Lessico
Tucidide
Thucydides from the Royal Ontario Museum
Eschilo!
Eschilo! Che qui si Sofocle!
Attenti! Le scale sono Euripide
e se cadi Tucidide.
In greco Thoukydídës, in latino. Thucydides. Storico greco (Atene ca. 460 - ca. 395 aC). Le notizie più certe sulla vita di Tucidide si ricavano dalla sua opera; altre sono state tramandate da due biografie di scarso valore. Era figlio di Oloro, forse di origine tracia e facoltoso per il possesso di miniere d'oro. Eletto nel collegio degli strateghi nel 424, venne inviato a difendere l'Egeo settentrionale, ma non riuscì a salvare Anfipoli, nella Penisola Calcidica, dall'attacco dello spartano Brasida. Perciò venne esiliato da Atene e non vi tornò che 20 anni dopo, quando la guerra con Sparta era ormai finita. Morì pochi anni dopo il rientro in patria.
La sua opera consiste di 8 libri e non ha un titolo vero e proprio. L'argomento è la guerra di quegli anni, detta “guerra del Peloponneso”, fra le due principali città greche e la sua propagazione anche in altri territori. Prendendo le mosse molto più addietro, Tucidide descrive le condizioni originarie dei Greci e la formazione delle diverse città attraverso un lungo processo storico, cercando “la certezza” delle notizie: per gli avvenimenti contemporanei si serve di ricerche personali e di testimonianze autentiche; per quelli passati, quando non esistono documenti, usa la congettura per arrivare, se non alla certezza, a una probabilità. Nel fornire successivamente le cause dello scoppio della guerra, Tucidide dà un'altra importante distinzione fra le cause occasionali (aitíai), da ricercare soprattutto nel contrasto tra Corcira e Corinto, e la causa vera della rottura della pace, che fu la necessità per Sparta di bloccare l'eccessivo accrescimento della potenza ateniese.
Col II libro, e con l'anno 431, inizia la vera e propria narrazione dell'argomento. Il libro comprende 3 anni di guerra; alla fine del primo anno è posto il famoso discorso di Pericle per i caduti; segue l'altrettanto famosa descrizione della peste che colpì Atene (e di cui fu affetto lo stesso Tucidide). Altri 3 anni sono narrati nel III e nel IV libro, mentre continua l'invasione spartana dell'Attica e avviene quella della Calcidica, e varie operazioni sono condotte dagli Ateniesi nelle isole. Il V libro narra la Pace di Nicia, che doveva durare 50 anni.
Ma Tucidide, approfondendo la sua analisi, mostra come essa fosse la semplice interruzione, per 6 anni, quanti in effetti la pace durò, di una contesa che anzi andava sempre più allargandosi. Nel V libro Tucidide descrive l'azione ateniese contro la piccola isola di Melo e sottolinea in quell'episodio brutale la logica e la dinamica di una potenza imperialistica. Il VI e VII libro, tra i più celebrati dell'opera, sono quindi dedicati alla spedizione ateniese contro Siracusa durante gli anni 415-413 e alla sua tragica conclusione; l'VIII ne mostra le conseguenze, con le varie defezioni degli alleati e alcuni eventi favorevoli ad Atene, che sembrano ridare corpo alle sue speranze di ripresa.
Al capitolo 109 di questo libro l'opera si interrompe; ed è anche da notare che il libro stesso, a differenza di quelli che lo precedono, con l'eccezione del V, manca di discorsi diretti, tipico espediente tucidideo per esporre i pareri, le motivazioni, le argomentazioni sui fatti storici. Questo fatto pone il discorso sulla composizione dell'opera tucididea; l'autore stesso dice in apertura che egli cominciò a scrivere subito dopo lo scoppio del conflitto. Ma molti critici, notando le caratteristiche del V libro, indicano lì una frattura, per cui l'autore avrebbe dapprima composti i primi 4 libri (la guerra decennale) poi il VI e il VII sulla spedizione siciliana, e solo allora, conscio della continuità dei due eventi, li avrebbe raccordati col V e continuati fino alla sua morte con l'VIII.
All'interno dell'opera è possibile riconoscere anche un'evoluzione spirituale dell'autore, dal rigore scientifico dei primi libri a un più ardente desiderio di comprensione storica nell'ultimo. Il suo impegno all'imparzialità urta con alcune evidenti sue simpatie per personaggi come Pericle e la sua ostilità per altri come Cleone; però il rigore del suo metodo è superiore a quello di qualsiasi altro storico antico.
Esaminando i fatti della guerra peloponnesiaca, egli ha creduto di scorgere delle leggi di comportamento degli uomini e degli Stati, sotto l'oscurità e la varietà degli eventi. Nei fatti umani egli non invoca la presenza del volere divino; indica la necessità di progetti operativi razionali, a cui peraltro sempre possono sfuggire dei fattori imponderabili: è quella che Tucidide chiama týchë e che non è una Fortuna di natura divina, ma il limite della razionalità e del calcolo umano.
In questo senso, la politica appare a Tucidide come un regno di calcolo dell'utile, anche se qua e là traspare un atteggiamento etico e la condanna per l'assenza della giustizia nei rapporti umani. Gran parte di queste idee si colgono soprattutto in quella parte della storia di Tucidide che è appunto dedicata a lunghi discorsi o a dispute fra i protagonisti della guerra o gli ambasciatori delle città. Essi costituiscono anche la parte più retorica, di chiara ispirazione sofistica, dell'opera.
Lo stile di Tucidide contiene infatti un singolare miscuglio di concisione, talvolta persino oscura, e di elaborazione retorica; ha la coloritura delle scritture arcaiche e poetiche, asprezza di costrutti e rapida secchezza, ma mostra anche un abile uso degli artifici della sofistica, abbondanza di astratti, di sentenze, di effetti vari. Certo egli è, come uno dei primi, così dei maggiori prosatori greci. Il suo metodo storico e stilistico influenzò scrittori posteriori come Tacito e alimentò una larga schiera di ammiratori anche fra i politici.