Columbae Batavorum & Columba Valentina
Le
colombe dei Batavi
ancora oggi esperti e appassionati allevatori
La
Colomba di San Massimo
che fondò la nuova Valenza
English version
Batàvi deriva probabilmente dal germanico bat = buono, eccellente + awjō = isola, terra vicina all'acqua. I Batavi, sottomessi dai Romani nel 12 dC, costituivano una tribù germanica - secondo Tacito (Historiae IV,12) appartenente al popolo germanico dei Catti - che viveva nell'attuale Olanda, nell'area del delta del Reno. Gaio Giulio Cesare in De bello Gallico (IV, 10) scrive che i Batavi erano stanziati su un'isola - insula Batavorum - formata dall'incontro della Mosa e del Waal: Mosa profluit ex monte Vosego, qui est in finibus Lingonum, et parte quadam ex Rheno recepta, quae appellatur Vacalus, insulam efficit Batavorum, in Oceanum influit neque longius ab Oceano milibus passuum LXXX in Rhenum influit. - La Mosa scende dai monti Vosgi [la Mosella dai Vosgi - la Mosa dall'altopiano di Langres], che sono nel paese dei Lingoni e, ricevuto dal Reno una sua parte che si chiama Vacalo [il Waal, uno dei maggiori bracci del basso corso del Reno], forma l'isola dei Batavi, sfocia nell'Oceano e a una distanza dall'Oceano di non più di 80 miglia si getta nel Reno [è il ramo di NW della Mosa a gettarsi nel Reno, quello diretto a ovest sfocia direttamente nel Mare del Nord].
Alleati del popolo romano, in seguito entrarono a far parte dell'Impero romano, con l'esenzione, però, dal pagamento di tributi. L'unico obbligo era quello di servire nell'esercito romano. Erano infatti così rinomati per il combattimento a cavallo da costituire, al tempo dell'imperatore Caligola (37-41 dC), un importante contingente di truppe ausiliarie. Il primo a riconoscere l'importanza strategica di questa posizione fu il generale Druso (38-9 aC, figlio di Tiberio Claudio Nerone e di Livia Drusilla, fratello dell'imperatore Tiberio), che costruì qui dei castra, che in seguito saranno usati durante la rivolta batava. Dall'archeologia si desume che vivevano in piccoli villaggi di 6-12 case, ubicati su terre fertili tra i fiumi, e che praticavano l'agricoltura e l'allevamento e che per loro il cavallo era molto importante. Sulla riva sud del Waal fu costruito il centro amministrativo romano di Oppidum Batavorum (oggi Nimega, nella provincia della Gheldia), che sarà poi distrutto durante la rivolta dei Batavi. Altra città che portava il nome dei Batavi era Leida (oggi nella provincia dell'Olanda Meridionale) che si chiamava Lugdunum Batavorum, ma pare più verosimile che il nome latino fosse da attribuire alla vicina Katwijk.
Cariovalda è il primo comandante militare batavo ricordato dalle fonti (Tacito, Annales II,11). Cariovalda guidò una carica attraverso il Weser contro i Cherusci di Arminio (popolazione germanica stanziata tra il Weser e l'Elba), al tempo delle campagne militari del generale Giulio Cesare Germanico (15 aC - 19 d C). E Tacito, in De origine et situ Germanorum 29, ricorda che i Batavi erano la tribù più coraggiosa dell'area: Omnium harum gentium virtute praecipui Batavi. Alcune coorti di Batavi furono anche inviate in Britannia. Se non bastasse, essi fornirono un contingente per la guardia imperiale a cavallo, gli Equites singulares.
La rivolta batava - Nel 69 un principe batavo romanizzato, Gaio Giulio Civile, capeggiò una rivolta del suo popolo, appoggiata dalle popolazioni germaniche d'oltre Reno, che si estese in Gallia sotto la guida di Giulio Sabino e nella Renania sotto quella della profetessa Velleda. La ribellione era scoppiata perché il batavo Giulio Paolo, parente di Civile, era stato giustiziato per ordine di Fonteio Capitone, con una falsa accusa di sedizione, nonostante i Batavi godessero dello status di alleati. Dopo questa rivolta, tornarono a essere alleati di Roma e a servire nell'esercito.
Batavia alias Jakarta - Giacarta (in indonesiano Jakarta o Djakarta o DKI Jakarta, già Batavia o Jayakarta) è la capitale e la principale città dell'Indonesia, situata sulla costa nordoccidentale dell'isola di Giava. Nel 1619 le forze della Compagnia Olandese delle Indie Orientali, guidate da Jan Pieterszoon Coen, conquistarono la città e da Jayakarta la ribattezzarono in Batavia, che si ricollega al popolo di Batavi, e mantenne tale nome fino al 1942.
Ulyssis
Aldrovandi
Ornithologiae tomus alter - 1600
Liber decimusquintus
qui est de avibus, quae simul se pulverant,
et lavant.
Paginae 353-574
trascrizione di Fernando Civardi
I
- De Columbis in genere
I - Sulle colombe in generale
354
Nonne et apud nos nobiles familiae fere omnes Columbaria habent, in quibus habitant, educantur, ac nidulantur? Sed etsi nos emolumenti causa eas alamus, Gallos tamen, maxime autem Belgas, ac inter hos Batavos ferunt adeo Columbarum studiosos esse, ut vel quarta saltem eorum pars eas ad animum duntaxat explendum enutriat. Aiunt insuper eosdem, quotquot reperiri queunt Columbarum genera, diligenter investigare, magno semper mercari pretio, laudes singularum in publico, privatoque conventu, in quo patritios etiam viros pauperioribus sese immiscere minime pudeat, modo de Columbis sermo sit, enarrare, adeo ut quod Plinius olim de Romanis, id nos etiamnum de Batavis dicere queamus, Columbarum scilicet amore insanire[1]. |
Non è forse vero che anche presso di noi - Italiani - quasi tutte la famiglie nobili hanno delle colombaie, in cui i piccioni abitano, vengono allevati e nidificano? Ma anche se noi li alleviamo per trarne un profitto, riferiscono tuttavia che i Francesi, ma soprattutto i Belgi, e tra costoro i Batavi, sono a tal punto appassionati dei piccioni che perlomeno un quarto di loro li alleva soltanto per appagare la propria mente. Inoltre dicono che essi indagano con diligenza tutte quante le razze di piccione che si riesce a scoprire, che le commerciano sempre a un prezzo elevato, che innalzano le lodi di ciascun piccione sia nelle riunioni pubbliche che private nelle quali anche i nobili non si vergognano di mescolarsi a coloro che sono più poveri, purché si parli di colombi, tant'è che quello che Plinio disse un tempo a proposito dei Romani, ancora adesso possiamo dirlo a proposito dei Batavi, cioè, impazzire d'amore per i colombi. |
[1] Plinio Naturalis historia X,110: Quin et internuntiae in magnis rebus fuere, epistulas adnexas earum pedibus obsidione Mutinensi in castra consulum Decumo Bruto mittente. Quid vallum et vigil obsidio atque etiam retia in amne praetenta profuere Antonio, per caelum eunte nuntio? Et harum amore insaniunt multi. Super tecta exaedificant turres iis nobilitatemque singularum et origines narrant, vetere iam exemplo. L. Axius eques Romanus ante bellum civile Pompeianum denariis CCCC singula paria venditavit, ut M. Varro tradit. Quin et patriam nobilitavere in Campania grandissimae provenire existimatae.
Genera
Razze
360-361
[360]
Verum nunquid M. Varro, Aristoteles, aliique veteres domesticarum
Columbarum species, quas nostra tempora modo suppeditant, agnoverint,
non dubito duntaxat, sed non adducor etiam, ut id credam, etsi
antiquos Romanos Columbarum amore insaniisse probe norim, et ex Plinio
ante retulerim. Tanta
enim iamnum in Europa Columbarum reperitur diversitas, maxime, ut
audio, apud Belgas, hosque inter apud Batavos, ut narranti mihi viro
alioqui fide dignissimo vix fidem adhibere potuerim. Hos populos si
quae ulla alia gens, Columbis impense delectari, ideoque quam plurima
earum genera alere supra quoque memini. Dicebat autem vir ille praeter
communes domesticas, et saxatiles, quarum insuper immensam habeant
copiam, genus quoddam esse domesticis vulgaribus duplo fere maius,
pedibus hirsutis, hoc est pennatis, quod inter volandum, et dum
murmurat, id est vocem suam edit, fauces in tumorem ingentem adducit,
quem quo maiorem, maxime in volatu ostendunt, eo nobiliores censeri,
dici vero id genus Kroppers Duve, hoc est Columbas gutturosas, quo
nomine pariter nobis veniunt nam quandoque etiam ad nos afferuntur. |
In
realtà non solo dubito che Varrone, Aristotele e altri autori
conoscessero le antiche razze di colombi domestici che riforniscono
ancora in abbondanza il tempo in cui viviamo, ma non vengo neppure
indotto a crederlo anche se sono a perfetta conoscenza che gli antichi
Romani impazzirono d'amore per le colombe, e in precedenza l'ho
riferito traendolo da Plinio. Infatti anche adesso in Europa si
rinviene una così grande diversità di colombe, soprattutto, come
sento dire, presso i Belgi, e, in seno a questi, presso i Batavi, che
a stento avrei potuto credere a quell'uomo che me lo raccontava,
peraltro assolutamente degno di fede. Anche prima ho fatto menzione
del fatto che queste popolazioni più di tutte le altre si dilettano
moltissimo con le colombe e che pertanto ne allevano tantissime razze.
Infatti quell'uomo diceva che oltre a quelle comuni domestiche e alle
torraiole, delle quali oltretutto hanno un'enorme abbondanza, esiste
una razza grande quasi il doppio rispetto alle domestiche comuni, con
le zampe irsute, cioè impiumate, la quale durante le pause del volo e
mentre tuba, cioè quando emette la sua voce, gonfia enormemente la
gola, e più queste colombe la mostrano
gonfia, soprattutto durante il volo, tanto più vengono giudicate
eccellenti, e questa razza viene detta Kroppers Duve, cioè, colombe
gozzute, e arrivano da noi con lo stesso nome, infatti ogni tanto
vengono esportate anche da noi. |
Ornithologus
se Venetiis
Columbas observasse tradit, quae Gallinaceos fere magnitudine
aequarent[1].
Verum quod eas e Palumbarum maximarum cicuratarum genere esse credit,
prorsus meo iudicio fallitur; Palumbes enim nunquam cicurantur.
Caeterum num illae, quas in Batavia haberi vir ille narrabat,
eaedem sint cum Campanis Plinii, qui in Campania maximas nasci
scribit, non ausim affirmare, [361] quanvis interim id minime negarim.
Bellonius certe eius plane sententiae est, et hallucinari eos asserit,
qui Plinium, aliosque veteres eas non agnovisse putant. Christophoro
Columbo Indi quoque Columbas obtulerunt inter alia munera nostratibus
multo maiores, et gustu pariter suaviores, sed gustus itaque iudicaret,
si cum superioribus eaedem sint, an diversae. |
L'Ornitologo
- Conrad Gessner - riferisce di aver osservato a Venezia delle colombe
che per grandezza quasi eguagliavano i polli. In verità, per il fatto
di credere che esse derivino dalla razza delle enormi colombe
selvatiche addomesticate, a mio avviso sbaglia completamente; infatti
i colombi selvatici giammai si addomesticano. Inoltre non oserei
affermare che quei piccioni che quell'uomo diceva essere presenti in
Batavia corrispondono a quelli della Campania di Plinio, il quale
scrive che in Campania ne nascono di grandissime dimensioni, anche se
tuttavia non lo negherei del tutto. Senza dubbio Pierre Belon è
completamente del suo avviso e afferma che prendono degli abbagli
coloro che ritengono che Plinio e gli altri antichi non li conobbero.
Gli Amerindi, tra gli altri doni, portarono a Cristoforo Colombo anche
delle colombe molto più grandi delle nostre, nonché di gusto più
gradevole, e pertanto il sapore era in grado di esprimere un giudizio
se erano uguali a quelle appena citate oppure diverse. |
Affirmabat
vir ille, reperiri aliud genus hirsutis pariter pedibus, ac magnum, si
communibus domesticis compares, parvas vero, si illis, id nostrates
vulgo Tronfo vocant. Alere quoque Cyprias, seu, ut Ornithologus
nominat, Russicas, et Anglicas, et Monachicas, Ferrarienses Sorellas,
has appellare Kappers, hoc est, cucullatas, a crista nimirum, quae
cucullum, quem Kappam vocant, propemodum aemulari videtur, et harum
duo habere genera, unum pedibus pennis ornatis, alterum nudis: rursus
omnes hasce diversorum colorum esse. Dari et aliud genus Cypriis
simillimum, sed crista carens, et pedibus semper nudis, rostro nempe
admodum exiguo: hoc dicere Cortbecke, id est, brevis rostri: esse ibi
et aliud genus, quod {indigete} <indigente> voce a gestu
Overslagers nuncupent, quoniam in honorem faemellae vel suae, vel
aliarum post longa murmura a terra sese elevet, et ultra illas volando
alas quatiat. |
Quell'uomo
affermava che si rinviene un'altra razza sempre con le zampe irsute, e
di corporatura grande se la paragoni a quelle domestiche comuni, ma
piccole se paragonate a quelle che gli Italiani chiamano comunemente
Tronfo. Sembra che gareggino nell'allevare anche quelle di Cipro, o,
come le chiama Gessner, della Russia, nonché le Inglesi, le Monache,
le Sorelle di Ferrara che chiamano Kappers, cioè, incappucciate,
appunto da un ciuffo, che è il cappuccio che essi denominano Kappe, e
che di queste colombe ne esistono due varietà, una con le zampe
adorne di piume, l'altra con le zampe nude: inoltre che ambedue
presentano varie colorazioni. Esiste anche un'altra razza assai simile
a quelle di Cipro, ma senza ciuffo, e sempre con le zampe nude, e
precisamente con il becco estremamente piccolo: questa razza viene
detta Cortbecke, cioè, dal becco corto: costì è presente anche
un'altra razza che mancando di voce in base al comportamento la
chiamano Overslagers, in quanto per rendere onore
alla femmina sia propria che di altre razze si alza da terra dopo
protratti bisbigli, e superandole in volo sbatte le ali. |
Quas
vero ut nobilissimas colunt, eas appellare Draijers, quae non eodem,
ut illae, modo, inter volandum duntaxat alas quatiant, verum etiam in
orbem circum volitent, idque maxime supra faemellas tam fortiter alas
quatiendo, ut duorum asserum simul collisorum sonitum superent, unde
remiges earum pennae semper ferme fractae conspiciantur, ac quandoque
etiam volare inde nequeant. Hoc
genus aiebat in Venerem admodum pronum esse, faemellas, cum partui
vicinae sunt, aliis etiam sui copiam dare, incolis autem in maximo
pretio haberi, utpote quarum unum saepe par quatuor vendatur aureis;
pedibus esse nudis, coloris varii, hoc est, dari cuiuscunque coloris,
capite quandoque exigua crista plumea ornato, quandoque plano, has
bollen, id est, planas vocare, illas gecopte, id est, capitatas. |
Ma
quelle che venerano come eccellenti le chiamano Draijers, le quali non
solo sbattono le ali allo stesso modo delle precedenti mentre stanno
volando, ma volano anche in cerchio, e sbattendo le ali tanto forte
soprattutto al di sopra delle femmine da superare il rumore di due
pali sbattuti fra loro, per cui si vede le loro remiganti con delle
penne quasi sempre spezzate e che pertanto talora non riescono neppure
a volare. Diceva che questa razza è oltremodo propensa ai rapporti
sessuali, che le femmine, quando sono prossime al parto, offrono
abbondantemente se stesse anche alle altre razze, e che in effetti dai
suoi conterranei vengono ritenute di grandissimo valore, tant'è che
se spesso il loro valore è di un aureo ciascuna, essa viene venduta
per quattro monete d'oro; hanno le zampe nude, la colorazione è
varia, cioè, posseggono qualsivoglia colorazione, talora con la testa
adorna di un piccolo ciuffo di piume, talora piatta, queste sono le
bollen, cioè le chiamano appiattite, le prime gecopte, cioè, dalla
testa grossa. |
Haberi
item ibi aliud genus aspectu elegantissimum, quod Helme dicunt, quasi
galeatas. Harum enim alias capite, cauda, et alarum remigibus coloris
esse albi, caeteras alterius coloris, puta nigri, rubri, lutei,
caerulei: alias vero ex horum colorum aliquo caput, caudam, et remiges
habere, caetera vel ex albo, vel ex alio quovis diverso, adeo, ut
caput, cauda, remiges semper alius coloris sint, quam reliquum corpus.
Quod modo ad tertium genus spectat, quod M. Varro miscellum vocat, id
non solum ex Columbo domestico, et agresti faemina, vel contra, utile
innuere videtur, generatur, sed ex domesticis ipsis diversae speciei
procreari potest, atque id etiam quotidie conspicimus. Sed haec
domesticis dicta sufficiant. |
Parimenti
vi si trova un'altra razza dall'aspetto assai elegante che chiamano
Helm, come se fossero dotate di elmo. Infatti alcune di queste
presentano una colorazione bianca alla testa, alla coda e alle
remiganti, altre hanno una colorazione diversa, cioè, nera, dorata,
azzurra: ma altre presentano queste colorazioni in altri punti, alla
testa, alla coda, alle remiganti, quanto al resto si presentano
bianche o di qualunque altro colore, tant'è che la testa, la coda e
le remiganti sono sempre di un'altro colore rispetto al resto del
corpo. Per quanto riguarda la terza razza che Varrone chiama
variegata, viene generata non solo dal colombo domestico con una
femmina selvatica, oppure sembra che sia utile indicare il contrario,
ma dalle stesse colombe domestiche possono venir generati soggetti di
aspetto diverso, e anche tutti i giorni possiamo osservare ciò. Ma a
proposito di quelle domestiche è sufficiente quanto abbiamo appena
detto. |
[1] Historia
animalium III (1555)
De Palumbe pagina 299: In columbaceo genere maximo
corpore sunt palumbes, [GR]: inde [GR], ut in A. ostendi. Oenas maior est
columba, minor palumbe, [GR]. phassa vero (id est palumbus maior)
magnitudine est gallinacei, colore cinereo, Athenaeus Aristotelem citans:
et Eustathius. haud multo minor parvis gallinaceis, Nic. Leonicenus.
nonnullis locis gallinaceum aequat, Vuottonus. Ego
tantas fere columbas memini videre Venetiis advectas, quae forsan huius
generis palumbes cicuratae erant.
Loca
Columbis
Abundantia
Località che riguardano le colombe
Abbondanza
366
In
regno Pegù, Columbae pariter abundant, ut Cornelius Iudaeus
Antverpianus[1]
testatur. Fessa {Aphricae}
<Africae>
urbs, ut author est Io. Leo
{Aphricanus}
<Africanus>[2]
immensum harum avium numerum suppeditat. Batavia quantum fortassis
quaevis alia etiam decuplo maior regio Columbas numerosas enutrit,
easque diversorum generum, quoniam, ut narravimus, plurimi incolarum
cuiuscunque fere gradus, ac conditionis earum aspectu plurimum
oblectentur. |
Anche
nel regno del Pegù - in Birmania - le colombe abbondano, come è
testimone Cornelis
de Jode di Anversa. La città africana di Fessa, come
scrive Giovanni Leone l'Africano, fornisce un immenso numero di questi
uccelli. La Batavia alleva numerose colombe tanto quanto una qualunque
altra regione dieci volte più grande, ed esse sono di razze diverse,
in quanto, come ho detto, moltissimi abitanti di qualunque posizione e
condizione sociale si dilettano tantissimo nel vederle. |
[1]
Cornelis de Jode (Antwerp,
Belgium 1568
- Mons, Belgium 1600) was a
cartographer, engraver and publisher from Antwerp. He was the son of
Gerard de Jode, also a cartographer. Cornelis studied science at Academy
of Douai, France, and travelled to Spain and elsewhere in
Europe. When his father died in 1591,
Cornelis took over the work on his father's uncompleted atlas, which he
eventually published in 1593 as Speculum
Orbis Terrae.
[2] Joannes Leo Africanus (Granada c. 1485 - Tunisia c. 1554) or al-Hasan ibn Muhammad al-Wazzan al-Fasi, was an Arab diplomat and author who is best known for his book Descrittione dell’Africa (Description of Africa) describing the geography of North Africa. § Leone l'Africano, conosciuto anche come al-Hasan ibn Muhammad al-Wazzan al-Fasi (Granada, 1485 - Tunisia, 1554), è stato un geografo ed esploratore arabo. Nato a Granada da famiglia musulmana, lasciò la città nel 1492 dopo la riconquista di questa da parte delle truppe cristiane di Ferdinando II di Aragona, e si stabilì a Fez, in Marocco, dove studiò presso l'Università al-Qarawiyyin. Dopo aver viaggiato molto in Africa e Asia al seguito di uno zio diplomatico, fu catturato nel 1517 dai corsari europei che operavano nel Mediterraneo e venduto come schiavo. Portato a Roma e presentato al Papa Leone X, fu battezzato cristiano e liberato. In quell'occasione cambio il suo nome arabo in Joannes Leo de Médicis in onore del papa. Su incarico del papa scrisse il libro Cosmographia Dell’Africa di cui esistono due versioni: in lingua italiana: Della descrittione dell'Africa et delle cose notabili che ivi sono (Venezia 1550) in lingua francese: Description de l'Afrique (Parigi 1556) - I. Regno di Fessa. Il regno di Fessa incomincia dal fiume di Ommirabi, dalla parte di ponente; e finisce, verso levante, nel fiume di Muluja: verso tramontana è una parte che termina al mare Oceano: ci sono altre parti che compiono al Mediterraneo. Questo regno si divide in sette provincie, le quali sono Temesne, il territorio di Fez, Azgar, Elabet, Errif, Garet, Elcauz. Anticamente ciascuna di queste provincie aveva particolar signoria: eziandio Fessa, diprima, non fu sedia reale. È vero che fu edificata da certo rubello e scismatico, e durò il dominio nella sua famiglia circa a centocinquanta anni: ma dopochè vi regnò la famiglia di Marin, questa fu quella che le diede titolo di regno, e fece in lei la sua residenza e fortezza, per le cagioni narrate nelle croniche de' Maumettani. Ora io ve ne farò particolar narrazione di provincia in provincia e di città in città, siccome assai pienamente mi par aver disopra fatto. (Descrizione dell'Africa – stampato a Venezia da Luigi Plet, 1837)
Locus
Habitationis
Nidus
Luogo dove abitano
Il nido
380
Apud
Batavos nonnulli tenuioris fortunae rustici exigua in mediis saepe
areis faciunt Columbaria, at in quibus non poenitendum numerum
Columbarum enutriunt, hoc modo fabricant. Columnam
ligneam quindecim circiter pedes altam erigunt, huic rotam imponunt,
ac super hanc tria, aut quatuor tabulata (quot nempe rotam ferre posse
coniiciunt) ex asseribus conficiunt, atque ita concinnant, ut horum
singula viginti, et amplius nidulamenta capere possint: sed haec etsi
a mustelis tuta sint Accipitribus tamen maxime exposita. Nonnulli item
Columbaria Columnis rotundis, laevigatisque super piscinas mediasque
aquas collocant, quo simul et a noxiis animalibus sint tutiores, et
quia aquis limpidis contemplari gaudent, quoties lubet lavari possint,
id quod incubantes facere expedit. Et sane multi volunt,
praecipiuntque, ut aquam habeant e regione; sed alii vicinam, alii
remotam: qui remotam laudant, collecta grana longiquitate itineris
quodammodo inter volandum alterari existimant, atque ita pullis
tradere, qui eo facilius illa digerant, et in nutrimentum suum
convertant: praeterea et hoc etiam commodi inde emanare, quod
redeuntes a potu pedibus siccis ova contingant, cum alias humiditate
aquae refrigerantes spem prolis saepe fallant. |
Presso
i Batavi alcuni contadini meno abbienti costruiscono delle colombaie
piccole spesso al centro del cortile, ma nelle quali allevano un
numero non disprezzabile di colombe, e le costruiscono nel modo
seguente. Innalzano una colonna di legno alta circa 15 piedi (29 cm x
15 = 4,35 m), vi mettono sopra una ruota, e al di sopra di questa 3 o
4 tavole (tante quante ritengono la ruota possa accogliere)
ricavandole dalle travi, e le dispongono in modo tale che ciascuna di
esse possa accogliere 20 e più rifugi: ma anche se questi sono al
sicuro dalle donnole / faine, tuttavia sono estremamente accessibili
agli sparvieri. Parimenti alcuni collocano le colombaie su colonne
rotonde e levigate sopra ai bacini e in mezzo all'acqua in modo da
essere allo stesso tempo maggiormente al sicuro dagli animali nocivi e
in quanto si dilettano nello specchiarsi in acque limpide tutte le
volte che hanno il piacere di potersi lavare, cosa che conviene
facciano quelle che covano. Ed effettivamente parecchi vogliono e
consigliano che dispongano dell'acqua dalla zona; ma alcuni la
vogliono dalle vicinanze, altri da lontano: quelli che lodano l'acqua
che si trova lontano, ritengono che i granelli raccolti si alterano
durante il lungo percorso così come accade durante le pause del volo,
e che così li danno ai pulcini che li digeriscono molto più
facilmente e li trasformano in nutrimento: inoltre da ciò deriverebbe
anche il seguente vantaggio, in quanto di ritorno dall'aver bevuto
toccano le uova con le zampe asciutte, dal momento che altrimenti
raffreddandole con l'umidità dell'acqua spesso vanificano la speranza
di avere della prole. |
Qui
vero vicinam probant, antequam secure domum redeant, saepius vel a
rapacibus, vel ab insidiantibus hominibus intercipi, atque ita ova, si
incubent, irrita fieri, pullosque teneriores adhuc emori altoribus
suis privatos. Quapropter, ut omnibus satisfiat, ego locum eligerem,
qui neque ab aqua remotus sit, neque etiam nimis vicinus. Porro
multi Columbaria vel nimis alta, vel nimis humilia improbant
laudantque quae mediocrem habent altitudinem, quoniam ad ea defessae
volucres sine ulla molestia redeant: et Varro quoque altiora improbare
videtur, sed ob aliud incommodum, quia scilicet devolantes ad
conspecta per fenestras aliorum grana capiantur. |
Quelli
che approvano quella delle vicinanze, prima di far ritorno a casa in
sicurezza esse vengono catturate piuttosto spesso o dai rapaci o da
uomini che stanno in agguato, e così le uova, se stanno covando,
diventano infruttuose, e i pulcini più giovani arrivano persino a
morire essendo stati privati di coloro che li alimentano. Motivo per
cui, affinché tutti si sentano appagati, io sceglierei un luogo che
non sia né lontano dall'acqua e neppure troppo vicino. D'altra parte
molti disapprovano le colombaie o troppo alte o troppo basse e
decantano quelle che hanno un'altezza intermedia in quanto i volatili
affaticati vi tornerebbero senza alcun affanno: e anche Varrone sembra
disapprovare quelle più alte, ma per un altro inconveniente, e cioè,
in quanto precipitandosi sui chicchi altrui che hanno visto attraverso
le aperture delle colombaie, verrebbero catturate. |
Locus
Habitationis
Nidus
Luogo dove abitano
Il nido
381
Nam
domesticis, et cicuribus, quae intra tecta aluntur, nisi ipsis locum
in aedibus privatum assignes, (nam sic felicius soboli incumbunt) sibi
ipsis in angulis sub trabibus, aliisque locis nidos construunt. Has
veteres, ut ex Iuvenale paulo ante probavimus, in eminentiori domus
parte habebant, uti quoque et iam mos est, maxime apud Batavos, qui
eiusmodi Columbaria voce {indigete} <indigente> appellant een
tille, een duveslach, quae postrema vox eam partem significat, quae
extra fenestram prominet, quibus advenas Columbas fallere solent. Quod
modo ad nidos, seu Columbaria, ut Varro, et Columella vocant seu
loculamenta attinet, et haec variis modis fieri possunt. Apud nos ex
viminibus fiunt: Grapaldus ita fictilia Columellae exponit, ovalia,
atque cooperta: atque his utimur in Columbariis agrestium. Horum {Calphurnius}
<Calpurnius>[1]
meminisse videtur inquiens: Textilibus
nidis ausas prodire Columbas. |
Infatti
se a quelle domestiche e a quelle addomesticate che vengono nutrite
sotto ai tetti non assegni un posto appropriato (infatti in questo
modo si dedicano alla prole in modo più produttivo), esse
costruiscono per se stesse dei nidi negli angoli sotto le travi e in
altri punti. Gli antichi, come poco prima abbiamo dimostrato basandoci
su Giovenale, le tenevano nella parte più alta della casa, come anche
adesso è costume, soprattutto presso i Batavi i quali, dal momento
che non esiste un termine, chiamano siffatte colombaie een
tille, een duveslach, e l'ultimo vocabolo significa quella parte che
sporge al di là dell'apertura, dalle quali le colombe migratorie sono
solite sfuggire. Per quanto concerne solamente ai nidi, o colombaie
come le chiamano Varrone e Columella, o celle, anche queste possono
essere realizzate in vari modi. Presso di noi vengono fatte coi
vimini: Francesco Mario Grapaldi interpreta quelle di argilla di
Columella come se fossero ovali e ricoperte: ci serviamo anche di
queste nelle colombaie dei contadini. Di questi sembra abbia fatto
menzione Calpurnio dicendo: Le colombe che hanno osato uscire dai nidi
intrecciati. |
Batavi,
ut audio, fiscellas faciunt e stramine rotundas, non coopertas, quo
facilius stercus cum matrices, tum pulli egerant, sed has loco
alligare, aut ita collocare oportet, ne laxatae, quando insiliunt aves,
moveantur, nam sic ova eliduntur, et confriguntur. Domesticae
Columbae sibi ipsis nidos parant ex collecto stramine: aut stipulis,
quod et agrestes facerent, nisi nidi a dominis darentur, aut locus in
Columbario sufficeret. Etenim debili nido contentae sunt, teste
Alberto, eo quod calida earum sint corpora, et non multum indigeant
calore nidi. |
Come
sento dire, i Batavi fanno dei cestelli rotondi usando la paglia,
senza copertura, in modo che sia le madri che i pulcini emettano più
facilmente lo sterco, ma è necessario vincolarli al posto, oppure
disporli in modo tale che quando gli uccelli vi salgono non vadano
soggetti a movimenti non essendo vincolate, infatti in questo modo le
uova si romperebbero e si rovinerebbero. Le colombe domestiche
preparano i nidi per se stesse usando la paglia che hanno raccolto:
oppure con degli steli, e farebbero ciò anche quelle selvatiche se
non fossero dati loro dei nidi da parte dei proprietari, oppure se lo
spazio nella colombaia fosse sufficiente. Infatti si accontentano di
un nido insignificante, come testimonia Alberto Magno, dal momento che
i loro corpi sono caldi e non hanno molto bisogno del calore del nido. |
[1] Tito Calpurnio Siculo: poeta latino (sec. I dC) dell'età di Nerone. È autore di 7 egloghe (Bucolica) ispirate a Teocrito e a Virgilio.
La città di Valenza si trova in Italia, nella provincia piemontese di Alessandria e conta circa 20.000 abitanti. Il primo nucleo risale probabilmente allo stanziamento intorno al X secolo aC di tribù Liguri, a quanto pare pre-indoeuropee. Dal II secolo aC e fino al 476 dC la località passò nelle mani dei Romani. Dei Liguri scrissero due famosi autori latini: Catone il Censore (234-149 aC) e Cicerone (106-43 aC) esprimendo punti di vista assai discordanti. Infatti secondo Cicerone erano dei contadini robusti (Ligures duri atque agrestes - De lege agraria II,95) mentre Catone li accusò di essere ignoranti e bugiardi (Ligures illitterati mendacesque - Origines II).
stemma di Valenza
Affidandoci a Plinio, come al solito assai discutibile, a seconda delle edizioni della sua Naturalis historia (III,49) Valenza si chiamava Forofulvi quod Valentinum / Foro Fulvi quod Valentinum, dove Fulvi è vocativo e non genitivo di Fulvius, successivamente adattato in un corretto Forum Fulvii quod Valentinum, toponimo che altri vorrebbero invece attribuire a Villa del Foro, frazione di Alessandria, che si trova non sulla riva destra del Po come Valenza, bensì su quella destra del Tanaro. Valenza e Villa del Foro distano fra loro circa 15 km in linea d'aria, la prima leggermente a nordest rispetto alla seconda. Nello stemma di Valenza possiamo leggere FFV, acronimo del toponimo pliniano, che viene spesso decodificato in Fatevi Furbi Valenzani. Forum era il luogo dove ci si riuniva per adempiere a funzioni di carattere giuridico e per partecipare ai mercati. Fulvii pare sia da attribuire al pretore e console romano Marco Fulvio Nobiliore, attivo dal 195 al 158 aC, colui che nel 158 aC forse diede avvio alla Via Fulvia che congiungeva Derthona (Tortona), Hasta (Asti) e Augusta Taurinorum (Torino), salvo si trattasse di Marco Fulvio Flacco, console nel 125 aC.
Sembra che nel V secolo dC gli abitanti dei 3 nuclei principali in cui era suddiviso il territorio valenzano - Astigliano, Monasso e Bedogno - si siano trasferiti più a nord della loro zona collinare lontana dal fiume Po. Ciò avvenne allo scopo di costituire un nucleo urbano compatto là dove ancora oggi sorge la città, in posizione panoramica tale da consentire di avvistare con discreto anticipo un eventuale nemico proveniente dalla Pianura Padana. Infatti pare che l'abbandono delle primitive aree abitative fosse motivato dal bisogno di garantirsi una maggiore sicurezza dai barbari che ripetutamente attaccarono e distrussero la città: nel 476 fu infatti sottomessa da Odoacre (434-493) - capo di una milizia di mercenari Eruli - e nel 493 da Teodorico (454-526) re degli Ostrogoti.
La tradizione popolare attribuisce il merito del nuovo e attuale nucleo urbano a San Massimo che avrebbe convinto gli abitanti ad accentrarsi là dove si fosse posata una colomba appositamente liberata. Ciò avvenne in quel quartiere che ancora oggi è chiamato Colombina, in posizione dominante sul paesaggio padano, ben visibile per chi guarda Valenza arrivando dal Po e viceversa. "Il Santo presa una Colomba, e benedicendola in nome del Signore, la lasciò andare à volo, ove più le piacesse, e l'innocente augello, dato un giro, andò à posarsi sù la più alta parte di Valenza vicino al Pò, detta anche hoggidì, per etimologia, la Colombina. Il popolo all'hora andò concordemente ad habitare nel sito additatogli dalla Colomba, e si formò la presente Valenza." (Vita di San Massimo di Pavia e protettore di Valenza di Padre Massimo Bertana - Milano, 1726)
San Massimo nacque nel 450 ad Astigliano da genitori di nobile lignaggio e divenuto parroco della chiesa di San Giorgio di Astigliano assurse a guida spirituale della popolazione valenzana. Secondo gli storici, durante una delle guerre combattute da Teodorico contro Odoacre - che lo vinse all'Isonzo (489), a Verona e all'Adda (490) - San Massimo cercò appunto di difendere gli abitanti dei tre piccoli centri individuando un'area in posizione strategica, affidando a una colomba la scelta del punto da fortificare e contando sull'appoggio divino. La colomba si posò nell'attuale zona della Colombina cosiddetta in onore e in ricordo di questo avvenimento.
Nel 496 San Massimo fu eletto vescovo di Pavia dove morì l'8 gennaio del 511. Dopo la beatificazione fu prescelto come patrono della città di Valenza e vi viene festeggiato proprio l'8 gennaio. I resti mortali si trovavano a Pavia nella basilica romana di San Giovanni in Borgo eretta prima del 216, ora distrutta. Nel 1806 vennero trasferiti nella vicina chiesa di San Luca e nel 1866 trovarono definitiva sistemazione nella cripta della Basilica di San Michele, rinchiusi in un'urna di cristallo insieme alle reliquie dei Santi Vescovi Pietro e Brizio. Il Martyrologium Romanum, diversamente da Padre Massimo Bertana, riporta come anno della sua morte il 514 anziché il 511.
Tuttavia, a proposito dei resti mortali di San Massimo, conviene precisare quanto segue. Ammesso che non appartengano a qualcun altro, alcune ossa di San Massimo sono conservate alla base del suo busto reliquiario custodito nel Museo del Duomo di Valenza. Queste ossa le ottenne da Pavia nel 1851 il prevosto Domenico Rossi.
Busto
reliquiario di San Massimo
Lamina d'argento – altezza cm 132
Orafo lombardo – seconda metà del XVIII secolo
Foto di Elio Corti – 17 febbraio 2010
con la collaborazione di Vittorio Zaio e Stefano Portonato
San
Giovanni in Borgo – Pavia
nella Pianta fatta stampare da Ottavio Ballada – 1654
opera di Ludovico Corte
San
Massimo
di Padre Massimo Bertana - Milano 1726
elaborazione cromatica di Fernando Civardi
La Colombina
Dare uno sguardo ai galli della Colombina
Immagini
e Acquarelli
di Ulisse Aldrovandi