Vol. 1° -  IX.6.

La colonizzazione delle Isole del Pacifico

Examining the dispersal of Domestic Chickens
into and around the Pacific
before and after European contact:
a case study from the Santa Cruz Islands.
Scott Harris, Roger C. Green & Alice A. Storey
2013

segnalata una pubblicazione di Russell Parker

Per Melanesia s’intende una divisione geografica dell'Oceania situata a sud della Micronesia e ad ovest della Polinesia; essa comprende le terre emerse dell'Oceano Pacifico sud-occidentale poste tra la Nuova Guinea, le isole Figi e la Nuova Caledonia. Include quindi, oltre alle isole e agli arcipelaghi suddetti, le isole dell'Ammiragliato, l'arcipelago di Bismarck, le isole Salomone, l'arcipelago della Louisiade, le isole Santa Cruz, le Vanuatu e le isole della Lealtà. Melanesia deriva dal greco melas (nero) e nesos (isola), essendo abitata prevalentemente da popoli di razza negroide.

La Polinesia - le molte isole - è la più orientale delle tre aree in cui si è soliti suddividere l'Oceania. Situata a est della Micronesia e della Melanesia, essa comprende, oltre all'arcipelago delle Hawaii, tutta una serie di arcipelaghi disposti a est della linea del cambiamento di data nonché tra l'Equatore e il Tropico del Capricorno: le isole della Fenice, le isole Tokelau, le Samoa, le Line Islands (Sporadi Equatoriali), le Cook, le isole della Società, le Tubuai, le Tuamotu, le Marchesi, oltre ad altre isole minori tra cui l'Isola si Pasqua.

La Micronesia, che comprende le isole Marianne, Caroline, Marshall, Kiribati e Nauru, è la terza delle tre grandi divisioni geografiche dell'Oceania, situata a nord della Melanesia e a nordovest della Polinesia.

L'arrivo dei Polinesiani alle Hawaii intorno al 400 dC rappresenta una delle maggiori conquiste dell'umanità, in quanto questo arcipelago, oltre ad essere parecchio distante dagli altri arcipelaghi polinesiani, è costituito da isole distribuite su una vasta superficie del Pacifico centrale.

I flussi migratori nel Pacifico iniziarono prima della nascita di Cristo, quando gli Europei navigavano ancora vicini alle linee costiere non possedendo strumenti per la navigazione in oceano aperto. Invece, dalle Figi, da Tonga e da Samoa partivano provetti marinai che portarono alla colonizzazione di isole sparse su una superficie oceanica di milioni e milioni di chilometri quadrati.

La colonizzazione della Polinesia ha richiesto circa un millennio per essere completata, usando canoe a doppio scafo sospinte a remi e a vela capaci di coprire percorsi di 4.000 chilometri, corrispondenti alla distanza che separa Tahiti dalle Hawaii e dall'Isola di Pasqua. Anche se questi catamarani non potevano immagazzinare la stessa quantità di viveri e di acqua dei grandi vascelli europei, essi erano più veloci: se una nave del capitano Cook [1] percorreva 2 miglia, una canoa di Tonga ne aveva già percorse 3.

Cook rimase sbalordito di fronte alla flotta di 160 imbarcazioni radunate nella baia di Matavai a Tahiti: i catamarani erano lunghi da 17 a 33 metri, con prua che si levava fino a 10 metri dall'acqua, capaci di trasportare da 30 a 300 persone e di coprire distanze di 160-240 km al giorno e quindi, secondo Drusini, viaggi di 5.000-8.000 km erano del tutto possibili.

La Nuova Guinea e le isole del Pacifico sono attualmente abitate da gruppi di popolazioni biologicamente diverse che si sono differenziate dopo la loro espansione, dando origine a degli adattamenti di tipo locale favoriti dall'isolamento geografico. Queste popolazioni vengono abitualmente suddivise in tre gruppi: Polinesiani, Melanesiani e Micronesiani.

I Melanesiani e le popolazioni della Papua-Nuova Guinea sono più affini agli Australiani, mentre i Polinesiani attuali sono più affini ai popoli del Sudest Asiatico; ma ambedue, Melanesiani e Polinesiani, condividono le stesse radici biologiche asiatiche. I Polinesiani, che comprendono anche i Maori della Nuova Zelanda, si sono progressivamente incrociati coi Melanesiani, specie nelle zone periferiche e nelle aree di transizione rappresentate da Fiji, Tonga e Samoa. I Micronesiani delle isole Marianne, Caroline e Marshall sono differenti dai Polinesiani, avendo probabilmente seguito rotte diverse durante la colonizzazione del loro territorio insulare.

La colonizzazione del Pacifico ha inizio dalle isole del Sudest Asiatico: Nuova Guinea e Australia videro i primi insediamenti dell'umanità moderna almeno 50.000 anni fa e le Isole Salomone settentrionali almeno 28.000 anni fa. Il popolamento della maggior parte delle isole della Polinesia è un avvenimento piuttosto recente, dal momento che non esistono tracce di insediamenti anteriori a 3.200 anni fa, quando intorno al 1300 aC furono raggiunte le isole della Polinesia occidentale, la quale comprendeva Fiji, Tonga e Samoa. Fu qui che questi navigatori divennero Polinesiani: in altre parole, raffinarono le loro tecniche di navigazione e svilupparono molte delle caratteristiche culturali che oggi definiamo polinesiane.

Solo intorno al 4000 aC l'uomo imparò l'arte di navigare in acque profonde e di percorrere centinaia di chilometri attraverso l'oceano, dovendo anche perfezionare le tecniche di conservazione degli alimenti per sopravvivere durante i lunghi viaggi. L'evidenza archeologica e linguistica indica una serie di complesse migrazioni, spesso in direzioni opposte, culminate nella grande espansione polinesiana. Questa evidenza suggerisce che gli attuali Polinesiani sono discendenti diretti di popoli proto-Polinesiani provenienti dalle isole del Sudest Asiatico e di lingua austronesiana, che colonizzarono il territorio compreso fra l'Arcipelago di Bismarck e il Pacifico centrale durante il cosiddetto periodo Lapita: circa 3.600-2.500 anni fa.

Infatti l’espansione verso le isole del Pacifico orientale ebbe inizio quando dalla Nuova Guinea le popolazioni cominciarono a sbarcare sulle isole della Melanesia, raggiungendo successivamente la Nuova Caledonia. Tali popolazioni vengono identificate come complesso culturale Lapita [2] , che prende il nome da una località della Nuova Caledonia in cui all’inizio del XX secolo è stata rinvenuta una ceramica dai tratti caratteristici anch'essa denominata Lapita. Il complesso culturale Lapita, databile fra il 1600 e il 600 aC, ha mantenuto per un millennio un’unità stilistica peculiare. La ceramica fu caratterizzata da motivi geometrici che con l’andar del tempo assunsero delle varianti a seconda delle isole colonizzate, varianti che si sono evolute per lo più in modo indipendente. Lo stile è andato via via spegnendosi nelle varie aree in un arco di tempo che va dal 500 aC al 300 dC.

Spingendosi sempre più a oriente, la cultura Lapita raggiunse Samoa e Tonga: fu proprio qui che la primitiva cultura Lapita andò trasformandosi per dare origine alla cultura polinesiana. Infatti Samoa e Tonga vengono considerate come la culla culturale della Polinesia. Intorno al 300 aC i provetti navigatori di Tonga e Samoa raggiungevano isole più orientali: Cook, Tahiti, Tuamotu, Hiva (come erano chiamate le Marchesi dagli antichi Polinesiani). Nei decenni successivi al 300 dC, dalla Polinesia più orientale - da Hiva, tanto per intenderci - salparono i colonizzatori dell'Isola di Pasqua. Intorno al 400 dC furono raggiunte le Hawaii partendo da Tahiti e da Hiva. Intorno all'800 dC il processo di colonizzazione terminò in Nuova Zelanda - Aotearoa - dove approdarono genti partite dalle Isole Cook e dalle Isole della Società.

 

Fig. IX. 7 - Principali località della cultura Lapita in Melanesia e in Polinesia occidentale indicate con frecce: il sito Lapita 1 si trova in Nuova Caledonia, mentre il numero 2 indica pressappoco l’isola di Watom che fa parte dell’Arcipelago di Bismarck, costituito da un gruppo di isole del Pacifico sud-occidentale situate a NE della Nuova Guinea e politicamente incluso nello Stato di Papua Nuova Guinea che è membro del Commonwealth.

Attraverso il gruppo di discussione del Polynesian Café di Internet ho potuto chiarire solo in parte una mia ipotesi. Come abbiamo visto, la cultura Lapita prende il nome da un sito archeologico in Nuova Caledonia. Siccome i motivi geometrici della ceramica Lapita - che ho visto in una pubblicazione del Professor Green - mi ricordano quelli greci, sorse in me la domanda se per caso non vi fosse un legame fra il toponimo Lapita e i tratti grecizzanti della decorazione. Kahukura, partecipante al newsgroup del Polynesian Café, così mi ha risposto: 

"Alcuni anni fa circolava una teoria che voleva creare un nesso fra Maori, Celti e Baschi come se queste popolazioni avessero un’origine comune dalla Penisola Iberica, e che i Fitz Hori avevano perso la loro rotta nel Pacifico finendo così in Irlanda. Comunque sia, che ciò possa essere in grado di spiegare le relazioni con la Grecia? Inoltre, un’altra leggenda, stavolta dalla Nuova Britannia [l'isola più grande dell'arcipelago di Bismarck] dove forse originò la cultura Lapita, racconta che il nipote di Maui se ne era andato a pescare e aveva allamato un’isola. Sfortunatamente la lenza si ruppe nel momento in cui il pesce giungeva in superficie e quell’isola fu lanciata attraverso il mondo diventando la Britannia. Questa storia mi piace in quanto si aggancia bene alle tradizioni e fa diventare l’Europa di origine polinesiana e non il contrario."

Quelle riferite da Kahukura sono leggende, ma non bisogna mai essere completamente sordi alle tradizioni: sotto la scorza potrebbe nascondersi qualcosa di vero. Se vogliamo affidarci a qualcuno che pratica la scienza, dobbiamo allora conoscere anche il pensiero di Alexander Nichols, il quale ritiene che in base a rassomiglianze osservabili in architettura, astronomia, linguistica e matematica, dovrebbero esistere legami tra le seguenti antiche civiltà: Egizi, Maya, Anasazi, Isola di Pasqua e Atlantide (ritenuta da Nichols assolutamente non leggendaria e che in base a uno studio approfondito di Marco Bulloni concluso nel 2008 si ipotizza possa corrispondere all'isola di Solovetsky nel Mar Bianco, latitudine 65° parallelo nord).

Quanto all'ipotesi dell'esistenza di un nesso fra Polinesiani e Baschi, secondo Robert Langdon non si tratterebbe di una teoria, bensì di una realtà. In The Lost Caravel Re-explored (1988) Langdon narra delle sue ricerche relative alla Caravella San Lesmes. Il 26 maggio 1526 quattro navi spagnole entrarono nel Pacifico attraverso lo Stretto di Magellano per raggiungere le Indie Orientali; sei giorni più tardi i vascelli vennero separati da una tempesta e una delle imbarcazioni, la San Lesmes, di 80 tonnellate, non venne mai più avvistata. Coi suoi 53 uomini d'equipaggio fu la prima nave europea a disperdersi nel Pacifico meridionale e per più di 400 anni nessuno fu in grado di identificare alcuna traccia sicura della sorte che le era toccata.

Nel 1967 Langdon cominciò ad interessarsi di un antico cannone in ferro rinvenuto circa 40 anni prima nella barriera corallina dell'atollo Amanu, 500 miglia ad est di Tahiti. Questo reperto condusse alla scoperta nello stesso sito di ulteriori due cannoni che furono identificati come di tipo europeo e antecedenti al 1550. Per ragioni storiche non vi fu dubbio che erano appartenuti alla San Lesmes. Prendendo come spunto i cannoni, Langdon cominciò ad indagare cosa poteva esserne stato dell'equipaggio di Spagnoli - tra cui numerosi Baschi - di Fiamminghi e di Genovesi.

Ecco le conclusioni alle quali il ricercatore è giunto: l'equipaggio della San Lesmes, sopravvissuto al naufragio, ebbe modo di convolare a nozze con donne polinesiane e i loro discendenti giocarono un ruolo preminente, e finora insospettato, nella preistoria di Tuamotu, isole della Società, isole Australi, Nuova Zelanda e, colmo dei colmi, Isola di Pasqua. Attraverso evidenze di vario tipo, Langdon deduce che la San Lesmes si incagliò ad Amanu e che l'equipaggio salvò la nave spingendo i cannoni fuori bordo, quindi proseguì in direzione ovest fino a Ra'iatea situata circa 120 miglia a nordovest di Tahiti, dove trovò un porto che permise di ispezionare i danni e di ripararli.

Dopo diversi mesi trascorsi a Ra'iatea, parecchi componenti dell'equipaggio, guidati da Polinesiani del posto, decisero di tentare il ritorno in Spagna navigando in direzione sudovest per il Capo di Buona Speranza. Questa rotta li condusse inevitabilmente all'allora sconosciuta Isola del Nord della Nuova Zelanda dove si stanziarono e si maritarono coi discendenti dei primi Polinesiani e, quando Cook riscoperse la Nuova Zelanda due secoli e mezzo più tardi, i discendenti di Europei e Polinesiani già si erano diffusi su tutto il territorio neozelandese.

Per quegli altri marinai che per così dire rimasero indietro a Ra'iatea, Langdon afferma che essi istituirono delle dinastie ispano-polinesiane che si estinsero ai tempi del capitano Cook. Inoltre, nel 1973, in 20 isolani della remota Rapa Nui - i cui antenati, per quanto era dato sapere, erano pasquensi - furono riscontrati certi geni peculiari degli Europei, comuni specialmente fra i Baschi. Gli isolani in questione sarebbero quindi dei diretti discendenti di membri dell'equipaggio della San Lesmes.

La cultura Lapita ebbe come culla d’origine l’Arcipelago di Bismarck e si diffuse grazie alla navigazione per tratti brevi - circa 360 miglia marine [3] (666,72 km) - che consentissero il ritorno al porto di partenza dopo la scoperta di una nuova terra. In questo processo ebbero un ruolo importante i continui scambi tra isole vicine che, per essere raggiunte, comportavano la navigazione di tratti di mare compresi fra 50 e 300 miglia, toccando talora le 1.200 miglia.

Nonostante l’iniziale dipendenza dal mare come fonte alimentare, successivamente queste popolazioni fecero ricorso alle piante e agli animali domestici: i reperti parlano di polli e di maiali. Infatti, sono state rinvenute ossa di pollo, in siti associati alla ceramica Lapita: sull'isola di Watom in Papua Nuova Guinea, su quella di Malo del gruppo delle Vanuatu nonché a Tonga e Samoa. Questi siti sono databili intorno al 500 aC. Nel 1986 Roger Green - dell’Università di Auckland e al quale si debbono le notizie sulla cultura Lapita - stava ancora lavorando al sito 8 dell’isola di Watom, dove scoprì ulteriori ossa di pollo insieme a quelle di maiale, ma finora questi recenti reperti non sono ancora stati datati col radiocarbonio.

Non tutti sono d’accordo che la cultura polinesiana abbia avuto come culla d’origine la Melanesia. Uno di questi è Sione Ake Mokofisi - i cui lavori sull’origine dei Polinesiani appaiono in Internet - il quale asserisce che per giungere a corrette conclusioni bisogna affidarsi non solo alle scoperte archeologiche ma anche alla ricca tradizione orale: nessuna tradizione orale parla di un’origine melanesiana della cultura in Polinesia. Orbene, siccome la Lapitomania - secondo Mokofisi - rifiuta l’esistenza di contatti precolombiani fra Polinesiani e Amerindi, mentre questi popoli, anche se non tutti, erano esperti marinai, la prova definitiva scaturirà dai dati riguardanti il DNA. Chi non vuole essere cieco - aggiunge Mokofisi - non deve attendere questi dati di genetica molecolare. Esiste un insieme di elementi probanti, non ultima la cultura megalitica che accomuna Inca, Isola di Pasqua, Isole Marchesi, Hawaii, Tubuai e il gruppo di Tonga.

E Drusini, anche se solamente sotto il profilo genetico, dà una mano a Mokofisi contro la lapitomania: infatti, in base alla distribuzione temporo-spaziale della delezione 9-bp a carico del DNA mitocondriale, si è potuto assodare che questo marker è stato trovato in ossa preistoriche relativamente recenti di Polinesiani, mentre è assente nei reperti associati alla cultura Lapita provenienti dalla Melanesia e dal Pacifico centrale. Da questi studi - prosegue Drusini - risulta che le popolazioni di cultura Lapita del Pacifico centrale erano di origine melanesiana e che, eventualmente, esse vennero rimpiazzate o assimilate dai precursori dei moderni Polinesiani durante le migrazioni successive. Verrebbe quindi a cadere l'ipotesi che i depositari della cultura Lapita fossero essenzialmente Polinesiani.

Drusini conclude che in base ai dati attualmente disponibili i Polinesiani derivano da una piccola e omogenea popolazione che entrò nel triangolo insulare della Polinesia attraverso le Isole Fiji e, forse, Tonga. I linguisti, inoltre, ritengono che la Polinesia sia stata popolata in un'unica ondata proveniente da occidente, composta da genti che parlavano un'unica lingua e che provenivano dalle Fiji.

Tralasciamo queste diatribe che denotano come le conclusioni vadano tratte senza omettere alcun elemento del mosaico.

Sta di fatto che Green ha continuato a trovare resti di pollo a Watom e che da secoli il pollo era di casa nelle isole del Pacifico.

 sommario 

 avanti 



[1] Cook James: navigatore inglese (Marton in Cleveland, Yorkshire, 1728 - isole Hawaii 1779). Tra i maggiori esploratori di tutti i tempi, il suo nome rimane legato alla definitiva conoscenza delle terre del Pacifico centrale e meridionale. Oltre ad aver rilevato, con straordinaria precisione, la maggior parte degli arcipelaghi di quell'oceano, dimostrò l'inesistenza della Terra Australis, che per secoli molti navigatori avevano cercato e sulla quale alcuni geografi fondavano le loro teorie sull'equilibrio dei rapporti fra distese marine e terre emerse.

[2] I Lapiti, secondo la mitologia greca, furono i più antichi abitanti della Tessaglia, ma la loro realtà è più mitica che storica. Il mito più celebre è quello della lotta che essi sostennero contro i Centauri - centauromachia - tremenda zuffa cui si abbandonarono gli ebbri Centauri durante il banchetto nuziale di Piritoo e Ippodamia, avviando così una guerra fra il popolo dei Centauri e quello dei Lapiti. Questo tema è frequente nell'arte classica, sia nella pittura vascolare che nella scultura. Nella ceramica il tema è particolarmente ricorrente nel V secolo aC, ed è realizzato con la tecnica a figure rosse, dipinte su crateri ospitati nei musei di Firenze e di Napoli e al Louvre di Parigi.

[3] Nella Conferenza Idrografica Internazionale del 1929 è stato deciso di adottare in campo navale il miglio marino o nautico internazionale, pari a 1852 m. Ciononostante, in alcuni Paesi sono ancora in uso unità di misura leggermente diverse, come per esempio il miglio marino inglese pari a 1853,18 m (2027 yard o 6080 piedi) e il miglio marino degli USA pari a 1853,248 m (6080,27 piedi).