I
galli di Valenza (AL)
di Pier Paolo Prandi
VALENZA
dalle
tradizioni ai giorni nostri
SEI CERI UN ASINO E UN BUE
In quest'opera il pittore Pier Paolo Prandi vuole rappresentare in sintesi e con ironia, nel suo stile inconfondibile, ciò che aveva letto nel libro Valensa d'na vota e, in particolare, nei capitoli riguardanti la festa dedicata a San Massimo, patrono della città, che, secondo la tradizione storica, è indicato come il fondatore di Valenza nel luogo in cui oggi è situata.
L'autore rappresenta l'avvenimento come se lo spettatore fosse a teatro: in primo piano davanti all'osservatore campeggiano le mura che circondano e difendono Valenza; ai lati i valloni che salgono sino alle lontane colline; sotto di esse e sui lati si intravede il nastro argenteo del Po che nel passato scorreva sotto le mura.
Questo è il "palcoscenico" che regge tutta l'allegoria.
Ora, partendo dall'alto vediamo, nel cielo buio dei tempi, apparire San Massimo su di una barca; il Santo indica alla colomba sovrastante dove deve sorgere la città. Infatti la colomba regge, con un filo nel becco, lo stendardo che si apre sulla scena con la luna sul lato destro, il sole sul sinistro: il giorno e la notte, il tempo che passa.
È lo svolgersi della vita e della storia.
Dietro questo primo stendardo ne appaiono altri: uno rappresenta la bandiera francese, l'altro quella spagnola, assediati e invasori della nostra cittadina in vari periodi storici.
Al
centro appare il Duomo che traspare attraverso i raggi del sole che si
proiettano su tutta la scena. A fianco del Duomo la chiesa di Santa Caterina,
una delle più antiche di Valenza, che l'autore ha voluto immortalare nel quadro
visto che rischia di scomparire per l'incuria del tempo e degli uomini.
Vediamo ora i personaggi: si noti il contadino che con la mano tiene la guida
del carro: egli è rappresentato grande, la sua mano ha parecchie dita, simbolo
di volontà, forza, coraggio e costanza nel duro lavoro della terra; poi l'asino
e il bue, adorni di ghirlande, di fiori, frutti e addobbi decorati, come voleva
la tradizione. Trascinano il carro con sopra l'aratro di legno che tracciò il
solco della città.
L'aratro ha già ironicamente assunto la vaga forma dello stoc, presagio del futuro lavoro di Valenza. Sopra il carro un carico di personaggi, che simboleggiano il variegato popolo, porta cesti di frutta, i sei ceri fioriti, dono del popolo al Santo, lo stendardo della città con rappresentati i simboli delle origini romane.
Sul lato destro del quadro, fuori scena, due farfalle volano in alto e rappresentano coloro che ci lasciano. Le figure a sinistra sono i suonatori che annunciano la festa. Il personaggio con il tamburo è un autoritratto dell'autore; come anche il folletto che vola in alto sulla scena con il pennello in mano nell'intento di dipingere il quadro.
Si
può notare inoltre che la mazzetta gialla di destra del suonatore di tamburo,
vista a distanza, diventa la luna nel cielo sulle colline.
Il personaggio con il trombone ha due volti e dal trombone escono frutti;
risalta poi la bimba al centro con il vestito arancio che tiene per le briglie
il bue, simbolo della fecondità; essa rappresenta, in quanto donna, il futuro:
colei che dà continuità alla vita.
Seduto sul muretto in primo piano un giovinetto calpesta con indifferenza i frutti della nostra terra; in lui vi è già l'idea del futuro, infatti con il coltello sta preparando lo stoc, simbolo del lavoro che si svilupperà in città: l'oreficeria. Essa prenderà il posto del mondo contadino simboleggiato dal vecchio che, appoggiato alle spalle del giovane, sembra riflettere la sua ombra; l'anziano con un filo d'erba in mano guarda con nostalgia alle lontane colline che fino a ieri gli hanno dato il cibo.
Gli ultimi due particolari, il primo sul muro alla destra del quadro, incastonata come una pietra preziosa, raffigura una palla di cannone, residuo delle antiche battaglie; il secondo rappresenta un gallo che vola terrorizzato fuori dalle mura, simbolo del mondo contadino che non trova più spazio in città: ormai l'arte orafa ha preso il suo posto.
IL VOLO DEL GALLO
IL VOLO DEI GALLI
Pier Paolo Prandi
Sono nato in Via Pastrengo a Valenza, in provincia di Alessandria, l'8 aprile del 1945. Il 30 aprile 1848, durante la I guerra d'indipendenza, le truppe piemontesi guidate dal generale Hector Gerbaix De Sonnaz conquistarono Pastrengo, oggi in provincia di Verona, costringendo alla fuga le forze austriache del generale Wocher.
Mi introdussi nell'oreficeria, ma, in uno dei periodi della crisi orafa, tramite mi fratello Teresio, appassionato di arte, venni in possesso di una confezione di tubetti di colore e mi disse: "Prendi un cartoncino telato, mettilo su un cavalletto e prova a dipingere."
Io gli ubbidii e, approfittando dei suoi insegnamenti, mi tuffai nell'arte pittorica. Successivamente esposi le mie creazioni in mostre organizzate da vari Enti a partire dal 1974. Posso affermare che ancora oggi, 2012, il pennello mi occupa per circa 8 ore al giorno, delle quali sono estremamente soddisfatto.