Aldropullus
Il pulcino di Ulisse Aldrovandi

Critica di William Harvey
all'embriologia di Ulisse Aldrovandi

Il testo latino è tratto da
Guilielmi Harveii Opera omnia
A Collegio Medicorum Londinensi edita – mdcclxvi
Exercitatio decimaquarta
. - De generatione foetus ex ovo gallinaceo.
14° esercizio - La generazione del feto da un uovo di gallina

[240] Aristoteles olim, nuperque Hieronymus Fabricius, de generatione et formatione pulli ex ovo, accurate adeo scripserunt, ut pauca admodum desiderari videantur. Ulysses Aldrovandus tamen ovi pullulationem ex suis observationibus descripserit; qua in re, ad Aristotelis auctoritatem potius, quam experientiam ipsam collimasse videtur. Quippe eodem tempore Volcherus Coiter Bononiae degens, eiusdem Ulyssis, praeceptoris sui, ut ait, hortatu, quotidie ova incubata aperuit, plurimaque vere elucidavit, secus quam Aldrovando factum est; quae tamen hunc latere non poterant. Aemilius Parisanus quoque, medicus Venetus, explosis aliorum opinionibus, novam pulli ex ovo procreationem commentus est.

Un tempo Aristotele, e recentemente Girolamo Fabrizi, scrissero in maniera talmente accurata a proposito della generazione e della formazione del pulcino dall'uovo, che pochissime cose sembrerebbero ritenute necessarie. Tuttavia Ulisse Aldrovandi avrebbe descritto la generazione del pulcino dall'uovo in base alla sue osservazioni; sembra che a questo proposito abbia volto lo sguardo all'autorità di Aristotele anziché all'esperienza vera e propria. Effettivamente nello stesso periodo Volcher Coiter, che abitava a Bologna, su incitamento, come afferma, dello stesso Ulisse suo maestro, aprì ogni giorno delle uova incubate e davvero chiarì molte cose, diversamente da quanto è stato fatto da Aldrovandi, tutte cose che a costui non avrebbero potuto rimanere sconosciute. Anche Emilio Parisano, medico a Venezia, dopo aver disapprovato le idee degli altri, ha inventato una nuova generazione del pulcino dall'uovo. 



Ulyssis Aldrovandi
philosophi et medici bononiensis
Ornithologiae tomus alter – MDC
liber decimusquartus qui est de pulveratricibus domesticis

Ulisse Aldrovandi
filosofo e medico bolognese
libro 14° del 2° Trattato di Ornitologia – 1600
che tratta delle domestiche amanti della polvere

L'asterisco indica che la voce è presente nel lessico

Contra Galenus[1] id quod in ovo primum apparet, caput pulli esse existimat. Si igitur pueri generatio in utero eodem modo sese habeat, ut in ovo, quod doctissimis verbis docere Hippocratem medicorum {coriphaeum} <coryphaeum> supra ostendimus, et ex sanguinea illa gutta cor generetur, quod ex palpitatione, quae solius cordis passio est, Aristoteles, Pliniusque probant, et ego meis oculis vidi, non video, quomodo Galeni doctrina defendi queat, dum iecur primum nasci putat. Quominus enim huius partes agam, mihi obstat propria observatio. Ut enim trivialis huius controversiae inter medicos, ac philosophos veritatem indagarem, ex ovis duobus, et viginti, quae Gallina incubabat[2], quotidie unum cum maxima diligentia, ac curiositate secui, et Aristotelis doctrinam verissimam esse reperi: sed quia istaec observatio, praeterquam quod scitu dignissima est, et ad praeteritorum explicationem apprime idonea, et [217] voluptatem in se non mediocrem habeat, placuit eam hoc loco, quo brevius fieri possit, inserere.

Al contrario Galeno* ritiene che la prima cosa ad apparire nell’uovo è la testa del pulcino. Se pertanto la generazione di un bambino nell’utero si svolge allo stesso modo che nell’uovo, cosa che abbiamo mostrato essere insegnata con parole dottissime da Ippocrate* corifeo dei medici, e che da quella goccia di sangue si genera il cuore in quanto Aristotele e Plinio lo dimostrano dal fatto che essa palpita, cosa che è caratteristica del solo cuore e che io ho visto coi miei occhi, non vedo come si possa voler difendere la dottrina di Galeno dal momento che lui ritiene che il primo a nascere sia il fegato. È infatti la mia stessa osservazione che mi impedisce di tenergli la parte. Al fine di indagare la verità di questa dozzinale controversia tra medici e filosofi, quotidianamente ho dissezionato con la massima diligenza e curiosità un uovo delle 22 che una gallina stava incubando, e trovai che l’insegnamento di Aristotele corrisponde perfettamente al vero: ma poiché siffatta mia osservazione, oltre al fatto di essere oltremodo degna di essere conosciuta e in sommo grado idonea a chiarire le osservazioni del passato, contiene in sé non poco diletto, ho creduto giusto inserirla a questo punto nel modo più sintetico possibile.

Secundo itaque ab incubatu die, luteum observavi deferri ad cacumen, aliquo pacto alteratum, et in medio quasi subalbidum: cuius rei in primis Aristoteles non meminit. In aliqua vero parte albuminis, quae pariter erat alterata, semen Galli apparebat, quod tres illas videbatur obtinere qualitates, quales iam ante diximus.

Al secondo giorno dall’inizio dell’incubazione osservai che il tuorlo si spostava verso il polo acuto, presentandosi in qualche modo alterato e al centro quasi bianchiccio: cosa di cui innanzitutto Aristotele* non fece menzione. In una parte dell’albume, che ugualmente era alterata, appariva il seme del gallo, in quanto mostrava di possedere quelle tre caratteristiche di cui abbiamo già detto prima.

Tertia die ablato putamine in parte ovi obtusa, vidi albumen, et reliquam substantiae ovi partem in superiori putamine separatam. Recesserat autem albumen aliquantulum a putamine, quemadmodum fieri videmus in ovis omnibus, quae minus recentia sunt. Hinc Plinius[3] ova schista appellat tota lutea, quae triduo incubatu tolluntur. Vocat autem schista, teste Hermolao, quia dividantur, et discedat vitellus a candido.

Il terzo giorno, dopo aver rimosso il guscio sul lato ottuso dell’uovo, vidi l’albume e la restante parte della sostanza dell’uovo dislocata verso la parte superiore del guscio. Infatti l’albume si era un pochino distanziato dal guscio come vediamo accadere in tutte quelle uova che sono meno recenti. Da ciò Plinio* denomina uova schista - divise - quelle tutte gialle che vengono rimosse al terzo giorno d’incubazione. Stando a Ermolao Barbaro*, le chiama schista - divise - perché si dividono e si separa il vitello dal bianco.

Videbam item manifeste admodum membranas illas tres, quas ovis inesse ex Alberto dixi, et ex Aristotele etiam colligitur: neque verum est, quod secunda earum sit recenter genita. Si enim illud ita esset, minime in ovis nondum incubatis conspiceretur. Inest autem et his, ut etiam vidi, sed albior in incubatis caloris causa. Eadem die vitellus videbatur versus ovi partem acutam: atque hoc est, quod dicebat Philosophus[4]. Effertur per id tempus luteus humor ad cacumen, ubi est ovi principium, nam ibi est maior calor, et vis spermatis. Apparebat etiam in albumine exiguum velut punctum saliens, estque illud quod Philosophus cor statuit. Ex eo vero evidenter admodum videbam enasci venae trunculum, et ab hoc duos alios ramulos proficisci, qui meatus illi fuerint sanguiferi, quos ad utranque tunicam ambientem vitellum, et albumen protendi ille dixerat. Sum autem omnino eius sententiae, ut eiusmodi vias credam esse venosas, ac pulsatiles, sanguinemque in iis contineri puriorem, principalium membrorum generationi, iecoris nempe, et pulmonis, similiumque idoneum: adeo ut recte dixerit Philosophus[5], tertia die signa apparere, an ova foecunda sint futura: licet eiusmodi observatio in maiorum avium, utpote Cycnorum, Anserum, ac id genus aliarum ovis locum minime habeat. In eiusmodi enim, ut idem Philosophus testis est, paulo tardius ea signa apparent.

E così pure potevo vedere molto chiaramente quelle tre membrane che si trovano dentro le uova come ho detto citando Alberto* e come si può cogliere anche da Aristotele: e non è vero che la seconda sia generata di recente. Se infatti così fosse, non la si potrebbe assolutamente osservare in uova non ancora incubate. D’altronde in queste uova è presente, come già vidi, ma è più bianca in quelle incubate a causa del calore. Nello stesso giorno il vitello si trovava verso il polo acuto dell’uovo: e ciò è quanto asseriva il Filosofo. In questo periodo l’umore giallo si porta verso il polo acuto dove si trova il principio dell’uovo, infatti qui c’è maggior calore e forza dello sperma. Nel contesto dell’albume era anche visibile come un piccolo punto pulsante, ed è ciò che il Filosofo stabilì essere il cuore. In verità, da esso, in modo assai evidente, potevo veder spuntare il piccolo tronco della vena, e da questo dipartirsi due altri piccoli rami, che saranno stati quei dotti sanguigni che egli aveva detto dirigersi alle due tuniche che avvolgono il tuorlo e l’albume. Infatti concordo pienamente con le sue affermazioni dal momento che credo che tali dotti sono venosi, e pulsanti, e che il sangue in essi contenuto è più puro, adatto alla generazione degli organi principali, in particolare del fegato e dei polmoni e di altre strutture simili: tant’è che il Filosofo disse correttamente che al terzo giorno appaiono i segni se le uova saranno feconde: sebbene non sia minimamente possibile effettuare una siffatta osservazione in uova di uccelli di stazza maggiore come cigni, oche e altri soggetti di questo tipo. Infatti in tali uccelli, come anche il Filosofo è testimone, tali segni appaiono un po’ più tardivamente.

Quarta die bina videbantur puncta, et quodlibet eorum sese movebat: quae haud dubio cor, et iecur fuerint, quae viscera in ovis triduo incubatis idem dixit. Apparebant item duo alia puncta nigricantia, nempe oculi: et iam luteum manifeste ad acutam ovi partem, ubi maior calor est, et spermatis vis sese receperat. Trahitur autem a spermate illud pro carnis generatione, ut in omnibus animantibus fit, quae sibi simile generant.

Il quarto giorno si potevano scorgere due punti e ognuno di essi si muoveva: senza dubbio erano il cuore e il fegato, visceri che egli disse essere presenti nelle uova incubate da tre giorni. Erano parimenti visibili due altri punti nerastri, precisamente gli occhi: e ormai il tuorlo si era ritirato in modo evidente verso il polo acuto dove il calore è maggiore come pure la forza dello sperma. Infatti esso viene attratto dallo sperma per la generazione della carne, come accade in tutti gli esseri viventi che generano un essere simile a se stessi.

Quinta die non amplius punctum illud quod cor esse diximus, extra videbatur moveri, sed obtegi, ac cooperiri, et duo illi meatus venosi evidentiores conspiciebantur, alter vero maior altero: nec verum est, quod Albertus scripsit, apparere in tunica illa, quae albumen includit: nisi forte id de tertia tunica, seu secundina dixerit, cui evidenter venae insunt, nam alioqui in illa nullius venae vestigium inerat. Harum venarum insita vi reliqua albuminis portio quasi in palearem colorem immutatur. Videbantur etiam ramuli ad locum tendere, in quo caput formatur, eo scilicet puriorem materiam, a qua caput, ac in eo cerebrum fiat, una cum virtute formatrice deferentes. Erat autem capitis fabrica valde rudis adhuc ac informis: oculi vero conspectiores, atque ervi quasi magnitudine.

Il quinto giorno, quel punto che abbiamo detto essere il cuore non sembrava battere in modo maggiore, bensì che si nascondesse e venisse coperto, e quei due dotti venosi apparivano più evidenti, in verità uno più grande dell’altro: e non è vero quello che scrisse Alberto, che cioè essi compaiono in quella tunica che avvolge l’albume: a meno che forse lui volesse alludere alla terza tunica - allantoide, o del secondamento, nella quale si trovano delle vene chiaramente visibili, del resto, infatti, in quella avvolgente l’albume non c’era nessuna traccia di vena. Per l’insita forza di queste vene la restante parte dell’albume si trasforma quasi in color paglia. Si scorgevano anche dei ramuscoli tendere verso quel punto dove si forma la testa, recandovi, insieme alla forza formatrice, un materiale più puro, dal quale si forma il capo e, al suo interno, il cervello. L’abbozzo del capo era ancora molto rudimentale e informe: gli occhi, a dire il vero, erano maggiormente visibili e quasi della grandezza di una lenticchia.

Sequenti dein die ablato superiori partis obtusae putamine, eiectisque duabus prioribus tunicis, tertia evidenter cernebatur venulis referta: de hac locutum fuisse Philosophum[6] arbitror cum inquit: Membrana etiam fibris distincta sanguineis: atque haec meo iudicio secundina dici potest. Dein inter hanc, et quartam membranam, quae foetum involvebat, humor erat aquosus: quem autumo serosam albuminis partem esse, quae post natum foetum superest, tanquam ad generationem inepta. Eam vero membranam innuere videtur Aristoteles a meatibus illis venarum ortum ducere, quatenus scilicet vi fibrarum a venoso illo meatu ortarum in palearem, vel sanguineum colorem immutatur. Cernebatur deinde totus foetus moveri, et oculi iam maiores erant, quam in praeterita die: at partes inferiores, thorax nempe, venter, et pedes, erant valde imperfectae, nec discerni adhuc poterant, et rostrum erat muccosum: ut recte dixerit Aristoteles[7]: pars inferior corporis nullo membro, a superiori distingui inter initia cernitur. Caput denique tota inferiori corporis parte maius erat.

Quindi il giorno seguente - il sesto - dopo aver asportato la parte superiore del guscio del polo ottuso, e dopo aver rimosso le prime due tuniche, si poteva distinguere in modo evidente la terza tutta tappezzata di venuzze: credo che il Filosofo abbia parlato di questa quando disse: Anche una membrana costellata da fibre sanguigne, e questa, a mio parere, può essere chiamata del secondamento. Quindi, tra questa e la quarta membrana che avvolgeva il feto, si trovava un liquido acquoso: che penso sia la parte sierosa dell’albume che rimane dopo la nascita del feto, in quanto non adatta alla generazione. Invero sembra che Aristotele indichi che tale membrana prende origine da quei dotti venosi, dato che per la forza delle fibre nate da quel dotto venoso si trasforma in color paglia o sanguigno. Poi, si vedeva tutto il feto muoversi, e gli occhi erano ormai più grandi rispetto al giorno precedente: ma le parti inferiori, e precisamente il torace, l’addome e le zampe erano parecchio imperfetti, né si potevano ancora distinguere, e il becco aveva un aspetto mucoso: come giustamente disse Aristotele: nelle fasi iniziali attraverso nessun organo si riesce a distinguere la parte inferiore del corpo da quella superiore. Infine, il capo era più grande di tutta la parte inferiore del corpo.

Septima die aperta quarta tunica foetum conspeximus parvum adhuc, ac indistinctum cum oculis tamen magnis, triplicique in illis humore, crystallino nempe, vitreo, et aqueo. Aperto capite iam cerebrum aperte cernebatur, minus vero reliquae partes. Unde dicebat Philosophus[8]. Paulo post (intelligit meo iudicio diem quintam usque ad nonam inclusive) et corpus iam pulli discernitur, exiguum admodum primum, et candidum, conspicuum capite, et maxime oculis inflatis, quibus ita permanet diu, {uti nos conspeximus:} <uti nos conspeximus:> et sero, inquit, [218] decrescunt oculi, et se ad ratam proportionem contrahunt; quod quidem verissimum est: siquidem in quartadecima, aut quintadecima die aliquantum resident diminuti propter caloris digestionem.

Il settimo giorno, dopo aver aperto la quarta tunica - amnios, abbiamo visto il feto ancora piccolo e indistinto, tuttavia con gli occhi grandi che contenevano un triplice umore, e precisamente il cristallino, il vitreo e l’acqueo. Dopo aver aperto la testa si vedeva già distintamente il cervello, le rimanenti parti in modo meno evidente. Per cui il Filosofo diceva: Poco dopo (vuol dire, a mio giudizio, il quinto giorno fino al nono incluso) si discerne già il corpo del pulcino, dapprima molto piccolo, e candido, con la testa grossa, e con gli occhi molto sporgenti coi quali rimane a lungo così, come ho potuto osservare: solo tardivamente, egli dice, gli occhi rimpiccioliscono e si restringono alla giusta dimensione; il che è verissimo: infatti al 14° o al 15° giorno risultano abbastanza diminuiti a causa della digestione da parte del calore.

Octava rursus die oculi maiores adhuc videbantur, utpote ciceris ferme magnitudine. Totum corpus tunc sese velociter movebat, et iam crura, et alae distincte cerni incipiebant. Rostrum tamen interim muccosum adhuc erat. Sed forte quispiam quaerat, cur prius superiores, quam inferiores partes in eiusmodi formatione appareant: cui responsum velim, virtutem, seu facultatem formatricem in superioribus magis quam in inferioribus vigere, quod spiritales sint, et per consequens plus caloris obtineant. Caeterum istaec omnia, quae hac die videbam, sequenti manifestiora apparebant.

Inoltre all’ottavo giorno gli occhi si presentavano ulteriormente ingranditi dato che avevano quasi le dimensioni di un cece. In quel momento tutto quanto il corpo si muoveva velocemente e già cominciavano a vedersi distintamente le zampe e le ali. Tuttavia nel frattempo il becco si presentava ancora di consistenza mucosa. Ma forse qualcuno potrebbe chiedersi perché in una formazione siffatta compaiono prima le parti superiori rispetto alle inferiori: a costui vorrei rispondere che la forza o capacità formatrice è maggiore nelle parti superiori rispetto a quelle inferiori, in quanto sono respiratorie e di conseguenza posseggono maggior quantità di calore. Inoltre, tutte queste formazioni che ero in grado di vedere in questo giorno, il giorno seguente apparivano più manifeste.

Decima die non amplius caput toto corpore maius erat, magnum tamen, ut in infantibus etiam videmus: magnitudinis autem causa est humidissima cerebri constitutio. Quod vero Aristoteles dicit[9] oculos fabis maiores esse, id profecto minime verum est, si de vulgaribus nostris fabis locutus fuerit, cum alioqui ervi, vel ciceris albi magnitudinem non excederent: atque hinc etiam non absurde quispiam colligat fabas antiquorum fuisse rotundas, quales araci sunt, quem ideo fabam veterum quidam existimant. Neque etiam verum est quod tradit[10], {tunc}, <tunc>, scilicet, oculos pupillis adhuc carere. Etenim hae non tantum hac die apparebant, sed duabus etiam praecedentibus, una cum omnibus partibus, ac humoribus. Quod vero ait detracta cute nihil solidi videri, sed humorem tantum candidum, rigidum, et refulgentem ad lucem, nec quicquam aliud, id de crystallino humore mihi dixisse videtur, qui tamen haud solus apparebat, sed vitreus quoque et albugineus, unde non parum hallucinatus videri potest Philosophus, uti etiam Albertus, qui eo tempore nihil duri, et glandulosi in iis reperiri existimat, cum crystallinus humor solidus sit, ac quam maxime conspicuus.

Al decimo giorno la testa non si presentava più di dimensioni maggiori rispetto al resto del corpo, tuttavia era grande, come possiamo vedere anche nei neonati: causa della sua grandezza è la costituzione estremamente umida del cervello. Ciò che afferma Aristotele*, che cioè gli occhi sono più grandi delle fave, di certo non è minimamente vero se ha parlato delle nostre fave comuni, in quanto generalmente non eccedono le dimensioni di una lenticchia o di un cece bianco: e da ciò qualcuno non deduca assurdamente che le fave degli antichi fossero rotonde come lo sono i piselli selvatici - Pisum arvense, per cui alcuni ritengono che essi sono le fave degli antichi. E neppure corrisponde al vero ciò che riferisce, cioè che in quel periodo gli occhi sono ancora privi di pupille. Infatti esse erano visibili non solo in questo giorno, ma anche nei due precedenti, insieme a tutte le loro parti e agli umori. Riguardo a ciò che dice, che cioè asportato il rivestimento non si vede nulla di solido ma solo un liquido candido, consistente e risplendente alla luce, e null’altro, a me pare che abbia parlato dell’umore cristallino, che tuttavia non si mostrava da solo, ma anche il vitreo e l’albugineo - sclera, per cui possiamo arguire che il Filosofo ha preso un abbaglio non da poco, come anche Alberto*, il quale ritiene che a questo stadio non vi si trovi nulla di duro e ghiandolare, mentre l’umore cristallino è solido e assai ben visibile.

Eadem item die vidi omnia viscera, nempe cor, iecur, pulmonem. Cor autem, et iecur erant albicantis coloris: et cordis motus non solum apparebat, antequam foetum aperirem, sed iam secto etiam thorace moveri videbatur. Erat autem pullus involutus quartae illi membranae plurimis venis refertae[11], ne in humore iaceret. Cernebam etiam vasa umbilicalia prope anum ad umbilicum deferri, ibique infer<r>i, ut cibum per illum petat foetus. Vidi denique, quod Aristoteles non advertit, in dorso prope uropygium pennarum principia nigricantia menti humani cuti non absimilia, cui pili abrasi sint.

Sempre nello stesso giorno vidi tutti i visceri, e precisamente cuore, fegato, polmone. Cuore e fegato erano di colore bianchiccio: e il movimento del cuore non solo era evidente prima che aprissi il feto, ma lo si vedeva muoversi non appena era stato sezionato anche il torace. Il pulcino era avvolto in quella quarta membrana - amnios - costellata da numerosissime vene, affinché non giacesse nel liquido. Distinguevo anche i vasi ombelicali in prossimità dell’ano dirigersi verso l’ombelico, e qui penetrarvi, in modo che il feto per suo tramite si procuri il nutrimento. Cosa che Aristotele non segnala, vidi infine sul dorso in prossimità dell’uropigio* gli abbozzi nerastri delle penne non dissimili dalla cute del mento umano al quale siano stati rasati i peli.

Die subsequenti haec omnia erant manifestiora, et in superioris rostelli extremitate erat quid albidi, cartilagineum, et subduriusculum, quod rursus die decimatertia magis erat conspicuum. Erat autem rotundum milii grano haud absimile. Sagacissima rerum parens natura id ibi fabricasse videtur, ut impediat, ne rostello suo vel venulas, vel membranulas, vel alias quascunque tenerrimas particulas pertundat. Aiunt mulierculae, pullos iam natos cibum capere non posse nisi prius id auferatur.

Il giorno seguente tutte queste strutture erano più manifeste e all’estremità del beccuccio superiore c’era qualcosa di bianchiccio, cartilagineo e abbastanza consistente che poi, al 13° giorno, era più evidente - il diamante*. Si presentava rotondo, non dissimile da un grano di miglio. La natura, perspicacissima genitrice delle cose, sembra che abbia fabbricato ciò costì per impedire che col suo beccuccio traumatizzi sia le venuzze, sia le membranule, sia qualsivoglia altra tenerissima formazione. Le nostre donne di campagna dicono che i pulcini neonati non possono assumere cibo se prima non viene asportato.

Decimaquarta die pullus iam totus plumescebat. Decimaquinta in digitis ungues albicantes apparebant. Die vero decimasexta ovum aperire placuit in opposita parte, ubi nativa tunica, sed unica tantummodo apparebat, eaque alba. Alteram enim quam in altera parte semper videram, hic observare minime datum est. Itaque dubitabam an ea tantum pro albuminis tutela nata sit, cum scilicet ovum non sit recens, vel ad pulli defensionem in ovo incubato. Nam indies illa magis magisque decidere videtur, et foetum sequi, qui sui gravitate deorsum decidit.

Il quattordicesimo giorno il pulcino era già tutto impiumato. Il quindicesimo giorno alle dita erano visibili le unghie bianchicce. Il sedicesimo giorno ho voluto aprire l’uovo dalla parte opposta dove era visibile la tunica appartenente al guscio, ma ce n’era una sola, e anch’essa bianca. Infatti quell’altra che avevo sempre visto dal lato opposto, in questo punto non è assolutamente possibile osservarla. Pertanto ero in dubbio se essa si sia formata solamente per proteggere l’albume quando l’uovo non è recente oppure se doveva difendere il pulcino nell’uovo in incubazione. Infatti col passare dei giorni sembra vieppiù abbassarsi e seguire il feto, che cade giù per il suo stesso peso.

Aristoteles etiam unicam tantum esse eiusmodi tunicam his verbis[12] videtur innuere. Sunt, inquit, quandoque locata ova hoc ordine, prima, postremaque ad testam ovi membrana posita est, non testa ipsius nativa, sed altera illi subiecta: liquor in ea candidus est, quasi diceret, omnes partes in ovo locatae sunt hoc ordine; nempe prima, postremaque ad testam ovi membrana posita est. Intelligit meo iudicio per primam, et postremam membranam, eas membra<na>s recens in incubato ovo genitas, eas videlicet, quas aliquoties appellavi tertiam secundinam, et quartam, quam involventem foetum dixi. Nam cum dicit testae nativam non esse, ostendit nec primam, nec secundam esse, quae ab altera ovi parte reperitur. Videtur igitur excludere hanc nativam sive primam, vel secundam, et intelligere tertiam, quam secundinam saepe vocavi. Cum vero dicit[13], sed altera illi subiecta, intelligit eandem, secundinam nempe testae subiectam, quod vel ex hoc maxime liquet, quod candidum in ea liquorem inesse dicat. Is enim, ut supra ostendi, inter tertiam, et quartam continetur. Hinc manifesto errore Suessanus convincitur, qui ex Ephesio per primam interpretatur eam, quae testae adhaeret, per postremam vero, quae albumini.

Anche Aristotele con le seguenti parole sembra voler indicare che tale tunica è solo una. Egli dice Poiché le uova sono organizzate in questo ordine, addossate al guscio dell’uovo si trovano una prima e una seconda membrana che non è quella appartenente al guscio, ma l’altra che è sottostante alla prima: in essa si trova del liquido bianco come la neve, come se dicesse che nell’uovo tutte le parti sono disposte in questo ordine; e precisamente che la prima e la seconda membrana sono addossate al guscio dell’uovo. A mio avviso egli intende per prima e seconda membrana quelle membrane che da poco si sono generate nell’uovo in incubazione, senza dubbio quelle che qualche volta ho denominato come terza del secondamento - allantoide, e come quarta che ho detto avvolgere il feto - amnios. Infatti, quando dice che non è appartenente al guscio, dimostra che non è né la prima, né la seconda che si rinviene dall’altro lato dell’uovo. Pertanto sembra escludere che questa che appartiene al guscio sia o la prima o la seconda, e intenda dire che è la terza, che spesso ho denominato del secondamento. Infatti quando dice, ma quell’altra che è a essa sottostante, intende dire quella stessa membrana, cioè del secondamento, che si trova addossata al guscio, e ciò è estremamente chiaro anche dal fatto che egli dice che al suo interno si trova del liquido bianco come la neve. Infatti questo liquido, come dianzi ho dimostrato, è contenuto fra la terza e la quarta. Quindi il Suessano - Agostino Nifo* - si dimostra colpevole di un errore lampante, in quanto egli, basandosi su Michele di Efeso*, interpreta come prima quella che aderisce al guscio e per ultima quella che è attaccata all’albume.

Quae omnia a nobis observata quotidie in sequentibus diebus evidentiora, utpote in perfectissimo pullo apparebant. Die vero vigesima pullus putamine a parente Gallina ablato hora vigesimasecunda sua sponte exivit. Sequens icon ostendit situm perfecti iam pulli in utero [ovo?[14]].

Tutto quello che quotidianamente avevamo osservato si fece più evidente nei giorni successivi, in quanto si manifestavano in un pulcino completamente finito. Al ventesimo giorno il pulcino, asportato il guscio a opera della chioccia, uscì da solo alla ventiduesima ora. L’illustrazione che segue mostra la posizione in utero di un pulcino ormai ultimato.

 

[219] Post exclusionem reperi in putamine tunicas duas albas nativas una cum duabus aliis in incubatu genitis, secundina nempe, et quae foetum ipsum involverat, in qua excrementum adhuc inerat subalbidum. Evidenter adhuc apparebant in pullo tria illa vasa umbilicalia, duae scilicet arteriae, et vena una, et orificium umbilici valde erat contractum. Vena vero iecori per alium ramum, qui recta ad illud tendebat, inseri videbatur. Mirum autem erat, quod extra id nihil lutei appareret, cum tamen in cavitate abdominis, ubi intestina sunt, prope anum pullus per umbilicum totum fere id absorbuerat, simul cum quinta tunica, quae id involverat. Tanta autem ibi lutei inerat copia, ut vix duplo plus sit in ovo nondum incubato. Aristoteles etiam scripsit[15], decima ab ortu die si alvus abscindatur aliquid adhuc lutei in ea conspici. Sed consideratione in primis dignum est, quomodo eiusmodi membrana, quam una cum vitello a pullo absumi diximus, post eijciatur. Videtur autem dicendum, quod per eandem viam, {umbilicum} <umbilicum> videlicet, regredi debeat, vel per anum, quod potius credo. Tunicae huic duo vasa implantantur, quorum unum arteriam esse, et a corde proficisci pulsus indicat: alterum vena est, deferturque ad intestina, lutei videlicet vehiculum{:}<.> Hepar erat coloris admodum lutei, forte quod ex luteo per venas attracto nutriatur.

Dopo la schiusa trovai dentro al guscio le sue due membrane bianche insieme alle altre due generatesi durante l’incubazione, e precisamente quella del secondamento - allantoide - e quella che aveva avvolto il feto stesso- amnios - nella quale era ancora presente una secrezione biancastra. Nel pulcino erano ancora chiaramente visibili quei tre vasi ombelicali, cioè due arterie e una vena, e l’apertura dell’ombelico era molto ridotta in ampiezza. Era possibile vedere la vena inserirsi nel fegato attraverso un altro ramo che si dirigeva direttamente verso di esso. Era degno di nota il fatto che oltre a ciò nulla del tuorlo era visibile, dal momento che attraverso l’ombelico il pulcino l’aveva quasi del tutto assorbito nella cavità dell’addome là dove si trovano le anse intestinali in prossimità dell’ano, insieme alla quinta membrana che l’aveva avvolto. Infatti in questa sede vi era una così grande abbondanza di tuorlo che nell’uovo non ancora sottoposto a incubazione se ne trova appena più del doppio. Aristotele* ha anche scritto che se al decimo giorno dopo la nascita si taglia l’addome vi si vede ancora qualcosa del tuorlo. Ma è innanzitutto degno di considerazione il modo in cui tale membrana, che abbiamo detto venire assorbita dal pulcino insieme al tuorlo, venga successivamente espulsa. Sembra infatti che si possa dire che fuoriesca per la stessa via, cioè attraverso l’ombelico, oppure attraverso l’ano, cosa che preferibilmente credo. In questa membrana si impiantano due vasi, dei quali uno è un’arteria, e la pulsazione indica che parte dal cuore: l’altro è una vena e si porta alle anse intestinali, evidentemente veicolo del tuorlo. Il fegato era di un colore intensamente giallo, forse perché viene nutrito dal tuorlo richiamato attraverso le vene.



[1] De anatomia vivorum. (Aldrovandi) - Il De anatomia vivorum è la traduzione latina da un originale arabo, ma si tratta di un’opera spuria.

[2] Doveva trattarsi di una gallina di razza gigante che covava uova particolarmente piccole deposte da galline nane, e anche in questo caso 22 uova sarebbero troppe per una sola gallina gigante. A mio avviso Aldrovandi non si cura assolutamente di dire il vero quando espone dati scientifici né si prende la briga di rendere il dovuto onore a uno dei più importanti collaboratori in questo suo studio di embriologia: l'olandese Volcher Coiter*. La conferma alla mia prima asserzione - così come per la seconda - è merito di Sandra Tugnoli Pattaro grazie al suo "Osservazione di cose straordinarie - Il De observatione foetus in ovis (1564) di Ulisse Aldrovandi" (Bologna, 2000). A pagina 21 cita uno stralcio del De natura pueri di Ippocrate: "Prendete venti uova o più, e mettetele a covare sotto due galline o più; [...]", che a pagina 52 della traduzione dal greco di Janus Cornarius del 1546 suona così: "Etenim si quis ova viginti aut plura, quo pulli ex ipsis excudantur, gallinis duabus aut pluribus subijcere velit, [...]". Da ciò possiamo dedurre che ai tempi di Ippocrate (460 - ca. 370 aC) le galline riuscivano a covare un numero di uova pari a quello delle loro colleghe del XXI secolo. È biologicamente scontato che nel 1564 le galline di Aldrovandi avevano le stesse doti di quelle di Ippocrate e delle nostre. Ciò implica una mancanza di precisione scientifica da parte di Aldrovandi, contrariamente a quanto dimostrato da Ippocrate, nonché da Marcello Malpighi (1628-1694) quando adduce la fonte materiale dei suoi due lavori sull'embrione di pollo (1672). Per il primo esperimento Malpighi afferma: "Descrivo ora i cambiamenti da me osservati in uova covate da una tacchina o da una gallina nostrana nel pieno dell'estate." Quindi Malpighi aveva a disposizione una gallina e una tacchina che avevano iniziato a covare contemporaneamente. Per il secondo esperimento: "In un uovo covato da una tacchina nello scorso mese di luglio[…]". E anche in questo caso non abbiamo nulla da ridire, in quanto le tacchine accolgono sotto di sé comodamente 25-30 uova abituali di gallina. E se Aldrovandi è così superficiale riguardo a un dato alla portata di tutti, cosa racconterà nei suoi studi di embriologia che alla portata di tutti non sono? Studi che appunto non condusse da solo, anche se da buon egocentrista afferma quotidie unum cum maxima diligentia, ac curiositate secui. Infatti Sandra Tugnoli scrive a pagina 10: "Invero, come risulta dai documenti, la questione si presenta nei termini seguenti. Sebbene nell'inedito e nell'Ornithologia non menzioni collaboratori, Aldrovandi non effettuò l'indagine in oggetto isolatamente, bensì insieme con un'équipe di studiosi, entro la quale verosimilmente il ruolo di anatomista venne svolto precipuamente da Volcher Coiter, ma promotore dell'indagine fu Aldrovandi, suo maestro." - Una massima dice: Unicuique suum. In questo modo meriti e demeriti vanno a chi di dovere. Credo che Aldrovandi tendesse a mettere in pratica un'altra massima di vita: Quel che è mio è mio, e quel che è tuo è mio. Insomma: con le 22 uova covate da una sola gallina il nostro Ulisse diventa per l'ennesima volta inaffidabile. Egli progettò il trattato di ornitologia il 22 novembre 1587, il secondo volume uscì dalla topografia nel 1600, mentre le sue osservazioni sull’embrione di pollo risalivano al 1564, quando potrebbe non aver annotato e quindi dimenticato il numero di chiocce usate. Se nel 1600 voleva essere veramente scientifico, doveva solo scrivere: “...che forse una sola gallina stava covando.”

[3] Siccome incorreremo nel latino sitista di Plinio, premettiamo che l'aggettivo greco σιτιστός riferito agli animali significa ben nutrito, ingrassato; deriva dal verbo σιτίζω che significa nutrire. - La trasformazione di sitista in schista è dovuta a Ermolao Barbaro Castigationes Plinianae: ex libro vigesimonono ex capite iii: fiunt et tota lutea quae vocant sitista: Alii codices habent Sicista. Ipsum legendum fere arbitror Schista: quoniam ab incubatu exempta quasi dividantur et discedat vitellus a candido. Nam & luteum & candidum dicit Aristoteles de animalium generatione tertio, membranis inter sese distingu<u>ntur: & incubante ave concoquenteque animal ex alba parte ovi secernitur, augetur ex reliqua. - I nostri testi riportano abitualmente sitista, come risulta dal seguente brano della Naturalis historia XXIX, 45: Utilia sunt et cervicis doloribus cum anserino adipe, sedis etiam vitiis indurata igni, ut calore quoque prosint, et condylomatis cum rosaceo; item ambustis durata in aqua, mox in pruna putaminibus exustis, tum lutea ex rosaceo inlinuntur. Fiunt et tota lutea, quae vocant sitista, cum triduo incubita tolluntur. Stomachum dissolutum confirmant pulli ovorum cum gallae dimidio ita, ne ante II horas alius cibus sumatur. Dant et dysintericis pullos in ipso ovo decoctos admixta vini austeri hemina et pari modo olei polentaeque. - Nella Naturalis historia Plinio usa schistos per indicare un minerale in xxix,124, xxxiii,84 e in xxxvi,144,145 e 147. L’aggettivo schistos,-a,-on significa fissile, cioè che si può fendere, che si può dividere facilmente, derivato dal greco schízø = scindo, divido; viene usato da Plinio in xxx,74, in xxxi,79 e in xxxiii,88 riferito all’allume. Il sostantivo maschile schistos significa limonite*, minerale ferroso che nella varietà pulverulenta, nota con il nome di ocra gialla, viene usata come pigmento colorante (terra di Siena). Ma Plinio usa l’aggettivo schistos per indicare anche una cipolla che, come lo scalogno - Allium ascalonicum -, possiede un bulbo composto da bulbilli aggregati i quali possono essere separati e quindi usati uno a uno per riprodurre la pianta, come accade per l’aglio comune o Allium sativum. Ecco il brano di Plinio in cui parla della cipolla di Ascalona e della cipolla schista in Naturalis historia xix: [101] Alium cepasque inter deos in iureiurando habet Aegyptus. Cepae genera apud Graecos Sarda, Samothracia, Alsidena, setania, schista, Ascalonia, ab oppido Iudaeae nominata. Omnibus etiam odor lacrimosus et praecipue Cypriis, minime Cnidiis. Omnibus corpus totum pingui tunicarum cartilagine. [102] E cunctis setania minima, excepta Tusculana, sed dulcis. Schista autem et Ascalonia condiuntur. Schistam hieme cum coma sua relincunt, vere folia detrahunt, et alia subnascuntur iisdem divisuris, unde et nomen. Hoc exemplo reliquis quoque generibus detrahi iubent, ut in capita crescant potius quam in semen. - Plinio usa schistos anche per indicare un modo di preparare il latte in xxviii,126: Medici speciem unam addidere lactis generibus, quod schiston appellavere. Id fit hoc modo: fictili novo fervet, caprinum maxime, ramisque ficulneis recentibus miscetur additis totidem cyathis mulsi, quot sint heminae lactis. Cum fervet, ne circumfundatur, praestat dyathus argenteus cum frigida aqua demissus ita, ne quid infundat. Ablatum deinde igni refrigeratione dividitur et discedit serum a lacte. - Insomma: com'era prevedibile, nessuna traccia in Naturalis historia delle uova schista citate da Aldrovandi in quanto furono ideate da Ermolao Barbaro. Anche Conrad Gessner riporta le uova schista come notizia dovuta a Plinio in Historia Animalium III (1555), pag. 420: Fiunt et tota lutea quae vocant schista, cum triduo incubata tolluntur, Plin. - Viene da pensare che anche Gessner abbia fatto affidamento sulla castigatio di Ermolao Barbaro.

[4] Historia animalium VI,3, 561a 9-12: In questo periodo il giallo viene risalendo verso l’estremità appuntita, là dove si trova il principio dell’uovo e dove esso si schiude, e nel bianco appare il cuore, delle dimensioni di una chiazza sanguigna. (traduzione di Mario Vegetti)

[5] Historia animalium VI,3, 561a 6 e sgg.: Nelle galline, dunque, un primo segno compare dopo tre giorni e tre notti; negli uccelli più grandi di queste occorre più tempo, in quelli più piccoli meno. (traduzione di Mario Vegetti)

[6] Historia animalium VI,3, 561a 15-16.: E una membrana provvista di fibre sanguigne racchiude ormai in questa fase il giallo, a partire dai condotti venosi. (traduzione di Mario Vegetti)

[7] Historia animalium VI,3, 561a 21-22: Nella zona inferiore del corpo non si distingue all’inizio chiaramente alcuna parte, se la si confronta con quella superiore. (traduzione di Mario Vegetti)

[8] Historia animalium VI,3, 561a 17-21: Poco tempo dopo incomincia a differenziarsi anche il corpo, all’inizio piccolissimo e bianco. Si distingue chiaramente la testa, e in essa gli occhi che sono molto prominenti; questo stato perdura a lungo, perché essi diventano piccoli e si contraggono molto tardi. (traduzione di Mario Vegetti)

[9] Historia animalium VI,3, 561a 30-32: In questo periodo gli occhi sono prominenti, più grandi di una fava e neri; se si asporta la pelle, vi si trova all’interno un liquido bianco e freddo, assai risplendente in piena luce, ma nulla di solido. (traduzione di Mario Vegetti)

[10] Historia animalium VI,3, 561a 28: Esso ha ancora la testa più grande del resto del corpo, e gli occhi più grandi della testa; e tuttora privi della vista. (traduzione di Mario Vegetti)

[11] Stavolta è Aldrovandi che verosimilmente prende un abbaglio in questo farraginoso sovrapporsi di membrane senza un nome specifico. Questa quarta membrana dovrebbe corrispondere all’amnios che, al contrario dell’allantoide, non è vascolarizzato, e dovrebbe corrispondere a quanto riferito da Aldrovandi a pagina 216 quando riporta la descrizione tratta da Aristotele. Infatti a pagina 216 leggiamo: Tum vero membrana alia circa ipsum foetum, ut dictum est, ducitur arcens humorem: sub qua vitellus alia obvolutus membrana, in quem umbelicus [umbilicus] a corde, ac vena maiore oriens pertinet, atque ita efficitur, ne foetus alterutro humore attingatur.

[12] Historia animalium VI,3, 561b 15-18: Ogni parte si trova così disposta nel modo seguente: in primo luogo, all’estrema periferia presso il guscio c’è la membrana dell’uovo, non quella del guscio ma quella al di sotto di essa. In questa è contenuto un fluido bianco, poi il pulcino, e attorno a esso una membrana che lo isola, affinché non sia immerso nel fluido; sotto il pulcino è sito il giallo, a cui porta una delle vene menzionate, mentre l’altra va al bianco circostante. (traduzione di Mario Vegetti)

[13] Historia animalium VI,3, 561b 17: Ogni parte si trova così disposta nel modo seguente: in primo luogo, all’estrema periferia presso il guscio c’è la membrana dell’uovo, non quella del guscio ma quella al di sotto di essa. (traduzione di Mario Vegetti)

[14] Forse non si tratta di una svista di Aldrovandi, bensì di una conseguenza delle elucubrazioni di Aristotele contenute in De generatione animalium e riportate da Aldrovandi a pagina 215, per cui negli ovipari l’uovo corrisponderebbe a un utero materno staccato dalla madre.

[15] Historia animalium VI,3, 562a 14-16: Da ultimo il giallo, che è andato sempre diminuendo, finisce per essere del tutto consumato e assorbito nel pulcino, tanto che, se si seziona il pulcino dopo ben dieci giorni dall’uscita dall’uovo, si trova ancora un poco di giallo rimasto attaccato all’intestino; però è separato dal cordone ombelicale e non ve n’è più nel tratto intermedio, perché è stato interamente consumato. (traduzione di Mario Vegetti)