Lessico


Zoroastro di Proconneso

Zoroaster (aut fortasse Zoroastres Proconnesius, ex insula Proconnesus, Προκόννησος, hodie Μαρμαράς) [Plinius, Naturalis historia 30.8.] est nomen ficticium auctoris de magia et de mirabilibus plantarum, Graece scribens, cuius opus nunc est deperditum. Exstant in Plinii Naturalis historia et in Geoponicis Constantino Porphyrogenito dicatis nonnulla excerpta operi Zoroastro adscripta. In glossis multilinguis quae ad opus Dioscoridis De materia medica pertinent, nonnullae glossae Zoroastreae dicuntur.

Hoc opus nihil commune habet nisi cum scriptis prophetae Zoroastris nisi cum Apocalypse Zostriani bibliothecae Nag Hammadi.

Index fragmentorum

Dioscorides, De materia medica: glossae 2.118, 136, 164; 4.68, 75, 176.

Plinius, Naturalis historia 18.200; 37.133, 150, 157, 159.

Geoponica 1.7-8: de seminibus serendis secundum positionem lunae; de positione lunae inter signos zodiaci quo tempore Canicula oritur.
Geoponica 1.10: de positione lunae inter signos zodiaci tempore primi tonitrus post Caniculam ortam.
Geoponica 1.12: de revolutione duodecim annorum Iovis.
Geoponica 2.15: prognosticatio seminum florentium.
Geoponica 5.46; 7.5, 11; 10.83; 11.18; 13.9, 16; 15.1.

Bibliographia

R. Beck, "Thus Spoke Not Zarathustra: Zoroastrian Pseudepigrapha of the Greco-Roman World" in A History of Zoroastrianism vol. 3 (Lugduni Batavorum 1991) pp. 491–565.

Marmara

L'antico nome Προκόννησος significa isola dei caprioli, in quanto il sostantivo femminile πρόξ/προκός indica capriolo/cerbiatto/daino. Isola (117 kmq; 5700 ab.) della Turchia (provincia di Balikesir), la maggiore delle isole del Mar di Marmara - l'antica Propontide - che ha preso il nome dall'isola.

Marmara is a Turkish island in the Sea of Marmara. It is the greatest island of Sea of Marmara that is the center of Marmara district in Balikesir Province. Transportation is possible from Istanbul by ship and ferry, and by motorboat from Tekirdag and Erdek. In ancient times, the island was called Proconnesus. It is famous for its marble.

Marmo proconnesio

Il marmo proconnesio (marmor proconnesium in latino) è una varietà di marmo bianco tra le più utilizzate nell'impero romano. La varietà presenta un colore bianco, con sfumatura cerulee, uniforme o con venature grigio-bluastre e ha cristalli grandi.

Le cave si trovavano nell'isola di Proconneso (oggi isola di Marmara, dal greco μάρμαρον oppure μάρμαρος, "marmo, pietra bianca o lucente") e dipendevano amministrativamente dalla città antica di Cizico, sulla vicina costa anatolica.

Le prime esportazioni del marmo dalle cave dell'isola, utilizzate localmente già in epoca greca, risalgono alla seconda metà del I secolo dC: tra i più antichi esempi di esportazione sono gli elementi architettonici del restauro del tempio di Venere a Pompei, dopo il terremoto del 62.

Nel corso del II e III secolo l'esportazione si diffuse nelle regioni orientali dell'impero, a Roma e lungo il corso del Danubio. Nel IV secolo fu uno dei marmi meno costosi nell'elenco dell'Editto dei prezzi di Diocleziano, e uno di quelli più largamente diffusi, a motivo principalmente del vantaggio assicurato dalla maggiore facilità di trasporto, essendo le cave sul mare. Fu il principale marmo impiegato agli inizi del IV secolo nella costruzione di Costantinopoli.

Sarcofago concordiese in marmo di Proconneso - metà del III secolo dC
Museo Nazionale Concordiese di Portogruaro (VE)
Il reperto proviene da Concordia Sagittaria (VE)
importante centro romano - Iulia Concordia - fondato nel 42 aC.
Dopo l'unità d'Italia, Concordia assunse l'appellativo di Sagittaria,
in ricordo della fabbrica di frecce ivi fondata in epoca romana.

Le cave erano di proprietà imperiale e le più importanti si trovavano presso le località di Monastyr, Kavala e Saraylar. Producevano in serie elementi architettonici, vasche e sculture decorative, e sarcofagi. Nelle cave stesse i manufatti venivano sbozzati secondo le indicazioni dei committenti, per essere poi completati al loro arrivo. Dal IV secolo si svolsero sul posto tutte le fasi della lavorazione e i manufatti erano esportati a uno stadio di lavorazione quasi completo.

A causa dell'odore bituminoso se scalfito o fratturato, i "marmorari" rinascimentali gli diedero il nome di "marmo cipolla"

Bibliografia - Patrizio Pensabene, Le principali cave di marmo bianco, in Lucrezia Ungaro e Marilda De Nuccio (a cura di), I marmi colorati della Roma imperiale (catalogo mostra), Roma 2002, p.203-205.

Concordia Sagittaria

Cittadina del Veneto orientale, in provincia di Venezia. È situata due chilometri a sud di Portogruaro, alla sinistra del fiume Lemene. È l’antica Iulia Concordia, colonia romana della Venetia, fondata nel 42 aC. Importante città commerciale in epoca romana, tra il IV e il V secolo fu sede di una guarnigione militare e di una fabbrica d’armi (chiamata “sagittaria”, da sagittae, frecce, da cui l’appellativo odierno). Saccheggiata da Attila nel 452, fu occupata dai Longobardi nel VII secolo.

Dal primo Medioevo decadde economicamente per il progressivo avanzare della terraferma verso la laguna, col conseguente allontanamento del centro urbano dal mare. Conserva numerosi resti dell’età romana: tratti della cinta muraria, resti di due ponti, una necropoli con oltre duecento sarcofagi ritrovata lungo la Via Annia, un complesso cristiano presso l’attuale parrocchiale. Altre testimonianze dell’età romana sono conservate nel Museo concordiese a Portogruaro. La Cattedrale, del Quattrocento ma in gran parte rifatta, conserva un bel campanile romanico. Sotto la cattedrale sono visibili i resti di un pavimento musivo dell’antica basilica. È un interessante mercato agricolo, sede di industrie alimentari, meccaniche e del cemento. Sono inoltre attivi allevamenti bovini e suini. Abitanti (concordiesi): 10.558 (1996).

Epoca pre Romana

Concordia Sagittaria è oggi un popoloso centro all’estremità orientale della pianura veneta. Nel nome è il ricordo delle sue origini, ovvero della colonia romana dedotta alla metà del I sec. aC, Iulia Concordia, mentre “Sagittaria” è un appellativo adottato alla fine dell’Ottocento e si riferisce all’antica fabbrica d’armi, frecce (in latino sagittae), che come riporta la Notitia Dignitatum vi trovò sede all’inizio del IV sec. dC. Il nome attuale è dunque l’esito della riscoperta del passato, che conobbe un’improvvisa accelerazione negli anni settanta del XIX secolo. Prima di allora la memoria storica della città romana, solo di sfuggita citata dalle fonti antiche – Strabone e Plinio il Vecchio soprattutto –, trovava riscontro, da una parte, nelle collezioni di oggetti antichi di alcune famiglie del luogo e, dall’altra, nel lavoro dei “cavatori di pietre”, uomini dediti al recupero di ogni frammento della città antica, soprattutto lapideo, che veniva venduto come prezioso materiale da costruzione in una terra di pianure alluvionali e lagune dove la pietra è assente come materia prima nel raggio di decine e decine di chilometri.

Quel primo sarcofago ricoperto dalle alluvioni

Succede spesso che eccezionali scoperte archeologiche siano determinate dal caso. È quanto accadde una mattina del febbraio 1873 in un campo del conte Edoardo Perulli poco distante dal paese, quando la pala di un bracciante, alla ricerca di un filone di sabbia da utilizzare per lavori edilizi, si impuntò su una grossa massa pietrosa. Era il coperchio del sarcofago del soldato romano Vassio, un istruttore di reclute, di fede cristiana, appartenente ai Batavi seniores, un reparto di fanteria acquartierato a Concordia in età tardoantica, tra IV e V secolo che prende nome dai primi reclutati appartenenti alla popolazione germanica dei Batavi stanziata sul Reno. Allargando lo scavo furono poi rinvenuti altri sarcofagi. Grazie al prodigarsi di Dario Bertolini, un avvocato della vicina Portogruaro (in seguito nominato Ispettore degli scavi e dei monumenti), che per primo intuì l’importanza del rinvenimento, negli anni successivi furono riportati in luce ben 270 sarcofagi, di cui un centinaio con iscrizione.

L’eccezionale necropoli, con tracce d’uso fin dal I sec. aC ma intensamente frequentata tra IV e V secolo, fu detta “sepolcreto dei militi”, per la notevole presenza di tombe di milites romani. L’area fu reinterrata alcuni anni dopo, ma nel frattempo si erano moltiplicate le ricerche dei resti della colonia romana. Lo stesso Bertolini condusse numerosi scavi, assistito da Giacomo Stringhetta, il più noto “cavatore di pietre” concordiesi, per verificare la pianta dell’antica Iulia Concordia, che lo stesso Stringhetta disegnò in base all’esperienza della sua singolare attività. Fu così che Bertolini fu in grado di redigere a sua volta la nota planimetria della colonia pubblicata nel 1880 su Notizie degli Scavi di Antichità, il bollettino della Direzione generale dei Musei e degli Scavi diretta in quegli anni da Giuseppe Fiorelli.

Importante centro dei Veneti fino alla romanizzazione

Concordia si trova in un territorio che presenta paesaggi diversificati, tutti, per differenti caratteristiche, ideali all’insediamento: una pianura dove l’acqua è abbondante grazie ai numerosi fiumi, tra cui il Lemene (il flumen Reatinum citato da Plinio) che lambisce la città, tra i settentrionali massicci del pedemonte veneto-friulano e le lagune dell’alto Adriatico. Le tracce più antiche di frequentazione risalgono all’età del Bronzo recente (XIII-XII sec. aC). Le indagini geomorfologiche indicano per quest’epoca un ambiente (paleoambiente) diverso dall’attuale, caratterizzato da zone in rilievo circondate da corsi d’acqua e con una presenza molto più invadente delle lagune meridionali.

Durante la prima età del Ferro (IX-VIII sec. aC) la progressiva regressione delle aree lagunari avrebbe determinato una più regolare distribuzione dei fiumi, che a ovest e a est lambivano una vasta zona sopraelevata. Qui si sviluppò un insediamento di circa 40 ettari, dotato di un importante scalo fluviale aperto all’Adriatico. Nel momento di massima espansione questo centro preurbano appare organizzato con strade e lotti costruiti: le abitazioni, in tutto simili a quelle diffuse nelle terre popolate dai Veneti, erano a pianta rettangolare, con focolare, probabilmente coperte da un tetto a doppio spiovente in canne palustri, del tipo che ancora possiamo vedere nei tradizionali “casoni” della campagna e della laguna veneta. Alle zone abitate si affiancavano le aree artigianali, soprattutto per la produzione di ceramica, ma anche adibite alla lavorazione di ossa e corna e dei metalli. Purtroppo gli scavi condotti finora non hanno rimesso in luce le aree di culto e quelle funerarie, le cui analisi permetterebbero di completare il quadro delle conoscenze relative al periodo di maggiore estensione di questo primo insediamento. Nella piena età del Ferro (VII-V sec. aC) il sito protostorico di Concordia ci appare ridimensionato, forse a causa del contemporaneo rafforzamento dei vicini centri venetici di Altino e Oderzo.

Per i secoli successivi disponiamo di testimonianze archeologiche molto limitate, soprattutto a causa dei livellamenti e degli asporti di terreno effettuati in antico per la costruzione della città romana. A partire dal III sec. aC l’originario centro protostorico conobbe quel fenomeno lento, progressivo e inesorabile che fu la romanizzazione: il trattato di alleanza tra Veneti e Romani del 225 aC e la fondazione di Aquileia nel 181 aC furono eventi decisivi nel quadro della strategia di espansione di Roma nella parte orientale della Cisalpina, che aveva appunto trovato nelle popolazioni paleovenete dei validi alleati piuttosto che nemici da sottomettere. Il passo successivo fu la creazione, intorno alla metà del II sec. aC, di un’efficace rete stradale che attraversava tutto il territorio. Il sito della futura Iulia Concordia venne così a trovarsi in un punto strategico di questo sistema di comunicazioni, cioè proprio dove si intersecavano le due strade principali per Aquileia: la via Annia, realizzata nel 131 aC (o forse già nel 153), che provenendo da Adria passava per Patavium (Padova) e bordeggiava le lagune, e la Postumia, del 148 aC, che collegava Tirreno e Adriatico da Genova fino ad Aquileia attraversando l’intera pianura padana. Non meno trascurabile era il collegamento viario con le zone settentrionali del Norico, ricche di ferro, con implicazioni economiche notevoli sulla futura calonia. È probabile che in questa prima epoca della romanizzazione l’antico centro venetico abbia conosciuto una graduale evoluzione amministrativa fino a divenire, come suggerisce un’iscrizione latina conservata nel Museo Nazionale Concordiese di Portogruaro, un vicus, cioè un abitato minore dotato di una sua, seppure limitata, autonomia.

Epoca Romana
Una città romana ben strutturata e difesa

La data della deduzione di Iulia Concordia non è nota di preciso: è probabile che si collochi tra la battaglia di Filippi (combattuta nel 42 aC fra i triumviri Ottaviano, Antonio e Lepido, da una parte, e i “repubblicani” Brutto e Cassio, dall’altra) e i patti di Brindisi tra Ottaviano e Antonio del 40 aC. Il nome della colonia potrebbe così alludere alla pacificazione ottenuta dopo le sanguinose guerre civili successive all’uccisione di Cesare (44 aC).

La trasformazione dell’insediamento preesistente fu straordinaria: mura larghe fino a due metri furono innalzate lungo tutto il perimetro dell’antico dosso, munite di monumentali porte urbiche ai quattro punti cardinali che consentivano il transito di ampie viae lastricate con basoli in trachite (una roccia vulcanica le cui cave si trovano nei Colli Euganei, a sudovest di Padova), mentre all’interno della cinta una maglia regolare di cardini (nord-sud) e decumani (est-ovest) delimitava gli isolati. Caratteristica peculiare di questa topografia urbana era un canale artificiale con sponde attrezzate per le imbarcazioni, che nella parte meridionale dell’abitato sostituiva una delle strade con orientamento est-ovest e che, collegando i corsi d’acqua che lambivano la città, assicurava un ottimo deflusso del sistema idraulico della colonia e creava contemporaneamente una via d’acqua per il trasferimento di merci e persone.

Alla popolazione locale si aggiunsero i coloni, con il tempo circa tremila (considerando i lotti di terreno della centuriazione). Le pur numerose iscrizioni concordiesi non danno indicazioni circa l'esatta provenienza dei nuovi abitanti: è probabile che tra loro ci fosse una componente militare, composta da veterani congedati dal servizio militare con l'assegnazione di terreni, e una civile, generata dalla forte mobilità sociale e residenziale durante gli sconvolgimenti politici delle guerre civili. Le élite locali, desiderose di affermare il loro nuovo status, abitavano grandi dimore e partecipavano finanziariamente alla realizzazione dei monumenti pubblici che, come in ogni città romana, venivano innalzati anche a Iulia Concordia. Le iscrizioni indicano, ad esempio, interventi di privati per il teatro, costruito in epoca augustea (I sec. aC - I sec. dC) e capace di circa cinquemila spettatori, e l’elargizione del liberto Manlius Acilius Eudamus, intorno alla metà del I sec. dC, per il rifacimento del ponte in pietra a tre arcate su un antico alveo del fiume Reghena, che allora lambiva le mura occidentali della città, laddove passava la via Annia (questa all’interno delle mura costituiva il decumanus maximus). Nel corso della prima metà del II secolo Concordia si dotò anche di un ben attrezzato impianto termale pubblico.

Le necropoli principali si distribuivano lungo le arterie che uscivano dalla città ai quattro punti cardinali: le più ricche erano quelle lungo la via Annia, sull’asse occidentale in direzione del municipio di Altinum e, ancor più, su quello orientale verso Aquileia.

Il territorio di pertinenza della colonia, compreso tra i fiumi Livenza e Tagliamento, fu organizzato nel settore settentrionale attraverso i regolari spazi della centuriazione, che in seguito fu estesa anche a sud, fino alle lagune. Una fitta rete di insediamenti rustici, taluni anche di notevole ricchezza, assicurava la produzione di grano e di vino. Infine, Iulia Concordia disponeva di uno scalo sul mare, il portus Reatinus, localizzato nel sito dell’attuale Caorle, a cui si collegava tramite il flumen Reatinum (oggi Lemene), mantenuto navigabile con appositi interventi di manutenzione.

Età tardo antica e Medioevo

Tra III e IV sec. dC, un periodo di crisi per molti centri della Venetia a causa dell’incombente minaccia di incursioni barbariche dal settore nordorientale delle Alpi, Concordia vide invece, proprio per questo, aumentare la sua importanza. La città sul Lemene divenne, infatti, una strategica retrovia nel sistema difensivo della Penisola messo a punto da Roma e vi furono stanziate truppe in grado di muoversi velocemente alla difesa della più esposta Aquileia. Già sede tra I e II sec. dC di un armamentarium, cioè di un arsenale militare, Concordia è ora un centro strategico anche perché ospita una delle fabbriche di armi che appunto nel corso del III-IV secolo furono dislocate in diversi punti dell’Italia settentrionale (ciò avrebbe dovuto evitare che, in caso di ribellioni di reparti dell’esercito, potesse cadere in mano avversaria un completo ciclo produttivo di armamenti): lungo la Postumia, a Verona, si fabbricavano scudi; a Brescia gli archi; a Concordia venivano prodotte sagittae, le frecce, probabilmente grazie al rifornimento di ferro dalle zone del Norico.

Da allora Concordia divenne una sorta di città militare, sede di almeno una ventina di reparti. Le testimonianze più significative di questo periodo non si rinvengono nell’area del centro urbano, quanto nelle zone immediatamente periferiche, in particolare nel grande sepolcreto orientale. Le epigrafi fanno menzione dei molti militari che si stabilirono in città, dei lavoratori della fabbrica sagittaria e di quanti giunsero al seguito delle truppe, tra cui alcuni mercanti provenienti dall’Oriente, i cui sarcofagi riportano iscrizioni in lingua greca.
Concordia cristiana diventa sede episcopale

Il complesso visibile oggi al di sotto e intorno alla cattedrale di Santo Stefano costituisce un’eccezionale testimonianza monumentale della prima architettura cristiana e uno dei siti archeologici più interessanti dell’Italia settentrionale. L’area, appena fuori le mura orientali della città romana, era stata sede di magazzini commerciali fino alla seconda metà del II sec. dC. Con la successiva riconversione a spazio funerario comparvero le prime sepolture cristiane, poi affiancate dai monumenti dedicati al nuovo culto. In seguito al ruolo politico e militare funzionale alla difesa di Aquileia, proprio grazie ai contatti strettissimi venutisi a stabilire con la grande vicina, nella tarda età imperiale Concordia crebbe anche culturalmente: rapidi furono la diffusione del cristianesimo e l’insediamento di alte gerarchie ecclesiastiche, che stabilirono in città una sede episcopale.

I rapporti tra i diversi edifici cristiani, sorti a partire dal IV secolo, presentano ancora qualche incertezza interpretativa, anche a causa dei continui rifacimenti cui furono sottoposti in antico. La trichora, un edificio a tre absidi circolari internamente e poligonali all’esterno, è forse il primo monumento cristiano concordiese, destinato alla conservazione di reliquie di martiri e santi, poi trasformato in una piccola basilica a tre navate con ampio cortile antistante. Ancora a settentrione fu edificata una grande chiesa a tre navate, probabilmente da identificare con la basilica Apostolorum, realizzata, secondo la testimonianza di Cromazio, a quel tempo vescovo di Aquileia, verso la fine del IV secolo, per dare solenne accoglienza alle venerabili reliquie degli apostoli Andrea e Tommaso, di Giovanni Battista e degli evangelisti Luca e Giovanni, giunte dall’Oriente. All’inizio del secolo successivo l’interno della basilica Apostolorum fu impreziosito con il rialzamento della zona presbiteriale e la realizzazione di un bel tappeto musivo, suddiviso in campate decorate da motivi geometrici tipici del repertorio dell’area nordadriatica. Quest’ultimo fu finanziato da singoli devoti, come ricordano le curiose iscrizioni inserite nel mosaico col nome dei committenti e la misura della porzione di manufatto realizzato grazie a ogni singola donazione. L’ingresso alla chiesa era preceduto da un ampio quadriportico largo quanto la facciata, con un cortile rettangolare munito di pozzo dove si affacciavano gli edifici di residenza e rappresentanza del clero. Nella stessa epoca, sempre a nord della trichora, venne realizzata, ristrutturando un precedente recinto funerario, la ricca cappella della nobildonna Faustiniana, definita «clarissima femina» nell’epigrafe sepolcrale, contenente il suo sarcofago in marmo greco e con elegante pavimento in marmo policromo.

Museo Nazionale Concordiese

Il Museo

La denominazione del più antico “istituto antiquario” del Veneto rimanda a due realtà limitrofe, il comune di Portogruaro e quello di Concordia Sagittaria, appartenenti al comprensorio territoriale solcato dal fiume Lemene, legate «tra loro per l’origine e le vicende». Si tratta del Museo Nazionale Concordiese, eretto a Portogruaro per custodire i reperti provenienti dalla vicina Concordia Sagittaria.

Pietre di Concordia negli edifici di Portugruaro. La necessità d’individuare una sede dove raccogliere le “anticaglie” concordiesi nasce da lontano. Lo spoglio degli edifici di Iulia Concordia, che già aveva avuto inizio negli ultimi secoli dell’Impero, a seguito delle invasioni barbariche e delle devastazioni che esse causarono, si trasformò in uno smantellamento pressoché totale nei secoli successivi. Sebbene Concordia sia rimasta la sede episcopale ufficiale fino a tutto il XVI secolo, già nel corso del XII secolo il vescovo spostò la sua residenza nel castello di Portogruaro. Il trasferimento del vescovado e altre cause, tra le quali la più grave fu la malaria, portarono al quasi totale abbandono dell’antico sito, che divenne così, come accadde per tante altre città romane, una sorta di cava da cui recuperare le pietre per erigere la nuova città portuale sorta poco più a nord, sempre sulle rive del Lemene. Intorno alla metà dell’Ottocento l’erudito portogruarese Antonio Zambaldi scrive: «Ancor oggi, tra i muri e le fondamenta dei vecchi palazzi, si riconoscono elementi di riutilizzo di età romana». Ma non tutte le “anticaglie” che si dissotterravano dalle “macerie” della città furono riutilizzate; come ricorda Dario Bertolini, alcuni notabili portogruaresi «cultori delle patrie memorie», tra i quali va ricordata la famiglia Muschietti, raccoglievano i «tanti avanzi ivi scoperti di scolture e basso rilievi lavorati sopra bel disegno e di vaghissime forme», dando vita, alla fine del Settecento, alla raccolta di antichità oggi conservata presso il museo.

Tanti reperti per un museo. Sullo scorcio del XIX secolo, a seguito del rinvenimento del “sepolcreto dei militi” e delle innumerevoli scoperte effettuate dal già citato avvocato portogruarese Dario Bertolini, si fece viva la necessità d’individuare un «luogo idoneo» dove raccogliere «i cimeli scoperti nel suolo dell’antica Concordia» (la citazione, così come le seguenti, sono tratte dalle lettere custodite presso l’Archivio del Museo). A sollecitare la nascita del museo fu Giuseppe Fiorelli, posto a capo della Direzione generale dei Musei e degli Scavi di Antichità dall'allora ministro della Pubblica istruzione Ruggero Bonghi proprio negli anni in cui venivano alla luce le testimonianze del passato concordiese. Nei carteggi fra Bertolini e Fiorelli si coglie l’urgenza di erigere una struttura che «dovrà raccogliere gli oggetti rimessi in luce cogli ultimi scavi», al fine di accrescere «il Museo comunale di Portogruaro che è fatto colla raccolta Muschietti, vale a dire colle antichità provenienti dall’area della città colonica» e di offrire visibilità a quegli «oggetti che si conservano nel territorio di Portogruaro». Si auspicava di dare vita a «un gruppo monumentale di somma importanza; e che si farà l’utile degli studi ed il decoro dei due paesi…, assai meglio che facendo tante piccole raccolte, l’una accanto all’altra, e tutte di oggetti che appartengono al medesimo luogo», superando la diaspora di materiali nel territorio.

A forma di basilica. Fu così stabilito che il Museo Concordiese venisse fondato a Portogruaro, nel terreno prossimo al seminario vescovile: l’ingegner Antonio Bon ideò un edificio «a forma basilicale», evocativo della prima cristianità di Concordia, dove lo spazio presente «sui muriccioli negli intercolumni offre una maggiore superficie per appoggiare i marmi letterati e artistici». Iniziata nel 1885, la struttura a tre navate con colonne in mattoni rivestiti di stucco a imitazione del marmo cipollino e tetto a capriate lignee, fu inaugurata il 28 ottobre 1888.

Dai Veneti antichi ai Romani: testimonianze materiali. Il grande salone al piano terreno ospita monumenti e lapidi con iscrizioni, la cui «distribuzione scientifica» fu ideata dallo stesso Bertolini, secondo il gusto antiquario di fine Ottocento. Elementi decorativi pertinenti agli spazi pubblici e privati dell’antica colonia, nonché monete rinvenute nell’agro concordiese sono esposti in una sala contigua; al piano superiore alcune vetrine raccolgono materiali in bronzo riferibili alla cultura veneta antica. Si prosegue poi con le raccolte di vetri, gemme, ornamenti in ambra, lucerne e altri oggetti d’uso quotidiano, nonché materiali riferibili alle principali classi ceramiche di epoca romana. Tali manufatti, raccolti ed entrati a far parte della collezione in tempi diversi, accanto a una selezione dei numerosi reperti emersi dagli scavi negli ultimi vent’anni, rendono testimonianza delle vicende che hanno portato alla formazione del Museo Concordiese, la cui storia particolare si intreccia con quella dello sviluppo della disciplina archeologica in Italia.

www.comune.concordiasagittaria.ve.it