Lessico
Simmaco
Quintus Aurelius Symmachus
Simmaco, in latino Quintus Aurelius Symmachus: uomo politico e oratore romano (ca. 340 - dopo il 402). Della nobile gens Aurelia, difensore della tradizione romana e del paganesimo, occupò alte cariche nell'Impero: praefectus urbis nel 384-385, console nel 391. Nel 383, come membro del Senato, fece una petizione all'imperatore Valentiniano II, la Relatio de ara Victoriae, perché fosse ricollocato nella curia l'altare della dea Vittoria. Ma il suo tentativo riuscì vano per l'intervento di Sant'Ambrogio. Dei suoi molti discorsi e panegirici non rimangono che frammenti di otto orazioni dai quali traspare il gusto ampolloso dei retori gallici al quale Simmaco era stato educato. Ricchissimo l'epistolario, raccolto in 10 libri, dopo la sua morte, dal figlio Quinto Fabio Memmio Simmaco. Seguendo il modello dell'epistolario di Plinio il Giovane, i primi nove libri contengono le lettere private, il decimo quelle ufficiali, tra cui le 49 relationes inviate da Simmaco nella qualità di praefectus urbis all'imperatore.
Simmaco
Quinto Aurelio Simmaco (in latino Quintus Aurelius Symmachus; 320 circa - 402/403) fu un senatore, console e poi praefectus urbis pagano del tardo Impero romano. È considerato il più importante oratore in lingua latina della sua epoca, paragonato dai contemporanei a Cicerone; la sua famosa relazione sulla controversia riguardante l'altare della Vittoria fu però fallimentare, e il suo coinvolgimento con un usurpatore e la sua opposizione all'imperatore cristiano Teodosio I lo obbligarono ad allontanarsi dalla vita politica. Negli ultimi anni della sua vita si dedicò alla filologia, disciplina che si può considerare fondata da lui. Tra il 365 e il 402 fu al centro di una corposa rete di scambi epistolari, che permettono di formare un ritratto insolitamente ricco per un personaggio non-cristiano della fine del IV secolo.
Simmaco apparteneva ad una nobile famiglia romana di rango senatoriale che aveva raggiunto la prominenza sotto Costantino I. Il padre era Lucio Aurelio Avianio Simmaco, praefectus urbis di Roma nel 364-365 e console designato per il 377 (ruolo che però non ricoprì). La famiglia dei Symmachi aveva rapporti stretti con i Nicomachi, altra famiglia nobile e influente; Simmaco strinse un rapporto d'amicizia con Virio Nicomaco Flaviano. Sposò, non oltre il 371, Rusticiana, da cui ebbe Quinto Fabio Memmio Simmaco; la figlia, invece, sposò nel 393 il figlio di Flaviano, e in questa occasione fu probabilmente prodotto il dittico di Simmaco-Nicomaco. Il suo bisnipote fu Quinto Aurelio Memmio Simmaco, autore di una Storia romana andata perduta e padre adottivo del filosofo Boezio. Tra i suoi discendenti, dopo l'unione con la gens Anicia, vi fu anche papa Gregorio I. La famiglia dei Symmachi era molto potente e ricca; tra i suoi possedimenti erano tre dimore a Roma e una a Capua e quindici ville suburbane, tre delle quali a Roma.
Fu educato in Gallia e fu amico di Decimo Magno Ausonio, oltre a essere un buon conoscitore della letteratura greca e della letteratura latina. Nel suo cursus honorum ricoprì importanti cariche tra cui: proconsole d'Africa nel 373, praefectus urbis dal 383 al 385, fino a diventare console nel 391.
In qualità di prefetto dell'urbe scrisse molti rapporti, o relationes, il più conosciuto dei quali è quello rivolto all'imperatore Valentiniano II nel 384 in cui si schiera a favore del mantenimento dell'antica Religione romana nelle cerimonie ufficiali dello Stato. L'occasione fu data dalla polemica sorta in occasione della rimozione dell'altare della Vittoria dalla curia del Senato romano, voluta dai senatori cristiani. I senatori pagani vi rendevano infatti omaggio, considerandola come simbolo della romanità e della sovranità dello stato, più che come divinità. I senatori cristiani, offesi da questo comportamento, ottennero nel 382 dall'imperatore Graziano la sua rimozione, anche grazie all'intervento del vescovo di Milano Ambrogio. Morto Graziano, il senato di Roma inviò a Milano una delegazione al suo successore Valentiniano II. In questo contesto si sviluppò la polemica tra Simmaco e Ambrogio: Simmaco si fece portatore di una concezione ispirata al pluralismo e alla tolleranza religiosa che egli riassunse nelle parole: « Dobbiamo riconoscere che tutti i culti hanno un unico fondamento. Tutti contemplano le stesse stelle, un solo cielo ci è comune, un solo universo ci circonda. Che importa se ognuno cerca la verità a suo modo? Non si può seguire una sola strada per raggiungere un mistero così grande. » (Quinto Aurelio Simmaco, Relatio de ara Victoriae)
Ambrogio, convinto assertore della superiorità del Cristianesimo su ogni altra religione, riteneva che solo il Dio dei cristiani fosse il vero Dio, ipse enim solus verus est deus: da tale posizione discendeva l'illegittimità di qualsiasi forma di culto o religione che non fosse quella cristiana. Valentiniano II diede ragione ad Ambrogio e l'ara della Vittoria non venne ripristinata nella curia.
Delle
sue opere sono pervenuti:
l'epistolario, in dieci libri, il primo contenente lettere ufficiali e gli
altri nove lettere private;
tre panegirici rivolti agli imperatori Valentiniano I e a suo figlio Graziano;
cinque orazioni;
49 relationes.
Quintus Aurelius Symmachus (c. 340 – c. 405), was a Roman statesman, orator, and writer of letters. He held the offices of governor of Africa in 373, urban prefect of Rome in 384 and 385, and consul in 391. Symmachus sought to preserve the traditional religions of Rome at a time when the aristocracy was converting to Christianity, and led an unsuccessful delegation of protest against Gratian, when he ordered the Altar of Victory removed from the Roman Forum. Two years later he made a famous appeal to Gratian's successor, Valentinian II, in a dispatch that was rebutted by Ambrose, the bishop of Milan. Symmachus's career was temporarily derailed when he supported the short-lived usurper Magnus Maximus, but he soon recovered and was granted the consulship. Much of his writing has survived: nine books of letters; a collection of Relationes or official dispatches; and fragments of various orations.
Symmachus was the son of a prominent father, Lucius Aurelius Avianius Symmachus, in the patrician gens Aurelia. He was educated in Gaul, apparently at Bourdeaux or Toulouse. In early life he became devoted to literature. Having discharged the functions of quaestor and praetor, he was appointed in 365 Corrector of Lucania and the Bruttii; in 373 he was proconsul of Africa, and became, probably about the same time, a member of the pontifical college. As a representative of the political cursus honorum, Symmachus sought to preserve the ancient religion of Rome at a time when the senatorial aristocracy was converting to Christianity.
In 382, the Emperor Gratian, a Christian, ordered the Altar of Victory removed from the Curia, the Roman Senate house in the Forum, and curtailed the sums annually allowed for the maintenance of the Vestal Virgins, and for the public celebration of sacred rites. Symmachus was chosen by the Senate on account of his eloquence to lead a delegation of protest, which the emperor refused to receive. Two years later, Gratian was assassinated in Lugdunum, and Symmachus, now urban prefect of Rome, addressed an elaborate epistle to Gratian's successor, Valentinian II, in a famous dispatch that was rebutted by Ambrose, the bishop of Milan. In an age when all religious communities credited the divine power with direct involvement in human affairs, Symmachus argues that the removal of the altar had caused a famine and its restoration would be beneficial in other ways. Subtly he pleads for tolerance for traditional cult practices and beliefs that Christianity was poised to suppress in the Theodosian edicts of 391.
It was natural for Symmachus to sympathise with Magnus Maximus who had defeated Gratian. When Maximus was threatening to invade Italy in 387, his cause was openly advocated by Symmachus, who upon the arrival of Theodosius I was impeached of treason, and forced to take refuge in a sanctuary. Having been pardoned through the intervention of numerous and powerful friends he expressed his sorry and gratitude in an apologetic address to Theodosius, by whom he was not only forgiven, but was received into favour and elevated to the consulship in 391, and during the remainder of his life he appears to have taken an active part in public affairs. The date of his death is unknown, but one of his letters was written as late as 402.
His leisure hours were devoted exclusively to literary pursuits, as is evident from the numerous allusions in his letters to the studies in which he was engaged. His friendship with Ausonius and other distinguished authors of the era proves that he delighted in associating and corresponding with the learned. His wealth must have been prodigious, for in addition to his town mansion on the Caelian Hill, and several houses in the city which he lent to his friends, he possessed upwards of a dozen villas in Italy, many detached farms, together with estates in Sicily and Mauritania.
Of his many writings, the following have survived:
Nine books of letters, published by his son. Many of the letters are notes extending to a few lines only, addressed to a wide circle of relations, friends, and acquaintances. They relate for the most part to matters of little importance. The most famous letter is the most highly finished and important piece in the collection, the celebrated epistle to "Valentinian, Theodosius, and Arcadius" entreating them to restore the Altar of Victory to its ancient position in the senate house.
A
collection of Relationes or official dispatches, which is chiefly composed of
the letters written by him when prefect of Rome to the emperors under whom he
served.
Panegyrics, written in his youth, two on Valentinian I and one on the youthful
Gratian.
Fragments of various orations, discovered by Angelo Mai in palimpsests in the Ambrosian library and the Vatican.
He also engaged in the preparation of an edition of Livy's Ab Urbe Condita. This edition is the source of a series of subscriptions with his name found in some of the surviving texts of the first Decade — and is thought to be the ancestor of one manuscript tradition of Livy's text.
His style was widely admired in his own time and into the early Middle Ages, but modern scholars have been frustrated by the lack of solid information about the events of his times to be found in these writings. As a consequence, little of his work has been translated into English.