Lessico
Livio
Tito Livio
da Veterum illustrium philosophorum etc. imagines
(1685)
di Giovanni Pietro Bellori (Roma 1613-1696)
Titus Livius, storico romano (Padova 59 aC - forse Padova 17 dC). Poco si sa della sua vita: a Roma, dove si recò da giovane e dove passò la maggior parte della sua vita, entrò nel circolo letterario imperiale, apprezzato da Augusto nonostante i suoi sentimenti repubblicani. La sua storia di Roma (Ab urbe condita), iniziata intorno al 27 aC e rimasta interrotta dalla morte al libro 142, narra, secondo gli schemi annalistici, gli avvenimenti dalla fondazione della città alla morte del generale Druso o Druso Maggiore o Claudius Drusus Nero (9 aC).
L'opera è andata in gran parte perduta: ci rimangono per intero i libri dal I al X e dal XXI al XLV, oltre a numerosi frammenti, ma si può ricostruirne il contenuto attraverso i compendi delle Periochae o sommari, e degli epitomatori (Vibio Massimo, Granio Licinio, Floro, Eutropio, ecc.) e i numerosi estratti.
La prima epitome di Livio sembra risalire ai tempi di Marziale (ca. 40-ca. 104) e le Periochae furono compilate nel III-IV secolo dC. All’opera di Livio attinsero molto largamente parecchi scrittori, tra cui possiamo citare Valerio Massimo e Giulio Ossequente. Fonti storiche di Livio sono, per il periodo più antico, soprattutto gli annalisti; per le guerre puniche, Celio Antipatro e Polibio; ancora Polibio fino al XLV libro e più tardi Posidonio, Sisenna, Cesare e gli archivi imperiali.
Secondo l'usanza del tempo, l'autore non cita però le sue fonti se non in caso di discordanze, e si limita a elaborarle letterariamente e ad adattarle non sempre correttamente. Se a questo si aggiunge la scarsa conoscenza delle istituzioni romane, dell'arte militare e delle condizioni dell'Oriente si avrà una conferma del metodo prevalentemente letterario con cui Livio affronta la storia. Suo scopo era quello di fornire a Roma, nel momento culminante della sua potenza e della sua gloria, un'esposizione artisticamente valida del suo passato.
La città di Padova in ricordo di Tito Livio
Il successo della storia liviana fu grandissimo fin dall'antichità. A essa attinsero i poeti epici, i retori, gli storici successivi; nel Medioevo Dante parlò di «Livio che non erra»; il Rinascimento ne ammirò lo stile e Machiavelli compose i Discorsi sopra la prima deca di T. Livio. A cominciare dall'Ottocento la moderna critica storiografica ha messo in rilievo i difetti di impostazione e di metodo dell'opera, che rimane però incondizionatamente ammirata come espressione altissima della latinità. La sua grandezza si manifesta quindi non nel rigore del metodo storico, ma nella visione organica della storia di Roma e nella vivida rappresentazione dei fatti: qui Livio non ha rivali. Il suo stile, a intense coloriture poetiche, per lo più solenne, vivace nella descrizione dei moti popolari e delle battaglie, si fa drammatico nelle orazioni poste in bocca ai personaggi per caratterizzarli e per esporre le idee, le tendenze, i sentimenti di un momento storico.
Non mancano deviazioni dal latino più puro e già Asinio Pollione notava in Livio delle inflessioni dialettali padovane (la cosiddetta patavinitas).