione araba ricevette il nome di Arabia felix, ma si trova alquanto distante da quella dei Saraceni. Si tratta dello Yemen, terra di popolamento assai antico: fu sede di floridi regni, tra cui il favoloso regno di Saba che ebbe rapporti con il mondo egizio, e fu a lungo considerato come l'Arabia Felix, terra che dava prodotti rari e abbondanti. In un mappamondo del 1511 di Bernardo Silvano da Eboli praticamente tutta la penisola arabica viene indicata col nome di Arabia Felix.

Salomone e la regina di Saba – 1465
Chiesa di San Francesco - Arezzo
Piero della Francesca
(Borgo San Sepolcro, Arezzo 1412 ca. - 1492)

La regina di Saba - Mitica regina (per gli Arabi, Balkis; per gli Etiopi, Maqeda) dello Stato di Saba (Yemen meridionale), protagonista di episodi narrati dalla Bibbia e dal Corano. I due libri sacri non riportano il nome della regina ma narrano di un suo viaggio alla corte di re Salomone (m. 930 aC). Prima di passare dalla Bibbia al Corano, la leggenda aveva subito varie elaborazioni giudaico-cristiane tra il sec. I e il VI dC, nelle quali Saba era divenuta una località etiopica e la regina era detta “regina d'Etiopia”. Quando, intorno al 1270, una dinastia scioana assunse il potere su tutta l'Etiopia, essa si proclamò di origine salomonide, cioè discendente da Menelik I, figlio avuto dalla regina d'Etiopia nel suo incontro con Salomone. La leggenda, che ha dato alla regina il nome di Maqeda e come suo luogo di origine una Saba di Etiopia (taluno ha creduto di individuare tale Saba in un centro nei pressi di Aksum), fu forse diffusa da elementi ebraici trasferitisi in Etiopia (gli antenati degli odierni Falascià?) o rielaborata sulla base delle tradizioni tramandate da coloro che avevano partecipato alla spedizione del regno di Aksum in Arabia nel sec. VI dC. Essa appare riprodotta nel celebre libro La gloria dei Re (Kebra Negast) del sec. XIV che riferisce altresì che Menelik, una volta divenuto giovanetto, si era recato dal padre ed era rientrato in Etiopia con una schiera di nobili e sacerdoti, portando seco l'Arca dell'Alleanza. La leggenda sta a significare che gli Etiopi erano divenuti di religione ebraica e quindi avevano abbandonato il paganesimo dieci secoli prima di altre popolazioni divenute poi cristiane.