Lessico


Aquileia

Cittadina in provincia di Udine, 36 km a SSE del capoluogo, a 5 m sul livello del mare nella pianura friulana tra i fiumi Isonzo e Aussa, sul fiume Natissa, in cui confluivano al tempo dei Romani le acque del Natisone e del Torre, rendendo la Natissa un fiume di una certa portata con un letto di 48 metri. Comune di 36,84 km2 con 3493 abitanti; produzione di cereali e frutta; allevamento bovino; industrie chimica, del legno e della distillazione dei liquori.

 


Aquileia preromana

Aquileia ha un nome sicuramente preromano. Non si è però sicuri se ascriverlo allo strato paleoveneto o a quello celtico, le lingue parlate nella regione prima dell’arrivo dei romani.

Secondo studiosi austriaci un’antica voce *acuiliu starebbe alla base dell’attuale nome sloveno di Klagenfurt, Celovec. Anche il suffisso -eia lo ritroviamo specialmente in aree galliche: Velleia, Noreia, Celeia. Per questi motivi siamo indotti a pensare ad un’origine celtica., con una base –aqui(l) "acque": ovviamente si pensa al celtico più arcaico simile al gaelico d’Irlanda.

Le recenti scoperte geoarcheologiche hanno determinato un vasto insediamento protostorico (sec. IX aC) ai margini di quello che doveva essere un imponente fiume che poi i romani, nel secolo II aC, hanno regimentato e reso navigabile, dando vita così, a quello che sarebbe stato uno dei più importanti porti dell’epoca.

Naturalmente la distruzione dell’oppidum celtico per la fondazione della nuova colonia romana di Aquileia avvenne per esclusive ragioni militari relative alle mire espansionistiche dell’impero romano verso le regioni centro-europee e balcaniche.

Aquileia divenne fiorente e prospera grazie al vasto commercio che arrivava e partiva dalla città per mezzo di una funzionale e capillare rete stradale.

www.natisone.it/natisone/aquileia.htm

Aquileia romana

La città di Aquileia è situata ai limiti meridionali della pianura friulana, prima che inizi l’ampia laguna di Grado e oggi è uno dei più importanti centri archeologici dell’Italia settentrionale. Ricca di testimonianze che vanno dalla sua fondazione sotto l’impero romano al periodo paleocristiano, è possibile scoprire, osservando attentamente le sue numerose opere, gli importanti messaggi che culture diverse, incrociandosi in questi luoghi, ci hanno lasciato. Molte erano le missioni attribuite alla città; dalla salvaguardia e organizzazione dei confini, all’amministrazione sapiente di scambi commerciali tra l’Europa e il Mediterraneo.

Ufficialmente la sua fondazione avviene nel 181 a.C. per volontà del senato romano, ma già prima questa regione era intensamente abitata da popolazioni di origine celtica e gallica. Intorno al 184 aC 12.000 persone provenienti dall’area danubiana occuparono pacificamente l’intera zona vicino al mare, iniziando a costruirvi una città. Questo avvenimento creò grave allarmismo nel senato romano e nell’anno 181 aC Lucio Manlio Acidino, Publio Scipione Nasica e Caio Flaminio alla guida di tremila fanti con famiglie al seguito e numerosi cavalli e centurioni fondarono la colonia latina.

Qui si volle sperimentare una nuova politica economica e amministrativa del territorio. La terra non diventava più elemento per soddisfare i fabbisogni di una singola famiglia, ma azienda per la coltivazione di prodotti facili da esportare, quali olio, cereali e, soprattutto, vino.

Roma capì subito che questa parte dell’Italia vantava numerose caratteristiche per diventare, negli anni futuri, tra le province più ricche e importanti di tutto l’Impero e in virtù della sua lealtà politica verso la capitale, nell‘ 89 aC Aquileia venne eletta Municipium.

Per comunicare con l’Italia centrale e Roma venne tracciata la via Annia e la via Emilia; la via Iulia Augusta puntava verso nord; la via Gemina era diretta a est verso Lubiana e i Balcani; la via Flavia, toccando Trieste, raggiungeva Pola e la Dalmazia; un’altra strada raggiungeva Cividale e, attraversate le valli del Natisone, proseguiva verso nord, e infine la via Postumia che arrivava fino a Genova, attraversando la pianura Padana. Il porto fluviale costruito lungo le sponde del Natissa cui confluivano, in età romana, le acque del fiume Torre e Natisone, aveva la banchina a doppio livello per essere usata da imbarcazioni di stazza diversa e per contenere il flusso delle maree.

Largo 48 metri e lungo circa 350 era costruito con grandi blocchi di pietra d’Istria squadrati, con anelli per l'ormeggio delle navi. Era il più imponente nelle terre occidentali con rampe di carico e scarico per le varie merci che venivano depositate nei magazzini adiacenti.

Aquileia divenne un importante centro di traffici e scambi tra le regioni danubiane e l’area mediterranea. Arrivavano navi con materiale edilizio come la pietra d’Istria, i marmi dalla Grecia e dall’Africa settentrionale, la sabbia per la lavorazione del vetro e poi vino, olio, olive, lana, oro, spezie. Per via terra giungevano minerali metalliferi, bestiame, legname, schiavi e ambra grezza proveniente dai giacimenti del mar Baltico.

La città aveva una forma allungata circondata da una cerchia di mura. Era suddivisa in quartieri quadrangolari attraversati da strade perpendicolari tra loro orientate secondo i punti cardinali.

Colonnato di levante del foro romano

La vita sociale si raccoglieva nel foro, una grande piazza lunga 120 metri e larga 56, circondata da portici e gradini sulla quale si affacciavano il Campidoglio ed il Tempio dedicato a Giove; una grande Basilica civile adibita a tribunale era utilizzata, anche, per riunioni e contrattazioni tra mercanti.

Ad Aquileia soggiornarono diversi imperatori (Giulio Cesare nel 56 aC; Augusto, dal 33 aC al 9 dC; Erode il Grande, famoso tetrarca della Giudea, Tiberio, Marco Aurelio; Quintillo, nel 270 fu qui proclamato imperatore).

Ad Augusto si deve la divisione dell’Italia in undici regioni; Aquileia, nel 32 aC diventa capitale della X Regio – Venetia et Histria, i cui confini andavano dall’Istria fino al fiume Adda e, più a nord, al Danubio; raggiunse una popolazione di circa 120.000 abitanti al punto di diventare tra le quattro città più grandi d’Italia, dopo Roma, Milano e Capua.

Veniva esaltata quale “Fortezza possente contro le minacce nord-orientali ed emporio principe dell’alto Adriatico” (Erodiano). In questo periodo e per più di tre secoli Aquileia conobbe pace e prosperità venendo descritta, dall’imperatore bizantino Giustiniano “omnium sub occidente urbium maxima” la più grande tra le città dell’occidente.

Nell’anno 400 dC il senato romano, ma anche l’intera capitale, cominciò a dare i primi segni di una inevitabile decadenza. Le numerose e continue lotte politiche ed una crescente abitudine all’inezia, fecero perdere il controllo verso le province limitrofe che divennero facile preda di nuovi popoli provenienti dal Nord-Europa. Dalle regioni danubiane, attraverso agevoli valichi alpini e carsici, arrivarono i primi invasori barbari guidati in successione da Alarico e Attila.

Mentre il primo si limitò, a capo dei suoi Visigoti, nel 401, solamente a espugnare e saccheggiare la città decretandone la fine politica e militare, Attila, a capo degli Unni, attraverso una serie impressionante di invasioni perpetuate a più riprese, rese Aquileia ed il Friuli una distesa di rovine e disperazione.

Molti cittadini aquileiesi, comprese le personalità ecclesiastiche, si rifugiarono sulle vicine isole di Grado, ben sapendo che i barbari, timorosi e poco pratici dell’acqua, mai si sarebbero inoltrati lungo i canali della laguna. Iniziò, quindi, un lungo ed estenuante assedio intorno ad Aquileia. Il popolo rimasto dimostrò una impressionante capacità di difesa, respingendo per molti mesi i numerosi attacchi dell’esercito nemico. La città venne lasciata completamente sola in preda alla rabbia violenta degli assalitori.

Il popolo, che fino pochi anni prima aveva umilmente svolto un grande ruolo di difesa e di obbedienza a Roma, fu completamente abbandonato al suo triste destino.

L’assedio terminò nel peggiore dei modi. Migliaia di persone vennero trucidate. Donne e bambini, rimasti fedelmente e coraggiosamente al fianco dei rispettivi capifamiglia, subirono violenze indescrivibili e ogni cosa rimasta fu data alle fiamme. L’ira di Attila fu superiore a ogni aspettativa quando si rese conto di aver speso ogni sua energia per conquistare i tesori che, prudentemente, erano stati invece trasportati a Grado. Aquileia, che fino a pochi anni prima veniva descritta e decantata come esempio di grandezza e meraviglioso punto di riferimento dell‘Impero romano, diventò un cumulo di povere ceneri fumanti. Questo stato di abbandono durò per molti secoli.

Le continue incursioni di popolazioni nordiche e di eserciti nemici non garantivano una sicura ripresa economica. Ogni volta che la città cercava di rinascere, puntualmente nuovi invasori la occupavano obbligandola a nuove leggi.

Ultimi a causare ulteriori danni furono gli Ungheri, che a più riprese saccheggiarono e distrussero tutto ciò che incontravano sul loro cammino rendendo i territori della Bassa Friulana una grande distesa incolta e spopolata.

Aquileia cristiana

In questi secoli attraverso le navi che quotidianamente salpavano da e per i porti di Alessandria, Giordania, Siria, la città assunse ruolo di crocevia per le diverse correnti spirituali e qui giunsero anche le prime pulsioni di quel nuovo movimento religioso che, partito dalla Palestina si sarebbe, in seguito, diffuso in tutto il mondo. Il Cristianesimo.

San Marco, nel I secolo fu uno dei primi Grandi Uomini ad accorgersi della fede cristiana sviluppata in questi luoghi e dopo avere speso ogni sua energia per evangelizzare la città di Alessandria affidò a Ermacora la missione di divulgare il Verbo di Cristo ad Aquileia.

Con l’editto di Milano conclusosi nel 313 il Cristianesimo ottenne la piena libertà di esercitare il proprio culto ed Aquileia diventa sede dell’autorità vescovile, o patriarcale, che in seguito avrebbe avuto un ruolo decisivo nelle vicende storiche di questa regione.

Nel 381 fu indetto un importante Concilio. Presieduto da Valeriano, vescovo in Aquileia, alla presenza di trentadue alti prelati, tra i quali va ricordato Sant’Ambrogio vescovo di Milano, San Pilastro da Brescia, San Siro vescovo di Pavia e San Giusto di Lione, si cercò di sconfiggere definitivamente la corrente religiosa ariana. Grazie alla posizione geografica che colloca Aquileia al centro di intensi traffici commerciali e culturali, la città fu chiamata a svolgere un importante ruolo di mediazione e divulgazione tra le diverse culture spirituali che provenienti dall’oriente e da Alessandria d'Egitto si intrecciavano con quelle dell’intera area dell’Europa settentrionale.

Sfruttando il delicato equilibrio tra la cultura latina, slava, tedesca e orientale, il potere clericale aquileiese assunse una posizione di grande autonomia da Roma e Ravenna, aumentando in prestigio soprattutto dopo la morte di Ambrogio, vescovo di Milano (397) per legarsi sempre più alla città padana e diventando così la seconda Chiesa d’Italia, dopo Roma.

La nascita del Seminario o Cenacolo Aquileiese ebbe lo scopo di raccogliere giovani capaci di recepire una formazione scientifica e pratica a disposizione della Chiesa per evangelizzare nuove terre, differenziandosi da altre confraternite religiose la cui vita ascetica e monastica le isolava dal mondo esterno.

Nel 568 re Alboino, a capo di un esercito e di un popolo composto da circa 500.000 uomini e donne arrivò nell’Italia settentrionale occupandola e stabilì qui la sua dimora per un lungo periodo. Questi nuovi conquistatori dalle lunghe barbe o lunghe lance presto vennero chiamati “Lungabarbas” e poi Longobardi. Il Friuli fu quindi diviso in due grandi regioni ed il patriarca Paolino, rifugiatosi a Grado, ottenne protezione dai Bizantini che già controllavano l’isola mentre Aquileia riceveva il definitivo annullamento politico e fisico. Rimase solo il potere ecclesiastico al centro di una contesa teologica, chiamata “dei tre capitoli”, deterioratasi con aspre lotte nonostante l’intervento di molti papi per calmare gli opposti animi.

Il Patriarcato

Tra la fine del Ducato Longobardo e la nascita dell’impero dei Franchi a opera di Carlo Magno il punto di riferimento politico di Aquileia in Friuli si sposta prima a Cormons e poi a Cividale. Aquileia conserva solamente la sua importante posizione ecclesiastica, accresciuta dall’investitura ufficiale a ruolo di “Patriarcato”, il primo in tutta la storia della cristianità occidentale romana.

Dopo l’anno mille, Aquileia conosce una relativa rinascita con il Patriarca Poppone di Carinzia (1019-1042).

Da Papa Giovanni XIX fu riconosciuto come metropolita di tutte le chiese d’Italia. Protetto dall’imperatore Corrado estese la sua sovranità sui ducati d’Istria, Trieste, Friuli, Padova, Verona, Mantova e Como ottenendo proficue rendite finanziarie. Sotto di lui Aquileia sembrò ritornare agli antichi splendori; venne ripristinato il porto, si costruirono nuove industrie, ripresero i commerci, furono potenziate le mura a difesa della città, vennero aperte vie e piazze ed eretti nuovi edifici per il culto. Tra questi l’alta torre campanaria e il magnifico tempio dedicato a Maria. Da questo periodo in poi con l’imperatore Enrico IV venne concessa alla città l’investitura feudale, trasformando le terre di Aquileia in uno stato vero e proprio, con diritto di battere moneta e la sede politica trasferita a Cividale, mentre la giurisdizione patriarcale si estendeva fino alla Drava e all’Ungheria. Nel Medioevo Aquileia era il Patriarcato e la sede Metropolita più grande d’Europa e comprendeva le diocesi di Como, Mantova, Verona, Vicenza, Padova, Treviso, Trento, Belluno, Feltre, Concordia, Trieste, Capodistria, Pola, Lubiana. La sua importanza fu riconosciuta perfino dall’imperatore Corrado III se, al ritorno dalla seconda crociata, volle sbarcarvi con le sue navi.

Principi della Chiesa, ma anche del Sacro Romano Impero, i Patriarchi governarono uno Stato indipendente, dotato di Parlamento autonomo dividendosi prima in Ghibellini (1077 – 1251) e, successivamente, in Guelfi (1251 – 1318). I primi, imparentati ai potenti feudali tedeschi, si mantennero fedeli all’imperatore e re d’Italia fino al 1251: Federico II era stato scomunicato e deposto durante il concilio di Lione del 1245. I secondi cercarono di mantenersi più legati alle direttive della Chiesa romana. Con obiettività storica occorre riconoscere che questi secoli furono comunque improntati da una scarsa sensibilità spirituale, in cui si succedettero un numero infinito di Patriarchi, dediti più alla conquista di potere politico e materiale (a parte qualche rara eccezione) che al desiderio di offrire un servizio spirituale al proprio popolo.

Aumentarono incredibilmente le tasse, vennero aperti numerosi uffici doganali ed i contadini furono ridotti ad uno stato di grande povertà.

Molto distaccati dagli affari romani, pagarono a caro prezzo il rifiuto di collaborare con la Repubblica di Venezia, la quale stroncò con ogni mezzo il commercio via mare dai porti di Aquileia e Trieste.

Venezia nel 1420 occupò i territori facendo decadere il potere temporale dei Patriarchi ai quali rimase l’unica responsabilità ecclesiastica. Nel 1509 l’impero asburgico si impadronì della città, mantenendone la funzione di Patriarcato fino al 1715, che poi soppresse definitivamente nel 1751 a opera di papa Benedetto XV.

Con l’arrivo degli austriaci che esercitarono il loro dominio fino al 1918, Aquileia recuperò parte della sua importanza grazie all’opera infaticabile dell’imperatrice Maria Teresa. Vennero sradicate le erbacce, i canali furono bonificati, fu prosciugata gran parte della palude riconvertita all’agricoltura, l’aria migliorò ed il paese crebbe come numero di abitanti. Grazie anche alla presenza della vicina città di Grado, tutta la zona conquistò un ruolo fondamentale nello sviluppo turistico per le popolazioni appartenenti all’area mitteleuropea.

Aquileia oggi

Centro di cultura e spiritualità di maggior interesse dell’Italia settentrionale, Aquileia offre all'ospite itinerari interessanti per lo studio dell‘archeologia e la storia dell‘arte attraverso le numerose opere visibili a cielo aperto o custodite nei musei e nei luoghi di culto.

Una prima parte della città testimonia gli antichi splendori vissuti nell’età romana, la seconda l’importante ruolo avuto nella storia della cristianità. Grazie al suo porto fluviale, il più importante nelle terre occidentali, e alla fitta rete di strade che si estendevano verso la pianura padana, la Francia e l’Oriente, questo centro divenne incrocio di popoli e di culture assai diverse tra loro.

Oggi è possibile ammirare la struttura del porto passeggiando lungo la via Sacra, suggestivo e solenne viale, costeggiato da cipressi che profumano intensamente l’aria. Immersi in un rispettoso silenzio, a testimonianza di tante giovani vite morte nelle guerre, riposano in fondo al viale le salme di dieci soldati senza nome raccolti su tutti i campi di battaglia. Una di esse, nel novembre del 1921, fu scelta per volere di una madre a rappresentare il Milite Ignoto sull’Altare della Patria, a Roma.

Lungo la strada che attraversa il paese si possono ammirare le sagome delle colonne del Foro dai magnifici capitelli corinzi, luogo simbolo della vita civile e religiosa della città in epoca romana.

In prossimità del centro cittadino si trova la Chiesa di Sant'Antonio, un edificio in stile barocco costruito tra il 1600 e il 1700. Oltre all’elegante e slanciata facciata all’interno si possono ammirare piacevoli affreschi, opera del pittore francese Ludovico Dorigny.

Poco distante dalla chiesa c’è il Museo Archeologico Nazionale. Inaugurato nel 1883, inizialmente era la residenza dei Conti Cassis-Faraone e raccoglie una ricchissima serie di reperti a testimonianza dell’antica grandezza della città romana.

Si possono ammirare statue in marmo di eccezionale importanza artistica, opera di una probabile scuola locale, con volti di persone dai caratteri marcatamente realistici come la celebre testa di vecchio dalle orecchie a sventola, la statua di Navarca e quella di Augusto. Sempre in pietra sono conservati frammenti di architettura e sculture di varie dimensioni con iscrizioni che ricordano gli uomini e le attività da loro svolte; tra queste la famosa lapide con l’iscrizione della fondazione della città e la raffigurazione tradizionale dell’aratro che traccia il solco del suo perimetro. Nelle diverse sale dei piani superiori sono conservate le importanti raccolte di oggetti in oro e argento, terrecotte, gemme e pietre dure incise, cammei, ambre, la cui lavorazione era nota in tutto l’impero. Rispettando le importanti fedi che ad Aquileia si sono succedute durante la sua lunga storia, il Museo ha predisposto alcune sale dedicate ai Culti Religiosi, quali, ad esempio, quello cristiano, ellenico e nord-africano con l’esposizione, in apposite bacheche, di oggetti rappresentativi. Nel mezzo della grande sala fa bella mostra il magnifico Lampadario in bronzo rinvenuto in una casa romana di Piazza Capitolo.

In un’altra Sala troviamo una ricca collezione di Monete molte delle quali coniate presso le zecche locali, a testimonianza dell’importante ruolo che Aquileia ebbe sia durante l’Impero Romano sia in quello Patriarcale. Di pregevole fattura sono i vetri romani, quali boccette o vasi di tutte le dimensioni e dai colori brillanti unici nel loro genere in tutto il mondo.

Qui, infatti, l’arte del vetro soffiato era molto fiorente. Fu largamente esportata dal primo secolo dC e la tecnica nei secoli successivi venne ripresa e riprodotta nella vicina Venezia. Ricca è la collezione di oggetti ornamentali, usati soprattutto dalle donne dell’epoca. In bella mostra sono esposti vasetti, monili, un bellissimo velo tempestato con piccole mosche d’oro, e poi un’infinita serie di anelli e oggetti per la cura e bellezza del corpo. Interessantissimo, poco distante, sorge il lapidario con statue e bei mosaici pavimentali tra cui spicca il ratto d‘Europa del primo secolo aC. Nella Sala dell’imbarcazione romana è conservata la parte inferiore di una nave rinvenuta poco distante da Aquileia, presso le foci del fiume Timavo. Si può ammirare, inoltre, il bel mosaico in stile ellenico, con la raffigurazione perfetta di una gran moltitudine di pesci.

Di rilevante interesse storico è il Museo Paleocristiano, situato in località Monastero. Nei tre piani dell’edificio sono esposti straordinari reperti cristiani risalenti al periodo compreso tra il IV e IX secolo. L’edificio stesso è stato costruito su una basilica paleocristiana edificata nei primi anni del V secolo sulla sponda sinistra del fiume Natissa.

Numerose sono le iscrizioni votive di benefattori impresse nei mosaici i cui nomi di origine latina, greca, ebraica e mediorientale ci fanno comprendere come questa struttura fosse utilizzata da persone di varie culture e nazionalità.

Si presume, infatti, che questo luogo di culto fosse frequentato dai numerosi viandanti che giungevano ad Aquileia attraverso il suo porto e qui sostavano desiderosi di raccogliersi in preghiera.

Al primo piano si può ammirare il bellissimo pavimento in mosaico appartenente all’abside della Basilica rinvenuta in località Beligna: e poi ancora sculture, frammenti di arredi liturgici, iscrizioni funerarie e la rappresentativa scena, scolpita su pietra, dell’abbraccio tra l’apostolo Pietro e Paolo.

La Basilica

Un capitolo a parte lo merita la grande Basilica. Questo edificio rappresenta, senza dubbio, il simbolo più evidente della cristianità che si presenta agli occhi dei fedeli.

La sua storia, complessa e ricca di continui mutamenti, inizia quando nel 308 il vescovo Teodoro utilizzò i resti di una nobile casa romana o, con più probabilità, adattò alcuni edifici del porto utilizzandoli ad aule dedicate al culto cristiano.

La scelta del luogo non è casuale. Eretta sulle sponde del fiume Natissa testimonia il culto dell’incrocio dello Spirito, della preghiera verso Dio (senso verticale), e l’acqua (senso orizzontale), simbolo dell’umanità che cresce e prospera su questa Terra. Su quella rimasta, chiamata Basilica meridionale, vennero apportati grandi restauri.

Furono sopraelevati tutti i muri e costruiti i bracci laterali che diedero, all’intera costruzione, una struttura a croce latina, con l’abside rivolto a oriente e la facciata a occidente. Venne ampliata la cripta alzando notevolmente il presbiterio per offrire un’immagine più significativa e degna della sua funzione alla sala altare. Accanto alla chiesa e con i resti dell‘anfiteatro romano, venne eretta la possente torre campanaria alta 72 metri. Il 13 luglio 1031 il patriarca Poppone con una solenne cerimonia volle consacrare la grande struttura alla Beata Vergine.

Nel 1348 un tremendo terremoto causò molti danni alla città ed anche la chiesa venne fortemente lesionata. Fu quindi ricostruita con geometriche forme gotiche che si evidenziano, soprattutto, nelle importanti strutture delle parti alte.

La semplice facciata a doppio spiovente nasconde, una volta varcato il portone, la grandiosità del suo interno a tre navate.

L'interno della basilica è suddiviso da un doppio filare di colonne con archi di stile gotico (XIV secolo) poggianti sui plinti della chiesa precedente (la post-teodoriana Sud - fine IV secolo, inizi V-). Il mosaico policromo pavimentale appartiene, invece, alla chiesa teodoriana (inizi IV secolo). La scoperta e lo scavo organico di tutta quest'area avvenne agli inizi di questo secolo, allorché Aquileia divenne territorio italiano. Le foto di fine ottocento mostrano ancora una pavimentazione fatto in quadrotti di marmo bianchi e rossi, all'altezza dei dadi sopra i plinti. A est si trova l'abside popponiana (sec. XI) e sotto la cripta con affreschi del XII secolo, dove erano custodite le reliquie dei protomartiri aquileiesi Ermacora e Fortunato.

Il severo slancio delle sue pareti e le robuste colonne creano un netto contrasto con l’esplosione di colori e immagini del pavimento in mosaico, a tutt’oggi considerato tra i più belli e vasti d’occidente. Il fedele viene subito coinvolto in una commossa preghiera, senza la retorica presunzione di offrire a Dio un’opera che ne rappresenti la Sua Forza, che esalti il credo di incrollabile fede e testimoni le gioie della vita che Dio concede all’uomo. Non c’è tristezza, abbandono, retorico pentimento in tutto ciò che si vede, ma semplice gioia di fede, speranza, fiducia nella clemenza divina.

L’ignoto artista si è quasi divertito a comporre con migliaia di tasselli colorati animali, fiori, figure rivolte al significato del “dono”, come nell’antica cristianità erano vissute le cerimonie di ringraziamento a Dio o la bellissima immagine del Buon Pastore.

Avvicinandosi all’altare ci si “immerge“ nello splendido mare ricco di vita e armonia e l‘episodio biblico di Giona offre al fedele la possibilità della salvezza dimostrando a Dio lealtà e vero pentimento. Un particolare, inoltre, che rende unica nel suo genere questa Basilica, è rappresentato dall’incrocio della simbologia dell’acqua (i mosaici con il ciclo di Giona) e quella verticale del fuoco, facilmente ammirabile nel catino absidale. Tipico degli edifici di culto orientali, questo semplice accorgimento aumenta il prestigio e la forza spirituale del luogo. I colori stessi, utilizzati per rappresentare le due scene, sembrano aiutare il fedele a riconoscere, da subito, questa importante caratteristica.

Oggi la basilica può vantare un nuovo organo davvero imponente, costituito da ben duemila canne, alcune delle quali alte sette metri.

Il catino absidale, splendidamente affrescato con le figure della Vergine Maria con il Figlio e circondata dai santi aquileiesi, è un severo richiamo al rispetto delle direttive della Chiesa.

Come d’uso infatti a quei tempi, si può osservare l’effige del patriarca Poppone, ritratto tra i santi Ilario e Taziano, mentre presenta o dona alla Madonna il modello della Basilica. Alla destra della Vergine, tra i Santi Ermacora e Fortunato, c’è l’imperatore Corrado II. Poco distante si possono ammirare splendidi capolavori rinascimentali opera di Bernardino da Bissone quali l’altare del Sacramento e la Tribuna (1491), mentre l’altare maggiore è opera di Sebastiano e Antonio da Osteno (1498).

Nella cappella di San Pietro è collocato lo splendido polittico opera di Pellegrino da San Daniele (1503) e rappresenta i Santi Pietro e Paolo al centro, Ermacora, Fortunato, Teodoro e Girolamo ai lati, e nelle predelle l’arrivo di San Marco ad Aquileia e la sua predicazione. Attraverso il sollevamento con una carrucola della Pala centrale si può ammirare, in una nicchia ricavata al suo interno, la magnifica “Madonna del Latte” del XIV Secolo in pietra d’Istria.

Sotto la grande Sala del Presbiterio si trova la Cripta degli affreschi, cui si accede scendendo una piccola rampa di gradini in marmo. Costruita dal patriarca Massenzio nei primi anni del IX secolo racchiude il più importante ciclo di pittura murale di epoca romanica di tutta l’Italia settentrionale con un ciclo di affreschi dedicati alla Crocifissione, deposizione dalla Croce, deposizione nel Sepolcro e la “Dormitio Virginis“. Altre si riferiscono alla predicazione di San Marco, all’apostolato del vescovo Ermacora e alla vita di San Fortunato e del loro martirio.

Di enorme interesse sono i mosaici conservati nella cripta degli Scavi, appartenenti ai resti di un’antica basilica paleocristiana utilizzata come luogo di culto prima dell’Editto di Costantino. Percorrendo una apposita passerella in cristallo trasparente che circonda l’intera base del campanile poponiano si può ammirare la famosa scena la Tartaruga e il Gallo (simbolo dell’incrocio tra Oriente e Occidente) e altri animali dalle forme e colori brillanti. Poco prima di entrare nella cripta, al visitatore non può sfuggire la sagoma del Santo Sepolcro risalente agli inizi dell’XI secolo. Si tratta di una costruzione in marmo bianco che riproduce la più famosa Chiesa dell'Anàstasis a Gerusalemme. Di fronte la facciata principale della basilica si trova il Battistero collegato alla Chiesa dei Pagani.

Il Battistero, dedicato a Giovanni Battista, si presume fosse stata anche l’abitazione di Sant’Ermacora. Esso era diviso in due parti distinte. La prima, a struttura ottagonale, era munita di piscina a gradini circondata da sei colonne e probabilmente era sormontata da una copertura a cupola; il secondo edificio comprendeva la Chiesa dei Pagani.

L’importanza storica di questi edifici ci permette di comprendere come la fede fosse vissuta con grande intensità contribuendo ad arricchire il cammino spirituale della comunità di fedeli aquileiesi. Aquileia, nel corso di 2000 anni della propria storia, ha saputo sempre conservare intatto il ruolo di città aperta mantenendo gli importanti impegni assunti fin dalla sua fondazione.

Nonostante due tremendi terremoti e le innumerevoli distruzioni compiute dall’uomo, questa città ha dovuto sempre riemergere dalle proprie rovine e riaffermare la propria missione. In questo terzo millennio Aquileia diventa la “Grande Porta” per tutti coloro che vogliono ritornare, da protagonisti, a ricalcare i passi dei loro padri.

Il 4 dicembre 1998, presso la sede UNESCO di Kyoto, in Giappone, la grande Area archeologica e la Basilica di Aquileia venivano iscritti nella lista dei beni culturali e storici del Mondo con le seguenti motivazioni:
- Aquileia è stata tra le più importanti e ricche città di tutto l’Impero romano.
- In gran parte ancora intatta e poco esplorata, Aquileia conserva l’esempio completo di città dell’antico impero romano nella grande area del Mediterraneo.
- Il simbolo della Basilica patriarcale ha avuto un ruolo decisivo nello sviluppo del cristianesimo in Europa centrale al debutto di una nuova epoca.

(Rapporto della 22a Sessione del Comitato)

I Mosaici di Aquileia

Nei mosaici aquileiesi sono numerosi i simboli provenienti dall'Oriente e si possono trovare sia in abitazioni civili che in edifici religiosi.

I Romani erano molto attratti da tutte le raffigurazioni che provenivano da lontano e utilizzarono l’aspetto estetico per ornare i pavimenti delle loro case. I cristiani di quel tempo, per non essere perseguitati, approfittarono di questa opportunità e sfruttarono l’arte del mosaico per divulgare, attraverso semplici disegni, veri messaggi di fede.

I simboli che più di frequente appaiono nei mosaici sono la Svastica - dal sanscrito svastika (sm.), da svasti-, salute, con influsso del tedesco Swastika (sf.) -  e il Nodo di Salomone.

La prima è originaria dalla Cina e del Nepal. Essa rappresenta le quattro Forze della Creazione (Tempo, Spazio, Fuoco, Acqua – Fuoco, Acqua, Cielo, Terra) che girando in senso antiorario sviluppano la grande energia presente nell’universo; nel senso contrario, invece, ne raccolgono l’essenza. Nei mosaici aquileiesi sono presenti ambedue le direttrici rendendo unica la simbologia di queste forme.

Nel mezzo della Svastica troviamo, spesse volte, il Nodo di Salomone. Esso è la prosecuzione grafica della Stella di Davide e rappresenta il sigillo che porta impresso il vero nome di Dio. In oriente simboleggiava l’incrocio tra le due forze primarie, quella del Fuoco (con le tessere di colore rosso) e dell’Acqua (con tessere di colore azzurro); rappresenta, inoltre, il patto, il giuramento, l’unione che non può essere sciolta tra Dio e l’Uomo, quale Suo rappresentante sulla terra. Le sfumature presenti nella figura simboleggiano i livelli presenti nell’universo: fisico (mondo materiale), mentale (mondo astrale) e spirituale. Il Nodo di Salomone viene ancora oggi disegnato per allontanare la presenza di forze del male.

Ma Aquileia conserva, nei suoi mosaici, anche figure e simbologie che appartengono a tradizioni occidentali; tra queste senza dubbio l’immagine del Buon Pastore (case romane; aula nord della Basilica), presente anche a Roma nelle catacombe di Priscilla e a Ravenna.

In questo filone prettamente cristiano si inserisce la Storia di Giona ammirabile all‘interno della Basilica. Oltre a essere tra i più bei mosaici in Aquileia, il significato in esso contenuto ci fa capire quanto fosse esaltante la fede cristiana in questa città.

Attraverso la simbologia orientale del dragone o pesce feroce è nascosta l’universalità di questo messaggio, indicazione di Dio non solo per i cristiani, ma per l’intera umanità. Il mare ricco di pesci e di animali dalle forme e movimenti vari, rappresenta uno spettacolo di grande libertà, dove l’intero creato è chiamato a goderne, nel rispetto delle Leggi e della comune e altrui convivenza. Una religiosità più pagana la si evidenzia, invece, nei volti che rappresentano le quattro Stagioni (case romane). Oltre che ad Aquileia, troviamo queste immagini anche a Ravenna, Tunisi (Cartagine) e Piazza Armerina, in Sicilia.

Lo stretto rapporto con gli elementi della natura era, per i popoli antichi, una forma religiosa di rispetto e timore verso tutto ciò che contribuiva al sostentamento della vita.

In questo contesto molto bene si collocano i mosaici che rappresentano i Doni (Basilica), espressione massima di ringraziamento a Dio per quanto concede all’uomo attraverso il suo lavoro. Ma l’immagine che più di ogni altra appartiene alla tradizione culturale di Aquileia è quella del Gallo e della Tartaruga (Cripta della Basilica).

Aula teodoriana nord della Basilica di Aquileia
Mosaico pavimentale del IV sec. dC
Il gallo e la tartaruga

È assai evidente che siamo di fronte a un gallo con le caratteristiche del Gallo Rosso della Giungla (Gallus gallus), ben diverso dall'antenato della Livornese con zampe gialle del mosaico romano del I sec. aC.

L'interpretazione abituale di questa scena è centrata sulla lotta tra il bene, rappresentato dal gallo, e il male, simboleggiato dalla tartaruga in quanto abitatrice del Tartaro. Come ha sintetizzato Andrea Bertolazzi nella sua inattesa cartolina del 10 agosto 2006 – rendendosi così colpevole di aggiornarmi su un'antica e preziosa iconografia a me ignota – altri studiosi ritengono che il gallo rappresenti Gesù che, mentre annuncia l'alba e la sua resurrezione, scaccia la tartaruga abitatrice delle tenebre e simbolo del male.

Potremmo disquisire all'infinito. Per me ha importanza il fatto che il mosaicista del IV sec. dC si ispirò a un gallo che aveva sott'occhio, e che altri non era che un bankivoide strettamente imparentato con il Gallus gallus.

  

A sinistra il gallo e la tartaruga del comparto centrale della prima campata della Basilica di Aquileia
mosaico pavimentale del IV sec. dC
Fotografie di Andrea Bertolazzi inficiate dall'interposizione di plexiglass
10 agosto 2006

A prima vista i due galli sembrano uguali, ma ciò che li differenzia è il portamento della coda, che in quello di sinistra ricorda quella a scoiattolo posseduta e pretesa in alcune razze, salvo che il mosaicista volesse esprimere un momento di rabbia del gallo non attraverso un arruffamento delle piume della mantellina - come di solito accade, e lo dimostra il gallo di destra - ma attraverso un'erezione delle piume della coda. Per motivi cromatici dell'antico mosaico di sinistra non è possibile esprimere un giudizio sulla colorazione del piumaggio. Tuttavia, come per il gallo di destra, possiamo affermare che si tratta di un bankivoide, cioè di un discendente del Gallus gallus.

Molti studiosi hanno da sempre descritto questo episodio come la lotta tra il Bene (il Gallo) e il Male (la Tartaruga). In verità, se questa interpretazione può essere affascinante per molti aspetti, occorre capire quali significati venivano attribuiti ai due animali, espressione figurata di modi diversi di interpretare la vita e l’esistenza dell’uomo. Il “Gallo” rappresenta il mondo occidentale dove il tempo scorre in fretta, un mondo dinamico, ma al contempo assai vulnerabile, irascibile. La “Tartaruga”, invece, rappresenta l’Oriente, in cui il tempo è l’elemento fondamentale per lo sviluppo della saggezza dei popoli; un mondo che corre più lentamente e che si fa carico di grandi fermenti filosofici e spirituali. In tutte le grandi civiltà (Cina, India, America centrale) la tartaruga è l’espressione di colei, che sulle proprie spalle, porta il peso dell’umanità intera. Il dialogo, figurato, di questi due animali simboleggia il desiderio di unire i due mondi nel mezzo dei quali si è trovata Aquileia e in virtù di un loro incontro offrire la salvezza e la ricchezza a tutta l’umanità, ben rappresentata dal sacchetto di monete o dalla coppa poste sopra la colonna. Dobbiamo ricordare, infatti, che Aquileia non era chiamata ad assistere a lotte o lacerazioni, ma aveva l’importante compito di unire legami culturali assai diversi tra loro. A far da contorno a questi scenari troviamo infinite figure ricche, anch’esse, di importanti messaggi. Ad esempio la pesca (Basilica) che rappresenta la capacità della Chiesa nel raccogliere e radunare gli uomini divisi tra loro; la gru e il serpente il desiderio di giustizia e il diritto di far emergere il bene dal male. La gru, il cui simbolo è assai frequente nelle regioni dell’estremo oriente e la sua alzata in volo rappresenta un segno di speranza, è un inno di gioia al sorgere del nuovo sole e manifesta il desiderio di immortalità attraverso la resurrezione. Anche il pavone, animale più frequente delle nostre terre, testimonia l’immortalità indicando il vero cammino che deve compiere l’uomo.Nel suo classico atteggiamento a ruota, molti occhi appaiono tra le piume per scrutare quel mondo che gli umani, ormai, non riescono o non sono più in grado di vedere.

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Aquileia

Note riassuntive

Fondata dai Romani nel 181 aC come difesa contro le minacce dei Galli, durante la repubblica fu ingrandita e nel 90 aC venne elevata a dignità di municipio. Base di rifornimento delle truppe stanziate sul Danubio e sede del prefetto della flotta veneta alla fine dell'impero, godette di grande prosperità grazie anche alle numerose strade che univano il suo porto a un ricco e vasto retroterra.

Sede episcopale dal sec. III, fu devastata da Alarico (410) e da Attila (452) e distrutta dai Longobardi (568), con conseguente trasferimento a Grado del patriarca.

Solo dopo il Mille Aquileia ritornò al suo antico splendore in seguito all'importanza assunta dal patriarcato di cui era sede e all'intensificarsi del commercio con i Paesi del Mediterraneo e la Germania.

Nuovamente decaduta a causa della malaria che nel Trecento la spopolò quasi del tutto, nel 1509 passò agli Asburgo che la lasciarono decadere a villaggio senza importanza. Venne annessa all'Italia dopo la I guerra mondiale (1923).

La struttura urbana di epoca romana, ancora visibile dalle strade riportate in luce, era del tipo a castrum. Le mura repubblicane (1 km di perimetro) vennero distrutte nel sec. I dC e una seconda cinta difensiva venne più volte rifatta fino al sec. IV, spesso con materiale di edifici precedenti.

Il portocanale sulla Natissa è visibile nella sua conformazione originaria del sec. I dC, con una banchina in arenaria d'Istria lunga 400 m a due livelli d'attracco e imbarcaderi a gradinate. Intorno alla banchina erano organizzati i magazzini.

Il foro, rettangolare e porticato, si presenta com'era in età severiana. È stato identificato l'anfiteatro, mentre del circo e del palazzo imperiale di età augustea, noti dalle fonti, è sicura solo l'ubicazione.

Oratori sotterranei e basiliche testimoniano la diffusione del cristianesimo fin dal sec. III. I reperti architettonici e scultorei testimoniano la presenza ad Aquileia dal sec. III aC a tutta l'età augustea di una tradizione di tipo centro-italico che impiega arenaria d'Istria e calcare del Carso. In seguito il naturalismo dell'età giulio-claudia viene arricchito da decorazioni vegetali e motivi curvilinei, per subire poi, nel sec. III, l'influenza dell'arte delle province d'oltralpe.

Numerosi sono i pavimenti a mosaico, che impiega i materiali del luogo e tessere di pasta vitrea. Del sec. II aC sono i mosaici a fondo nero e marmi colorati, dei sec. I e III dC quelli geometrici in bianco e nero. Particolarmente plastici i mosaici delle terme Pasqualis (sec. III dC) che raffigurano giochi ginnici e motivi marini.

La città fu un importante centro della lavorazione del vetro: con il perfezionamento della tecnica “a soffio”, importata dal Levante, si produssero vetri di tutti i tipi, esportati in Italia e nell'area danubiana.

La lavorazione dell'ambra raggiunse ad Aquileia la perfezione, specie negli anelli lavorati a rilievo. Per l'oreficeria venivano incisi i vari tipi di calcedonio, i quarzi, gli opali, le pietre preziose, ottenendo risultati di altissimo livello. Quasi tutta la produzione artigianale e i reperti della città sono conservati nel Museo Archeologico Nazionale, che raccoglie anche materiale paleocristiano e medievale.

Del periodo medievale rimane soltanto il complesso monumentale della basilica, con il campanile e la Chiesa dei Pagani. La basilica attuale in stile romanico è quella eretta nel 1021-31 dal patriarca Poppone, a tre navate con presbiterio sopraelevato. Gli archi acuti e il soffitto a carena di nave sono posteriori al terremoto del 1348. Nella navata sinistra si conservano mosaici pavimentali di stile tetrarchico (tetrarchia è il governo diviso fra quattro sovrani o comunque quattro forze politiche, in particolare, il sistema imperiale instaurato da Diocleziano (245-313)), appartenenti alle primitive aule cultuali del vescovo Teodoro (inizi sec. IV). Risalgono invece al sec. IX, cioè alla ricostruzione attuata dal patriarca Massenzio, la cripta e i due plutei della cappella di S. Pietro. Gli affreschi dell'abside, del sec. XI, sono un tipico esempio di arte ottoniana, mentre gli affreschi delle pareti e della volta della cripta, più tardi (sec. XI-XIII), sono bizantineggianti. Vi si distinguono le Storie della Passione, di un maestro vicino allo stile bizantino provinciale. La basilica è unita al battistero mediante un atrio e la cosiddetta Chiesa dei Pagani, formata da due ambienti, uno rettangolare e uno quadrato con cupola ornata di affreschi del sec. XIII.

Poppone di Carinzia

Patriarca di Aquileia (m. ca. 1042). Nominato patriarca di Aquileia (1019) da Enrico II, lo accompagnò durante la spedizione nell'Italia meridionale (1022). Costruì una grandiosa basilica, consacrata nel 1031, e cercò di accrescere il prestigio del proprio episcopato anche a danno del patriarca di Grado che, con l'appoggio imperiale, tentò di sottomettere. Per Corrado II tenne prigioniero Ariberto, arcivescovo di Milano.

Pluteo

Dal latino pluteus, riparo, parete di difesa.

1) Macchina militare costituita da una specie di parapetto montato su ruote usata anticamente per proteggere gli assedianti che si avvicinavano alle mura nemiche.

2) Pannello parallelepipedo in pietra, marmo o legno, scolpito in genere a bassorilievo, impiegato nelle basiliche cristiane per separare il presbiterio o la cantoria dal resto della chiesa. Ha funzione analoga alla transenna che si differenzia dal pluteo, compatto e massiccio, per essere traforata.

3) Nelle biblioteche medievali e rinascimentali, il banco al quale era fissato, mediante catenelle metalliche, il manoscritto; il piano superiore del pluteo, inclinato, fungeva da leggio; dopo l'uso il manoscritto era riposto nello scaffale sottostante. 

Patriarcato di Aquileia

Potente unità territoriale politico-ecclesiastica del Medioevo. Sede di vescovo fin dal sec. III e di metropolita dopo la controversia ariana (conclusa nel 381), Aquileia si trasformò in patriarcato quando il suo presule Paolino I rifiutò la condanna dei Tre Capitoli di Costantinopoli (553) enunciata da papa Vigilio. Separatosi (sec. VII) da Grado, dove la sua sede era stata trasportata per la minaccia longobarda (568), il patriarcato mise fine allo scisma nel 698 e attraverso le generose donazioni di Carlo Magno pose le solide basi della sua potenza politica. Ulteriormente ingrandito dalle frequenti concessioni dei re italici, crebbe in prestigio con Paolino II (m. 802) e raggiunse il massimo splendore ai tempi del tedesco Poppone (patriarca dal 1019 a ca. il 1042) e di Sigeardo (patriarca dal 1068 al 1077) quando i suoi possessi arrivarono dallo Spluga e dal Po fino alla Drava e ai confini dell'Ungheria. Da quell'epoca, tuttavia, il patriarcato fu coinvolto in una serie di competizioni che finirono per fiaccarlo. Stretto infatti tra la crescente potenza di Venezia e le mire dei principi transalpini che tendevano al mare, resistette a lungo, ma dalla metà del sec. XIV cominciò a decadere e nel 1420 fu totalmente conquistato dalla Serenissima. Reintegrato per breve tempo nella sola signoria di Aquileia (1445), nel sec. XVI perdette definitivamente ogni diritto feudale cadendo nell'orbita degli Asburgo. Indebolitasi allora irrimediabilmente anche la sua giurisdizione ecclesiastica, lo stesso patriarcato fu infine soppresso (1751) e diviso nei vescovadi di Udine e Gorizia.

La Natissa

LA STORIA SPECCHIATA NEL FIUME
di Flavio Cossar
Vicesindaco di Aquileia
L’ASSOCIAZIONE AQUILEIA
74 anno secondo - numero tre - lug/set 2006
www.sitiunesco.it

La storia di Aquileia è intimamente legata a quella del suo fiume, la Natissa, che da sempre attraversa il paese, bagnando luoghi intrisi di storia e portando al mare tante vicissitudini, antiche e recenti.

Le acque dell’odierna Natissa risalgono in superficie attraverso delle polle (bojòns), una caratteristica morfologica che si può ancora oggi ammirare ad Aquileia, tenendo conto che il fenomeno delle acque di risorgiva è comunque ben noto in tutta la Bassa friulana, da est nel territorio di Monfalcone fino a occidente nel Pordenonese.

Se si osservano alcune vecchie stampe, si nota subito che la Natissa, nasce in mezzo a una vasta selva (il Grant Bosc), completamente deforestata agli inizi dell’800, quando i nobili Cassis acquistarono queste terre per coltivarle in maniera intensiva: a tale scopo la presenza dei boschi e delle copiose acque venne a costituire un problema di non poco conto, che allora fu risolto con un forte riordino fondiario e una modifica della rete drenante.

Nel periodo medievale le acque della Natissa, chiamata anche Fayet appunto perché nasceva da un bosco di faggeti, furono fatte scorrere su tutti i lati della cinta muraria difensiva della città e probabilmente diedero il nome anche alla porta di sud ovest: porta Faytiula. Un racconto di acque che cominciano la loro corsa verso Aquileia dai Roncs, zona ubicata poco a nord di Aquileia.

Ancora oggi oltre alla Natissa scendono le fresche acque dell’Aussèt, del Marignùl (chiamato in medioevo Malignim Flumen), della Pantanosa, del Padovan: un patrimonio idrico non irrilevante che contribuisce notevolmente alla fertilità dell’agro aquileiese.

La Natissa, abbandonati i Roncs, attraversa i terreni chiamati Paludèi, ed entra nel borgo di Monastero, che prende il nome dalla presenza dell’antico convento benedettino femminile di clausura, sorto in età tardoantica attorno a un’importante basilica paleocristiana e dismesso a fine secolo XVIII, per poi attraversare il centro storico romano e medievale di Aquileia, acquisendo l’idronimo di Pila (dalla pilatura del riso), scende verso l’area in cui sorge la basilica di Aquileia con un’ansa a ovest, lambendo così l’intero lato meridionale del paese.

Alla località Durìda raccoglie le acque del fiume di Terzo (il medievale Rovedula), per inoltrarsi verso meridione e da qui scendere lentamente, dopo circa cinque chilometri e sfociare nella laguna di Grado, in località Montonus; la laguna è un ambiente naturale di ineguagliabile bellezza in cui la terraferma cede lentamente il passo al mare; ove da subito appaiono alcuni casoni, le tipiche abitazioni dei pescatori gradesi costruiti sugli isolotti che la caratterizzano (tapi).

Qui si intravede a poca distanza la Pineta di San Marco, sulla quale è da secoli ubicata una chiesetta che, come ricorda una leggenda aquileiese, si trova sul luogo dove sbarcò l’apostolo Marco proveniente da Alessandria d’Egitto per portare la Buona Novella alla città romana di Aquileia capitale della X Regione Venetia et Histria.

Molto probabilmente il termine Natissa deriva dal latino natare, cioè nuotare. Un nome simile a Natisone (Nadisòn), il torrente che passa per Cividale del Friuli. E non è un caso. Infatti, le cronache storiche riportano più volte che la città romana di Aquileia era lambita, nella parte orientale, dal Natiso cum Turro, cioè dalle acque del Natisone e da quelle del Torre (che scende a est di Udine), che all’epoca ne era affluente.

I più recenti studi geognostici sul territorio di Aquileia hanno portato a ulteriori conoscenze e cioè che, oltre a quelle del Natisone e del Torre, forse Aquileia riceveva anche le acque di un ramo del vicino fiume Isonzo. Ciò in considerazione del fatto che nell’agro aquileiese si sono trovate le ghiaie di quest’ultimo. Una plausibile alternativa è quella che gli alvei del Natisone e del Torre si siano impostati sulla direttrice preesistente dell’Isonzo, passante appunto anche per Aquileia.

Fatto rilevante è che tutti questi imponenti corsi d’acqua che alimentavano il celeberrimo porto romano di Aquileia imperiale, largo circa 50 metri e lungo oltre 300, siano venuti a mancare repentinamente nella seconda metà del IV secolo dopo Cristo. Le ragioni di questa improvvisa cessazione di apporto di acque alla città romana possono essere spiegate da un avvenimento naturale, come una grande alluvione, oppure da cause dovute all’intervento umano, come per esempio un assedio militare, anche con una vera e propria deviazione del corso d’acqua a monte della città: quest’ultimo episodio viene documentato dagli storici proprio nel 381 dC a opera di Giuliano l’Apostata.

Comunque è certo che a partire dalla seconda metà del IV sec. dC il porto fluviale aquileiese non  è più attivo, poiché il bacino viene ora alimentato dalle sole acque di risorgiva (della Natissa) che hanno preso il posto di quelle dei grandi fiumi Natisone e Torre.

Non c’è più l’evidente apporto di ghiaie e sabbie grosse, ma di soli strati fini limosi e argillosi, caratteristici dei fiumi di risorgiva e le analisi al carbonio 14 su resti organici di questa nuova sedimentazione hanno dato il responso cronologico sopra citato.

Aquileia, dunque, non solo centro di interesse storico-archeologico di livello internazionale, ma anche luogo di grande valenza ambientale. Un patrimonio, quello paesaggistico aquileiese, di cui poco si parla, poiché non determina una immediata ricaduta economica, come quella derivante dall’archeologia, ma che va tutelato e salvaguardato. Questi beni collettivi costituiranno sempre più un valore aggiunto per Aquileia, per qualificare ulteriormente un turismo sostenibile, interessato a raccogliere solo i frutti di Aquileia senza rovinare la pianta.

- L’antico nome del fiume Natiso (Natiso, -onis) ci giunge con ben quattro varianti popolari fra le quali il friulano aquileiese Natìssa, particolarissima variante che verrebbe accostata di primo acchito a una rara continuazione dell’antico nominativo latino Natiso, con cambio di genere forse influenzato da una tradizione locale. Il mantenimento della dentale sorda, strano nel romanzo del nord Italia (stesso discorso per la —s- sorda), potrebbe forse spiegarsi anche con il permanere in Friuli del ricordo di due varianti dello stesso idronimo, corrispondenti a due tradizioni linguistiche diverse. Per esempio le condizioni fonetiche suddette rientrerebbero benissimo in una tradizione germanica: la pronuncia gotica o longobarda del nome latino del fiume potrebbe essere passata ai Latini in alcune zone del Friuli come Manzano e Aquileia (cfr. Maurizio Puntin).

Sant'Ermacora e San Fortunato

Ermacora / Ermagora

Ermacora è tipico dell'udinese, Ermagora, quasi scomparso, è sempre dell'udinese e dovrebbero derivare dal cognomen latino Hermagora derivato dal nome greco Hermagoras. Ricordiamo il famoso sofista Hermagoras di Temno del II° secolo aC citato da Quintiliano nel testo: "...Posidonius disputationem quoque eius cum Hermagora sophista de generali quaestione habitam perscripsit...". (integrazioni fornite da Fabio Paolucci)

Ermacora è un cognome prettamente friulano, diffuso con discreta intensità nella provincia di Udine ed estremamente raro nel resto del Paese. Si dovrebbe trattare della cognominizzazione di Ermacora, nome del primo Vescovo di Aquileia investito, secondo le fonti, da San Pietro, martirizzato in nome della sua Fede e poi fatto Santo; l'origine del cognome è dunque imputabile al culto del Santo Martire in questione.

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Sant'Ermagora di Aquileia Vescovo
12 luglio

Ermagora è il vescovo col quale comincia il catalogo episcopale di Aquileia e non c'è ragione di dubitare di questa testimonianza. Sarebbe vissuto verso la metà del III secolo e dopo di lui quel catalogo continua senza interruzione, nonostante qualche incertezza, fino alla soppressione della diocesi patriarcale nel 1751. Oltre a questo, nulla sappiamo di sicuro a proposito del protovescovo. A tale mancanza intese supplire una diffusa leggenda formatasi durante l'VIII secolo. Essa narra che l'evangelista san Marco, inviato da san Pietro a evangelizzare l'Italia superiore, giunto ad Aquileia, vi incontrò un cittadino di nome Ermagora e, convertitolo al Cristianesimo, lo consacrò vescovo della città, avviando così l'evangelizzazione di tutta l'area mitteleuropea. Egli vi avrebbe conclusa la sua missione con il martirio durante la persecuzione suscitata da Nerone e compagno gli sarebbe stato il suo diacono Fortunato. I due santi sono patroni dell'arcidiocesi di Gorizia, dell'arcidiocesi e della città di Udine nonché, da pochi anni, di tutta la Regione Friuli Venezia Giulia. (Avvenire)

Patronato:Friuli Venezia Giulia, Gorizia e Udine
Emblema: Bastone pastorale
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Ermagora, vescovo di Aquileia,
e Fortunato, diacono,
santi, martiri.

Ermagora è il vescovo col quale comincia il catalogo episcopale di Aquileia e non c'è ragione di dubitare di questa testimonianza. Egli sarebbe vissuto forse verso la metà del sec. III e dopo di lui quel catalogo continua senza interruzione, nonostante qualche incertezza.

Oltre a questo, nulla sappiamo di sicuro a proposito del protovescovo. A tale mancanza intese supplire una diffusa leggenda che, formatasi già durante il sec. VIII, raggiunse la sua maturità durante il secolo seguente, non senza subire aggiunte e varianti nell'età posteriore. Essa sorse e si sviluppò nell'intento di dare un'origine apostolica alla Chiesa di Aquileia e narra che l'evangelista San Marco, inviato da San Pietro a evangelizzare l'Italia superiore, giunto ad Aquileia, vi incontrò un cittadino di nome Ermagora e, convertitolo al Cristianesimo, lo consacrò vescovo della città; anzi, secondo una variante, lo condusse a Roma, dove San Pietro in persona lo consacrò. Mentre San Marco sarebbe stato inviato ad evangelizzare Alessandria, Sant'Ermagora sarebbe stato inviato ad Aquileia e avrebbe evangelizzato quella città e le regioni circonvicine. Egli vi avrebbe concluso la sua missione con il martirio durante la persecuzione suscitata da Nerone e compagno gli sarebbe stato il suo diacono Fortunato. La loro memoria fu celebrata al 12 luglio, data nella quale sono ricordati anche nel Martirologio Romano, nella Chiesa di Aquileia e in altre Chiese. Nelle diverse redazioni nelle quali ci fu tramandato il Martirologio Geronimiano, i due martiri sono notati sempre sotto quella stessa data; ma è assai notevole che al primo posto sia ricordato San Fortunato, anzi, in qualche esemplare dello stesso Martirologio si legge soltanto il suo nome. Ci sorprende inoltre che Venanzio Fortunato nel sec. VI ricordi due volte San Fortunato in Aquileia: una volta nella Vita di San Martino: "Ac Fortunati benedictam urnam", un'altra volta in Miscellanea : "Et Fortunatum fert Aquileiam suum".

Doveva essere perciò un martire assai celebrato; invece Venanzio non fa cenno di Ermagora. Finalmente, nel Martirologio citato, accanto a Fortunato, è ricordato il secondo martire col come così deformato: Armageri, Armagri, Armigeri, secondo i diversi codici. Che questo martire, che non è però qualificato col titolo di vescovo, sia il nostro Ermagora, non pare sia da dubitare, e che il suo nome, tutt'altro che comune, possa essere stato storpiato dai copisti, non sorprende coloro che hanno qualche familiarità col Geronimiano; sorprende invece che sia messo al secondo posto. Ma la spiegazione di questa anomalia potrebbe aversi nel fatto che l'estensore del Martirologio trovò in un antico elenco di martiri (o forse nello stesso Venanzio Fortunato) il nome dell'aquileiese Fortunato e vi aggiunse quello del primo vescovo aquileiese, che doveva essergli assai meno noto. Ma c'è dell'altro: nello stesso Geronimiano troviamo, sotto il 22 o 23 agosto, ricordati per Aquileia: "sanctorum Fortunati Hermogenis", questo secondo nome deformato anche in Hermogerati, Ermodori. Pare però evidente che questo Ermogene non è che una ripetizione di Ermagora; infatti già gli antichi Bollandisti avevano pensato a una identificazione dei due gruppi. Va pure notato che il 14 agosto si festeggiavano i martiri Felice e Fortunato (il secondo sempre aquileiese) ai quali basti qui accennare.

Pio Paschini
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